testata
 
numerocorrentehomeindicericerca../risorse%20web

Beni culturali: valorizzazione e fruizione

La Madonna del Parto di Piero della Francesca: tra l'enigma sulla proprietà e le plurime vicende sul luogo della sua fruizione

di Annalisa Gualdani

Sommario: 1. Premessa. Ubi est domum suam?. - 2. Sull'appartenza dei beni culturali. - 2.1. La vicenda. - 3. La sentenza del Tar Toscana. - 3.1. Il provvedimento "implicito". - 3.2. Il vincolo cimiteriale. - 4. Conclusioni.

The Madonna del Parto by Piero della Francesca: Between the Riddle of the Property and the Various Vicissitudes on the Location of its Enjoyment
The present contribution deals with the location and enjoyment of artworks. Basing on the analysis of a concrete case addressed by administrative judicial bodies, a number of related issues are addressed, including ownership and legal regulation of cultural property, as well as the relationship between the public administration and other public and private subjects involved in the determination and management of the location of an artwork. A crucial aspect of the concrete case under analysis was represented by the existence of a cemetery constraint in the place selected by the Ministry of Cultural Heritage and Activities and Tourism for placing the fresco, which, in the instant case, living aside the identity of the subject holder of the title of ownership over the property, influenced the outcome of the affair.

Keywords: Property; Location; Enjoyment; Constraint.

1. Premessa. Ubi est domum suam?

Da oltre un ventennio un vivace dibattito scientifico ha catalizzato l'attenzione del mondo della cultura e del diritto per individuare una definitiva collocazione all'affresco di Piero della Francesca, denominato: "Madonna del Parto". Di recente la questione, che ha visto l'innestarsi di aspetti giuridici, storico-artistici, devozionali e financo turistico-economici, è tornata agli onori delle cronache, a seguito della pronuncia del Tar Toscana, del 7 maggio 2015, n. 733, che ha assegnato alla vicenda un punto di svolta.

Pur non essendovi certezza né sulla committenza, né sulla data esatta di realizzazione dell'opera, si ritiene che l'affresco sia stato realizzato da Piero della Francesca nella chiesa di Santa Maria a Momentana di Monterchi, probabilmente tra il 1450 e il 1455, in concomitanza, cioè con la prima fase degli affreschi del "Ciclo della Vera Croce" della Chiesa di San Francesco di Arezzo [1].

In seguito alla "politica giurisdizionalista" condotta da Pietro Leopoldo ed alle conseguenti "ricognizioni effettuate dagli incaricati gran ducali sul territorio delle singole diocesi" [2], nel 1785, la comunità di Monterchi, "trovandosi nella necessità di adempiere agli Ordini sovrani di divenire alla costruzione di un Camposanto" [3] e ritenendo che il sito più idoneo fosse quello dove sorgeva la chiesa di Momentana, supplicò il vescovo Roberto Costaguti per ottenere il terreno circostante da destinare a tale uso. Quest'ultimo autorizzò la profanazione e la parziale demolizione dell'edificio a condizione che la comunità di Monterchi mantenesse a proprie spese la cappella, dove, sulla parete di fondo, era collocato l'affresco di Piero della Francesca ed i suoi arredi" [4]. In seguito ad alterne vicende la chiesa fu in gran parte demolita e ricostruita in modo diverso nel 1956.

Nel 1992, ai fini della migliore salvaguardia dell'affresco iniziò da parte della Soprintendenza di Arezzo, con i fondi del Ministero per i beni culturali, un intervento di risanamento dell'edificio e dell'opera medesima. L'opera fu così asportata dalla sua sede di Momentana e collocata per il restauro in una scuola elementare in disuso, messa a disposizione dall'amministrazione comunale, con l'accordo che dopo il restauro sarebbe stata riposta nella sua sede originaria.

Dopo l'intervento conservativo, è sorta una querelle, avente ad oggetto l'ubicazione dell'affresco che ha visto coinvolti, oltre al Ministero per i beni culturali e ambientali, il Comune di Monterchi e la Diocesi di Arezzo - Cortona e Sansepolcro [5]. E così, se Ministero e Diocesi sono sempre stati accomunati dall'unanime volere di riportare l'affresco nel luogo dove è stato dipinto dall'autore "per ritrovare quel culto e quella sacralità tutta particolare, la cui perdita è inevitabile nel caso di una musealizzazione, [...], nel rispetto non solo dei valori estetici, ma anche storici e religiosi al fine di mantenere all'immagine quella funzione consolatoria" [6], il Comune al contrario ha da sempre avversato detto proposito, mosso dall'intento di mantenere l'opera nel centro storico del paese, anche per garantire ad esso un indotto turistico - economico.

