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I privati e i beni culturali

Ong internazionali e volontariato: sussidiarietà e partecipazione, per la salvaguardia e la sicurezza del patrimonio culturale

di Massimo Carcione

Sommario: 1. Recepire e attuare anche in Italia le norme internazionali. - 2. Un nuovo sistma internazonale (e nazionale) di salvaguardia e protezione. - 3. La sicurezza: conservazione o valorizzazione? - 4. Per un volontariato culturale qualificato. - 5. Un'opportunità: ripensare le norme sull'accreditamento del volontariato

Bottom-up Approach and Participation: The Role of NGOs and Volunteers for the Safegard and Security of Cultural Heritage
To solve many well known problems, affecting Italian cultural heritage over our history, we now have the opportunity to take example and useful suggestions from the best international practices, as this is happening in many other topics and sectors of the public administration. For that, the best thing to do is to apply correctly the UNESCO Conventions (especially Paris 1972 and, recently, Hague 1999 II Protocol) in the World Hetitage sites, and also to put them into effect in all other national appropriate heritage sites. First of all, we have to enforce the rules concerning the safeguard and protection of cultural property, in different events of risk situations. By this way, Italy can also start a more effective and strategic enhancement of the very large professional skills of cultural NGOs, voluntary associations and non profit institutions. It's also intersting to observe, nevertheless, that in this way we can also improve the most respectful application of the "Cultural Property Code" and, finally, of our "Cultural Constitution"

1. Recepire e attuare anche in Italia le norme internazionali

Con la circolare del Segretariato generale ad oggetto Sicurezza del patrimonio culturale e calamità naturali - Unità di crisi [1], il ministero per i Beni e le Attività culturali, dopo avere premesso che "si è resa evidente la necessità di disporre di un sistema organizzato di informazioni nonché di codici di comportamento da adottare" in caso di calamità, ha dato notizia agli uffici centrali e periferici della "costituzione di una struttura operativa a rete da attivare in situazioni emergenziali" [2]; essa consiste inizialmente in un "gruppo di lavoro ristretto" che definirà processi e metodologie, tra le quali vengono già individuate la partecipazione del Mibac alla sala operativa attivata dalla Protezione civile in situazione di crisi e l'acquisizione di "relazioni complete e aggiornate riferite ai danni riportati dal patrimonio culturale delle singole regioni".

L'iniziativa del ministro Ornaghi [3], adottata in seguito ai consistenti danni al patrimonio culturale, prodotti da eventi sismici e precipitazioni nevose (ma forse non sono del tutto estranee vicende come quelle del sito di Pompei), pur essendo certamente meritoria negli intenti e condivisibile nell'impostazione, appare ancora improntata a una concezione centralistica - benché temperata dal ruolo attribuito alle direzioni regionali - non del tutto coerente con il principio costituzionale di sussidiarietà [4], ed ancor meno con la realtà dei fatti verificatisi nelle situazioni di emergenza che, in passato e di recente, hanno coinvolto beni, siti e istituti culturali.

Sin dall'alluvione di Firenze del 1966 e poi in tutte le successive occasioni di calamità naturali, più o meno drammatiche, che hanno interessato anche il patrimonio culturale - basti ricordare le alluvioni che hanno devastato le Langhe, il Monferrato e le Cinque Terre, oppure i terremoti in Friuli, Umbria, Marche e Abruzzo, fino al sisma che di recente ha colpito numerosi centri storici dell'Emilia Romagna - i primi e fondamentali interventi di recupero e messa in sicurezza delle opere d'arte danneggiate o comunque in pericolo sono stati quasi sempre garantiti da squadre di volontari più o meno organizzati, che hanno via via operato in più efficace coordinamento con i tecnici della Protezione civile e del Mibac, ma che hanno avuto come immediato e naturale interfaccia, per l'individuazione di depositi o di materiali di imballaggio idonei (ed anche per l'alloggiamento di personale e la disponibilità di mezzi) la realtà territoriale, con il suo fitto tessuto di istituzioni e associazioni culturali comunali e provinciali.

L'organizzazione e istituzionalizzazione di questi modelli operativi è stata già da tempo analizzata sul piano teorico, ma non ancora implementata in senso pratico, partendo dalle norme giuridiche codificate e dalle organizzazioni istituite a livello internazionale, sin dalla metà del XX secolo [5], per la protezione dei beni culturali nelle situazioni belliche [6]: un tema che, malgrado le drammatiche esperienze dell'ultima guerra [7] e la ratifica sin dal 1958 della Convenzione dell'Aja del 1954 per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato [8] - sostanzialmente disattesa e poco conosciuta fuori dagli ambienti militari - è da sempre trascurato nel nostro paese [9], salvo tornare prepotentemente agli onori delle cronache in occasione delle ricorrenti devastazioni di monumenti, biblioteche, archivi o musei (a Sarajevo, Dubrovnik o Baghdad), come dei saccheggi del patrimonio archeologico iracheno, libanese, palestinese o libico.

Un primo riscontro normativo a questa impostazione metodologica viene dalla Convenzione del patrimonio mondiale, che ai fini dell'individuazione dei "gravi e precisi pericoli" che possono minacciare i beni culturali "di valore universale eccezionale", considera in modo unitario tanto i conflitti armati che le "calamità e cataclismi, grandi incendi, terremoti, scoscendimenti, eruzioni vulcaniche, modificazione del livello delle acque, inondazioni, maremoti" [10].

2. Un nuovo sistema internazionale (e nazionale) di salvaguardia e protezione

Proprio la considerazione unitaria di tutte le situazioni di rischio che mettono a rischio la conservazione del patrimonio culturale è stato il presupposto fondante dell'International committee of the blue shield (Icbs) [11], organizzazione non governativa fondata nel 1996 per iniziativa di Icom, Icomos, Ica e Ifla che è stata ben presto citata e riconosciuta da alcune norme del II Protocollo addizionale (1999) alla Convenzione dell'Aja del 1954, che gli hanno attribuito importanti prerogative e competenze presso il nuovo Comitato intergovernativo per la protezione dei beni culturali, istituito nel 2005 presso l'Unesco, in attuazione degli artt. 24 ss. dello stesso Protocollo [12].

Altri utili riferimenti normativi al ruolo delle Ong e delle associazioni culturali sono rinvenibili agli artt. 14 e 17 della Convenzione del patrimonio mondiale [13], discutibilmente non richiamati dalla legge 20 febbraio 2006, n. 77, e agli artt. 9 e 15 della Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale [14], entrambe ratificate dall'Italia già da qualche anno.

Secondo la terminologia internazionale [15], viene dunque in considerazione la capacità di predisposizione da parte degli Stati, sin dal tempo di pace, di "misure appropriate per garantire la salvaguardia dei beni culturali situati sul loro proprio territorio contro gli effetti prevedibili" (art. 3 della Convenzione dell'Aja del 1954), prendendo tutte le misure che si ritengono appropriate, come ad esempio [16] la preparazione di inventari, la pianificazione delle misure d'urgenza per assicurare la protezione dei beni culturali mobili contro il rischio d'incendio o di crollo dell'edificio, la preparazione o la messa in situ di protezione adeguata e la designazione dell'autorità responsabile della salvaguardia dei beni culturali.

L'intento è quindi di prevenire e limitare i danni, piuttosto che non di intervenire a porre rimedio (quasi sempre con grandi costi e scarsi esiti) una volta che il danno si è ormai verificato; quando però l'intervento risulta indispensabile, è necessario garantire a chi opera nella situazione di rischio una effettiva capacità di agire con rapidità ed efficacia, in totale autonomia e sicurezza, proprio come fa la Croce rossa in tempo di guerra.

