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Note su alcuni recenti interventi legislativi

La fruizione dei beni culturali quale servizio pubblico essenziale: il decreto legge 20 settembre 2015, n. 146 in tema di sciopero

di Carlo Zoli

Sommario: 1. L'estate calda del 2015 e l'emanazione del d.l. n. 146. - 2. I discutibili profili di incostituzionalità. - 3. Il contenuto e la portata innovativa del d.l. n. 146/2015. - 3.1. L'ambito di applicazione. - 3.2. La determinazione delle prestazioni indispensabili ed il ruolo della Commissione di garanzia. - 3.3. Il ricorso alla precettazione. - 3.4. Le sanzioni. - 4. Lo svolgimento delle assemblee sindacali e la controversa estensibilità delle prestazioni indispensabili.

The Enjoyment of Cultural Heritage as an Essential Public Service: The Law Decree 20 September 2015, no. 146
Having briefly summarized the collective actions that took place in Rome and Pompei during the summer of 2015, the paper analyzes the issues concerned with law decree no. 146/2015 adopted by the Italian Government to add the "opening to the public of museums and cultural places" to the list of essential public services. The essay first examines the debated problems of constitutionality. It then aims to highlight the new features of the regulatory framework comparing them with that adopted by social partners. In this comparison, particular attention is devoted to the scope of application of the new regulation, the definition of essential public services to be guaranteed during strikes, the recourse to compulsory mobilization, and the applicable sanctions in case of non-compliance with the rules. Finally the essay examines the controversial notion of collective conflict, and the question of the possible inclusion of workers' meetings within the category - an issue on which the legislator remained silent when regulating strikes in essential public services.

Keywords: Strike; Essential Public Service; Cultural Heritage; Enjoyment.

1. L'estate calda del 2015 e l'emanazione del d.l. n. 146

Il decreto legge 20 settembre 2015, n. 146 [1] costituisce la risposta del governo alle polemiche divampate nel corso dell'estate a seguito, dapprima, nel mese di luglio, della chiusura di alcuni musei di Roma e degli scavi di Pompei, e successivamente, nella mattinata del 18 settembre, dell'analoga vicenda che ha riguardato l'anfiteatro Flavio ed i Fori imperiali, rimasti chiusi a seguito di assemblee indette dalle rappresentanze sindacali per il mancato pagamento ai lavoratori del salario accessorio arretrato da parte del ministero per i Beni e le Attività culturali.

A prescindere dal motivo della convocazione, tutt'altro che futile, se si considera che il relativo fondo è stato sbloccato, come comunicato qualche giorno dopo dal ministero competente, benché quest'ultimo abbia ricondotto la decisione alla giornata antecedente i fatti del Colosseo, l'impatto mediatico è stato notevole alla luce dell'ingente folla di turisti e visitatori che si accalcava all'ingresso dei suddetti siti archeologici e che ha provocato inevitabile sdegno nell'opinione pubblica, nazionale ed internazionale, colpita dal disagio prodotto dallo svolgimento dell'assemblea in un momento centrale della giornata.

Il governo è intervenuto subito approvando, lo stesso 18 settembre, il d.l. 146/2015, il quale - ironia della sorte - reca lo stesso numero della legge del 1990 di disciplina dello sciopero nei servizi pubblici essenziali, che esso è volto ad integrare. L'intervento si limita ad aggiungere all'elenco dei servizi pubblici essenziali, che già comprendeva "i servizi [...] di vigilanza sui beni culturali", "l'apertura al pubblico di musei e luoghi della cultura, di cui all'art. 101 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni".

Anche la Commissione di garanzia per l'attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali non ha perso tempo ed ha assegnato ad Aran e sindacati un termine di 60 giorni decorrente dal 24 settembre 2015, entro il quale sottoporre al suo giudizio di idoneità il testo del contratto collettivo destinato a determinare le prestazioni indispensabili che devono essere garantite in occasione degli scioperi.

Tanto la novella, quanto l'iniziativa della Commissione di garanzia sono state da subito oggetto di critiche, specie da parte delle organizzazioni sindacali, le quali hanno posto in luce, anche in sede di audizione alla XI commissione della Camera dei deputati, una serie di criticità che meritano di essere esaminate.

2. I discutibili profili di incostituzionalità

Innanzitutto si pone il problema di valutare se sia prospettabile l'incostituzionalità del decreto, in primo luogo in relazione al ricorrere dei requisiti di necessità ed urgenza richiesti dall'art. 77 cost., nella specie individuati nella "straordinaria necessità di assicurare la continuità del servizio pubblico di fruizione del patrimonio storico e artistico della Nazione", tenuto conto che al momento era in corso a Milano la manifestazione Expo 2015 ed a Roma è prossima l'apertura del Giubileo straordinario.