2. Sull'appartenenza dei beni culturali

La titolarità del diritto di proprietà dei beni culturali è un tema complesso che nel tempo ha costantemente animato il dibattito scientifico, il quale, muovendo da una arcaica concezione dominicale e fedecommissaria del bene, ha compiuto la sua parabola evolutiva sino ad abbracciare, l'"evanescente" categoria dei beni comuni [7].

Il diritto positivo ha da sempre individuato i beni culturali in ragione della proprietà pubblica o privata del bene (l. 1089/39 e T.U. 490/99). Lo stesso d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 recante "Codice dei beni culturali e del paesaggio", omettendo di elaborare una nozione unitaria di bene culturale, ha differenziato le relative tipologie e la disciplina a seconda della loro appartenenza [8].

Pur nella diversità dei regimi: per "i beni di proprietà pubblica la culturalità si presume", mentre "per quelli privati deve intervenire la così detta verifica dell'interesse culturale" [9], le due categorie sono accomunate da un unico leit motiv: l'essere testimonianze di civiltà, aventi valore di "interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico" (art. 2, comma 2). Ciò che muta è la gradazione dell'interesse medesimo: più tenue per i primi, essendo richiesto un mero valore culturale (art. 10, comma 1), più caratterizzato per i secondi, come si evince dall'espressione interesse "particolarmente importante" (art. 10, comma 3, lett. a), b), d), ed "eccezionale" (lett. c) ed e).

Il d.lgs. n. 42/2004 [10], detta, poi, un'apposita disciplina per i beni culturali di interesse religioso [11], individuati come quelli appartenenti ad enti ed istituzioni della Chiesa cattolica o di altre confessioni religiose.

Tale categoria - i cui confini restano ancora incerti [12], mancando nel Codice un'autonoma nozione - si connota per la compresenza di due tipologie di interessi: l'uno "liturgico culturale che ha valenza soprattutto per la Chiesa; l'altro, religioso culturale che ha valore sia per la Chiesa che per lo Stato" [13]. In ragione di tale ampiezza (dell'interesse) ne discende un peculiare regime giuridico, volto a conciliare le parallele esigenze tipiche della tutela con quelle proprie del culto [14]. Dispone a riguardo l'art. 9, del Codice che "il Ministero e per quanto di competenza, le regioni provvedono, relativamente alle esigenze di culto, d'accordo con le rispettive autorità", implicando così una concertazione tra Ministero ed autorità religiose, con espresso rinvio all'applicazione "delle disposizioni contenute nei protocolli di intesa che disciplinano i rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica o i rappresentanti delle altre confessioni religiose" [15].

La tutela dei beni culturali di interesse religioso è altresì avvalorata dall'art. 10, lett. d), del Codice, in virtù del quale sono beni culturali le cose immobili a chiunque appartenenti che rivestono un interesse particolarmente importante quali testimonianze dell'identità e della storia e delle istituzioni, pubbliche, collettive o religiose. Pertanto rientrano nella rammentata fattispecie non soltanto gli edifici finalizzati esclusivamente al culto, ma anche "tutti quei beni (mobili ed immobili) con fini strumentali e serventi alle esigenze religiose" [16]. Dunque, come nel nostro caso, anche gli oggetti devozionali.

A ben vedere però analizzando la disciplina codicistica si osserva come i beni culturali di interesse religioso non rappresentino un tertium genus e come la dicotomia proprietà pubblica e privata non venga scalfita dall'ipotesi di cui all'art. 9, essendo i beni di interesse religioso riconducibili, quanto ad appartenenza soggettiva alle persone giuridiche private senza fini di lucro [17], a cui va ad aggiungersi quel quid pluris che caratterizza detti beni, rappresentato dalla "destinatio ad cultum".

2.1. La vicenda

In tale contesto si inserisce la fattispecie che ci occupa, dove tra le pluralità degli aspetti giuridici che la connotano, è emersa la questione dell'individuazione della titolarità del soggetto proprietario dell'affresco, conteso tra Amministrazione Comunale (bene pubblico) e Diocesi (bene privato) [18] e sfociato in una causa civile promossa dall'ente ecclesiastico [19] nella quale si rivendicava il diritto di proprietà e la restituzione dell'affresco alla pubblica venerazione.

Il contenzioso civile veniva abbandonato in seguito ad un accordo intervenuto tra le parti [20] - poi paralizzato dal Ministero per le ragioni che si dirà - la cui valenza è stata riaffermata dopo la recente pronuncia del Tar Toscana.

All'origine della transazione poggia(va) la convinzione dell'irrilevanza, nel caso di specie, della proprietà "formale" del dipinto, che restava impregiudicata [21] e della centralità, invece, degli interessi da tutelare: quello alla conservazione dell'affresco in un luogo idoneo a garantire una consona fruizione dell'opera da parte del pubblico, nonché la restituzione della stessa al culto plurisecolare dei fedeli.