A ulteriore riprova della stretta analogia tra la protezione dei beni culturali e quella delle vittime dei conflitti, e quindi dell'utilità del recepimento anche nel nostro settore di norme internazionali, sovviene l'ulteriore constatazione della significativa assonanza con i Principi fondamentali della Croce rossa [17] manifestata dai principi adottati dallo Scudo blu, che a sua volta prende il nome dal simbolo di protezione dei monumenti [18]: "coordinamento, indipendenza, neutralità, professionalità, rispetto dell'identità culturale, volontariato" [19].

Proprio per porre rimedio alle difficoltà e carenze organizzative che ancor oggi caratterizzano il nostro sistema pubblico di "salvaguardia" (supponendo che esista), già qualche anno fa era stato prefigurato, sull'esempio di analoghi organismi istituiti in altri Stati europei, uno strumento organizzativo di diritto privato inteso ad assicurare il coordinamento della rete regionale e nazionale delle associazioni, professionali e non, del volontariato culturale maggiormente votato alla protezione dei beni culturali in tutte le situazioni critiche individuate dalla Convenzione del patrimonio mondiale.

A questo scopo era stata avviata sin dal 2002, in attesa della ratifica del II Protocollo del 1999 (che però è avvenuta solo dieci anni dopo la sottoscrizione), l'istituzione di un tavolo di coordinamento tra le più qualificate organizzazioni presenti e attive a livello nazionale nella protezione dei beni culturali, tra cui Icom Italia, Comitato italiano Icomos, Aib, Anai, Italia Nostra, Legambiente e Sipbc [20]. Lo Scudo blu italiano, una volta reso operativo, avrebbe potuto contribuire anche in Italia, così come avviene a livello internazionale, a conferire coordinamento e coesione - operando sotto l'egida della Commissione nazionale Italiana per l'Unesco - ai diversi soggetti non governativi che già operano per la salvaguardia del patrimonio culturale nazionale nelle situazioni di pericolo, pur rispettandone pienamente l'autonomia [21].

Ora la legge di ratifica 16 aprile 2009, n. 45 ha finalmente reso operanti anche in Italia le disposizioni del II Protocollo [22] - segnatamente gli artt. 11, 27 e 30 - che citano l'Icbs e le relative Ong, attribuendo loro una serie di prerogative e competenze nei confronti dell'Unesco e degli Stati; nel dicembre dello stesso anno la conferenza internazionale tenutasi presso l'Unesco ha approvato delle minuziose Guidelines, le quali dispongono in modo assai circostanziato circa il coinvolgimento attivo a livello nazionale delle Ong professionali [23]. Inoltre, l'Italia è entrata a far parte del Comitato e ha subito proposto la candidatura per l'inserimento di un primo sito (Castel del Monte) nella lista dei beni sotto protezione rafforzata, che è stata recepita dal Comitato il 24 novembre 2010: dunque non resta che predisporre le norme attuative nazionali e regionali, così come è avvenuto per quelle che regolano i rapporti tra le diverse amministrazioni pubbliche e la Croce rossa italiana, nel rispetto delle Convenzioni di Ginevra del 1949 [24].

A dimostrazione del particolare rilievo attribuito allo Scudo blu, il punto 13 delle Guidelines, nell'incoraggiare gli Stati e l'Unesco [25] "to ensure the participation of (...) international and national governmental and non-governmental organizations" [26], specifica che solo "in case of the constitutent bodies of the International committee of the blue shield" essi sono deputati a "providing advice with regard to the granting of enhanced protection": solo alle Ong che compongono l'Icbs è dunque concesso di svolgere la delicata funzione di consulenza tecnica ai fini della concessione della protezione rafforzata, tanto a livello nazionale che presso il Comitato istituito a tal fine presso l'Unesco [27].

Altre importanti funzioni dell'Icbs sono previste in particolare al punto 24, con riferimento alla partecipazione delle Ong ai lavori del Comitato Unesco (per assistere "in the implementation of its functions") e al punto 98 (collaborazione ai "peacetime training and educational programmes"); non sono meno significativi i punti 136, 146 e 154, i quali prevedono la stretta cooperazione delle Ong, in forma di "professional expertise for evaluation", anche alle attività di assistenza tecnica agli Stati.

3. La sicurezza: conservazione o valorizzazione?

Prima di sviluppare ulteriormente gli aspetti istituzionali e organizzativi, sarebbe utile chiarire se la sicurezza e la salvaguardia debbano essere ricomprese nella tutela (di esclusiva competenza statale), oppure se rientrano nella valorizzazione, oggetto - ai sensi del nuovo art. 117, comma 3 della Costituzione - della competenza legislativa concorrente di Stato e regioni, insieme alla protezione civile e al governo del territorio, ed anche a settori connessi come le attività culturali, l'istruzione e la ricerca.

In campo culturale l'uso legislativo del temine "sicurezza" risale al decreto del Presidente della Repubblica 14 gennaio 1972, n. 3 Trasferimento alle regioni a statuto ordinario delle funzioni amministrative statali in materia di assistenza scolastica e di musei e biblioteche di enti locali e dei relativi personali ed uffici [28], il cui art. 7, facendo espressamente riferimento ad attività oggi pacificamente rientranti nel concetto di valorizzazione, trasferiva alle regioni anche le funzioni concernenti (lett. b) "la manutenzione, l'integrità, la sicurezza e il godimento pubblico delle cose raccolte nei musei e nelle biblioteche di enti locali o d'interesse locale".

Allorché la valorizzazione è stata più puntualmente definita e regolamentata dall'art. 152 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 [29], che ne attribuiva la cura a Stato, regioni ed enti locali, ciascuno nel proprio ambito, disponendo che essa venisse "di norma" attuata mediante forme di cooperazione strutturali e funzionali tra i diversi livelli istituzionali della Repubblica, le funzioni e i compiti risultano comprendere in primo luogo le attività concernenti (lett. a) "il miglioramento della conservazione fisica dei beni e della loro sicurezza, integrità e valore".

Considerando però il problema nell'ottica della tutela, l'art. 29 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 regola in modo ben più puntuale, in quanto attività facenti capo alla "conservazione", la programmazione e la manutenzione, che ciò nonostante costituiscono come noto due punti dolenti del sistema amministrativo e soprattutto gestionale dei nostri beni e istituti culturali, anche statali. Se in passato la normativa nazionale si era sempre focalizzata sul generico concetto di tutela e, solo recentemente, aveva distinto e definito in modo chiaro ed esplicito [30] la conservazione e il restauro, ora il Codice dispone che "la conservazione del patrimonio culturale è assicurata mediante una coerente, coordinata e programmata attività di studio, prevenzione, manutenzione e restauro", il che tuttavia è ancora lungi dall'essere effettivamente garantito, anche con riferimento ai beni storico-artistici demaniali affidati alla diretta gestione del ministero per i Beni e le Attività culturali [31].

Particolarmente interessante ai fini della definizione del ruolo del volontariato, è la distinzione per cui si considera "prevenzione" il complesso delle attività "idonee a limitare le situazioni di rischio" [32] connesse al bene culturale nel suo contesto (comma 2), mentre per "manutenzione" si intende il complesso delle attività e degli interventi destinati al "controllo delle condizioni del bene culturale e al mantenimento dell'integrità, dell'efficienza funzionale e dell'identità del bene e delle sue parti" (comma 3) [33].