La sussistenza dei suddetti requisiti suscita in effetti qualche perplessità. Ma non si può fare a meno di trascurare, al di là dell'uso eccessivo che i governi hanno sempre fatto di tale strumento, come la stessa Corte costituzionale abbia riconosciuto, da un lato, che "l'urgenza riguarda il provvedere anche quando occorra tempo per conseguire il risultato voluto" [2]; dall'altro, che "l'espressione usata dalla Costituzione per indicare i presupposti alla cui ricorrenza è subordinato il potere del governo di emanare norme primarie ancorché provvisorie [...] comporta l'inevitabile conseguenza di dare alla disposizione un largo margine di elasticità. [...] infatti, la straordinarietà del caso, tale da imporre la necessità di dettare con urgenza una disciplina in proposito, può essere dovuta ad una pluralità di situazioni (eventi naturali, comportamenti umani e anche atti e provvedimenti di pubblici poteri) in relazione alle quali non sono configurabili rigidi parametri, valevoli per ogni ipotesi" [3]. In altre parole, la nozione di necessità ed urgenza negli anni si è dilatata "fino al punto di trasformare questo presupposto in una semplice valutazione di opportunità politica"; in numerosi casi "l'urgenza non deriva da ragioni obiettive, ma soltanto dall'intento di realizzare un certo progetto di riforma legislativa più rapidamente (o più energicamente) di quanto sarebbe possibile per le vie ordinarie" [4].

In secondo luogo, passando al merito del provvedimento, si tratta di valutare se la fruizione del patrimonio storico ed artistico della nazione rientri tra i beni della persona costituzionalmente tutelati.

Come ben noto, la legge 15 giugno 1990, n. 146 ha incentrato la protezione normativa soprattutto sui suddetti diritti, e quindi sulla figura dell'utente dei servizi essenziali, traducendosi nell'approntamento di meccanismi regolatori volti a garantire la continuativa e regolare erogazione dei minimi di servizio, secondo determinate modalità temporali e/o quantitative [5]. Il legislatore non ha a tal fine adottato una tecnica definitoria analitica, ma ha optato per un approccio teleologico elencando in modo esemplificativo i servizi essenziali in base a criteri eterogenei [6] e lasciando in tal modo aperta la possibilità che vi siano ricompresi servizi originariamente non previsti, in una prospettiva evidentemente evolutiva.

Sulla portata della "tutela del patrimonio storico e artistico" di cui all'art. 9 Cost. la dottrina giuslavoristica non aveva in precedenza avuto occasione di cimentarsi. Sono state le parti sociali a conferire piena dignità alla "fruizione del patrimonio artistico, archeologico e monumentale", prevedendo che nell'ambito di tali servizi non possano essere proclamati scioperi durante le vacanze natalizie, pasquali e nel mese di agosto (art. 4, comma 5, accordo sulle norme di garanzia dei servizi pubblici essenziali per il comparto dei ministeri, sottoscritto fra Aran e principali confederazioni sindacali l'8 marzo 2005, valutato come idoneo dalla Commissione di garanzia con deliberazione n. 178 del 13 aprile 2005). È quanto meno dubbio se tale pattuizione conferisca di per sé automaticamente la patente di servizio pubblico essenziale alla fruizione dei beni culturali, anche in considerazione del fatto che il menzionato accordo di comparto colloca la predetta fruizione non nell'elenco dei servizi pubblici essenziali (art. 2), ma tra le modalità di effettuazione degli scioperi e più precisamente tra i periodi di c.d. franchigia (art. 4).

Tuttavia essa si rivela sintomatica di una sensibilità da tempo maturata e che asseconda, portandola alle estreme conseguenze, quella concezione dinamica della tutela del patrimonio storico e artistico, da più parti segnalata [7]. A tal fine è stata elaborata la nozione di "beni culturali", la quale esprime, probabilmente più di ogni altra, il collegamento tra i due commi dell'art. 9 cost. Nel porsi l'obiettivo dello sviluppo della cultura, la Repubblica deve provvedere "alla tutela dei beni che sono testimonianza materiale di essa ed assumono rilievo strumentale per il raggiungimento dei suddetti obiettivi sia per il loro valore culturale artistico sia per il riferimento alla storia della civiltà e del costume anche locale" [8]. Se "è difficile immaginare che la fruizione di un sito museale proprio quel giorno e a quell'ora, in forma individuale o aggregata per gruppi, possa costituire 'diritto della persona' individuabile nella Costituzione" [9], non si può neppure disconoscere come, nella prospettiva del c.d. Codice dei beni culturali (il d.lgs. 42/2004), la valorizzazione del patrimonio artistico, storico, archeologico sia diretto soprattutto alla fruizione di quest'ultimo: ne consegue un legame molto forte tra gli strumenti preposti alla tutela (dichiarazione dell'interesse culturale, misure di protezione, misure di conservazione e altre forme di protezione) e quelli indirizzati alla valorizzazione, cosicché la distinzione tra tutela e valorizzazione, benché sostenibile in linea di principio sul piano teorico, non sembra reggere del tutto su quello pratico [10].