Non v'è chi non veda, allora, come la titolarità del bene sfumi innanzi alla trascendenza dell'interesse culturale. In tal senso depone altresì l'interpretazione del significato del termine "patrimonio storico artistico della Nazione ", (di cui all'art. 9 Cost.), inteso come "complesso di cose che, per la comune connotazione e rilevanza per l'identità della Nazione, è assoggettato a un regime pubblico particolare a garanzia di un interesse superiore all'economia proprietaria" [22].

Infatti "il bene culturale sembra non avere un proprietario in senso proprio", "poiché il godimento lo ha l'universo dei fruitori del medesimo, cioè un gruppo disaggregato e informale di persone fisiche, indeterminate ed indeterminabili come universo, ma individuabili in concreto nel tempo presente in elementi o gruppi aggregati particolari che si costituiscono nell'universo, mentre incerte nell'individuazione, ma certe quanto all'esistenza nel tempo futuro" [23].

"Il bene culturale è pubblico non in quanto appartenenza, ma in quanto bene di fruizione" [24], poiché la finalità della tutela pubblica - che implica il diritto sulla cosa appartenente alla generalità - va individuata nella fruizione universale della cosa (bene culturale), che comprende sia la componente immateriale autonoma e sia quella patrimoniale ad essa sovrapposta.

Le considerazioni che precedono non intendono spingersi sino a legittimare una lettura che voglia ricondurre i beni culturali nella categoria dei beni comuni [25], essendone peraltro, assente nel nostro ordinamento una elaborazione positiva ed i cui confini sono connotati da aleatorietà ed incertezza; ciò che qui rileva sottolineare è il valore "universale" che assume il bene culturale di per sé, come "testimonianza avente valore di civiltà", rispetto alla storia del progresso dell'uomo, a prescindere dalla sua appartenenza [26].

L'intrinseco valore "civilizzante" del bene è, pertanto, ciò che porta a superare la sua realità ("la cosa non sarebbe che un'entità extragiuridica che si qualifica giuridicamente, in quanto presenta un interesse che può essere tutelato dal diritto" [27]), assumendo primaria rilevanza la funzione "sociale" di veicolo di cultura.

3. La sentenza del Tar Toscana

Come in precedenza evidenziato nella fattispecie esaminata si è assistito all'intersecarsi di una pluralità di questioni alle quali nel 2003 è andato a sovrapporsi un evento di matrice amministrativista.

Infatti, nelle more della causa civile, che aveva disposto una consulenza tecnica d'ufficio alla quale si demandava di individuare, sia sotto un profilo urbanistico, che storico-artistico, la migliore soluzione espositiva dell'affresco, il Ministero emanava un provvedimento con il quale "si incaricava la Soprintendenza di curare un progetto di ricollocazione dell'affresco nel complesso di Santa Maria in Momentana che prendesse in considerazione il restauro e il riadeguamento funzionale della chiesa e degli annessi".

Avverso il citato provvedimento che, non curante dello svolgimento delle operazioni peritali, individuava "d'ufficio" l'ubicazione dell'opera, proponeva impugnazione l'amministrazione comunale, sulla quale il giudice amministrativo ha deciso con la sentenza n. 733/ 2015.

Non è questa la sede per trattare analiticamente i singoli profili della rammentata pronuncia; ciò che qui preme evidenziare sono due aspetti fondamentali: il primo prodromico/formale, il secondo sostanziale, che hanno consentito al giudice amministrativo di fugare ogni dubbio in merito alla possibilità di ricollocare l'affresco nella sua sede originaria.

3.1. Il provvedimento "implicito"

L'indagine muove dalla riconduzione del provvedimento impugnato nell'alveo degli atti meramente endoprocedimentali, i quali, si rammenta, stante la loro natura preparatoria rispetto al provvedimento conclusivo, non potrebbero essere impugnati distintamente rispetto al provvedimento finale, atteso che "esaurirebbero il loro effetto all'interno dell'amministrazione, in quanto insuscettibili di incidere su situazioni giuridiche di terzi" [28].

Tale regola generale subisce, tuttavia, delle eccezioni: a) nel caso di atti aventi natura vincolata (proposte o pareri) se idonei, come tali, ad imprimere un indirizzo ineluttabile alla determinazione conclusiva [29]; b) in presenza di atti interlocutori, idonei a cagionare un arresto procedimentale capace di frustrare l'aspirazione dell'istante ad un celere soddisfacimento dell'interesse pretensivo prospettato; c) allorché gli atti soprassessori, rinviando ad un avvenimento futuro ed incerto nell'an e nel quando il soddisfacimento dell'interesse pretensivo fatto valere dal privato, determinano un arresto del procedimento che lo stesso privato ha attivato a sua istanza [30]. Ora, ad avviso della resistente, la nota Ministeriale non sarebbe riconducibile nell'alveo delle fattispecie derogatorie sopra rammentate, stante la non immediata lesività della pretesa del ricorrente.

