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La nuova Intesa con la Conferenza episcopale italiana sui beni culturali d'interesse religioso

di Alberto Roccella

Sommario: 1. I beni culturali d'interesse religioso. Nascita e consolidamento della categoria. - 2. L'Intesa del 26 gennaio 2005. Gli aspetti della precedente Intesa confermati e gli adeguamenti alle recenti riforme. - 3. Le novità introdotte dall'Intesa del 2005.

1. I beni culturali d'interesse religioso. Nascita e consolidamento della categoria

Sono trascorsi oltre vent'anni dall'Accordo di modificazione del Concordato del 1929 [1] e sono ormai numerosi gli studi dedicati al tema dei beni culturali d'interesse religioso della Chiesa cattolica. In questi studi sono state analizzate le disposizioni dedicate dall'Accordo ai beni culturali (art. 12) ed è stato indagato il seguito che quelle disposizioni hanno avuto, sia con ulteriori accordi fra le parti, sia nella legislazione unilaterale dello Stato e delle regioni [2]. In effetti l'Accordo di modificazione del Concordato ha fatto emergere una speciale categoria di beni culturali di grandissima rilevanza sia quantitativa sia qualitativa, quella appunto dei beni culturali d'interesse religioso. Questa categoria è stata poi ripresa dal Testo Unico dei beni culturali del 1999 [3] e si è consolidata nell'ordinamento con una disciplina così ricca e variegata da indurre un centro di studi, il Cesen [4], a raccoglierla e pubblicarla in un codice di oltre novecento pagine; ma, per non appesantire oltremodo i costi di stampa, è stato necessario rinviare una parte rilevante di testi a un compact disc allegato [5]. Da ultimo la categoria è stata confermata dal Codice dei beni culturali e del paesaggio [6].

Gli aspetti essenziali della disciplina dei beni culturali d'interesse religioso contenuta nell'Accordo di modificazione del Concordato possono essere ricostruiti in modo univoco.

Diversamente da una delle bozze predisposte nel corso della lunga trattativa per la revisione del Concordato, il testo finale dell'Accordo non ha creato una nuova res mixta, ma ha confermato il principio tradizionale che i beni degli enti della Chiesa cattolica sono soggetti alla legislazione civile sulla tutela del patrimonio culturale. Non vi è quindi alcun obbligo di concordare con la Chiesa la disciplina normativa di tutela del patrimonio culturale di sua pertinenza, il quale rimane integralmente soggetto alla legislazione unilaterale dello Stato. Questo punto peraltro non ha mai costituito oggetto di controversia. Anzi, già dal 1974, ben prima quindi della revisione del concordato, la stessa Chiesa italiana aveva formalmente riconosciuto la doverosità dell'osservanza della legislazione predisposta da parte civile a favore e a tutela del patrimonio culturale [7].

La Santa Sede e la Repubblica italiana si sono tuttavia impegnate a collaborare, nel rispettivo ordine, per la tutela del patrimonio storico e artistico [8]. Questo impegno costituisce sviluppo e attuazione dell'art. 1 dell'Accordo con il quale è stato riaffermato il principio costituzionale secondo cui lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani e le parti si sono impegnate non solo al pieno rispetto di tale principio nei loro rapporti ma altresì alla reciproca collaborazione per la promozione dell'uomo ed il bene del paese [9].

L'Accordo ha inoltre previsto che, al fine di armonizzare l'applicazione della legge italiana con le esigenze di carattere religioso, gli organi competenti delle due parti avrebbero concordato opportune disposizioni per la salvaguardia, la valorizzazione e il godimento dei beni culturali d'interesse religioso appartenenti ad enti e istituzioni ecclesiastiche [10]. In tal modo è stato confermato che lo Stato non ha rinunciato alla tutela del patrimonio storico e artistico degli enti ecclesiastici: le disposizioni concordate sono state previste con carattere essenzialmente applicativo, e al più attuativo, della legge italiana, al fine di armonizzarla con le esigenze di interesse religioso [11].

Infine l'Accordo ha previsto che la conservazione e la consultazione degli archivi d'interesse storico e delle biblioteche degli enti e istituzioni ecclesiastiche siano favorite e agevolate sulla base di intese tra i competenti organi delle due parti [12].

A queste disposizioni dell'Accordo hanno fatto seguito una prima Intesa, di carattere generale, all'inizio della XIII legislatura, nel 1996 [13], e una seconda Intesa, specifica per archivi e biblioteche, nel 2000 [14]. Entrambe le Intese sono state stipulate per l'Italia dal ministro competente per materia, previa autorizzazione del Consiglio dei ministri, e per la controparte dal presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei) [15]; esse sono state introdotte nell'ordinamento italiano attraverso un decreto del presidente della Repubblica recante un ordine di esecuzione [16].

Le due Intese erano abbastanza diverse tra loro. La prima Intesa, infatti, riguardava essenzialmente le forme della collaborazione tra le parti e il suo senso consisteva nel rispetto della struttura organizzativa di ciascuna di esse. I soggetti della collaborazione erano individuati, a livello centrale, nel ministro per i Beni culturali e nel presidente della Conferenza episcopale italiana (o loro delegati), mentre a livello locale erano individuati nei soprintendenti e nei vescovi diocesani (o loro delegati).