Inoltre, non va trascurato il riconoscimento che la cultura e la conoscenza hanno ricevuto in termini di "beni comuni", definiti dalla Commissione Rodotà, istituita presso il ministero della Giustizia per la modifica delle norme del codice civile in materia di beni pubblici (14 giugno 2007) come quelle "cose che esprimono utilità funzionali all'esercizio dei diritti fondamentali nonché al libero sviluppo della persona". Vi venivano ricompresi "i beni archeologici, culturali, ambientali", di cui si proponeva che fosse comunque garantita la fruizione collettiva [11]. Se la proposta di articolato è caduta nel nulla a causa della prematura interruzione della legislatura, non si può omettere di considerare la valutazione largamente condivisa che i suddetti beni e la relativa funzione hanno ormai ricevuto.

3. Il contenuto e la portata innovativa del d.l. n. 146/2015

Come anticipato, sin dal 2005 le parti sociali, con l'avallo della Commissione di garanzia, avevano definito una serie di regole da osservare in occasione degli scioperi, con riguardo ai servizi di "fruizione del patrimonio artistico, archeologico e monumentale". Ciò induce preliminarmente ad affrontare la questione se quella apportata dal d.l. 146/2015 sia una novità reale o soltanto apparente [12]. La risposta non può che essere nel primo senso in relazione a quanto di seguito esposto, anche se l'effettiva portata della novità dipenderà in buona misura dalla concreta regolamentazione che verrà pattuita tra le parti.

3.1. L'ambito di applicazione

Innanzitutto, ne viene esteso l'ambito di applicazione in una duplice direzione.

Da un lato, la disciplina è destinata ad operare ben al di là del comparto dei ministeri, per il quale era stato stipulato il c.c.n.l. 8 marzo 2005. Vengono in rilievo, in particolare, i beni culturali che le Regioni e gli Enti locali hanno in proprietà o in gestione. Nel testo del d.l. 146/2015 si fa riferimento anche ai beni privati. Tuttavia, in sede di conversione della norma la Camera dei deputati ne ha circoscritto la portata limitandola agli istituti e luoghi della cultura che appartengano a soggetti pubblici, nella misura in cui ha richiamato il solo comma 3 dell'art. 101 del d.lgs. 42/2004 [13]. In ogni caso, l'inserimento dell'"apertura al pubblico di musei e luoghi della cultura" nel contesto della legge 146/1990 attribuisce alla relativa previsione l'efficacia generalizzata propria della fonte legislativa.

D'altro lato, la formula legale è molto ampia, potenzialmente anche più di quella del menzionato c.c.n.l., nella misura in cui il rinvio ai "luoghi della cultura" è "sostanzialmente illimitato, perché il richiamo all'art. 101 del Codice dei beni culturali e del paesaggio fa sì che vi rientrino non solo i musei, ma anche qualsiasi biblioteca, archivio, area o parco archeologico e complesso monumentale, indipendentemente dalla natura pubblica o privata di tali strutture" [14], quanto meno, per quest'ultimo aspetto, prima della correzione della Camera dei deputati.

3.2. La determinazione delle prestazioni indispensabili ed il ruolo della Commissione di garanzia

In secondo luogo, il riconoscimento legislativo della natura di servizio pubblico essenziale conferisce alla regolamentazione in esame ben altra "stabilità" rispetto al precedente riconoscimento negoziale, sottraendola ad eventuali ripensamenti da parte della contrattazione collettiva. Infatti, i servizi elencati dall'art. 1, comma 2, legge 146/1990 godono di una presunzione assoluta di essenzialità, non attribuibile ai servizi che la giurisprudenza o le parti sociali abbiano qualificato come tali.