A questa impostazione si era venuta a contrapporre quella, alquanto problematica, del decreto Bassanini, per cui la sicurezza rientrava nell'ambito della gestione (art. 150, lett. c) e il suo miglioramento in quello della valorizzazione (art. 152, comma 3, lett. a); non sembrerebbe dunque costituire una modalità di esercizio della funzione di tutela, pur restando ad essa subordinata, come tutte le altre attività di gestione e valorizzazione. Mentre l'art. 148 individuava, infatti, come gestione "ogni attività diretta, mediante l'organizzazione di risorse umane e materiali, ad assicurare la fruizione dei beni culturali e ambientali, concorrendo al perseguimento delle finalità di tutela e di valorizzazione", il comma 4 dell'art. 150 faceva riferimento in modo esplicito all'autonomo esercizio delle attività concernenti "la manutenzione, la sicurezza, l'integrità dei beni"; questo benché, a giudizio di Chiti, sarebbe stato logico attendersi che la sicurezza fosse inserita "nell'ambito della tutela", proprio in quanto essa rimane diretta, anche dopo la riforma, a "conservare e proteggere i beni culturali" [34].

Un punto a favore della competenza concorrente, e quindi dell'inclusione nella valorizzazione, sembra venire dall'adozione, sempre in osservanza del d.lg. n. 112/1998, dei criteri tecnico-scientifici e degli standard minimi che si dovrebbero osservare nell'esercizio delle attività trasferite dallo Stato alle autonomie locali [35] (ma a maggior ragione in quelle non trasferite), in modo da "garantire un adeguato livello di fruizione collettiva dei beni, la loro sicurezza, e la prevenzione dei rischi"; come noto, l'Ambito 5 è specificamente dedicato alla "sicurezza", che stando alla premessa include le "diverse problematiche inerenti la salvaguardia degli edifici e del loro contenuto, ma anche la sicurezza degli occupanti".

Infine, il Codice cita incidentalmente la sicurezza [36] nell'ambito di diverse disposizioni attinenti alla tutela, come quelle dedicate alla catalogazione (art. 17), agli obblighi degli enti pubblici (art. 30) o alle esposizioni (art. 66); ma è l'art. 110 a disporre, proprio nell'ambito del Titolo II dedicato alla valorizzazione, la destinazione delle risorse derivanti dalla fruizione alla "realizzazione di interventi per la sicurezza e la conservazione".

Tornando alla funzione di tutela in senso classico, una specifica attività indubitabilmente spettante allo Stato, almeno quanto le storiche e ben note procedure di dichiarazione e di autorizzazione all'effettuazione degli interventi di conservazione - che peraltro sono già da tempo attribuite alle regioni in ambiti non marginali - è invece costituita dagli interventi ispettivi e di controllo territoriale, di cui agli artt. 18 e 19 del Codice [37]: è infatti stabilito, in modo particolarmente puntuale ed esplicito, che la vigilanza sui beni culturali compete al ministero [38], fatta salva la sola possibilità che, quando si tratta di cose che appartengano alle regioni e agli altri enti pubblici territoriali, lo stesso vi provveda "anche mediante forme di intesa e di coordinamento con le regioni medesime" [39]. A tal fine i soprintendenti procedono "in ogni tempo", con preavviso non inferiore a cinque giorni, fatti salvi i casi di estrema urgenza, ad ispezioni volte ad accertare in particolare "lo stato di conservazione o di custodia dei beni culturali", specialmente ma non solo privati  [40]; il che parrebbe includere anche la sussistenza di adeguate condizioni di sicurezza.

Si tratta di funzioni e procedure di assoluto rilievo, che andrebbero garantite dal personale specializzato delle soprintendenze in modo efficace e uniforme su tutto il territorio nazionale, ma purtroppo costituiscono non di rado l'aspetto più trascurato nella quotidiana prassi amministrativa, ed anche nell'attenzione della dottrina. Opportunamente tali attività, in quanto coessenziali all'effettivo esercizio del potere statale di tutela, non sono mai state considerate ai fini del trasferimento alle autonomie locali, nonostante le difficoltà organizzative e la carenze di risorse finanziarie, umane e strumentali del ministero, a livello sia centrale che periferico: il che però non può e non deve nemmeno costituire un alibi per non provare a immaginare nuove soluzioni, normative e organizzative, che ci sono offerte proprio dai principi costituzionali inseriti già da un decennio nella nuova formulazione degli artt. 117, comma 1, e 118, comma 4.

4. Per un volontariato culturale qualificato

Per tentare di porre rimedio allo stato di cose sin qui descritto, si può allora ricordare che più di un secolo fa era stata approvata la legge 27 giugno 1907, n. 386, la quale nel creare la figura dell'ispettore onorario gli aveva attribuito, in modo per l'epoca assai innovativo, appunto il compito di "coadiuvare alla tutela", il che poteva avvenire vigilando, dando notizia alla soprintendenza competente e promuovendo "i necessari provvedimenti"; inoltre esso poteva svolgere ulteriori "incombenze commesse" dall'amministrazione dello Stato.

Purtroppo, questa storica ed originale forma di sussidiarietà ante litteram, dopo avere assicurato per decenni, seppure con alterne fortune, l'espletamento di tali compiti, è caduta in sostanziale desuetudine, paradossalmente proprio nell'epoca in cui il coinvolgimento attivo del volontariato e della società civile caratterizza in molti ambiti la legislazione nazionale, incluso il Codice dei beni culturali e del paesaggio [41].

Conciliare sussidiarietà, partecipazione e garanzia dei diritti nel nome della solidarietà è infatti già possibile, nel campo culturale come in quello socio-assistenziale, di protezione civile o ambientale, grazie all'associazionismo e al volontariato: la Legge quadro sul volontariato, legge 11 agosto 1991, n. 266 e le correlate norme regionali di recepimento e attuazione, che si ispirano ai principi costituzionali di cui agli artt. 2 e 4 - in materia di formazioni sociali, dovere di solidarietà e concorso al progresso materiale e spirituale - si possono e si debbono applicare anche allo specifico ambito di cui ci occupiamo [42]. Si può ormai considerare acquisito, infatti, il dato che l'efficace ed efficiente gestione di un centro culturale o di un sito monumentale difficilmente può essere demandata interamente al personale dipendente; per questa ragione in numerose realtà si sono via via adottate forme di coinvolgimento delle diverse realtà associative, più o meno strutturate, che hanno assunto le modalità istituzionali degli Amici del museo o della Pro Loco [43]. Tuttavia questo apporto è stato per lo più inteso in senso poco qualificante, limitandosi normalmente all'affidamento (talora in modo informale o improprio) delle mansioni di sorveglianza o di guida turistica [44].

Oggi l'art. 112, comma 9, del Codice, nel riaffermare quasi testualmente quanto era già stato definito nelle più recenti leggi nazionali in materia [45], sul presupposto che agli "accordi finalizzati a coordinare, armonizzare ed integrare le attività di valorizzazione dei beni del patrimonio culturale" possono partecipare anche i soggetti privati, detta una norma di principio secondo la quale gli enti pubblici possono "stipulare apposite convenzioni con le associazioni culturali o di volontariato che svolgono attività di promozione e diffusione della conoscenza dei beni culturali" [46].