L'Intesa ha previsto che gli organi ministeriali invitassero ad apposite riunioni i corrispondenti organi ecclesiastici per definire i programmi o le proposte di programmi pluriennali e annuali di intervento per i beni culturali e i relativi piani di spesa e per ricevere informazioni dagli organi ecclesiastici circa gli interventi che questi ultimi a loro volta intendevano intraprendere. Inoltre il vescovo diocesano avrebbe dovuto presentare ai soprintendenti, valutandone congruità e priorità, le richieste di intervento di restauro, di conservazione o quelle di autorizzazione concernenti beni culturali di proprietà di enti soggetti alla sua giurisdizione, in particolare appunto ai fini della definizione dei programmi pluriennali e annuali di intervento. Anche le richieste presentate dagli istituti di vita consacrata e dalle società di vita apostolica sarebbero state inoltrate ai soprintendenti per il tramite del vescovo diocesano territorialmente competente. Infine, le richieste di intervento riguardanti i beni librari sarebbero state presentate, per il tramite del vescovo diocesano, all'ufficio centrale competente del ministero.

Secondo l'Intesa, dunque, la collaborazione dello Stato con la Chiesa per la tutela dei beni culturali ecclesiastici concerneva essenzialmente i programmi degli interventi e si sarebbe svolta in forma organizzata e coordinata per il tramite dei vescovi diocesani.

L'art. 6 dell'Intesa aveva sviluppato inoltre l'art. 8 legge 1° giugno 1939, n. 1089, stabilendo che, a norma appunto di tale disposizione, i provvedimenti amministrativi concernenti i beni culturali appartenenti a enti e istituzioni ecclesiastiche sarebbero stati assunti dal competente organo del ministero per i Beni culturali previa Intesa, per quel che concerne le esigenze di culto, con l'ordinario diocesano competente per territorio e sarebbero stati comunicati ai titolari dei beni per il tramite dell'ordinario stesso.

La seconda Intesa, su archivi e biblioteche, ha potuto giovarsi di un lavoro preparatorio certamente molto più lungo e accurato. Essa si è differenziata dalla prima Intesa non soltanto per i suoi oggetti, circoscritti e definiti, ma anche per l'affermazione di alcuni princìpi generali di azione sui quali le parti hanno concordato e per il suo carattere spiccatamente operativo, giacché ha regolato le forme della programmazione comune degli interventi e ha anche definito un programma di interventi con carattere prioritario.

2. L'Intesa del 26 gennaio 2005. Gli aspetti della precedente Intesa confermati e gli adeguamenti alle recenti riforme

Negli ultimi anni la disciplina dei beni culturali nell'ordinamento italiano è stata investita da una pluralità di riforme, che hanno toccato il ruolo delle regioni (sul piano della legislazione, sia ordinaria [17] sia costituzionale [18]), la struttura e l'organizzazione del ministero (con due successivi riordinamenti) [19], la disciplina sostanziale (col Testo Unico del 1999 e poi col Codice dei beni culturali e del paesaggio del 2004).

Queste riforme costituiscono lo sfondo sul quale è maturata la nuova Intesa tra ministro per i Beni e le Attività culturali e presidente della Conferenza episcopale italiana, sottoscritta il 26 gennaio 2005. L'Intesa ne dà atto espressamente, se pur parzialmente [20], nelle premesse le quali richiamano la necessità di "tenere conto delle modifiche alla legislazione dello Stato successivamente intervenute e, in particolare, di quanto disposto dal decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, recante il Codice dei beni culturali e del paesaggio, e dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, recante modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione".

I soggetti istituzionali che hanno stipulato la nuova Intesa sono rimasti invariati: si tratta sempre del ministro preposto al ramo di amministrazione statale interessato e del presidente della Conferenza episcopale italiana. Anche questa Intesa, come già le precedenti, è stata resa esecutiva con un decreto del presidente della Repubblica, il d.p.r. 4 febbraio 2005, n. 78 [21]. L'Intesa peraltro trova copertura anche nel Codice dei beni culturali e del paesaggio, secondo cui si osservano le disposizioni stabilite dalle Intese concluse ai sensi dell'art. 12 dell'Accordo di modificazione del Concordato lateranense firmato il 18 febbraio 1984 [22].

L'Intesa del 1996 è stata abrogata e sostituita [23], ma i suoi contenuti sono stati rifusi, sia pure con adattamenti, nella nuova Intesa tanto che è stato possibile redigere una tavola sinottica delle due Intese, utilissima per visualizzare le costanti e le novità [24]. La nuova Intesa, come già quella del 1996, ha carattere generale: essa si applica ai beni culturali mobili e immobili d'interesse religioso appartenenti a enti e istituzioni ecclesiastiche [25]. Resta ferma, per espressa precisazione, l'Intesa del 2000 su archivi e biblioteche, vari aspetti della quale (più oltre indicati) sono stati però ripresi dalla nuova Intesa: le parti hanno così ritenuto di poter attribuire un valore più ampio a una parte dell'Intesa del 2000.

La nuova organizzazione del ministero per i Beni e le Attività culturali si è riflessa nella composizione dell'Osservatorio centrale per i beni culturali di interesse religioso di proprietà ecclesiastica, istituito dall'Intesa del 1996 al fine di verificare con continuità l'attuazione delle forme di collaborazione previste dall'Intesa stessa, di esaminare i problemi di comune interesse e di suggerire orientamenti per il migliore sviluppo della reciproca collaborazione fra le parti. Questo Osservatorio, a composizione paritetica, continua a operare per le stesse finalità, ma l'Intesa del 2005 precisa che i rappresentanti del ministero sono individuati a livello di capi dei dipartimenti [26]: la nuova organizzazione centrale del ministero, fondata su dipartimenti e direzioni generali, ha suggerito l'opportunità di precisare il livello della parte civile per la composizione dell'Osservatorio.