A ben vedere, però, l'atto impugnato, "nella parte in cui incarica la Soprintendenza di curare un progetto di riallocazione dell'affresco nel complesso Santa Maria a Momentana, esprime chiaramente la volontà del Ministero di collocare l'affresco in tale luogo" [31]. Dunque l'atto Ministeriale non assumerebbe una valenza preparatoria rispetto al provvedimento finale, configurandosi come un vero e proprio ordine rivolto da un superiore gerarchico (il Ministero) nei confronti dell'organo sottordinato (la Soprintendenza). La natura ordinatoria del provvedimento si desumerebbe implicitamente dal contenuto del medesimo e ciò condurrebbe ad annoverare l'atto de quo nell'ambito della fattispecie dei provvedimenti impliciti.

Il tema dell'atto amministrativo implicito e della sua compatibilità con i principi che connotano il nostro ordinamento ed in particolare quello di legalità e di tipicità dell'azione amministrativa ha da tempo catalizzato l'attenzione sia della dottrina, che della giurisprudenza [32].

Per atto amministrativo implicito si intende quel provvedimento destinato a produrre effetti ulteriori rispetto a quanto espressamente indicato nell'atto stesso, ovvero con riguardo ai casi in cui la volontà dell'amministrazione, non estrinsecata in un provvedimento formale, sia ricavabile da un comportamento, "sicché l'atto sarebbe pur sempre esteriorizzato, anche se soltanto in forma indiretta" [33].

Ed invero nella legge generale sul procedimento amministrativo è assente una disciplina relativa alle manifestazioni implicite della pubblica amministrazione, tanto che l'individuazione dei tratti caratterizzanti di tale figura è stata oggetto di elaborazione pretoria, attesa l'indispensabilità di fornire un'adeguata tutela al privato inciso da tale tipologia di attività amministrativa.

Sul punto la giurisprudenza si è premurata di affermare che si configura un atto amministrativo implicito nei casi in cui l'amministrazione, pur non adottando formalmente un provvedimento, ne determini univocamente i contenuti sostanziali o attraverso un comportamento, ovvero determinandosi in una specifica direzione a cui non può essere condotta altra volontà se non quella equivalente al contenuto del provvedimento [34]. Ed ancora che esso deve essere espressione di una manifestazione di volontà o di un comportamento che deve provenire da un organo competente e nell'esercizio delle sue attribuzioni" [35].

Non v'è chi non veda, tuttavia, le criticità insite in detto modus agendi della pubblica amministrazione, poiché esso va a collidere con le disposizioni cardini della legge sul procedimento amministrativo, tra cui il dettato di cui all'art. 2, della legge n. 241/90, che obbliga l'amministrazione a concludere il procedimento attraverso l'adozione di un provvedimento espresso, nonché con l'obbligo di motivazione, di cui al seguente articolo 3.

Come ha avuto modo di ribadire il Consiglio di Stato, "adducendo a fondamento dell'istituto dell'atto implicito l'esigenza di individuare un atto impugnabile, anche laddove non esiste un provvedimento esplicito" [36], "la possibilità di esternare l'attività amministrativa con forme diverse dal provvedimento espresso, trae fondamento" [...] (non solo) [37] "dal principio di libertà delle forme, ma anche da quello di economicità e di snellezza dell'azione amministrativa e, in particolare, da quello di tutela dell'affidamento dei cittadini" [38].

Richiamandosi alla consolidata giurisprudenza dei giudici di Palazzo Spada ed in particolare all'assunto che "il provvedimento implicito sussiste quando l'Amministrazione, pur non adottando formalmente un atto, ne determina univocamente i contenuti sostanziali determinandosi in una direzione cui non può essere ricondotto altro volere che quello equivalente al contenuto del provvedimento formale non emanato" [39], il Tar Toscana perviene a dichiarare la natura provvedimentale e la sua conseguente impugnabilità dell'atto Ministeriale, poiché l'ordine di elaborare un progetto di riallocazione dell'affresco nella sede originaria "non appare un atto istruttorio o procedimentale suscettibile di confluire in una decisione finale a contenuto incerto" [40].

3.2. Il vincolo cimiteriale

Il profilo sostanziale che ha condotto all'annullamento del provvedimento, sgombrando il campo dalla possibilità di ricollocare l'affresco nel complesso di Santa Maria a Momentana, è rappresentato dalla sussistenza (nell'area interessata) del vincolo cimiteriale.

Nel provvedimento impugnato si parlava di "restauro e di riallocazione" dell'opera nel complesso cimiteriale di Momentana, individuando, tuttavia la necessità di predisporre una struttura nuova per ricoverare l'affresco pierfrancescano, attesa la palese inadeguatezza del locale esistente

Preme sul punto soffermarsi sul vincolo di rispetto cimiteriale il quale, previsto dall'art. 338 del r.d. 27 luglio 1934, n. 1265 (c.d. Testo Unico delle leggi Sanitarie), è stato novellato per effetto della riforma attuata dall'art. 28, della legge 1 agosto 2002, n. 165 [41].

