E qualche proposta di riforma
Alcune considerazioni sul mercato del libro antico dopo la legge 6 agosto 2015, n. 125
di Geo Magri
Sommario: 1. Il libro come bene culturale. - 2. La circolazione internazionale del libro. - 3. La competenza sui beni librari ridisegnata dalla legge 6 agosto 2015, n. 125 e i suoi effetti sulla circolazione internazionale del libro. - 4. Osservazioni conclusive.
Some Remarks on the Italian Antiquarian Book Market
after the Law 6th August 2015, nr. 125
The law 125/2015 withdraws art. 5 par. 2 of the Italian Codice dei beni
culturali. After the 14th August 2015 Regions have no more authority to carry out protection on books and
manuscripts. Regional authorities have no longer the power to authorize
restorations, exhibitions or exportation of books and manuscripts belonging to
privates. The uncertainty following the reform will deeply affect the Italian
market of rare books. In this article, I try to give some suggestion on how to
proceed to overtake the difficulties arising from the reform.
Keywords: Italian
Antiquarian Book market; Books; Manuscripts; Exportation.
1. Il libro come bene culturale
Il libro è lo strumento che, più di altri, trasmette il sapere; nei libri troviamo le nostre radici culturali, attraverso i libri è avvenuto il dialogo tra popoli e culture diverse, i libri sono un legame con coloro che ci hanno preceduto e rappresentano il nostro lascito a coloro che ci seguiranno. Essi compongono il patrimonio culturale di un paese o, usando l'espressione anglosassone, che in questo caso mi sembra più calzante, la sua cultural heritage.
Giustamente, quindi, il Codice dei beni culturali considera i libri (siano essi manoscritti, incunaboli, o testi editi successivamente al primo gennaio 1501), così come le raccolte librarie, oggetto di protezione in quanto beni culturali. Ovviamente è necessario che in essi possa essere ravvisato uno specifico interesse culturale [1]. Non tutti i libri e non tutte le biblioteche, è appena il caso di rilevarlo, rivestono un tale interesse; perché ciò avvenga occorre che il libro (o la raccolta) abbia quelle peculiarità che lo rendono un testimone dell'interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico, che è alla base della nozione di bene culturale.
Al sussistere di un tale interesse, il Codice dei beni culturali riconosce il libro come bene culturale. L'articolo 10 Cbc definisce beni culturali "le raccolte librarie delle biblioteche dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente e istituto pubblico" (comma 2, lett. c), nonché, quando sia intervenuta la dichiarazione prevista dall'art. 13, "le raccolte librarie, appartenenti a privati, di eccezionale interesse culturale" (comma 3, lett. c) [2].
Se è vero che in queste disposizioni il libro viene preso in considerazione soltanto come raccolta, è anche vero che l'articolo 10 contiene delle previsioni più generiche, in forza delle quali sono beni culturali le "cose" mobili "appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico" (art. 10, comma 1). Per i beni appartenenti a soggetti diversi da quelli indicati nell'art. 10, comma 1 valgono in sostanza le stesse regole, con l'unica differenza che l'interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico deve essere "particolarmente importante" (art. 10, comma 3, lett. a). Pacifico che tra queste "cose" rientrino anche il libri e che quindi, anche un libro, quando riveste l'interesse previsto dalla legge, debba essere considerato un bene culturale. Di ciò troviamo un'immediata conferma nello stesso art. 10, che, al comma 4, lett. c, chiarisce che tra i beni generalmente indicati nell'art. 10 comma 3 lett. a, devono intendersi ricompresi anche "i manoscritti, gli autografi, i carteggi, gli incunaboli, nonché i libri, le stampe e le incisioni, con relative matrici, aventi carattere di rarità e di pregio".