Le altre forme di collaborazione previste dall'Intesa si attuano secondo l'organizzazione ministeriale centrale. L'Intesa stabilisce che a livello centrale sono competenti il ministro e, secondo le rispettive competenze, i capi dei dipartimenti o i direttori generali del ministero [27]. La collaborazione fra le parti non altera, dunque, la ripartizione di ruoli e funzioni tra organo di governo politico e dirigenza stabilita dal decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, né la ripartizione di competenze tra capi dei dipartimenti e dirigenti preposti alle direzioni generali stabilita dal regolamento di organizzazione del ministero [28].

L'Intesa conferma il livello locale di collaborazione, tra i soprintendenti competenti per territorio e per materia e i vescovi diocesani o loro delegati. Essa istituisce però il nuovo livello regionale di collaborazione, investendone i direttori regionali (s'intende secondo le loro competenze) e i presidenti delle Conferenze episcopali regionali o loro delegati [29]. Anche questa innovazione costituisce un adeguamento alla nuova organizzazione amministrativa statale dei beni culturali: il livello regionale di amministrazione, costituito dai soprintendenti regionali e poi dalle direzioni regionali, è stato infatti istituito dopo l'Intesa del 1996 [30].

Anche il nuovo ruolo costituzionale delle regioni ha trovato seguito. L'Intesa del 1996 aveva stabilito che le disposizioni ivi contenute potevano costituire base di riferimento per le eventuali Intese stipulate, nell'esercizio delle rispettive competenze, tra le regioni e gli altri enti autonomi territoriali e gli enti ecclesiastici (art. 8). L'Intesa del 2005 ha invece stabilito che, entro i limiti fissati in materia dalla Costituzione e dai princìpi della legislazione statale, le disposizioni della stessa Intesa costituiscono indirizzi per le eventuali Intese stipulate tra le regioni o le province autonome di Trento e di Bolzano e gli enti ecclesiastici, fatte salve le autorizzazioni richieste dalla normativa canonica (art. 8). Il governo, autorizzando il ministro a firmare l'Intesa, ha così chiarito che, a suo avviso, la potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose [31] non costituisce ostacolo a rapporti di collaborazione tra le regioni e le confessioni religiose, naturalmente nell'ambito delle materie di competenza regionale [32]. Peraltro il richiamo ai princìpi (da intendersi i princìpi fondamentali) della legislazione statale si giustifica in relazione alla nuova potestà legislativa regionale concorrente in materia di valorizzazione dei beni culturali, più che in relazione a intese le quali si traducano in atti amministrativi e riguardino attività amministrative.

A differenza di quanto stabilito nel 1996, sono ora ignorate eventuali intese tra enti autonomi territoriali (diversi dalle regioni) ed enti ecclesiastici. Ma dal silenzio della nuova disposizione non appare lecito trarre alcuna conseguenza, in particolare un divieto. I limiti a queste intese dovranno quindi essere individuati sulla base dei princìpi generali e delle disposizioni di legge riguardanti l'ordinamento e l'attività degli enti locali.

L'Intesa del 2005 ha confermato le disposizioni di quella del 1996 relative alle riunioni tra organi ministeriali ed ecclesiastici per la definizione dei programmi o delle proposte di programmi annuali e pluriennali di interventi [33]. Si è già segnalato, tuttavia, che la possibilità del coordinamento tra Stato e autorità ecclesiastiche per il finanziamento degli interventi sui beni culturali di interesse religioso è molto diminuita dalla concentrazione delle risorse del ministero sugli interventi oggetto di accordi di programma con le regioni [34]. La possibilità del coordinamento è diminuita ancora come conseguenza dell'attivazione di una pluralità di fonti di finanziamento [35]. Di recente, poi, la legge finanziaria per il 2005 ha ulteriormente incrementato questa pluralità di fonti, con un importante stanziamento per la concessione, per il triennio 2005-2007, di contributi statali al finanziamento di interventi diretti, fra l'altro, a tutelare i beni culturali, ma con esclusione del pur minimo ruolo del ministero per i Beni e le Attività culturali [36]. I beneficiari di questi contributi, tra i quali numerosi enti ecclesiastici, sono stati quindi individuati a cura esclusiva del ministero dell'Economia e delle Finanze, salvo un atto di indirizzo concordato dalle commissioni bilancio della Camera dei deputati e del Senato, senza alcun confronto tra le autorità amministrative civili di settore e le autorità ecclesiastiche [37]. Queste modalità di azione, incrementate e prolungate nel tempo con ulteriori stanziamenti [38], non solo precludono il confronto voluto dall'Intesa del 1996 e confermato dall'Intesa del 2005, ma anzi aggravano il problema dell'insufficienza della programmazione di settore, già lucidamente denunciato in dottrina come uno dei difetti del Codice dei beni culturali [39]. Si riduce inoltre il ruolo della Commissione per i beni e le attività culturali, istituita in ogni regione proprio allo scopo di armonizzazione e coordinamento delle iniziative dello Stato, della regione, degli enti locali e di altri possibili soggetti pubblici e privati, Commissione alla quale partecipa anche un membro designato dalla Conferenza episcopale regionale [40].

Risulta confermata anche la disposizione secondo cui gli organi del ministero e quelli ecclesiastici possono accordarsi per realizzare interventi e iniziative che prevedono, in base alla normativa vigente, la partecipazione dello Stato e di enti e istituzioni ecclesiastiche, oltre che eventualmente di altri soggetti [41]. Non ha invece confronti nell'Intesa precedente l'impegno del ministero a rendere omogenee le procedure di propria pertinenza per l'accesso alle agevolazioni fiscali previste dalla normativa statale vigente in materia di erogazioni liberali destinate alla conservazione di beni culturali di interesse religioso degli enti e istituzioni ecclesiastiche [42]: si tratta peraltro di un impegno assai modesto, giacché riguarda soltanto le procedure, non i presupposti sostanziali stabiliti per legge.