In definitiva, il suddetto riconoscimento legislativo rende necessaria la determinazione delle "prestazioni indispensabili che (le parti) sono tenute ad assicurare [...], le modalità e le procedure di erogazione e le altre misure dirette a consentire gli adempimenti di cui al comma 1 del presente articolo" (art. 2, comma 2, legge 146/1990), ovvero l'espletamento delle procedure di raffreddamento e di conciliazione, la forma scritta della comunicazione, il rispetto del termine di preavviso, l'indicazione della durata, delle modalità di attuazione e delle motivazioni dell'astensione collettiva dal lavoro. Si tratterà, ad esempio, di stabilire se - con riferimento alla principale distinzione dei metodi di erogazione delle prestazioni indispensabili tracciata dalla legge 146/1990 (art. 13, lett. a), sesto, ottavo e nono periodo) - i minimi relativi al nuovo servizio siano suscettibili di interruzione, risultando quindi sufficiente una loro erogazione periodica, oppure se sia ritenuta necessaria una loro erogazione continuativa, pur se parziale.

A tal fine il legislatore ha attribuito un ruolo fondamentale all'autonomia collettiva, chiamata ad individuare concretamente quali siano le prestazioni indispensabili, tenendo conto delle peculiarità dei diversi servizi essenziali. Si tratta di un modello normativo che combina intervento autonomo ed eteronomo, frutto di una prospettiva "interordinamentale", coerente con la scelta di politica del diritto secondo cui le regole riguardanti i rapporti di lavoro possono essere elaborate più efficacemente dagli stessi attori collettivi, mentre all'intervento legislativo spetta il ruolo di dare sostegno alle regolazioni collettive e di assicurare la garanzia finale degli interessi generali [15]. Orbene, anche in questo caso l'intervento del legislatore necessita della successiva opera di individuazione delle prestazioni indispensabili da parte dell'autonomia collettiva, considerato che non era immaginabile che un intervento eteronomo potesse esaurire ogni profilo di regolamentazione del conflitto collettivo.

Tuttavia, in considerazione dell'interesse pubblico che viene in rilievo, il legislatore ha introdotto alcuni accorgimenti destinati a garantire il risultato perseguito in termini di effettiva fissazione delle regole e di loro contenuto minimo. Così, da un lato, il citato art. 2, legge 146/1990 ha previsto una serie di prescrizioni vincolanti per l'autonomia collettiva. Dall'altro, ha introdotto un vero e proprio obbligo a trattare che impone sia al datore di lavoro, impresa o pubblica amministrazione, sia alle organizzazioni sindacali di negoziare in buona fede [16]. Ma tale vincolo, che ha natura di obbligazione di mezzi e non di risultato, in quanto il relativo rispetto non garantisce la stipulazione dell'accordo, è stato rafforzato attraverso la previsione dell'intervento di un soggetto esterno, la Commissione di garanzia, chiamata ad agire con funzioni, tra le altre, di controllo sull'operato delle parti sociali e di surroga della relativa volontà in via provvisoria, qualora esse non raggiungano alcun accordo o pattuiscano una regolamentazione non ritenuta idonea. In altre parole, la Commissione di garanzia è chiamata ad assicurare che le prestazioni indispensabili vengano innanzitutto previste e determinate. Se è investita di tale potere, riesce difficile escludere che ad essa sia precluso di incentivare la contrattazione collettiva esercitando una possibile iniziativa d'ufficio qualora le parti sociali risultino inerti.

Peraltro, anche per il nuovo servizio essenziale consistente nell'"apertura al pubblico di musei e luoghi della cultura", si rende necessario l'espletamento della procedura dapprima negoziale, poi amministrativa, delineata dalla legge 146/1990. Del resto, non a caso tale legge aveva concesso alle parti sociali il termine di sei mesi dalla sua entrata in vigore per la stipulazione e sottoscrizione degli accordi in materia di minimi di servizio (art. 19, comma 1). Se quel termine non può essere esteso analogicamente all'entrata in vigore del d.l. 146/2015, considerato che il sistema ed i meccanismi procedurali sono ormai sperimentati, riceve comunque conferma la scelta del ruolo primario della contrattazione collettiva.

Pertanto, quanto meno con riguardo al settore pubblico, è necessario innanzitutto che il governo per il comparto dei ministeri ed il Comitato di settore competente per il comparto delle autonomie locali adottino un atto di indirizzo e diano all'Aran le direttive atte a consentire l'avvio del negoziato. A quel punto, se le organizzazioni sindacali non dovessero rivelarsi disponibili ad iniziare il negoziato o non lo conducessero in buona fede e se non si addivenisse alla conclusione dell'accordo in tempi ragionevoli, è legittimo, anzi doveroso, che la Commissione di garanzia eserciti il proprio potere di sollecitazione e di surroga delle scelte omesse o inadeguate delle parti sociali.