2. La circolazione internazionale del libro
Agli albori della stampa, l'Italia è stata uno dei maggiori centri mondiali per la produzione e il commercio del libro. È noto che, ad inizio '500, molti tipografi tedeschi aprirono le loro botteghe in Italia e che, soprattutto Venezia, fu uno dei maggiori centri di produzione e commercio del libro [3]. Era il tempo in cui Erasmo da Rotterdam pubblicava i suoi Adagia con Aldo Manuzio e i librai veneziani insorgevano contro la pubblicazione del Cathalogus librorum haereticorum, che avrebbe messo in ginocchio la loro fiorente attività commerciale [4].
Con il passare dei secoli, la centralità dell'Italia nel commercio del libro è andata via via scemando ed il nostro paese si è venuto a trovare in una posizione sempre più periferica. La situazione odierna appare assai diversa rispetto a quella del XVI secolo. Il mercato italiano del libro antico, complice una disciplina in materia di circolazione internazionale troppo restrittiva, appare sofferente e schiacciato dalla concorrenza degli altri paesi. Da anni questa situazione viene denunciata, oltre che dagli operatori del settore, dalla dottrina che si è occupata del tema [5].
Come noto, l'art. 65, comma 1, del Codice prevede un generale divieto dell'uscita definitiva dal territorio della Repubblica dei beni culturali mobili indicati nell'articolo 10, commi 1, 2 e 3. L'esportazione "delle cose, a chiunque appartenenti, che presentino interesse culturale, siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre cinquanta anni", invece, pur non essendo vietata, è soggetta a previa autorizzazione (art. 65, comma 3, lett. a).
In sostanza e con riferimento ai libri di proprietà privata, vi è un divieto di esportazione per il libro che sia stato dichiarato bene culturale, mentre è possibile l'esportazione, previa autorizzazione, dei libri che abbiano più di 50 anni e presentino interesse culturale, cosa che, nella prassi, viene spesso tradotta come richiesta di autorizzazione all'esportazione per tutti i libri che abbiano più di 50 anni.
In base a questa disposizione, l'antiquario che intende spedire in Francia un giallo Mondadori, piuttosto che uno "Struzzo" Einaudi, stampati nel 1963, deve richiedere l'attestato di libera circolazione. Attestato che dovrebbe essere richiesto anche dal turista francese, che, durante il soggiorno in Italia acquisti il libro, intendendo portarlo con se oltreconfine.
È appena il caso di sottolineare che un libro stampato prima del 1965 non può nemmeno essere considerato antico, a meno che la sua pubblicazione sia avvenuta prima del 1830, anno che, per convenzione, segna lo spartiacque tra libro antico e moderno [6].
La procedura per ottenere l'autorizzazione, peraltro, non è neppure semplice ed immediata. A norma dell'art. 68 del Codice dei beni culturali, il libraio o il turista del nostro esempio, intendendo far uscire definitivamente il libro dal territorio della Repubblica, devono avviare il procedimento amministrativo che porta al rilascio dell'attestato di libera circolazione. Il che significa fare denuncia e presentare il bene al competente ufficio di esportazione, indicandone, contestualmente, il valore venale. Entro tre giorni dalla presentazione del libro, l'ufficio darà notizia ai competenti uffici del ministero, che, nei successivi dieci giorni, forniranno le indicazioni necessarie per autorizzare l'uscita definitiva. A questo punto, l'ufficio di esportazione, accertata la congruità del valore indicato, rilascerà o negherà, con motivato giudizio, anche sulla base delle segnalazioni ricevute dal ministero, l'attestato di libera circolazione, dandone comunicazione all'interessato entro quaranta giorni dalla presentazione del libro. A parte il fatto che i tempi previsti dalla norma, nella prassi, venivano spesso disattesi, non si può non constatare, prima facie, l'assurdità e la dispendiosità di una simile previsione.
A quanto si è osservato si potrebbe eccepire che la legge non pone unicamente il criterio dei 50 anni, ma introduce anche quello dell'interesse culturale, per cui, nell'esempio fatto, esempio che è volutamente paradossale, mancando l'interesse culturale, viene meno anche la necessità dell'autorizzazione. L'osservazione, per quanto fondata, consente di evidenziare un'altra criticità della norma, che, facendo riferimento ad un generico "interesse culturale", non permette all'interessato, ex ante, un'agevole ed obiettiva valutazione sull'opportunità di presentare o meno il libro al competente ufficio, essendo l'"interesse culturale" in parte soggetto alla discrezionalità di chi esegue la valutazione.