L'imposizione del vincolo cimiteriale rinviene le sue ragioni nella necessità di tutelare molteplici interessi pubblici che sono da individuarsi "in esigenze di natura igienico - sanitaria, nella salvaguardia della peculiare sacralità che connota i luoghi, nel mantenimento di un'area di possibile espansione della cinta cimiteriale" [42].

Per quel che qui rileva, l'art. 338 del T.u.l.s. mantiene la distanza di 200 metri da osservare, salvo deroghe, tra il perimetro cimiteriale ed il centro abitato, conducendo alla identificazione di una zona di rispetto all'interno della quale è espressamente vietata la costruzione di nuovi edifici. Più esattamente "sono gli strumenti urbanistici vigenti nel comune a dovere delineare i confini dell'area assoggettata a vincolo [...], anche se in mancanza di specifica individuazione la fascia di rispetto cimiteriale risulta essere quella esistente in fatto" [43]. Da ciò ne deriva che il vincolo cimiteriale opera comunque nei 200 metri dalla perimetrazione cimiteriale [44].

Tale disposizione ha determinato il convincimento del Tar Toscana, il quale ha accolto il ricorso per l'assorbente ragione che i fabbricati, individuati nel provvedimento Ministeriale, sono ubicati in zona cimiteriale e di rispetto cimiteriale e ciò "impedirebbe di realizzare alcunché di nuovo nell'ambito dei luoghi individuati per la collocazione dell'affresco" [45].

A ben vedere occorre considerare che il novellato art. 338, del T.u.l.s., prevede al quinto comma, che "per dare esecuzione ad un'opera pubblica o all'attuazione di un intervento urbanistico, purché non vi ostino ragioni igienico-sanitarie, il consiglio comunale può consentire, previo parere favorevole della competente azienda sanitaria locale, la riduzione della zona di rispetto tenendo conto degli elementi ambientali di pregio dell'area, autorizzando l'ampliamento di edifici preesistenti o la costruzione di nuovi edifici".

La richiamata disposizione, si riferisce all'"esecuzione di un'opera pubblica o all'attuazione di un intervento urbanistico"; a riguardo si profilano due considerazioni: la prima attiene al significato da conferire al termine "opera pubblica", da intendersi comprensiva non solo dell'opera immobiliare eseguita da un ente pubblico, per il soddisfacimento di un fine pubblico, ma altresì dell'opera di pubblica utilità, realizzata da un privato, per il. conseguimento di un pubblico interesse [46]. Di qui l'irrilevanza del soggetto finanziatore della risistemazione della sede di Momentana.

La seconda ipotesi ("attuazione di intervento urbanistico") parrebbe ricomprendere anche la messa in sicurezza e l'intervento conservativo di un esistente manufatto, come nella fattispecie in esame. Dunque in questo ambito potrebbero ricondursi la messa in sicurezza dell'edificio di Momentana, nel quale, peraltro, sarebbe storicamente più corretto mantenere l'opera.

Ma vi è di più: anche aderendo alla tesi del giudice toscano che qualifica il provvedimento del Ministero come "ordine" alla soprintendenza di curare un progetto di riallocazione dell'affresco nella sede di primogenitura implicante la costruzione di nuova opera (e non mero conferimento di incarico per la realizzazione di un eventuale progetto di riqualificazione dell'area), nulla avrebbe impedito che si potesse instaurare una concertazione tra amministrazioni: comunale e statale, coinvolgendo l'organo deliberativo dell'ente locale, per verificare se, nel caso in esame, si potesse rientrare nella ipotesi derogatoria di cui alla citata disposizione, in considerazione della natura di opera pubblica che l'ipotizzata costruenda opera sarebbe andata ad assumere. Il consiglio comunale avrebbe potuto disporre infatti di "un ampio potere discrezionale [...] circa l'autorizzabilità di interventi edificatori in deroga alla fascia di rispetto sanitario" [47], impedendo così il dispendio di energie e risorse che si sarebbero potute canalizzare nella valorizzazione e fruizione del bene.

Vero è, tuttavia, che il Comune era l'antagonista e che interessi contrapposti hanno mosso i protagonisti della vicenda.

4. Conclusioni

Nel mentre si scrive, si apprende che dopo la pronuncia del Tar Toscana le parti coinvolte hanno manifestato la volontà di dar seguito alla transazione intervenuta tra le stesse, con cui veniva chiusa la causa relativa all'accertamento del diritto di proprietà del bene a favore dell'amministrazione comunale.

L'accordo, sopiti i contrasti pluriennali, individuava una soluzione che conciliava le "ecclesiali" esigenze di culto con quelle turistico-economiche del Comune, prevedendo la collocazione dell'opera nella più idonea Chiesa di San Benedetto, situata nel centro storico del paese.