L'ente gestore di un bene culturale può dunque avvalersi della collaborazione del volontariato culturale qualificato, in primo luogo per l'attivazione e gestione dei servizi di accoglienza, promozione e per ulteriori azioni di valorizzazione finalizzata alla fruizione; solo i volontari, infatti, possono garantire all'ente gestore del bene, a costo praticamente nullo, quell'apporto tecnico qualificato di cui ben pochi musei, anche di medie dimensioni, possono disporre a un livello adeguato [47]. Ai fini dell'organizzazione di tale apporto, in termini di risorse umane (che dovrebbero essere sempre competenti e qualificate, benché non retribuite) e strumentali, risultano altresì determinanti la formazione e l'aggiornamento dei singoli volontari: il che costituisce, per inciso, una delle rare forme di promozione sistematica e diffusa della cultura, in ambiti specialistici - come l'educazione civica, sanitaria e ambientale, la protezione civile e la stessa sicurezza attiva e passiva - nei quali lo Stato è storicamente carente, per non dire assente.

Alla luce del quadro normativo esaminato, il volontariato può dunque essere attivato in modo stabile grazie allo strumento amministrativo della convenzione [48], che fa legge tra le parti laddove la normativa nazionale non ha voluto (cosa che avviene di rado) entrare nel dettaglio, e quindi può meglio adattarsi al caso concreto e alla volontà degli interlocutori. Fermo restando, tuttavia, che queste soluzioni operative non possono sfuggire agli inevitabili caratteri di precarietà e durata temporale limitata, legati appunto alla natura stessa dello strumento convenzionale [49] e del carattere del tutto volontaristico della partecipazione dei singoli all'associazione [50].

Occorre inoltre sottolineare che il volontariato può svolgere un ruolo strategico anche ai fini della sempre auspicata creazione di reti di valorizzazione; secondo un recente studio di settore [51], infatti, "è di tutta evidenza che l'apparato organizzativo istituzionale non può essere in grado (e, peraltro, neppure dovrebbe) di occuparsi in via esclusiva delle azioni di tipo relazionale, che sono necessarie per 'far vivere' la rete (tavoli di partecipazione, progettazione e programmazione)". In questo senso, ancora una volta, il ruolo dei soggetti non profit e del terzo settore in genere (includendo anche le cooperative) non dovrebbe più risultare strumentalizzato e marginalizzato come talora si riscontra, ma andrebbe riconosciuto istituzionalmente e quindi posto in condizione - anche sul piano amministrativo - di esercitare una funzione portante.

Solo su basi giuridiche codificate diventa concretamente possibile e sostenibile, anche fuori dai grandi circuiti turistici, fare rete tra enti e associazioni: infatti "per definizione, tali organizzazioni non perseguono finalità di lucro e tale caratteristica dovrebbe rappresentare il presupposto ideale per favorire in massimo grado la disponibilità all'integrazione nella rete prevista nel settore dei servizi e degli interventi sociali dalla Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, legge 8 novembre 2000, n. 328 e, in generale, dalla logica della solidarietà che per legge contraddistingue l'opera del volontariato", consentendo non solo di disporre (in senso assai riduttivo) di manodopera numerosa e motivata senza alcun onere, ma soprattutto di conseguire una fondamentale "integrazione di capacità e risorse" [52].

A ciò si contrappone, tuttavia, un persistente "atteggiamento di 'difesa' del pubblico da un volontariato che viene quasi tenuto 'a debita distanza' dalla funzione delle istituzioni, come se la partecipazione e la collaborazione dei volontari fosse subita più che promossa dalle amministrazioni"; si deve quindi constatare che le istituzioni politiche (custodi e garanti, almeno in via teorica, dell'interesse pubblico) non sempre agevolano, per non dire che fanno resistenza passiva, nei confronti dell'attuazione piena del principio costituzionale di sussidiarietà orizzontale, anche a discapito della ottimale tutela dei diritti culturali in questione [53], oltre che della salvaguardia del patrimonio storico-artistico nazionale [54].

5. Un'opportunità: ripensare le norme sull'accreditamento del volontariato

Per tentare di trovare una soluzione al problema della sicurezza del patrimonio culturale nelle situazioni di rischio (il che non può che avere riflessi positivi anche "in tempo di pace", cioè nella gestione quotidiana) occorre dunque accettare l'assunto che oggi in Italia la grande maggioranza dei servizi culturali è gestita, almeno in linea di principio, sulla base del criterio di gratuità, sia nel senso del disinteresse dei collaboratori, sia in quello della non soggezione a tariffa degli utenti [55]; se si considera la totalità dei beni e istituti culturali pubblici e privati italiani, d'altronde, l'attribuzione di compensi ai curatori, così come il pagamento del biglietto di ingresso, si possono senz'altro considerare come eccezioni rispetto alla regola [56].

La gratuità risulta però condizionata dall'esistenza di una vera "solidarietà culturale" tra istituzioni pubbliche e soggetti privati (associazioni e singoli operatori culturali), per cui occorre rendere l'apporto delle associazioni maggiormente funzionale all'organizzazione del sistema di servizi culturali; a tal fine è possibile instaurare e incentivare forme di collaborazione organiche, cioè non limitate a casi sporadici, attraverso un intervento normativo coordinato delle regioni, nell'esercizio della competenza concorrente in materia di valorizzazione. Tanto più che il costo (imprevisto) di un grande restauro determinato da calamità o incendio è di molto superiore a quanto sarebbe necessario investire per assicurarne la prevenzione (programmabile) o almeno per ridurne gli effetti con adeguati interventi, che potranno in futuro creare anche nuova occupazione giovanile qualificata.

L'attività dei volontari andrebbe destinata prioritariamente a colmare le lacune del sistema nazionale di protezione civile, per la salvaguardia (preventiva) [57] e la messa in sicurezza del patrimonio culturale nelle situazioni di rischio: compito che, salvo poche meritorie eccezioni, raramente è stato assicurato in modo adeguato nelle passate e recenti occasioni di alluvioni, terremoti e altre calamità naturali, ed anche di grandi incendi. Dove necessario, soprattutto nei piccoli comuni, i volontari possono essere poi impiegati anche per le attività quotidiane di gestione, promozione e valorizzazione dei beni culturali locali, l'accoglienza dei visitatori, la sorveglianza delle strutture [58], l'allestimento di mostre temporanee, ma soprattutto nelle attività di prevenzione e manutenzione finalizzate alla sicurezza degli edifici storici e artistici di cui al decreto ministeriale 20 maggio 1992, n. 569: attività di schedatura, predisposizione di piani di emergenza, prevenzione e sgombero (art. 11), spostamento delle opere e trasporto in sicurezza con adeguati imballaggi, individuazione e gestione di idonei depositi d'emergenza, predisposizione della cartografia dei beni culturali del territorio, controllo periodico dei sistemi antifurto e di monitoraggio microclimatico, ed ogni altra azione comunque intesa a conformare l'organizzazione alle disposizioni dell'art. 10 in materia di responsabilità [59].

Si deve tuttavia rilevare che il legislatore, nel modificare una e una sola parola (dando per scontato che sia stato fatto a ragion veduta) rispetto al precedente Testo Unico dei beni culturali e ambientali, decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 [60], ha circoscritto tale possibilità di formale convenzionamento alle sole associazioni che si occupano di promozione della cultura, non attribuendo più rilievo alla funzione di salvaguardia definita dalle già richiamate norme internazionali. Ciò nonostante, appare auspicabile che si conferisca ai responsabili delle organizzazioni di volontariato culturale un ruolo più istituzionale, strutturandone e regolandone in modo formale, a livello locale e nazionale, i rapporti con la mano pubblica [61]. A tal fine è possibile recuperare "a legislazione invariata" proprio la già ricordata qualifica di ispettore onorario, che conferirebbe maggiore concretezza e operatività alle significative modifiche operate al nono comma dell'art. 112 del Codice, secondo cui oggi per stipulare accordi con gli enti pubblici, le associazioni culturali o di volontariato devono essere "dotate di adeguati requisiti" [62], clausola che per Barbati "nella sua polivalenza sembra rinviare alle condizioni poste dalle normative speciali, ad esse dedicate" [63].