La comparazione ci dimostra quanto le scelte operate dall'ordinamento italiano siano isolate. Gli altri paesi europei, infatti, generalmente limitano la tutela ai soli incunaboli, ossia ai libri stampati prima del 1501, aggiungendo, al requisito temporale, anche una soglia minima di valore [7]. In questo modo, da un lato si evita che gli uffici competenti al rilascio degli attestati vengano sommersi dalle domande, dall'altro si concentra la tutela sui libri che possono rivestire un effettivo interesse culturale.
Da anni le associazioni dei librai antiquari si battono, senza risultati, per la revisione di questo sistema, denunciando quanto la disciplina vigente li penalizzi rispetto ai colleghi degli altri paesi. Lo svantaggio concorrenziale in cui si trova il libraio italiano è ancor più evidente se pensiamo al commercio online. Un esempio varrà a chiarire immediatamente la disparità di condizioni tra il libraio italiano e il suo collega straniero. Su internet è possibile trovare due copie di Jean Domat, Les loix civiles dans leur ordre naturel, le droit public, et legum delectus; entrambe sono stampate a Parigi, chez la veuve Cavelier, nel 1771 e sono vendute rispettivamente da un antiquario italiano e da uno francese al medesimo prezzo di 350 euro [8]. Dalla scheda bibliografica sembra che i due volumi siano in condizioni di conservazione grosso modo corrispondenti. Immaginiamo che il libro interessi uno studioso tedesco. Se acquisterà dal libraio francese, il giorno successivo all'acquisto il libro potrà essergli inviato; se, invece, acquisterà dal libraio italiano dovrà attendere, oltre ai tempi di spedizione, che il libro ottenga l'attestato di libera circolazione. È intuitivo che, di fronte a questa prospettiva, il libro verrà acquistato in Francia, in modo che lo studioso possa cominciare a lavorare sul testo nel giro di una settimana.
Pare innegabile che la normativa andrebbe riconsiderata, limitando la necessità dell'attestato di libera circolazione a libri che abbiano, effettivamente, un interesse culturale. A questo fine mi pare che, al criterio dell'età, dovrebbe essere preferito quello del valore. Il criterio dell'età, per cui, ad esempio, deve essere richiesto l'attestato soltanto con riguardo agli incunaboli, non mi pare soddisfacente perché lascia fuori beni che possono avere, comunque, un evidente interesse culturale. Pensiamo ad un'ipotetica ventisettana dei Promessi Sposi, che sia appartenuta al Manzoni e che contenga, a margine, le osservazioni e le correzioni che hanno portato alla c.d. quarantana. È innegabile che il libro immaginato nel nostro esempio, pur non essendo un incunabolo, avrebbe un valore culturale (ed economico) notevole e sarebbe quindi opportuno che la sua spedizione oltreconfine fosse preceduta da un'autorizzazione. Facendo ricorso al criterio del valore è possibile, da un lato scremare le richieste, evitando, ad esempio, che si debba domandare l'autorizzazione all'esportazione di una comune edizione ottocentesca del Traités de la puissance du mari sur la personne et les biens de la femme, di Pothier, dall'altro è possibile assicurare che l'autorizzazione all'esportazione conservi la sua funzione di strumento di tutela del patrimonio culturale nazionale [9].
Quella che si è appena descritta, peraltro, è una soluzione simile a quella che è stata adottata dal regolamento UE 116/09 (che ha sostituito il regolamento (CEE) n. 3911/92), nel caso in cui il bene debba esser spedito al di fuori dell'Unione Europea [10]. In questo caso, qualora il bene presenti le caratteristiche di cui all'allegato I, è necessario richiedere la licenza di esportazione (cfr. art. 74 Codice beni culturali). I criteri previsti dal regolamento sono però ben più rigorosi, rispetto a quelli fissati dal Codice. Limitandoci al caso dei libri, il regolamento prevede che la licenza debba essere richiesta, indipendentemente dal valore, con riferimento agli incunaboli e ai manoscritti, mentre, con riguardo ai libri aventi più di 100 anni (siano essi isolati o in collezione), essa è necessaria soltanto se il valore è superiore ai 50.000 euro (cfr. all. I).