L'intesa, tuttavia, non ha potuto esplicare la propria efficacia, perché sospensivamente condizionata all'assenso, peraltro mai intervenuto nel corso degli anni, dei competenti organi ministeriali.

Dopo la pronuncia del Tar Toscana Diocesi, Soprintendenza e amministrazione comunale, unanimi negli intenti di porre fine alla peregrinatio dell'affresco e di conferire all'opera una definitiva sistemazione, hanno individuato un percorso "concertato" per dar seguito ai contenuti della transazione, in modo da trasferire quanto prima il capolavoro nella prescelta nuova sede.

All'orizzonte, tuttavia, si addensano nubi, poiché essendo l'ex monastero benedettino inagibile e bisognoso di un rilevante intervento conservativo si profila il rischio che l'antica diatriba tra gli stessi attori si indirizzi questa volta verso un altro copione: sul restauro e sui soggetti obbligati.

 

Note

[1] Per un'ampia trattazione delle opere di Piero della Francesca, cfr. A.M. Maetzke, Introduzione ai capolavori di Piero della Francesca, Milano, 1998, pag. 62 ss. A. Paolucci, La Madonna del Parto, Firenze, 1993; R. Longhi, Piero dei Franceschi e lo sviluppo della pittura veneziana, in "L'arte", XVII, 198-221; 241-256; Piero della Francesca, Roma, 1927; Piero della Francesca, Firenze, 1975.

[2] P. Benigni, Su alcuni documenti "perduti" relativi alla Madonna del Parto, in Rivista della Fondazione Piero della Francesca, anno II, 2009, n. 2, pag. 12.

[3] F. Polcri, La Cappella della Madonna del parto in un'inedita documentazione tra 700 e 800, in Pagine Altotiberine, 2, 1997, pag. 46.

[4] A.M. Maetzke, Introduzione ai capolavori di Piero della Francesca, Milano, 1998, pag. 62 ss.

[5] L'affresco di Piero della Francesca non costituisce un esempio isolato nel dibattito sulla collocazione delle opere d'arte. Tra i precedenti si segnala il caso della ubicazione: "Dell'ultima cena" di Alessandro Allori (detto il Bronzino), oggi temporaneamente ricoverato nel Palazzo della Ragione di Bergamo, ma che gli storici dell'arte vorrebbero collocare nel luogo della sua produzione (il Monastero d'Astino); il caso della "Pietà Rondanini" di Michelangelo, che dopo una querelle durata molti anni è stata trasferita dalla Sala degli Scarlioni del Museo d'arte antica in Castello al nuovo Museo della Pietà, allestito negli spazi restaurati dell'ex Ospedale Spagnolo situato presso la Cortina di Santo Spirito del Castello Sforzesco di Milano.

[6] A.M. Maetzke, Introduzione ai capolavori di Piero della Francesca, cit., pag. 65.

[7] Sui beni comuni cfr. U. Mattei, Beni comuni. Un manifesto, Bari, 2012; S. Nespor, L'irresistibile ascesa dei beni comuni, in federalismi.it e V. Cerulli Irelli, L. De Lucia, Beni comuni e diritti collettivi, in Pol. dir., 2014, pag. 3 ss.; S. Rodotà, Il terribile diritto. Studi sulla proprietà e i beni comuni, Bologna, 2011.

[8] Sulla nozione di beni culturali cfr. C. Barbati, M. Cammelli, G. Sciullo (a cura di), Il diritto dei beni culturali, Bologna, 2006; M. Ainis, M. Fiorillo, I beni culturali, in Trattato di diritto Amministrativo. Diritto Amministrativo speciale, II, (a cura di) S. Cassese, Milano, 2003, pag. 1451; T. Alibrandi, P.G. Ferri, I beni culturali e ambientali, Milano, 2001; S. Cassese, I beni culturali da Bottai a Spadolini, in L'Amministrazione dello Stato, Saggi, Milano, 1976, pag. 153 ss.

[9] A. Bartolini, Beni Culturali (voce), in E.d.D., Annali VI, Milano, 2013, pag. 101.

[10] L'art. 9 del Codice recepisce i contenuti di cui all'art. 19, comma 1, del d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490 (Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali.

[11] Categoria più ampia rispetto a quella descritta nella legge n. 1089/1939, all'art. 8 "Cose per esigenze di culto", poi sostituita con l'espressione di beni culturali di interesse religioso, in seguito all'Accordo di modificazione del Concordato Lateranense dell'11 febbraio 1929, intervenuto tra lo Stato Italiano e la Santa Sede, firmato il 18 febbraio 1984 e ratificato e reso esecutivo con legge 25 maggio 1985, n. 121 (art. 12, n. 1, comma 2), nozione poi recepita nell'art. 19 del T.U. n. 490/99.

[12] Sul punto M. Renna, I beni culturali di interesse religioso nel nuovo ordinamento autonomista, in Aedon, 2003, 2.