3. Le novità introdotte dall'Intesa del 2005

Le maggiori novità dell'Intesa del 2005 rispetto a quella del 1996 si ritrovano nell'art. 2, ove sono indicati alcuni princìpi sui quali le parti hanno dichiarato di concordare (comma 2).

In primo luogo è stato riconosciuto che l'inventariazione e la catalogazione dei beni culturali, mobili e immobili, costituiscono il fondamento conoscitivo di ogni successivo intervento. A tal fine la Cei collabora all'attività di catalogazione curata dal ministero che, a sua volta, assicura, ove possibile, il sostegno all'attività di inventariazione promossa dalla Cei; le parti inoltre garantiscono il reciproco accesso alle relative banche dati e, per l'attuazione di queste forme di collaborazione, hanno previsto la possibilità di stipulare appositi (e ulteriori) accordi [43].

Il rilievo così attribuito alla catalogazione e inventariazione dei beni culturali corrisponde agli orientamenti della Conferenza episcopale italiana sui beni culturali [44], ma anche a una sicura e positiva linea di sviluppo dell'ordinamento emersa già nel 1990 con un piano organico [45] e proseguita con il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 [46], con il Testo Unico del 1999 [47], con uno specifico accordo Stato-regioni raggiunto in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano [48], e ancora, da ultimo, col Codice dei beni culturali e del paesaggio [49]. La collaborazione tra autorità civili ed ecclesiastiche per il catalogo e l'inventariazione è stata inoltre prevista, per gli archivi d'interesse storico appartenenti a enti e istituzioni ecclesiastiche, dalla specifica Intesa del 2000 [50] e, per la generalità dei beni culturali mobili, da una convenzione tra l'Istituto centrale per il catalogo e la documentazione (Iccd) del ministero per i Beni e le Attività culturali e la Conferenza episcopale italiana [51].

In secondo luogo le parti hanno convenuto sul principio che, fermo restando quanto disposto in materia dalla legislazione statale vigente, i beni culturali mobili d'interesse religioso degli enti e istituzioni ecclesiastiche vadano mantenuti, per quanto possibile, nei luoghi e nelle sedi di originaria collocazione o di attuale conservazione. Qualora il mantenimento in situ dei beni medesimi non ne garantisca la sicurezza o non ne assicuri la conservazione, il soprintendente, previo accordo con i competenti organi ecclesiastici, ne può disporre il deposito in musei ecclesiastici, se muniti di impianti di scurezza, o in musei pubblici [52]. La precisazione iniziale "fermo restando quanto disposto in materia dalla legislazione statale vigente" vale ad assicurare che non si introduce un regime speciale, derogatorio di quello ordinario, per i beni culturali d'interesse religioso degli enti ecclesiastici, ma che si tratta effettivamente soltanto di modalità concordate di attuazione della legislazione statale. Del resto queste disposizioni trovano un preciso precedente in quanto stabilito, per gli archivi d'interesse storico, nell'art. 1, commi 2 e 4, dell'Intesa del 2000.

Un'altra disposizione dell'Intesa, strettamente collegata per oggetto e impostazione a quella appena esaminata, ancorché collocata in diverso articolo, riguarda i beni culturali mobili, già in proprietà di diocesi o parrocchie estinte o provenienti da edifici di culto ridotti all'uso profano dall'autorità ecclesiastica e che non possano essere mantenuti nei luoghi e nelle sedi di originaria collocazione o di attuale conservazione: si tratta quindi di beni per i quali è esclusa la conservazione in situ. Il soprintendente competente per materia e territorio valuta, d'accordo con il vescovo diocesano competente per materia e territorio, l'opportunità del deposito di questi beni presso altri edifici aperti al culto, qualora gli stessi siano idonei a garantirne la conservazione, ovvero presso musei ecclesiastici, se muniti di idonei impianti di sicurezza, o musei pubblici presenti nel territorio [53]. La disposizione corrisponde alla medesima logica di quella esaminata in precedenza: i beni culturali d'interesse religioso non devono essere sottratti alla loro destinazione liturgica o di culto, e quando abbiano perso quella originaria bisogna cercarne un'altra, salvo che prioritarie esigenze di conservazione in sicurezza non impongano la loro musealizzazione.

E, ancora, si lega alla stessa impostazione la disposizione relativa ai casi di calamità naturali che coinvolgano i beni culturali oggetto dell'Intesa. Il vescovo diocesano trasmette al soprintendente competente per materia e territorio ogni utile informazione ai fini del sollecito accertamento dei danni e argomentate valutazioni circa le priorità di intervento, legate alle esigenze di culto; gli organi ministeriali ed ecclesiastici competenti si accordano poi per garantire il deposito temporaneo degli stessi beni culturali mobili presso musei ecclesiastici, se muniti di idonei impianti di sicurezza, o musei pubblici presenti nel territorio, ovvero presso laboratori di restauro idonei, anche sotto il profilo della sicurezza, ad effettuare i necessari interventi conservativi [54].

L'Intesa del 2005 stabilisce altresì che gli interventi di conservazione dei beni culturali ai quali essa si riferisce sono eseguiti da personale qualificato. A tal fine la Cei collabora con il ministero per assicurare il rispetto della legislazione statale vigente in materia di requisiti professionali dei soggetti esecutori, con particolare riferimento agli interventi sui beni culturali mobili e le superfici architettoniche decorate [55]. Si ribadisce così un obbligo di legge e lo si rafforza nei confronti degli enti ecclesiastici, con la garanzia dell'Intesa sottoscritta dal presidente della Cei [56].