Sarebbe auspicabile che il legislatore italiano prendesse ispirazione dai criteri adottati in sede europea ed introducesse criteri analoghi anche all'interno del Codice, limitando la tutela ai beni che effettivamente la meritano. Il che, peraltro, è quello che avviene negli altri paesi europei, dove, di regola, i controlli sono limitati a codici e a incunaboli o, comunque, ai libri che superano una soglia valore piuttosto alta.
3. La competenza sui beni librari ridisegnata dalla legge 6 agosto 2015, n. 125 e i suoi effetti sulla circolazione internazionale del libro
Con riferimento ai beni librari, il Codice Urbani, come modificato dal d.lgs. 24 marzo 2006, n. 156, all'art. 5, prevedeva, al comma 2, che le funzioni di tutela "che abbiano ad oggetto manoscritti, autografi, carteggi, documenti, incunaboli, raccolte librarie non appartenenti allo Stato o non sottoposte alla tutela statale, nonché libri, stampe e incisioni non appartenenti allo Stato" fossero esercitate dalle Regioni. Al comma 3, invece, si introduceva la possibilità di specifici accordi od intese, che, previo parere della "Conferenza Stato-regioni", consentissero alle regioni di "esercitare le funzioni di tutela anche su raccolte librarie private, nonché su carte geografiche, spartiti musicali, fotografie, pellicole o altro materiale audiovisivo, con relativi negativi e matrici, non appartenenti allo Stato".
In base al riparto di competenze, quindi, appartenevano allo Stato i compiti di tutela sui beni librari di appartenenza statale, mentre venivano delegate alle regioni i compiti relativi ai beni appartenenti a privati o ad altri enti pubblici [11].
In forza di queste disposizioni, chi intendeva portare all'estero un libro in possesso dei requisiti indicati dall'art. 65, comma 3, lett. a del Codice, doveva presentare un'apposita domanda alla Soprintendenza regionale dei beni librari competente per territorio.
La prassi, peraltro, segnala che le singole Soprintendenze seguivano procedure e tempistiche assai diverse tra loro, il che rendeva il sistema ulteriormente complesso e irrazionale. Lo stesso libro, infatti, poteva ricevere l'autorizzazione in una Regione e vedersela rifiutare in un'altra, dove, invece, si dava avvio alla procedura per la dichiarazione.
Il quadro delle competenze è recentemente stato modificato dal d.l. 19 giugno 2015, n. 78, convertito, con alcune modificazioni, nella legge 6 agosto 2015, n. 125 [12], recante disposizioni urgenti in materia di enti territoriali.
La nuova legge, con l'intento di per sé pregevole di superare le difformità con cui le singole Soprintendenze adempivano alle loro funzioni, assicurando "criteri e condizioni uniformi su tutto il territorio nazionale per la tutela del patrimonio archivistico e bibliografico", ha abrogato il comma 2 dell'articolo 5 e ha inserito al comma 3, che prevede la possibilità di specifici accordi nella "Conferenza Stato-regioni", la possibilità che le regioni esercitino funzioni di tutela con riguardo a "manoscritti, autografi, carteggi, incunaboli, raccolte librarie, libri, stampe e incisioni". In mancanza di tali accordi, pertanto, le funzioni di tutela tornano allo Stato.