[13] W. Cortese, Il patrimonio culturale. Profili normativi, Padova, 2007, pag. 290.

[14] F. Margiotta Broglio, Art. 9 - Beni culturali di interesse religioso, in Il codice dei beni culturali e del paesaggio. Commento al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modifiche, (a cura di) M. Cammelli, Bologna, 2007, pag. 85, il quale ha puntualmente evidenziato come "il legislatore, confermando la linea adottata nel 1939, intende armonizzare la tutela del patrimonio storico e artistico e del suo valore culturale con le esigenze del culto, cioè con l'esercizio esterno di riti religiosi", disponendo che l'esercizio dei poteri dei soggetti pubblici (Ministero, Regioni, enti locali) debba essere svolto in modo "da non ostacolare il normale svolgimento delle celebrazioni liturgiche e rituali.

[15] A. Crosetti, D. Vaiano, Beni culturali e paesaggistici, Torino, 2011, pag. 41.

[16] A. Crosetti, I beni archivistici e librari d'interesse religioso, in Aedon, 2010, 3.

[17] A. Crosetti, D. Vaiano, Beni culturali e paesaggistici, cit., pag. 42.

[18] La proprietà è stata contesa sin dalla costituzione del Regno d'Italia. Sul punto cfr. P. Benigni, Su alcuni documenti "perduti" relativi alla Madonna del Parto, in Rivista della Fondazione Piero della Francesca, anno II, 2009, pag. 17:"È a partire dagli ultimi decenni dell'Ottocento che, essendosi progressivamente persa nel passaggio dallo Stato granducale a quello unitario la memoria del contesto giuridico istituzionale di partenza, l'onere della manutenzione e gestione e della gestione della cappella del camposanto di Monterchi e - al suo interno - delle pertinenze del beneficio di Santa Maria a Momentana o S. Agostino (Altare e Madonna del Parto), addossato ab antiquo alla comunità dai rescritti vescovili, comincia ad essere interpretato come espressione di un vero e proprio diritto di proprietà".

[19] La causa è stata promossa nell'anno 2002 innanzi al tribunale di Firenze.

[20] L'accordo è intervenuto nel 2009 pone fine ad una controversia di diciassette anni, "venendo incontro sia alle esigenze del municipio che vuole lasciare l'affresco nel centro del borgo, ma anche le istanze della comunità ecclesiale che chiede di riconoscere il carattere sacro dell'opera - secondo le intenzioni di Piero della Francesca e di garantire l'accesso dei fedeli davanti all'immagine", G. Gambassi, Madonna del Parto. L'attesa è finita, in Avvenire, 30 giugno 2015, pag. 23.

[21] Riconoscendo al comune la titolarità del diritto.

[22] G. Severini, Sub art. 9, in Codice commentato di edilizia e urbanistica, (a cura di) S. Battini, L. Casini, G. Vesperini, A. Vitale, Torino, 2013, pag. 14.

[23] M.S. Giannini, I beni culturali, in Riv. trim. dir. pubbl., 1976, pag. 31.

[24] M.S. Giannini, I beni culturali, cit., pag. 31; M. Ainis, M. Fiorillo, I beni culturali, in Trattato di diritto amministrativo. Diritto amministrativo speciale, cit., pag. 1449.

[25] La categoria dei beni comuni è stata elaborata dall'analisi economica del diritto. Sul punto cfr. G. Napolitano, I beni pubblici e le "tragedie dell'interesse comune", in Analisi economica e diritto amministrativo (Atti del Convegno annuale dell'Associazione italiana dei professori di diritto amministrativo-AIPDA, Venezia, 28-29 settembre 2006), Milano, 2007, pag. 125 ss. Sul punto cfr. Corte cass., sez. un., 14 febbraio 2011, n. 3665, in Giur. civ., 2011, I, pag. 595, sulle valli da pesca della laguna di Venezia.

[26] Il dibattito scientifico sorto intorno al bene culturale ha visto compiersi, nel tempo, l'evoluzione da un "concetto ristretto di bene artistico-storico", di cui alla legge n. 1089/1939, a quello di bene culturale, inteso come "qualsiasi testimonianza del divenire umano", passando dalla nozione estetizzante crociana "l'arte è ciò che tutti sanno cosa sia" di appagamento del bello, alla testimonianza materiale avente valore di civiltà rispetto alla storia del progresso dell'uomo, secondo la nota definizione della Commissione Franceschini. Per un'ampia trattazione del tema si rinvia a M. Cantucci, La tutela giuridica delle cose d'interesse artistico e storico, Padova 1953, pag. 31; G. Piva, Cose d'arte, E.d.D., XI, Milano 1962, pag. 93; F. Franceschini, L'impegno della Costituzione Italiana per la salvaguardia dei beni culturali, in Studi per il XX anniversario della Assemblea Costituente, II, Firenze, 1969, pag. 229.