Gli interventi di conservazione da effettuarsi in edifici aperti al culto aventi il carattere di beni culturali sono programmati ed eseguiti, nel rispetto della normativa statale vigente, previo accordo, relativamente alle esigenze di culto, tra gli organi ministeriali e quelli ecclesiastici territorialmente competenti [57]: fin qui si ha soltanto uno sviluppo di quanto già stabilito dall'art. 8 l. 1089/1939 e poi dalla legislazione successiva [58]. L'Intesa dispone altresì che, qualora l'accordo non sia raggiunto a livello locale o regionale e in presenza di rilevanti questioni di principio, il capo del dipartimento competente per materia, d'intesa con il presidente della Cei o con un suo delegato, impartisce le direttive idonee a consentire una soluzione adeguata e condivisa [59]. Questa disposizione costituisce un'innovazione che potrebbe destare qualche perplessità. Va però considerato che non si crea un regime giuridico speciale per i beni culturali d'interesse religioso degli enti ecclesiastici. In particolare la disposizione non prevede un'avocazione o una modificazione delle competenze degli organi dell'amministrazione statale di tutela: il capo del dipartimento, infatti, impartisce direttive, ma non può sostituirsi ai direttori regionali e ai soprintendenti [60]. Si può solo osservare che questa competenza del capo del dipartimento trova fondamento esclusivamente nell'Intesa e non nella disciplina, legislativa e regolamentare, di organizzazione del ministero.

Un'altra novità dello stesso tipo introdotta dall'Intesa riguarda i progetti di adeguamento liturgico da realizzare negli edifici aperti al culto con carattere di beni culturali. Per questi progetti, presentati per il tramite del vescovo diocesano, il soprintendente competente per materia e territorio procede, relativamente alle esigenze di culto, d'accordo con il vescovo diocesano, in conformità alla legislazione statale di tutela (come per gli interventi di conservazione); qualora l'accordo non sia raggiunto a livello locale o regionale e in presenza di rilevanti questioni di principio, si segue la medesima procedura già vista per gli interventi di conservazione, vale a dire il capo del dipartimento competente per materia, d'intesa con il presidente della Cei o con un suo delegato, impartisce le direttive idonee a consentire una soluzione adeguata e condivisa [61].

Questo modello è stato seguito, infine, anche per gli scavi e le ricerche archeologiche da effettuarsi in edifici di culto con carattere di beni culturali. Scavi e ricerche archeologiche sono programmati ed eseguiti, nel rispetto della normativa statale vigente, previo accordo, relativamente alle esigenze di culto, tra gli organi ministeriali e quelli ecclesiastici territorialmente competenti; qualora l'accordo non sia raggiunto a livello locale o regionale e in presenza di rilevanti questioni di principio si procede come già visto per gli interventi di conservazione e per i progetti di adeguamento liturgico [62].

Un altro principio sul quale le parti hanno dichiarato di concordare è quello che la sicurezza dei beni culturali riveste primaria importanza. A tal fine il ministero e la Cei assicurano, secondo le rispettive competenze e disponibilità finanziarie, adeguate misure di sicurezza, con particolare riguardo agli edifici aperti al culto e ai beni maggiormente esposti al rischio di furti, del degrado e dell'abbandono [63]. Il principio della sicurezza dei beni culturali appare del tutto ovvio: non è certo casuale che oltre trent'anni fa l'iniziativa politica di Giovanni Spadolini abbia avuto per oggetto, insieme all'istituzione del ministero per i Beni culturali e ambientali [64], anche la promozione di misure legislative dirette appunto alla sicurezza dei beni [65]. Il principio, del resto, è condiviso anche dalla Cei che già da tempo ha insistito su di esso [66]. L'Intesa del 2005 non reca, tuttavia, alcuna precisazione sulle modalità di attuazione del principio, né impegni finanziari definiti.

Tra le innovazioni rispetto all'Intesa del 1996 vi è anche la garanzia dell'accesso e della visita ai beni culturali oggetto dell'Intesa. Ove si tratti di edifici aperti al culto o di beni mobili collocati in detti edifici, l'accesso e la visita sono consentiti nel rispetto delle esigenze di carattere religioso. A tal fine possono essere definiti orari e percorsi di visita in base ad accordi tra i soprintendenti competenti per materia e per territorio e gli organi ecclesiastici territorialmente competenti [67]. Anche su questo punto l'accordo non introduce deroghe alla legislazione civile: già nel 1913 il regolamento di esecuzione della legge 20 giugno 1909, n. 364, aveva stabilito che "nelle chiese, loro dipendenze ed altri edifici sacri, le cose d'arte e d'antichità dovranno essere liberamente visibili a tutti in ore a ciò determinate" [68] e questa disposizione deve considerarsi sempre in vigore e applicabile in forza dello stesso Codice dei beni culturali del 2004, poiché compatibile con la disciplina da esso posta [69]. Il rispetto, per la visita, delle esigenze di carattere religioso corrisponde agli orientamenti della Cei del 1992 [70], ma è anche insito nella richiamata disposizione regolamentare che prevede la visita "in ore a ciò determinate" proprio al fine di contemperare gli interessi culturali e turistici con le esigenze di carattere religioso. Si potrà notare che l'Intesa non ha toccato il problema della gratuità della visita delle chiese: da alcuni anni, la visita (per motivi non legati alla partecipazione a funzioni religiose) ad alcune chiese di forte richiamo turistico e culturale è soggetta al pagamento di un biglietto d'ingresso, giustificato con l'esigenza di far fronte alle spese di custodia e manutenzione [71]. Si tratta ancora di eccezioni, in numero limitato, alla tradizionale gratuità; queste eccezioni sono state finora socialmente accettate, sia pure non senza polemiche, ma se esse dovessero crescere di numero, il problema meriterebbe di essere regolato. Nell'immediato bisogna però chiedersi se un'Intesa del tipo di quella che le parti hanno sottoscritto costituisse la sede idonea per la disciplina del problema.