Se, come si è detto, dal punto di vista teorico, in un'ottica di uniformazione del sistema, potrebbe apparire lodevole l'intento di avocare allo Stato la funzione di tutela del patrimonio librario, dal lato pratico, invece, è evidente che un'autorità centrale ben difficilmente riuscirà a seguire adeguatamente le numerose richieste provenienti dalle singole regioni. Inoltre, per quanto attiene la materia degli attestati di libera circolazione, è irrealistico pensare che un'autorità centrale possa smaltire, in tempi ragionevoli, il numero di pratiche che le verranno presentate. Senza contare che, ad oggi, non è ancora stato ufficializzato l'ufficio che avrà la materiale competenza all'istruzione del procedimento e al rilascio degli attestati [13], che, per il momento, devono essere richiesti alla Direzione Generale Biblioteche e Istituti Culturali del Mibac.
Con nota n. 16689 del 2 settembre 2015, infatti, la DG ha richiesto alle Soprintendenze regionali dei beni librari di provvedere allo smaltimento di tutti i procedimenti avviati entro il 14 agosto 2015 (data di entrata in vigore della legge), ciò al fine di evitare che, "nelle more della definizione dei nuovi assetti organizzativi dei rapporti tra questo Ministero e le Regioni", si vengano a creare periodi "di diminuita tutela del patrimonio librario di proprietà non statale". La Direzione Generale precisa anche che "comunicherà prontamente tutte le misure organizzative che verranno in merito adottate ai fini dell'esercizio delle funzioni di tutela, in attuazione delle disposizioni normative".
Se per le richieste presentate entro il 14 agosto sono competenti le Soprintendenze regionali, si desume che, per quelle successive, fino a nuova indicazione e, eventualmente, fino ad un'auspicabile riattribuzione delle competenze alle Soprintendenze regionali, attraverso accordo adottato nella "Conferenze Stato-Regioni", l'autorità competente al rilascio degli attestati sarà la stessa Direzione Generale presso il Mibac.
Comprensibilmente i librai antiquari italiani vedono in questo provvedimento e nelle conseguenti incertezze che ne derivano una "chiusura al mercato estero, che va ad aggiungersi al crollo del mercato interno" [14], che li penalizza ulteriormente rispetto ai colleghi europei, per i quali la possibilità di esportazione incontra limitazioni molto meno stringenti; è quindi auspicabile che si determini, nei tempi più brevi possibili, l'autorità alla quale rivolgersi e l'iter da seguire per ottenere l'attestato di cui all'art. 65 Cbc.
Per supplire alle incertezze conseguenti alla riforma la Direzione Generale biblioteche ha concluso un accordo con la Direzione Generale Archivi e con la Direzione Generale Belle Arti e Paesaggio [15], affinché le stesse provvedano al supporto tecnico-scientifico ai fini dell’espletamento delle funzioni sinora esercitate dalle Soprintendenze bibliografiche regionali in materia di tutela dei beni librari di proprietà non statale. In questo modo il rilascio dei certificati di esportazione può essere nuovamente richiesto a uffici regionali, i quali provvedono al rilascio, previa presentazione della domanda attraverso il portale del Servizio Informativo Uffici Esportazione (SUE) [16] e dopo aver visionato il bene. L’opportunità di un’ispezione materiale sembra dubbia e parrebbe opportuno limitarla ai beni di maggiore rilevanza, mentre per gli altri pare sufficiente la presentazione della richiesta online, alla quale basterà allegare alcune fotografie dell’oggetto che si intende esportare.
Il commento dei librai antiquari alla nuova legge è, comprensibilmente, lapidario. Essi osservano che, se la normativa precedente mortificava il mercato antiquario italiano, "questa nuova legge, o quantomeno il vuoto normativo che ne deriva, di fatto lo uccide" [17]. Forse queste parole sono un po' troppo forti, ma è sicuro che i danni che l'incertezza derivante da questo provvedimento causa al mercato italiano del libro antico sono notevoli, così come possono essere notevoli le sue conseguenze sulla tutela del patrimonio culturale.
Le criticità conseguenti alla nuova legge sono state denunciate anche dalla stampa [18]. Al tema anche Umberto Eco ha dedicato una delle sue Bustine di Minerva su L’Espresso [19] .