Non va, comunque, trascurato che, come in tutte le situazioni in cui l'individuazione delle prestazioni indispensabili non sia ancora avvenuta nel rispetto delle previsioni di legge (accordo valutato idoneo dalla Commissione di garanzia, ovvero provvisoria regolamentazione da parte di quest'ultima), la situazione si presenta problematica. Le parti coinvolte nel conflitto collettivo, infatti, sono comunque tenute a garantire l'erogazione delle prestazioni indispensabili (art. 19, comma 2 e art. 2, commi 2 e 3, legge 146/1990). In mancanza di una precisa elencazione delle medesime è dubbio se il datore di lavoro possa emanare un regolamento nel quale definire unilateralmente le suddette prestazioni [17]. La stessa Corte di cassazione, con riferimento all'originaria formulazione della legge 146/1990, si era espressa in termini contrastanti, perlomeno nell'ipotesi in cui l'individuazione unilaterale delle prestazioni indispensabili avesse recepito le indicazioni contenute in una precedente proposta della Commissione di garanzia [18]. Peraltro, a fronte di un'astensione collettiva, in assenza di una disciplina contrattuale e della provvisoria regolamentazione della Commissione di garanzia, qualora le modalità di effettuazione dello sciopero comunicate dalle organizzazioni sindacali e/o le misure in concreto adottate dal datore di lavoro siano oggetto di contestazione, potrà essere esperito il previsto tentativo di conciliazione prima che si faccia ricorso quale extrema ratio alla precettazione (art. 8, legge 146/1990).

3.3. Il ricorso alla precettazione

L'emanazione del d.l. 146/2015 consente altresì di estendere l'applicabilità dell'istituto della precettazione oltre il campo di applicazione dell'accordo del 2005, ovvero al di là del comparto dei ministeri, considerato che, in precedenza, a dispetto della qualificazione in quest'ultimo conferita dalle parti sociali, appariva ancora difficile sostenere che le previsioni dell'art. 1, comma 2, legge 146/1990 (tutela del patrimonio storico-artistico e servizi di vigilanza sui beni culturali) ricomprendessero anche l'apertura al pubblico dei luoghi della cultura. Al contrario, la soluzione espressamente adottata dal d.l. 146/2015 consente di inserire la fruizione del patrimonio artistico, archeologico e monumentale a pieno titolo nel circuito regolatorio della legge e di applicare tutti gli istituti volti a garantirne il rispetto, a partire dalla precettazione.

Tuttavia, resta da chiedersi se e quando possa davvero configurarsi un "fondato pericolo di un pregiudizio grave ed imminente ai diritti della persona costituzionalmente tutelati" (art. 8, comma 1), se si considera che la suddetta nozione non coincide con il concetto di grave disagio e presuppone, sotto il profilo cronologico, la prossimità dell'evento potenzialmente lesivo. In ogni caso, se nella prima versione della norma si discuteva se i diritti costituzionalmente tutelati alla cui protezione è rivolto il provvedimento di precettazione coincidessero con quelli tassativamente indicati all'art. 1, con l'attuale formulazione frutto della novella della legge 11 aprile 2000, n. 83 la soluzione affermativa è stata espressamente adottata da quest'ultima [19].

3.4. Le sanzioni

Le considerazioni appena svolte in relazione alla precettazione possono essere estese all'apparato sanzionatorio predisposto dall'art. 4, legge 146/1990. All'indomani del d.l. 146/2015, anche il campo di applicazione delle sanzioni per i protagonisti del conflitto collettivo si estende ben al di là dei limiti del c.c.n.l. per il comparto dei ministeri e coinvolge tutte le amministrazioni ed enti pubblici (non più tutti i soggetti privati, qualora in sede di conversione sia approvata la modifica apportata dalla Camera) operanti nell'ambito del nuovo servizio essenziale.

Così per le organizzazioni sindacali, ma non per le coalizioni occasionali, benché anche su di esse gravino gli obblighi previsti dalla legge per la proclamazione dello sciopero, sono previste la sospensione dei permessi sindacali retribuiti e/o dei contributi sindacali, oltre che l'eventuale esclusione dalle trattative (art. 4, comma 2).

Ai lavoratori che si astengano dal lavoro in modo illegittimo possono essere irrogate sanzioni disciplinari dal rispettivo datore di lavoro, secondo le indicazioni ricevute dalla Commissione di garanzia (art. 4, comma 1).

Ma merita altresì di essere sottolineato il fatto che una sanzione amministrativa pecuniaria risulta applicabile ai dirigenti responsabili delle amministrazioni pubbliche e ai legali rappresentanti delle imprese e degli enti che erogano i servizi pubblici essenziali, i quali non forniscano correttamente l'informazione agli utenti di cui all'art. 2, comma 6, ovvero non provvedano a fornire la "comunicazione agli utenti, nelle forme adeguate, almeno cinque giorni prima dell'inizio dello sciopero, dei modi e dei tempi di erogazione dei servizi nel corso dello sciopero e delle misure per la riattivazione degli stessi" (così l'art. 2, comma 6, richiamato dall'art. 4, comma 4). Tale previsione tocca proprio il profilo dell'informazione che l'ente erogatore del servizio è tenuto a dare agli utenti, che sembra aver avuto un peso non irrilevante nella vicenda da cui l'emanazione del d.l. 146/2015 ha preso le mosse e che è stata probabilmente trascurata nei commenti della stampa non specializzata.