Infine l'Intesa ha stabilito che la richiesta di prestito per mostre di beni culturali di interesse religioso appartenenti a enti e istituzioni ecclesiastiche è formulata in conformità alle disposizioni procedurali fissate dalla normativa canonica. Il prestito dei medesimi beni è autorizzato nel rispetto della normativa statale vigente in materia [72]. Anche queste disposizioni sono pienamente conformi alla normativa civile che non viene derogata: si osserva dunque l'art. 48 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, concernente l'autorizzazione per mostre ed esposizioni [73]. Il richiamo alla normativa canonica probabilmente è stato voluto dalla parte ecclesiastica la quale sembra aver utilizzato l'occasione dell'Intesa per ribadire gli orientamenti della Cei del 1992, secondo i quali gli enti ecclesiastici possono collaborare alla realizzazione di mostre con il prestito di opere di loro proprietà, ma a condizione che le esigenze pastorali non ne risultino compromesse, che si tratti di manifestazioni veramente significative e programmate nel pieno rispetto della normativa canonica e civile, che la salvaguardia delle opere sia garantita anche da provvedimenti assicurativi "da chiodo a chiodo" [74].

In definitiva sembra di poter affermare che la Cei abbia inteso effettivamente collaborare con l'autorità civile, ribadendo, con la sottoscrizione dell'Intesa, la sua posizione che gli enti ecclesiastici sono tenuti al rispetto della legislazione civile di tutela del patrimonio culturale, salvo alcune precisazioni sulle modalità di tutela degli interessi religiosi connessi.

Del resto l'Intesa del 2005 si inserisce in un quadro di collaborazione e di rinsaldati rapporti tra amministrazione civile e autorità ecclesiastica di cui è segno anche un altro accordo, stipulato a un livello meno elevato e con oggetto molto più limitato, ma che dovrebbe essere utile per l'attuazione di un aspetto fortemente innovativo del Codice dei beni culturali e del paesaggio, la nuova procedura di verifica dell'interesse culturale [75]. La procedura è stata regolata, per i beni di proprietà di persone giuridiche private senza fine di lucro, con un decreto del capo dipartimento per i beni culturali e paesaggistici del ministero per i Beni e le Attività culturali [76]; ma, per gli immobili di proprietà di enti ecclesiastici, è intervenuto uno specifico accordo tra il capo del medesimo dipartimento e l'Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici della Cei [77].

 

Note

[1] L'Accordo, con protocollo addizionale, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell'11 febbraio 1929, è stato ratificato con la l. 25 marzo 1985, n. 121.

[2] Per una sintesi e le relative indicazioni bibliografiche, v. A. Roccella, I beni culturali ecclesiastici, in Quad. dir. pol. eccl., 2004, 199 ss.; S. Amorosino, I beni culturali d'interesse religioso nell'ordinamento amministrativo italiano, in Riv. trim. dir. pubbl., 2003, 375 ss.; M. Vismara Missiroli, I beni culturali di interesse religioso dall'Accordo del 1984 al "Codice Urbani", in Iustitia, 2004, 310 ss.; da ultimo, per un bilancio e per indicazioni di prospettiva, v. G. Pastori, I beni culturali di interesse religioso: le disposizioni pattizie e la normazione più recente, in Quad. dir. pol. eccl., 2005, 191 ss.; per un orientamento peculiare v. P. Piras, I beni culturali di interesse religioso: alcune considerazioni di sintesi, in Aedon, 2005, n. 3.

[3] V. F. Margiotta Broglio, I beni culturali di interesse religioso (art. 19 d.lg. 490/1999), in Aedon, 2000, n. 1.

[4] Il Cesen è il Centro studi sugli enti ecclesiastici e sugli altri enti senza fine di lucro, costituito presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e diretto dal prof. Giorgio Feliciani.

[5] Cesen, Codice dei beni culturali di interesse religioso, a cura di M. Renna, V.M. Sessa, M. Vismara Missiroli, Milano, 2003, con introduzione di M. Renna, I beni culturali di interesse religioso nel nuovo ordinamento autonomista, 3 ss., pubblicata anche in Dir. amm., 2004, 181 ss. e in Aedon, 2003, n. 2.

[6] Art. 9 d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42, su cui v. il commento di F. Margiotta Broglio, in M. Cammelli (a cura di), Il codice dei beni culturali e del paesaggio. Commento al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, Bologna, 2004, 96 ss.; A. G. Chizzoniti, Il nuovo codice dei beni culturali e del paesaggio: prime considerazioni di interesse ecclesiasticistico, in Quad. dir. pol. eccl., 2004, 402 ss.

[7] Si vedano le norme della Conferenza episcopale italiana, approvate dalla X assemblea della Cei e promulgate il 14 giugno 1974, su Tutela e conservazione del patrimonio storico artistico della Chiesa in Italia, in Cesen, Codice dei beni culturali di interesse religioso, cit., 833 ss.; in seguito la XXXVI assemblea generale dei vescovi italiani ha approvato un importante documento, pubblicato con decreto del presidente della Conferenza episcopale italiana 9 dicembre 1992, su I beni culturali della Chiesa cattolica in Italia. Orientamenti, ivi, 844 ss.

[8] Art. 12, n. 1, primo comma, Accordo del 18 febbraio 1984.