Se non si provvederà, in tempi brevi, a ridare un interlocutore istituzionale certo e definitivo agli operatori del settore, il rischio è quello di spingerli verso l'illegalità. Se già la legislazione italiana che disciplina la circolazione internazionale del libro antico ha aspetti paradossali, l'incertezza sulle modalità amministrative necessarie al suo rispetto, può determinare l'inosservanza delle regole e, quindi, in ultima analisi, favorire la circolazione internazionale illecita.
È auspicabile che in tempi brevi sia fatta chiarezza sulle modalità attraverso le quali gli operatori del settore possono ottenere gli attestati di libera circolazione. Sarebbe anche raccomandabile che la competenza per il rilascio degli attestati ritorni alle Regioni, che sono territorialmente più vicine agli operatori e con le quali, quindi, essi hanno maggior facilità a relazionarsi.
La riforma dell'agosto 2015 e il caos che ne è seguito possono, però, anche essere l'occasione per ripensare ciò che non funzionava nel vecchio sistema. Se la competenza per gli attestati di libera circolazione per i libri di proprietà privata ritornasse, come abbiamo auspicato, alle regioni, sarebbe opportuno che la Direzione Generale del Mibac individuasse delle linee guida comuni indirizzate alle Soprintendenze per uniformare le procedure per il rilascio degli attestati. In questo modo, potrebbero addirittura essere superate le criticità più forti derivanti dalla lettera della legge. Sarebbe infatti sufficiente che la Direzione Generale chiarisse, in una circolare, che sono dotati di "interesse culturale" ai sensi dell'art. 65, comma 3, lett. a soltanto i libri che superano un determinato valore soglia. Ne conseguirebbe che, anche mantenendo il valore relativamente basso, si potrebbero scremare tutti quei volumi, privi di effettivo interesse, per i quali, previo un rapido controllo, conseguirebbe l'immediato rilascio dell'attestato.
Le Soprintendenze potrebbero così concentrare le loro risorse soltanto sui testi di maggior valore, la cui uscita dal territorio nazionale potrebbe rappresentare un effettivo danno per il patrimonio culturale italiano. Forse si eviterebbe così di leggere sui giornali che alcuni libri, venduti in una nota casa d'aste londinese, erano in realtà stati rubati ad una biblioteca italiana, nella specie la biblioteca dei Girolamini, e che facevano parte di un lotto in possesso di regolare attestato di libera circolazione [20].
Chissà che, a distanza di quasi settant’anni il legislatore non decida di seguire il proclama che Roberto Ridolfi, nel lontano 1948, lanciava da pagina 217 de La Bibliofilia e che invitata a far sì che “la sacrosanta e necessaria sorveglianza sul nostro patrimonio bibliografico fosse esercitata in certi casi con un po’ più di sale e con un po’ più di larghezza d’idee, così nell’esportazione come nei “fermi” (brutta parola sbirresca). Si mantenga e si accresca il rigore per tutto ciò che è unico e insostituibile, ma non si faccia ridere intervenendo a proposito (anzi a sproposito, se i bisticci mi attraessero) di libri di cui si hanno esemplari, spesso a dozzine, nelle pubbliche biblioteche” [21].
Note
[1] G. Magri, voce Beni culturali, in Dig. disc. priv., sez civ., VI aggiornamento, Torino, 2011, pag. 118.
[2] Sul tema si veda M.C. Di Franco, La tutela del bene culturale libro, in Economia della Cultura, 2008, 2, pag. 291 ss.
[3] Si veda, in proposito, l'interessante volume di A. Marzo Magno, L'alba dei libri. Quando Venezia ha fatto leggere il mondo, Milano, 2013.
[4] P.F. Grendler, L'Inquisizione romana e l'editoria a Venezia 1540-1605, Roma, 1983, pag. 149 ss.
[5] Illuminanti, in proposito, le osservazioni di S. Segnalini, in Riflessioni e divagazioni sulla legislazione europea in materia di tutela e circolazione dei beni librari, in Aedon, 2007, 3. Qualche osservazione, più in generale, sulla disciplina dell'esportazione in alcuni ordinamenti europei in G. Magri, La circolazione dei beni culturali nel diritto europeo: limiti e obblighi di restituzione, Napoli, 2011, pag. 43 ss.