La procedura di attribuzione della qualifica, in passato demandata alla quasi totale discrezionalità del soprintendente competente [64], potrebbe a tal fine essere integrata da norme regionali in materia di formazione e accreditamento. Gli artt. 47-52 della legge 386/1907 possono così essere ripensati e attualizzati, attribuendo la qualifica (che sarebbe onoraria in quanto sostanzialmente gratuita e non già in senso "onorifico") [65] solo a coloro che svolgono effettivamente, in modo continuativo e qualificato, un ruolo di pubblico interesse per la salvaguardia del patrimonio locale; per questo non occorre modificare le ormai secolari norme che impongono agli ispettori onorari di coadiuvare alla tutela vigilando, dando notizia alla soprintendenza competente e, se del caso, promuovendo i primi provvedimenti di salvaguardia; il personale ministeriale e regionale incaricato della tutela, come pure i direttori o responsabili delle istituzioni culturali locali [66], potrebbero così avvalersi del supporto di operatori qualificati, riducendo nel contempo i possibili conflitti di competenza.

Si potrebbero dunque responsabilizzare in questo modo i responsabili delle organizzazioni di volontariato, che sarebbero così pienamente legittimati a svolgere funzioni di supporto alla tutela, specialmente nelle zone periferiche rispetto alle sedi delle Soprintendenze, dove la cronica scarsità di personale e mezzi degli uffici di tutela rende ostico il controllo sistematico di musei, monumenti e siti minori, esposti a abusi, degrado, atti vandalici o di saccheggio.

Volendo prendere alla lettera la legge 77/2006, questo sistema si potrebbe dapprima sperimentare con riferimento alla protezione dei 47 siti italiani patrimonio dell'umanità, cui l'ordinamento attribuisce già oggi (almeno sulla carta) una "priorità di intervento qualora siano oggetto di finanziamenti" (art. 2), che viene ulteriormente specificata proprio nel senso che ci interessa, in quanto "ai fini di una gestione compatibile dei siti italiani Unesco e di un corretto rapporto tra flussi turistici e servizi culturali offerti, sono previsti interventi volti (...) alla predisposizione di servizi di (...) sicurezza" (art. 4, lett. b) [67].

Si potrebbe persino riprodurre [68], nel settore dei beni culturali e paesaggistici, il sistema normativo e amministrativo già adottato con successo per i servizi di soccorso sanitario d'urgenza "118" [69]; dall'omologo sistema elvetico, strutturato su un modello più simile al Servizio civile nazionale, si potrebbero invece mutuare le modalità di effettuazione di esercitazioni periodiche (peraltro previste dall'art. 30 del II Protocollo), ed anche il sistema di organizzazione delle sedi e dei depositi attrezzati.

Infine, non appare improprio immaginare che alle Ong così accreditate venga riconosciuta ex lege la legittimazione a rappresentare in sede procedimentale e giurisdizionale i diritti e gli interessi culturali (collettivi e diffusi) della relativa comunità, locale o nazionale: d'altronde il loro operato si conforma ai principi costituzionali di garanzia dei diritti inviolabili dell'uomo e adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà sociale di cui all'art. 2 Cost., ed anche - per tornare allo jus gentium da cui eravamo partiti - della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, quando afferma il diritto a partecipare allo sviluppo culturale (art. 27, comma 1) [70], cui fa eco la Convenzione sulla protezione e promozione della diversità delle espressioni culturali, del 2005, che definisce "fondamentale" il diritto degli individui e dei popoli di partecipare alla cultura (art. 2, comma 5), in quanto "rappresenta un settore essenziale dello sviluppo" [71]: una ragione in più per coinvolgere in tutti i procedimenti e nelle diverse attività pubbliche di tutela, valorizzazione e gestione, quella che non a caso è definita la "società civile".

 

Note

[1] Circ. Prot. n. 1580 in data 17 febbraio 2012.

[2] I nodi principali della rete vengono individuati, dalla stessa circolare, nelle direzioni regionali, mentre "gli Istituti da esse dipendenti" ne costituiranno i "nodi derivati"; la rete dovrebbe essere intesa a condividere "processi organizzati che trasferiscano a livello territoriale codici e protocolli definiti unitariamente, con una particolare attenzione ai protocolli di comunicazione".

[3] Il Segretario generale ha specificato di essere stata "sollecitata dal Signor ministro" a procedere anche nella direzione della formalizzazione dei rapporti di vertice con il ministero degli Interni (VdF), e la Protezione civile, definendo inoltre un possibile ruolo del Comando tutela patrimonio culturale dei Carabinieri.

[4] Sull'applicazione del principio di sussidiarietà operata dalla legge15 marzo 1997, n. 59 cfr. G. Sciullo, Beni culturali e principi della delega, in Aedon, n. 1/1998, pag. 2.

[5] Cfr. E. Greppi, Organizzazione internazionale e protezione dei beni culturali, in La protezione dei beni culturali nei conflitti armati e nelle calamità naturali, a cura di M. Carcione, A. Marcheggiano, Milano, 1997, pagg. 163-187; sui rapporti tra ordinamento internazionale e nazionale in ambito culturale, si vedano i recenti L. Casini, La globalizzazione dei beni culturali, Bologna, 2010; L. Zagato, Lezioni di diritto internazionale ed europeo del patrimonio culturale, Venezia, 2011.

[6] Tale estensione ha costituito il presupposto del convegno organizzato presso la facoltà di Giurisprudenza di Alessandria, coordinato da E. Greppi, con contributi di M. Frigo, L. Marchetti, F. Maniscalco, R. Conforti ed altri; gli atti sono stati pubblicati in M. Carcione, A. Marcheggiano (a cura di), op. cit.. Sul tema si rinvia a M. Brocca, La protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato, in Aedon, n. 3/2001, pag. 9 e alla bibliografia ivi citata, cui occorre aggiungere almeno i più recenti P. Benvenuti, R. Sapienza (a cura di), La tutela internazionale dei beni culturali nei conflitti armati, Milano, 2007, pagg. 75-102; L. Zagato, La protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato all'alba del secondo protocollo del 1999, Torino, 2007.

[7] Cfr. L. Ciancabilla (a cura di), Bologna in guerra. La città, i monumenti, i rifugi antiaerei, (Atti del convegno Proteggere l'arte, proteggere le persone, Bologna, 23-24 novembre 2007), Bologna, 2010.

[8] La Convenzione è stata ratificata con legge 7 febbraio 1958, n. 279.

[9] L'unica significativa eccezione è costituita dal convegno internazionale promosso a Firenze nel novembre 1984 dall'International institute of humanitarian law (Iihl), con il patrocinio dell'Unesco: gli atti, che contengono interessanti saggi in materia di norme nazionali di G. Rolla e V. Cerulli Irelli (pagg. 236 ss.), sono pubblicati in La protezione internazionale dei beni culturali, Roma 1986.

[10] Secondo la Convenzione di Parigi del 1972 (art. 11, comma 4), sono considerati "patrimonio a rischio" anche i beni culturali "minacciati di gravi e precisi pericoli, come minaccia di sparizione dovuta a degradazione accelerata, progetti di grandi lavori pubblici o privati, rapido sviluppo urbano e turistico, distruzione dovuta a cambiamenti d'utilizzazione o di proprietà terriera, alterazioni profonde dovute a causa ignota, abbandono per ragioni qualsiasi (...)".