[9] Per questo orientamento nei rapporti tra Stato e Chiesa cattolica, già anni prima della modificazione del Concordato, v. U. Pototschnig, La laicità dello Stato, in Jus, 1977, 247 ss., ora anche in Id., Scritti scelti, Padova, 1999, 19 ss. e spec. 30-31.

[10] Art. 12, n. 1, secondo comma, cit.

[11] Per primo in tal senso v. G. Pastori, L'art. 12 del nuovo Concordato: interpretazione e prospettive di attuazione, in Jus, 1989, 77 ss. e spec. 84.

[12] Art. 12, n. 1, terzo comma, cit.

[13] Questa Intesa, sottoscritta il 13 settembre 1996, ha ricevuto esecuzione col d.p.r. 26 settembre 1996, n. 571; su di essa v. gli scritti citati alla nota 2 e la bibliografia ivi indicata.

[14] Questa Intesa, sottoscritta il 18 aprile 2000, ha ricevuto esecuzione col d.p.r. 16 maggio 2000, n. 189; su di essa v. A.G. Chizzoniti (a cura di), Le carte della Chiesa. Archivi e biblioteche nella normativa pattizia, Bologna, 2003; G. Boni, Gli archivi della Chiesa cattolica. Profili ecclesiastici, Torino, 2005.

[15] Sulle autorità stipulanti v. A. Roccella, I beni culturali di interesse religioso della Chiesa cattolica, in Studi in onore di Umberto Pototschnig, II, Milano, 2002, 1119 ss.

[16] Sulla natura giuridica delle intese v. A. Roccella, Conservazione e consultazione degli archivi di interesse storico e delle biblioteche degli enti e istituzioni ecclesiastiche tra ordinamento canonico e ordinamento statuale, in A. G. Chizzoniti (a cura di), Le carte della Chiesa, cit., 81 ss.

[17] Decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, artt. 148-155.

[18] Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.

[19] Per il primo riordinamento v. decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368, e successive modificazioni e integrazioni, tra cui in particolare quelle introdotte dall'art. 54 decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300. Su questo riordinamento v. gli atti della giornata di studio del 12 marzo 1999 su L'istituzione del ministero per i Beni e le Attività culturali nel quadro delle riforme amministrative, in Aedon, 1999, n. 1, nonché G. Sciullo, Alla ricerca del centro. Le trasformazioni in atto nell'amministrazione statale italiana, Bologna, 2000, 55 ss. Sul secondo riordinamento, realizzato col d.lg. 8 gennaio 2004, n. 3, e col d.p.r. 10 giugno 2004, n. 173, si vedano gli atti della giornata di studio svoltasi il 25 novembre 2004 a Roma, presso i Musei capitolini, in Aedon, 2005, n. 1.

[20] Non è menzionato, infatti, il secondo riordinamento del ministero per i Beni e le Attività culturali, realizzato sulla base della stessa legge che ha conferito al governo la delega legislativa per l'emanazione del Codice dei beni culturali e del paesaggio: legge 6 luglio 2002, n. 137, art. 1, per il riordinamento del ministero, e art. 10, per il Codice dei beni culturali e del paesaggio.

[21] Per un primo, accurato, commento a questa Intesa v. A. G. Chizzoniti, L'Intesa del 26 gennaio 2005 tra ministero per i Beni e le Attività culturali e Conferenza episcopale italiana: la tutela dei beni culturali di interesse religioso appartenenti a enti e istituzioni ecclesiastiche tra continuità e innovazione, in Quad. dir. pol. eccl., 2005, 387 ss., e, con lievi variazioni, anche sul web, in Olir, Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose (www.olir.it). All'Intesa è stato dedicato un convegno di studi, dal titolo Il patrimonio culturale di interesse religioso dopo l'Intesa del 26 gennaio 2005, organizzato dall'Istituto di diritto canonico S. Pio X di Venezia e dal Cesen dell'Università Cattolica del Sacro Cuore; il convegno si è svolto a Venezia, presso la Fondazione Giorgio Cini, il 3-4 novembre 2005: gli atti sono in corso di pubblicazione.

[22] Art. 9, comma 2, d.lg. 42/2004.

[23] Si vedano le premesse della nuova Intesa del 26 gennaio 2005.

[24] A. G. Chizzoniti, Le intese sui beni culturali di interesse religioso tra ministero per i Beni e le Attività culturali e Conferenza Episcopale Italiana. Tavola sinottica dei dd.pp.rr. n. 571 del 1996 e n. 78 del 2005, su www.olir.it.

[25] Art. 2, comma 1, Intesa del 26 gennaio 2005.

[26] Art. 7, comma 2, Intesa del 26 gennaio 2005.

[27] Art. 1, comma 2, lett. a), Intesa del 26 gennaio 2005.

[28] D.p.r. 10 giugno 2004, n. 173, capo I (artt. 1-16).

[29] Art. 1, comma 2, lett. b), Intesa del 26 gennaio 2005.

[30] I soprintendenti regionali sono stati istituiti dal d.lg. 368/1998, art. 7. Le direzioni regionali per i beni culturali e paesaggistici sono state istituite, in sostituzione dei soprintendenti regionali, dall'art. 5 d.lg. 3/2004, al quale ha fatto seguito l'art. 20 d.p.r. 173/2004.

[31] Art. 117, secondo comma, lett. c), Cost., su cui v. G. Pastori, Regioni e confessioni religiose nel nuovo ordinamento costituzionale, in Quad. dir. pol. eccl., 2003, 3 ss.

[32] Su queste intese si vedano le relazioni di G. Feliciani, Le intese regionali. Profili canonistici, e di A. Roccella, Le intese regionali. Profili pubblicistici, di prossima pubblicazione negli atti del convegno indicato alla nota 21.