[6] Cfr. A De Pasquale, SBN per il libro antico, in Biblioteche oggi, ottobre 1999, pag. 16, oltre alle indicazioni dell'Istituto centrale per la catalogazione del libro, reperibili online a questo indirizzo: http://www.iccu.sbn.it/opencms/opencms/it/main/bd/index.html;jsessionid=26ED205E05BFE805B2A81B1109B6031.
[7] Interessanti riferimenti comparatistici sono contenuti in S. Segnalini, cit.
[8] La ricerca è stata effettuata sul sito http://www.maremagnum.com.
[9] Su questo aspetto si deve segnalare, in un'ottica comparatistica, una profonda differenza di approccio tra i paesi c.d. esportatori di beni culturali, tra i quali l'Italia sicuramente rientra e i paesi c.d. importatori (ad es. Regno Unito e Olanda). La legislazione dei "paesi esportatori" si contraddistingue per dare rilievo preminente all'interesse culturale del bene, disinteressandosi del suo valore economico. Quella dei paesi importatori, invece, considera culturale il bene soltanto se, oltre all'interesse culturale, ha anche un certo valore. Lo scontro tra queste due opposte visioni è emerso nitidamente in sede europea, durante la redazione della legislazione in materia di beni culturali. Cfr. G. Magri, La circolazione, cit., pag. 9 ss., in specie pag. 22., Id., voce Beni culturali, cit., pag. 118.
[10] Sul tema si rimanda a G. Magri, La circolazione, cit., pag. 24 ss.
[11] Cfr. G. Sciullo, La tutela dei beni librari, in Aedon, 2006, 2 e M.A. Sandulli (a cura di), Codice dei beni culturali e del paesaggio, Milano, II ed., 2012, pag. 45 ss.
[12] Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, Serie Generale n. 188 del 14 agosto 2015, Suppl. Ordinario n. 49.
[13] Questa è la principale lamentela degli antiquari, ai quali, com'è facile comprendere, questo stato di incertezza genera non pochi problemi nel soddisfare le richieste dei clienti stranieri. Si veda in proposito l'articolo di Umberto Pregliasco, Frontiere chiuse per i libri antichi, in Giornale dell'Arte, 25 settembre 2015, poi ripreso anche sul sito dell'International League of Antiquarian Booksellers (ILAB) all'indirizzo https://www.ilab.org/eng/documentation/1696-italian_borders_closing_on_rare_books.html.
[14] Così U. Pregliasco, cit.
[15] Entrambi gli accordi possono essere consultati sul sito http://www.librari.beniculturali.it/opencms/opencms/it/news/novita/novita_0437.html.
[16] https://sue.beniculturali.it/SUENET/SUE/frmSUELogin.aspx. Al sito possono registrarsi anche i privati che intendano richiedere il certificato.
[17] Così U. Pregliasco, cit.
[18] Cfr., tra i tanti, M. Baudino, All’estero con un vecchio libro? Rischi quattro anni di galera, che può essere consultato sul sito de La Stampa http://www.lastampa.it/2015/10/27/cultura/allestero-con-un-vecchio-oscar-rischi-quattro-anni-di-galera-bqwBW87E4i2wGKPrjUygAJ/pagina.html e A. Torno, Perché i libri antichi sono in pericolo, in Il Sole 24 ore, 4 novembre 2015, pag. 1 e 29.
[19] U. Eco, Libri antichi bloccati, consultabile online all’indirizzo http://espresso.repubblica.it/opinioni/la-bustina-di-minerva/2015/10/14/news/libri-antichi-bloccati-1.234289.
[20] Si veda l'articolo a firma di Claudio Pappaianni e Luca Piana, pubblicato su L'Espresso del 25 ottobre 2013 e intitolato 007 a caccia dei libri rubati.
[21] R. Ridolfi, op. cit., pag. 217.