[27] M. Cantucci, La tutela giuridica delle cose di interesse storico-artistico, Padova, 1953, pag. 98.

[28] Cons. St., sez. V, 13 aprile 2000, n. 2223, in Foro amm., 2000, pag. 1307, per il quale gli atti strumentali del procedimento di regola sono privi di autonomia funzionale e, quindi, non onerano il ricorrente ad impugnarli in quanto esplicano effetti lesivi esterni per il solo tramite del provvedimento in funzione del quale sono emanati e contro il quale il privato deve ricorrere per vizi derivati.

[29] F. Caringella, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2008, pag. 1071; S. Cattaneo, R. Giovagnoli, Atti amministrativi e autotutela dopo le leggi n. 15 e n. 80 del 2005, Torino, 2005, pag. 55.

[30] Cons. St., sez. IV, sent. del 4 febbraio 2008, n. 296, in Foro amm. - Cds, 2008, 2, I, pag. 406.

[31] In tal senso dispone il considerato in diritto della sentenza del Tar Toscana n. 733/2015.

[32] Per un ampia trattazione del tema si rinvia a N. Bassi, Principio di legalità e poteri amministrativi impliciti, Milano, 2001, pag. 35 ss.; G. Morbidelli, Il principio di legalità e c.d. poteri impliciti, in Dir. amm., 2007, 4, pag. 703 ss.

[33] Sul punto V.M. Donofrio, Poteri amministrativi impliciti e principio di legalità: una convivenza dai fragili equilibri, in ildirittoamministrativo.it, pag. 11. Per un approfondimento si rinvia a M.A. Tucci, L'atto amministrativo implicito, Milano, 1990.

[34] Sul punto cfr. Cons. St., sez. IV, 7 febbraio 2011, n. 813, in Foro amm.- Cds, 2011, 2, pag. 423. L'adozione di una ordinanza con cui l'amministrazione ordina la rimessione in pristino dello stato dei luoghi per la realizzazione di opere aggiuntesi alla struttura originaria, non previamente assentita, integra rilascio implicito di concessione edilizia (in sanatoria), relativa alla struttura originaria medesima. In tale ipotesi, in disparte l'accertata abusività delle difformità edilizie, la p.a. manifesta la volontà di sanare definitivamente la struttura, esprimendo assenso alla sua avvenuta realizzazione con una determinazione la cui valenza giuridica ed effettuale deve essere ricondotta all'ipotesi del rilascio implicito della concessione edilizia. Nel medesimo senso Cons. St., sez. IV, 30 giugno 2005, n. 3608; Tar Campania Salerno, sez. II, 27 maggio 2010, n. 8154.

[35] Cons. St., sez. IV, del 18 ottobre 2002, n. 5758, in Foro amm.- Cds, 2002, pag. 2384.

[36] A. Cardasco, Atto amministrativo implicito e compatibilità con la legge n. 241/90. La peculiare figura dell'Authority, in Gazzetta amministrativa della Repubblica italiana, 2013, 1, pag. 68.

[37] Corsivo nostro.

[38] Cons. St., sez. IV n. 5758/2002, in Foro amm.- Cds, 2002, pag. 2384.

[39] Cons. St., sez. VI, 27 novembre 2014, n. 5887, in Riv. giur. ed., 2014, 6, I, pag. 1260.

[40] Tar Toscana n. 733/2015.

[41] Sul punto cfr. G. Clemente di San Luca, Cimitero, in Enc. Giur. Trecc., Roma, 1988, vol. IV.

[42] Cons. Sato, sez. V, 20 luglio 2011, n. 4403, in Foro amm. - Cds 2011, 7-8, pag. 2392. Nello stesso senso Tar Firenze, sez. III, 15 marzo 2010, n. 660, in Foro amm.- Tar 2010, 3, pag. 897; Tar Napoli, sez. IV, 14 novembre 2014, n. 5942, in Redazione Giuffrè amministrativo, 2014.

[43] G. Giovannelli, Le nuove potenzialità della zona di rispetto cimiteriale alla luce della riforma del 2002 e delle più recenti pronunce giurisprudenziali, in Riv. giur. ed., 2009, 5-6, pag. 185.

[44] G.C. Mengoli, Manuale di diritto urbanistico, Milano, 2009, pag. 645 ss.

[45] In tal senso il considerato in diritto della sentenza del Tar Toscana n. 733/2015.

[46] Tar Toscana, sez. III, 17 maggio 2008, n. 385, in giustizia-amministrativa.it relativamente alla realizzazione di locali al servizio di un impianto sportivo parrocchiale in zona di vincolo cimiteriale.

[47] Tar Sardegna, sez. II, 20 marzo 2009, n. 322, in Riv. giur. ed., 2009, 4, pag. 1619.

 



copyright 2016 by Società editrice il Mulino
Licenza d'uso


inizio pagina