[11] Si veda il sito: www.ancbs.org; l'Icbs aveva tenuto proprio in Italia il suo primo congresso mondiale (Torino, 23-24 luglio 2004), al cui termine era stata approvata e diffusa a livello mondiale la Torino Declaration, ora tradotta e pubblicata in L. Ciancabilla, op. cit., pag. 134; cfr. anche L. Zagato, La protezione dei beni culturali, cit., pagg. 228-236.

[12] M. Brocca, op. cit., pag. 9; R. Sapienza, I meccanismi e strumenti per l'esecuzione delle Convenzioni sulla tutela dei beni culturali e il ruolo dell'Unesco, in P. Benvenuti, R. Sapienza, op. cit., pagg. 185-196. Il Comitato, dopo avere dedicato la prime sessioni alla redazione e approvazione del regolamento e delle Guidelines, ha avviato dal 2010 la propria attività, intesa in particolare a costituire una nuova Lista di beni meritevoli di protezione rafforzata (enhanced protection) anche in caso di conflitto. Nel dicembre 2009 si è tenuto presso l'Iihl, patrocinato dall'Unesco e dai ministeri dei Beni culturali e degli Affari Esteri, un High level meeting of experts presieduto da F.Pocar e coordinato da M.Carcione ed E.Greppi, al quale hanno partecipato componenti del Comitato per la protezione dei beni culturali, esponenti del Cicr e di diverse Ong del settore.

[13] Secondo la Convenzione (art. 17), gli Stati "prevedono o promuovono l'istituzione di (...) associazioni nazionali pubbliche e private intese a incoraggiare le liberalità in favore della protezione del patrimonio culturale e naturale (...)"; cfr. M. Carcione, Gestione dei siti culturali, patrimonio dell'umanità e sussidiarietà, in Annuario Drasd 2010, a cura di R. Balduzzi, Milano, 2010, pagg. 191-235.

[14] L'art. 9 della Convenzione di Parigi del 2003 regola l'accreditamento internazionale di Ong ai fini dell'esercizio di funzioni consultive di "organizzazioni non governative aventi una fondata competenza nel settore del patrimonio culturale immateriale"; a livello nazionale l'art. 15 richiede allo Stato di "garantire la più ampia partecipazione di comunità, gruppi e, ove appropriato, individui che creano, mantengono e trasmettono tale patrimonio culturale, al fine di coinvolgerli attivamente nella sua gestione", il che non dovrebbe precludere il coinvolgimento delle associazioni nazionali, una volta conseguito il riconoscimento ex art. 9.

[15] Convenzione dell'Aja del 1954, art. 3; cfr. E. Greppi, La protezione generale dei beni culturali nei conflitti armati dalla Convenzione dell'Aja al Protocollo del 1999, in P. Benvenuti, R. Sapienza, op. cit., pagg. 75-102.

[16] Brocca, op. cit., pag. 9; dall'art. 5 del II Protocollo del 1999 emerge che tale elenco di misure preventive, che possono essere prese "se ritenuto opportuno" sin dal tempo di pace a livello nazionale, è esemplificativo e può essere integrato; in tal senso va il punto 27 delle Guidelines, integrato dal Comitato (rispetto al testo inizialmente predisposto dal Segretariato dell'Unesco) a seguito dell'emendamento presentato dall'estensore delle presenti note, in veste di head of delegation dell'Icomos, e sostenuto dalla delegazione Usa.

[17] Cfr. www.icrc.org; cfr. M.T. Dutli (a cura di), Protection des biens culturels en cas de conflit armé. Rapport d'une réunion d'experts (2000), Genève, Comité International de la Croix Rouge, 2001, pagg. 139 ss.

[18] Sul problematico utilizzo di questo poco conosciuto emblema internazionale rimando a Il simbolo di protezione del patrimonio culturale: una lacuna del Protocollo del 1999, in Uno scudo blu per la salvaguardia del patrimonio mondiale, a cura di M. Carcione, Milano, 1999, pag. 121 ss.; cfr. Brocca, op. cit., pag. 9.

[19] Enunciati e formalizzati nella c.d. Carta di Strasburgo, adottata dall'Icbs il 14 aprile 2000: cfr. M. Carcione, Dieci anni di Scudo Blu (1996-2006): nascita, potenzialità, limiti e criticità della 'Croce Rossa' dei Beni culturali, in Web Journal of Cultural Patrimony, n. 2/2006, pagg. 135-172.

[20] Alle riunioni, svoltesi presso i ministeri degli Affari esteri, dei Beni culturali e presso la Commissione nazionale italiana Unesco, avevano assistito funzionari degli stessi dicasteri e dei Comandi tutela beni culturali dei Carabinieri e della Guardia di Finanza, oltre a rappresentanti dell'Unidroit, dell'Iihl, della Sioi e della Ficlu; cfr: www.unesco.it/cni/index.php/scudo-blu.

[21] Brocca, op. cit., pag. 12, evidenzia che lo Scudo blu avrebbe dovuto "proporsi come autorevole referente internazionale sia nelle situazioni belliche che nelle calamità", essendosi posto l'obiettivo di "promuovere, in modo autonomo o per conto dello Stato, iniziative volte a garantire il rispetto e la salvaguardia del patrimonio culturale nazionale, ivi comprese quelle previste dalla convenzione e dai protocolli" dell'Aja.

[22] Pur trattandosi di strumenti formalmente finalizzati alla protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato, l'estensione a tutte le situazioni di rischio vale per la realizzazione delle misure di salvaguardia, esplicitamente previste dall'art. 5 come da realizzarsi "sin dal tempo di pace": cfr. L. Zagato, La protezione dei beni culturali, cit., pag. 35 ss.

[23] Su tutta la questione mi permetto di rimandare all'ampia disamina presentata in M. Carcione, Nuove prospettive dopo l'attuazione del II Protocollo de L'Aja, in L. Ciancabilla, op. cit., pag. 127-131.

[24] Cfr. R. Bellelli, L'attuazione degli obblighi previsti dal Secondo Protocollo del 1999 nella legislazione italiana, in P. Benvenuti, R. Sapienza, op. cit., pagg. 325-332. Si potrebbe prendere ad esempio proprio la legge che da decenni regola i rapporti tra lo Stato e la Cri in quanto emanazione nazionale di un Ong internazionale riconosciuta dalle Convenzioni di Ginevra del 1949, attualmente oggetto di revisione e riforma in ottemperanza della delega ex art. 2 della legge 4 novembre 2010, n. 183.

[25] Al momento della pubblicazione non è ancora disponibile la traduzione ufficiale in italiano delle Guidelines.

[26] Vengono individuate quali possibili attività svolte dalle Ong, in particolare, "the national implementation, awareness-raising and dissemination of the Second Protocol both within target groups and the general public, offering technical advice related to safeguarding of cultural property": cfr. Guidelines for the Implementation of the 1999 Second Protocol to the Hague Convention of 1954 for the Protection of Cultural Property in the Event of Armed Conflict, CLT-09/CONF/219/3, Unesco, Paris, 2009; cfr. la pagina "Protection of Cultural Property in the Event of Armed Conflict" del sito: http://portal.unesco.org/culture.

[27] Il punto 28 delle Guidelines prevede, a tal fine, che "The Committee encourages the Parties to cooperate both at international and national level with the competent non-governmental organisations as well as to exchange information on national safeguarding policies and practices".