4. Lo svolgimento delle assemblee sindacali e la controversa estensibilità delle prestazioni indispensabili

Non si è mancato di rilevare come il d.l. 146/2015 abbia ignorato "una questione che appare invece centrale nella vertenza sindacale che ne è all'origine. A riprova del fatto che del casus belli si è fatto un uso pretestuoso. La chiusura del Colosseo è stata infatti determinata non dalla proclamazione di uno sciopero, ma dallo svolgimento di un'assemblea sindacale" [20].

In effetti la questione dell'estensione delle garanzie di continuità dei servizi pubblici essenziali alle sospensioni non causate da sciopero, ma da qualsiasi altra iniziativa sindacale, è piuttosto controversa. Essa conduce al cuore di un tema di grande rilevanza anche dogmatica, quale la determinazione della nozione stessa di conflitto collettivo. Non vi è dubbio che, al riguardo, il comportamento diverso dalla pura e semplice astensione collettiva dal lavoro è rimasto escluso dalla protezione costituzionale. Ma è altrettanto vero che le c.d. forme anomale di conflitto, inizialmente ritenute illegittime, hanno talora ricevuto una diversa considerazione [21]. A fronte di un percorso evolutivo quale quello al riguardo compiuto dalla giurisprudenza di legittimità, alcuni settori della dottrina hanno ritenuto che la legge 146/1990 sia applicabile anche alle c.d. forme anomale di lotta sindacale [22]. Si consideri, ad esempio, che l'art. 4, comma 1, primo periodo assoggetta a sanzioni disciplinari anche i lavoratori "che, richiesti dell'effettuazione delle prestazioni di cui al 2° comma del medesimo articolo, non prestino la propria consueta attività" [23].

Sulla stessa linea si è sostanzialmente più volte collocata la Commissione di garanzia, la quale, facendo leva sulla necessità di tutela degli utenti dei servizi pubblici essenziali, ha esteso alle assemblee proclamate ai sensi dell'art. 20, legge 20 maggio 1970, n. 300 le regole applicabili allo sciopero [24].

Anche la giurisprudenza ha talora accolto la medesima soluzione nel caso di assemblee svoltesi in orario di lavoro che, comportando un'interruzione delle prestazioni lavorative, presentassero caratteristiche oggettive simili allo sciopero [25].

In ogni caso, in relazione alle vicende dell'estate 2015, la disciplina delle assemblee è contenuta per il settore pubblico nell'art. 2 del c.c.n.l. quadro sulle modalità di utilizzo dei distacchi, aspettative e permessi, nonché delle altre prerogative sindacali del 7 agosto 1998, il cui comma 6 stabilisce che "Durante lo svolgimento delle assemblee deve essere garantita la continuità delle prestazioni indispensabili nelle unità operative interessate secondo quanto previsto dai singoli accordi di comparto".

Sembra pertanto che le stesse parti sociali abbiano accolto la soluzione estensiva appena ricordata, cosicché anche da questo punto di vista le conseguenze dell'emanazione del d.l. 146/2015 appaiono rilevanti. Infatti, il rinvio del menzionato art. 2, comma 6 alla contrattazione collettiva di comparto non può non operare ormai anche con riguardo alle previsioni di legge. Di conseguenza, la disciplina negoziale, o la regolamentazione provvisoria della Commissione di garanzia, che prima o poi individuerà le prestazioni indispensabili relative al nuovo servizio pubblico essenziale dell'"apertura al pubblico di musei e luoghi della cultura", produrrà automaticamente i propri effetti anche sulla disciplina dell'assemblea, proprio in quanto devono essere garantiti, ai sensi dell'art. 2, comma 6 del citato accordo quadro, gli stessi obblighi di tutela dei minimi di servizio previsti per l'esercizio del diritto di sciopero.

La materia dell'assemblea sindacale è, comunque, oggetto del disegno di legge 2006/2015, attualmente in discussione presso la commissione Lavoro del Senato, il cui art. 6 espressamente dispone che, "Nelle aziende che gestiscono servizi rientranti nel campo di applicazione della legge 12 giugno 1990, n. 146, lo svolgimento dell'assemblea in orario di lavoro non può comportare interruzione del servizio pubblico. Qualora non sia possibile lo svolgimento dell'assemblea in orario di lavoro senza che si produca l'interruzione, essa si svolge in orario aggiuntivo, con pagamento ai lavoratori partecipanti della retribuzione ordinaria aggiuntiva corrispondente".