[28] Emanato in attuazione della legge 16 maggio 1970, n. 281 recante Provvedimenti finanziari per l'attuazione delle Regioni a statuto ordinario.

[29] In attuazione della legge 59/1997: cfr. M. Cammelli, Il decentramento difficile e N. Gazzeri, A proposito del d.lg. 112/1998: e il volontariato organizzato?, entrambi in Aedon, n. 1/1998.

[30] Art. 34 ss. del Testo Unico dei beni culturali e ambientali, d.lg. n. 490/1999.

[31] Andavano già in questo senso le note di commento al d.p.r. 616/77 e alle successive norme di recepimento e riordino delle competenze di G.Rolla, Tutela e valorizzazione dei beni culturali tra Stato centrale e autonomie regionali, in La protezione internazionale, cit., pagg. 234-236.

[32] Cfr. la legge 19 aprile 1990, n. 84 recante Piano organico di inventariazione, catalogazione ed elaborazione della carta del rischio dei beni culturali, la cui attuazione non risulta ad oggi essere stata ancora completata: cfr. G. Volpe, Manuale di diritto dei beni culturali. Storia e attualità, Padova, 2007, pag. 175.

[33] Mentre il Codice specifica che "gli interventi di manutenzione e restauro (...) sono eseguiti in via esclusiva da coloro che sono restauratori" (comma 6 dell'art. 29), nulla si dice in materia di prevenzione. Spetta al ministero definire le linee di indirizzo, le norme tecniche, i criteri e i modelli di intervento in materia, con il concorso delle regioni e con la collaborazione delle università e degli istituti di ricerca competenti (comma 5): dunque occorre una regolamentazione a livello nazionale e regionale, per consentire l'attuazione dei "modelli di intervento".

[34] M.P. Chiti, La nuova nozione di "beni culturali" nel d.lg. 112/1998: prime note esegetiche, in Aedon, n. 1/1998, pag. 5. Sui rapporti tra la funzione di tutela e i compiti di protezione cfr. G. Sciullo, Beni culturali e principi della delega, cit., pag. 3; M. Cammelli, Il decentramento difficile, cit., pagg. 3-4, tuttavia non cita espressamente la sicurezza tra i compiti "ritenuti comunque da assicurare al livello centrale", ricordando condivisibilmente che la tutela "è consegnata dall'art. 9 Cost. non allo Stato ma, come si sa, alla Repubblica".

[35] Approvati con il decreto ministeriale del 10 maggio 2001 Atto di indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei. Per D. Jallà, Il d.lg. 112/1998: un'occasione (per tutti), in Aedon, n. 1/1998, "i termini chiave su cui riflettere ed elaborare non sono tanto trasferimento e proprietà quanto autonomia e controllo, compartecipazione e integrazione di sistemi"; cfr. anche G. Volpe, op. cit., pagg. 318-321; D. Jallà, Il museo contemporaneo, Torino, 2000, pagg. 166-178; G. Marchi, Criteri e standard per la gestione dei musei, in Aedon, n. 1/2001.

[36] Nel Codice il termine salvaguardia è invece presente nella parte dedicata ai beni pesaggistici, con la sola eccezione del nuovo art. 7-bis, consacrato alla Convenzione Unesco per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale.

[37] Cfr. A. Crosetti, D. Vaiano, Beni culturali e paesaggistici, Torino, 2009, pag. 17.

[38] A. Pizzorusso, Diritto della cultura e principi costituzionali, in Quaderni costituzionali, 2000, pag. 331; con riferimento alla titolarità dei controlli: A. Crosetti, D. Vaiano, op. cit., pag. 125; G. Volpe, op. cit., pagg. 197-198.

[39] Comma modificato dal decreto legislativo 26 marzo 2008, n. 62.

[40] Consiglio di Stato, Sez. Cons. per gli Atti Norm., parere n. 1354/02: cfr. G. Volpe, op. cit., pagg. 383-384.

[41] Art. 112, comma 9.

[42] G. Clemente di San Luca, Volontariato e non-profit sector nel quadro del sistema giuridico-istituzionale italiano con specifico riguardo al settore culturale, in Regione e governo locale, n. 6/1995, pagg. 1003 ss.

[43] Le pro-loco sono citate, ai fini della valorizzazione del "ruolo delle comunità locali, nelle loro diverse ed autonome espressioni culturali ed associative" all'art. 1, comma 2, lett. g) della legge 29 marzo 2011, n. 135; le attività sono regolate a livello regionale, ad es. in Piemonte con la legge regionale 7 aprile 2000, n. 36, Riconoscimento e valorizzazione delle associazioni pro loco, che all'art. 2 attribuisce loro il compito di: "a) svolgere una fattiva opera per (...) tutelare le bellezze naturali, nonché a valorizzare il patrimonio culturale, storico-monumentale ed ambientale; b) promuovere ed organizzare, anche in collaborazione con gli enti pubblici e/o privati, azioni di (...) recupero ambientale, restauro e gestione di monumenti (...)".

[44] In materia di esercizio delle professioni turistiche, cfr l'art. 7 della l.135/2001 e le relative norme regionali di attuazione.

[45] Appare superflua la norma della legge 7 marzo 2001, n. 78, sui luoghi della Prima guerra mondiale, per la quale "lo Stato e le regioni possono avvalersi di associazioni di volontariato, combattentistiche o d'arma".

[46] Sulle convenzioni come strumento di gestione di funzioni di particolare valore sociale, cfr. F. Dalla Mura, Le convenzioni tra volontariato ed enti locali, Rapporto di ricerca, Brescia, 2004, pagg. 43-44.

[47] F. Dalla Mura, op. cit., pag. 41.

[48] Oltre al già richiamato art. 112 del Codice, si tenga presente anche l'art. 7 della legge 266/1991, che richiede di svolgere le attività con la necessaria "continuità": F. Dalla Mura, op. cit., pag. 42 ss.

[49] Ibidem, pagg. 53-54, si sottolinea come "se da un lato non può essere esclusa la possibilità che le convenzioni si configurino anche con riferimento ai mezzi (cioè in pratica all'opera dei volontari che l'organizzazione di volontariato metta a disposizione dell'amministrazione), pare evidente che (...) la configurazione delle stesse come obbligazioni di mezzi mal si addice allo strumento utilizzato", dovendosi configurare piuttosto come partecipazione a responsabilità circa il raggiungimento del risultato posto da convenzione e statuto.

[50] Ibidem, pagg. 49 e 53-54; è possibile il recesso, per ragioni di pubblico interesse (art. 1487 Codice Civile), dell'amministrazione la quale se "potrebbe far pensare a una situazione di preoccupante instabilità nel rapporto, va invece colta nel suo valore positivo quale opportunità di porre in essere una sorta di co-progettualità permanente", che consente di "plasmare nel tempo i contenuti convenzionali al fine di adeguarli dinamicamente all'evolversi dei bisogni ed alla luce delle esperienze maturate". Sulle convenzioni cfr. L. Zanetti, La valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica (art. 112), in Aedon, n. 1/2004.

[51] F. Dalla Mura, op. cit., pag. 67 ss.

[52] Ibidem, pag. 47; anche se il ricorso alle convenzioni plurilaterali è tuttora "scarsissimo", paradossalmente, proprio in ragione della "spiccata tendenza all'individualismo delle organizzazioni di volontariato".