Si tratta di una previsione persino potenzialmente più rigida e restrittiva di quella adottata dal legislatore in materia di sciopero. Si consideri, infatti, che, ai sensi dell'art. 13, comma 1, lett. a), quinto periodo, legge 146/1990, "salvo casi particolari, [le prestazioni indispensabili] devono essere contenute in misura non eccedente mediamente il 50 per cento delle prestazioni normalmente erogate e riguardare quote strettamente necessarie di personale non superiori mediamente ad un terzo del personale normalmente utilizzato per la piena erogazione del servizio nel tempo interessato dallo sciopero". Invero, tale previsione, benché dettata con riferimento alla provvisoria regolamentazione della Commissione di garanzia, non può non avere influenza anche sugli accordi tra le parti sociali, posto che su di essi la Commissione di garanzia dovrà comunque emettere il proprio giudizio di idoneità.

 

Note

[1]Il decreto legge 20 settembre 2015, n. 146 è stato convertito con modificazioni in legge 12 novembre 2015, n. 182.

[2] Corte cost. 29 gennaio 2015, n. 65, in Foro it., 2005, I, col. 3264.

[3] Corte cost. 23 maggio 2007, n. 171 in Giur. cost., 2007, 3, p. 1662 e in Foro it., 2007, I, col. 1985.

[4] A. Pizzorusso, Le fonti primarie, in Le fonti del diritto italiano. Le fonti scritte, (a cura di) A. Pizzorusso e S. Ferreri, Torino, 1998, pag. 128.

[5] Cfr. A. Pilati, La legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali. Sez. I, Il campo di applicazione della legge e i requisiti di legittimità delle astensioni collettive, in Trattato di diritto del lavoro diretto da M. Persiani e F. Carinci, vol. III, Conflitto, concertazione e partecipazione, (a cura di) F. Lunardon, Padova, 2011, pag. 287.

[6] Cfr. ancora A. Pilati, La legge sullo sciopero, cit., pag. 313.

[7] Cfr. F. Merusi, Art. 9, in Commentario della Costituzione, (a cura di) G. Branca; AA.VV., Principi fondamentali, Bologna-Roma, 1975, pag. 446.

[8] Corte cost. 9 marzo 1990, n. 118, in Foro it., 1990, I, col. 1001 e in Giur. it., 1990, I, 1, col. 1188.

[9] È quanto affermato in sede di audizione presso l'XI commissione Camera dei deputati da Cgil, Cisl e Uil.

[10] Cfr. N. Aicardi, L'ordinamento amministrativo dei beni culturali. La sussidiarietà nella tutela e nella valorizzazione, Torino, 2002, pag. 98 ss.; M. Betzu, Art. 9, in Commentario breve alla Costituzione, (a cura di) S. Bartole, R. Bin, 2° ed., Padova, 2008, pag. 75 s.

[11] Cfr. sul punto V. Cerulli Irelli e L. De Lucia, Beni comuni e diritti collettivi, in Pol. dir., 2014, pag. 3 ss. e L. Rampa e Q. Camerlengo, I beni comuni tra diritto ed economia: davvero un tertium genus?, ivi, 2014, pag. 253 ss.

[12] Cfr. G. Falasca, A. Recalcati, Il decreto Colosseo, le novità in materia di sciopero nei servizi pubblici essenziali, in Guida lav., 2015, n. 39, pag. 31.

[13] Al riguardo P. Ichino, L'accessibilità a musei e siti storici come servizio pubblico, Relazione svolta alla commissione Lavoro del Senato sul d.l. 146/2015 il 27 ottobre 2015, ha correttamente rilevato che "questa restrizione, ispirata all'intendimento apprezzabile di circoscrivere il più possibile la portata della limitazione del diritto degli addetti ad astenersi dal lavoro per sciopero, presenta una difficoltà di armonizzazione con l'impianto della legge 146/1990 sullo sciopero nei servizi pubblici, la quale a) in linea generale non distingue tra servizi pubblici gestiti da soggetti pubblici e servizi gestiti da soggetti privati, e b) in particolare, nell'estendere il proprio ambito di applicazione ai servizi di protezione e vigilanza sui beni culturali, non distingue tra beni gestiti da soggetti pubblici e privati". Ha comunque osservato che un bene culturale privato non è oggetto di un servizio pubblico, ma di "un servizio privato di utilità sociale", cosicché si può escludere l'incostituzionalità della soluzione accolta, emergendo "un profilo di ragionevolezza del diverso trattamento riservato ai musei e siti di interesse culturale in ragione della qualità e natura del loro titolare".