[53] Cfr. M.Carcione, Per una definizione dei diritti culturali garantiti dall'ordinamento italiano, in R. Balduzzi (a cura di), Annuario DRASD 2011, Milano, 2011, pagg. 305-333.

[54] F. Dalla Mura, op. cit., pag. 42.

[55] Il Codice (art. 103, comma 2) specifica il principio per a biblioteche e archivi; per i musei l'Icom raccomanda tuttavia l'adozione di politiche tariffarie (riduzioni o gratuità a favore di studenti o docenti, bambini o anziani, giornate di libero accesso) finalizzate a promuovere l'accesso anche per le categorie disagiate.

[56] Ben pochi istituti o siti culturali vantano un alto numero di visitatori paganti e delle connesse risorse finanziarie; parimenti si può dire per le istituzioni che possono remunerare in modo significativo i propri direttori o curatori, mentre le altre possono offrire a chi presta la propria opera intellettuale e materiale solo forme differenti, ma ugualmente rilevanti, di gratificazione.

[57] Il Codice sembra escludere la possibilità di stipulare convenzioni con le associazioni (peraltro rare) che si occupano statutariamente di salvaguardia; tale orientamento appare in contrasto con l'intesa stipulata nel 2007 dal ministero a livello nazionale con Legambiente Onlus, per la formazione e l'utilizzo di squadre qualificate di protezione civile dei beni culturali.

[58] Non di rado il volontariato viene ancora considerato come manovalanza gratuita, anche quando è elevato al rango di "capitale umano" di una fondazione, come sembrerebbe prospettare E. Bellezza, Le fondazioni di partecipazione quali modelli di gestione dei musei, in Governare il museo. Differenti soluzioni istituzionali e gestionali, a cura di B. Sibilio Parri, Milano, 2004, pagg. 135-158.

[59] D.m. 569/1992, art. 10 (Gestione della sicurezza), comma 1: "Il soggetto che, a qualsiasi titolo, ha la disponibilità di un edificio disciplinato dal presente regolamento, deve nominare il responsabile delle attività svolte al suo interno (direttore del museo) e il responsabile tecnico addetto alla sicurezza. 2. Il responsabile dell'attività è, comunque, tenuto a verificare il rispetto della normativa sulla sicurezza dei locali"; si veda anche, per quanto concerne biblioteche e archivi, il decreto del Presidente della Repubblica n. 418/1995.

[60] L'art. 105 "Accordi per la promozione della fruizione" del Testo Unico, riprendendo l'art. 8 della legge 8 ottobre 1997, n. 352 prevedeva già la possibilità di "stipulare apposite convenzioni con le associazioni di volontariato che svolgono attività per la salvaguardia e la diffusione della conoscenza dei beni culturali", specificando che il fine del legislatore è "promuovere e sviluppare la fruizione dei beni culturali". Il testo sembrava offrire tale possibilità alle associazioni attive nella "salvaguardia" e "diffusione della conoscenza", attività tipiche delle associazioni di promozione culturale, mentre il riferimento a tutela e valorizzazione era lasciato alla formula preliminare.

[61] Una recente iniziativa di coordinamento delle organizzazioni internazionali del settore è stata avviata il 23 aprile scorso dalla Sioi, che ha istituito un Comitato (presieduto dal prof. Umberto Leanza, il quale aveva rappresentato l'Italia alla Conferenza dell'Aja del 1999) la cui attività non è tuttavia ispirata al II Protocollo.

[62] Il comma è stato modificato dapprima dal decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 156, e poi dall'articolo 2 del d.lg. 62/2008; il testo risultante (al momento) è il seguente: "Ulteriori accordi possono essere stipulati dal Ministero, dalle regioni, dagli altri enti pubblici territoriali, da ogni altro ente pubblico nonché dai soggetti costituiti ai sensi del comma 5, con le associazioni culturali o di volontariato, dotate di adeguati requisiti, che abbiano per statuto finalità di promozione e diffusione della conoscenza dei beni culturali".

[63] C. Barbati, La valorizzazione, in Aedon, n. 3/2008.

[64] Per l'art. 48 della legge 386/1907, il soprintendente esercita tale potere se e quando gli "parrà opportuno".

[65] Le modalità di accreditamento (esame, albo, verifiche periodiche, ecc.) dovrebbero essere regolate a livello regionale, mentre come programma-tipo per i corsi abilitanti, definito di concerto tra il ministero e il dipartimento della Protezione civile, potrebbe essere quello già sperimentato da Legambiente.

[66] La qualifica di Ispettore onorario andrebbe attribuita anche ai responsabili di musei, biblioteche, archivi e istituzioni culturali locali; nelle situazioni di calamità, essi potrebbero così garantire il riferimento e il supporto operativo diretto, incardinato a livello locale, del personale territoriale delle soprintendenze.

[67] Strettamente correlata e funzionale alle norme citate è l'art. 3 della stessa legge: "Per assicurare la conservazione dei siti italiani Unesco e creare le condizioni per la loro valorizzazione sono approvati appositi piani di gestione"; per gli aspetti di tutela e conservazione, nonché di competenza amministrativa dei pieni di gestione, cfr. A. Cassatella, Tutela e conservazione dei beni culturali nei Piani di gestione Unesco: i casi di Vicenza e Verona, in Aedon, n. 1/2011; si veda anche M. Carcione, Gestione dei siti culturali, cit.

[68] L'ipotesi era stata presentata al Convegno Il volontariato per la cultura, promosso e coordinato da Vera Negri Zamagni (Regione Emilia Romagna-IBC, Bologna, 31 maggio 2002), i cui atti non sono stati pubblicati; cfr. M. Carcione, I crediti del volontariato, in IBC, n. 1, gennaio-marzo 2002, pagg. 48-52.

[69] Si è già ipotizzata l'istituzione di un numero telefonico nazionale per la segnalazione all'autorità di rischi a danno dei beni culturali pubblici e privati. Per il volontariato socio-assistenziale il sistema è strutturato, nel rispetto dell'attività pubblica di pianificazione, coordinamento e controllo (ex d.p.r. 27 marzo 1992), sulla base di convenzioni tra le Aziende sanitarie e le organizzazioni di volontariato (non necessariamente tutte), tramite un meccanismo selettivo di formazione e accreditamento dei volontari, formati e abilitati a svolgere servizi di livello professionale. l'accreditamento regionale è attribuito ai soli volontari riconosciuti idonei a svolgere funzioni di supporto al personale medico; cfr: www.salute.gov.it/ProntoSoccorso118.

[70] Tale diritto è ribadito all'art. 15, comma 1, lett. a) e b) del Patto Onu sui Diritti economici, sociali e culturali del 1966, ratificato il 15 settembre 1978, a seguito della legge 25 ottobre 1977, n. 881; Aa.Vv., I diritti economici, sociali e culturali nella prospettiva di un nuovo stato sociale Padova, 1990.

[71] Un riferimento alla partecipazione alla vita culturale è altresì presente nella c.d. Dichiarazione di Friburgo (art. 5.b), redatta nel 2007 da un gruppo di esperti dell'Istituto interdisciplinare di etica e dei diritti dell'Uomo, in seguito rimaneggiata a un vasto dibattito e proposta all'attenzione della comunità internazionale: cfr. P. Meyer-Bisch (a cura di), Les droits culturels. Unesco, Paris-Freiburg, 1998. In tema di partecipazione si veda anche il richiamo al Rapporto del Consiglio d'Europa sulle politiche culturali in Italia (Strasburgo, 1995) fatto da N. Gazzeri, A proposito del d.lg. 112/1998: e il volontariato organizzato?, cit.

 



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