[14] Così G. Orlandini, Prima nota sul decreto legge n. 146/2015, edito nel sito della Cgil.

[15] Cfr. T. Treu, Commento agli artt. 1, 2, 3, 19, in T. Treu, A. Garilli, M. Roccella, P. Pascucci, Sciopero e servizi essenziali. Commentario sistematico alla legge 12 giugno 1990, n. 146, Padova, 1991, pag. 21.

[16] Cfr. C. Zoli, Gli obblighi a trattare nel sistema dei rapporti collettivi, Padova, 1992, pag. 286 ss.; P. Curzio, Autonomia collettiva e sciopero nei servizi essenziali, Bari, 1992, pag. 6 ss.; P. Pascucci, L'obbligo a trattare e il referendum, in La nuova disciplina dello sciopero nei servizi essenziali, (a cura di) P. Pascucci, Milano, 2000, pag. 244.

[17] Cfr. in tema, tra gli altri, P. Pascucci, L'esercizio del diritto di sciopero nei servizi essenziali: una prima ricognizione, in Dir. lav. rel. ind., 1993, pag. 369; A. Raffi, Sciopero nei servizi pubblici essenziali. Orientamenti della Commissione di garanzia, Milano, 2001, pag. 91 ss.

[18] Secondo Corte cass. 20 marzo 1999, n. 2626, in Mass. giur. lav., 1999, pag. 588, con nota di F. Santoni, non integra sotto il profilo oggettivo gli estremi della condotta antisindacale l'ordine di servizio, con cui il datore di lavoro abbia comandato al lavoro il personale necessario per assicurare le prestazioni ritenute essenziali nella proposta precedentemente formulata della Commissione di garanzia; a giudizio di Cass. 15 marzo 2001, n. 3785, ivi, 2001, pag. 661, con nota di F. Santoni, è invece antisindacale il comportamento del datore di lavoro che abbia comandato l'espletamento delle prestazioni nei limiti stabiliti dalla proposta della Commissione di garanzia.

[19] Cfr. G. Orlandini, Il procedimento di precettazione, in La nuova disciplina, cit., pag. 160 ss.

[20] Così G. Orlandini, Prima nota sul decreto legge n. 146/2015, cit.

[21] Cfr. A. Pilati, La legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, cit., pag. 303 ss.

[22] Cfr., tra gli altri, A. Vallebona, Le regole dello sciopero nei servizi pubblici essenziali, Torino, 2007, pag. 83 s.; A. Pilati, La legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, cit., pag. 306 ss.; contra F. Borgogelli, Sciopero e modelli giuridici, Torino, 1998, pag. 189 ss.

[23] Sul punto correttamente A. Pilati, La legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, cit., pag. 307 rileva che il "riferimento alla mancata prestazione della "consueta attività" lavorativa, in caso di richiesta di effettuazione delle prestazioni indispensabili, per non risultare superfluo, deve quindi rivestire un significato diverso rispetto a quello della mancata prestazione dell'attività lavorativa".

[24] Cfr. in tal senso le delibere della Commissione di garanzia 29.9.1994, n. 154; 19.7.1996, n. 233; 16.12.1999, n. 662; 7.9.2000, n. 205; 1.4.2004, n. 541; 6.12.2006, n. 679. In particolare, con la delibera 1.4.2004, n. 212 la Commissione ha deliberato "che l'assemblea in orario di lavoro, pur se incidente su servizi pubblici essenziali, non è assoggettata alla disciplina di cui alla legge 146/90 e successive modifiche, laddove sia convocata e si svolga secondo quanto previsto dall'art. 20 della legge 300/1970 [...], a condizione che la disciplina contrattuale garantisca l'erogazione dei servizi minimi. Ogni assemblea che - pur convocata ai sensi dell'art. 20 della legge 300/1970 - si svolga con modalità differenti rispetto a quelle previste dalla contrattazione collettiva, ivi compresa la mancata assicurazione dei servizi minimi, sarà considerata astensione dal lavoro soggetta alla disciplina della legge 146/1990 e successive modifiche, laddove incidente su servizi pubblici essenziali".

[25] Cfr. in tal senso, tra le altre, App. Milano 18 novembre 2003, in Riv. it. dir. lav., 2004, II, pag. 272, con nota di A. Bollani; App. Milano 29 ottobre 2007, in Dir. rel. ind., 2008, pag. 163; contra App. Napoli 20 maggio 2004, ivi, 2005, pag. 215. Il decreto legge 20 settembre 2015, n. 146 è stato convertito con modificazioni in legge 12 novembre 2015, n. 182.

 



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