[33] V. l'art. 1, commi 4, 5 e 6, dell'Intesa del 2005, a confronto con l'art. 2 dell'Intesa del 1996.

[34] A. Roccella, Beni culturali di interesse religioso e interventi finanziari pubblici, in Dir. economia, 2003, 386; sugli accordi di programma con le regioni per i beni culturali v. M. Renna, Al via la concertazione in materia di beni culturali: l'accordo di programma quadro tra ministero e regione Lombardia, in Aedon, 1999, n. 2 e, in versione ampliata, in Dir. economia, 2001, 69 ss.

[35] Per una puntuale analisi di queste fonti v. A. Roccella, Beni culturali di interesse religioso e interventi finanziari pubblici, cit., 355 ss.; per le difficoltà di coordinamento v. M. Renna, I beni culturali di interesse religioso nel nuovo ordinamento autonomista, cit. (specialmente il par. 4).

[36] Legge 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, commi 28 e 29.

[37] D.m. 18 marzo 2005, Individuazione degli enti beneficiari dei contributi statali recati per gli anni 2005, 2006 e 2007 dall'articolo 1, commi 28 e 29, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e successive modificazioni, e delle relative modalità di erogazione, in Gazz. Uff. n. 68 del 23 marzo 2005, s.o. n. 49. Si noti che il decreto non prevede la rendicontazione della spesa per la quale il contributo è stato concesso e neanche l'accertamento che l'intervento finanziato sia stato effettivamente realizzato; si richiede soltanto, per i soggetti pubblici, l'attestazione che il contributo è stato tempestivamente impegnato e, per i soggetti privati, la dichiarazione del beneficiario che il contributo è destinato esclusivamente al finanziamento dell'intervento. Lo Stato ha così rinunciato alla verifica dell'effettiva realizzazione dell'intervento finanziato e alla garanzia della sua permanenza nel tempo.

[38] D.l. 30 settembre 2005, n. 203, convertito in legge, con modificazioni, dalla l. 2 dicembre 2005, n. 248, art. 11-bis, modificato dall'art. 1, comma 575, l. 23 dicembre 2005, n. 266.

[39] V. G. Pastori, Tutela e valorizzazione dei beni cultuali in Italia: situazione in atto e tendenze, in G. Mazzocchi, A. Villani (a cura di), Sulla città, oggi. I beni culturali in Italia dopo il Codice Urbani, Milano, 2004, 48 ss. e spec. 58-61.

[40] D.lg. 112/1998, artt. 154-155.

[41] Art. 3, sia nell'Intesa del 1996 sia in quella del 2005.

[42] Art. 6, comma 6, Intesa del 26 gennaio 2005.

[43] Art. 2, comma 3, Intesa 26 gennaio 2005.

[44] Si vedano le norme della Cei del 1974, su Tutela e conservazione del patrimonio storico artistico della Chiesa in Italia, parr. 5 e 6, in Cesen, Codice dei beni culturali di interesse religioso, cit., 834-835, e il documento del 1992 su I beni culturali della Chiesa cattolica in Italia. Orientamenti, par. 22, ivi, 857.

[45] Legge 19 aprile 1990, n. 84, Piano organico di inventariazione, catalogazione ed elaborazione della carta del rischio dei beni culturali, anche in relazione all'entrata in vigore dell'Atto unico europeo: primi interventi.

[46] D.lg. 112/1998, art. 149, comma 4, lett. e).

[47] Decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, art. 16, sul quale v. il commento di W. Vaccaro Giancotti, in M. Cammelli (a cura di), La nuova disciplina dei beni culturali e ambientali. Testo Unico approvato con il decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, Bologna, 2000, 66 ss.

[48] L'Accordo, di data 1° febbraio 2001, è pubblicato nella Gazz. Uff. n. 90 del 18 aprile 2001 nonché in Aedon, 2001, n. 2, con un commento di V.M. Sessa, L'Accordo Stato-regioni in materia di catalogazione dei beni culturali.

[49] Art. 17, d.lg. 42/2004, sul quale v. il commento di P. Petraroia, in M. Cammelli (a cura di), Il codice dei beni culturali e del paesaggio, cit., 135 ss.

[50] Art. 2, comma 3, e art. 4, comma 2, Intesa del 2000.

[51] La convenzione, di data 8 aprile 2002, è pubblicata in Cesen, Codice dei beni culturali di interesse religioso, cit., 260 ss.; su di essa v. A. Roccella, I beni culturali ecclesiastici, cit., 220 ss.

[52] Art. 2, comma 4. Per ulteriori approfondimenti su questa disposizione v. A. G. Chizzoniti, L'Intesa del 26 gennaio 2005 tra ministero per i Beni e le Attività culturali e Conferenza episcopale italiana, cit., 5-6.

[53] Art. 6, comma 4, Intesa del 2005.

[54] Art. 6, comma 5, Intesa del 2005.

[55] Art. 2, comma 5, primo e secondo periodo. Sulla qualificazione professionale degli operatori per gli interventi di manutenzione e restauro su beni culturali mobili e superfici decorate di beni architettonici v. l'art. 29, commi 6 e seguenti, del Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lg. 42/2004). V. altresì il regolamento approvato con d.m. 3 agosto 2000, n. 294, e modificato con d.m. 24 ottobre 2001, n. 420, nonché Corte cost., 13 gennaio 2004, n. 9, in Aedon, 2004, n. 2, con nota di C. Tubertini, I limiti della potestà legislativa regionale in materia di formazione professionale nella tutela dei beni culturali (Nota a sentenza 9/2004).

[56] Sulle resistenze di parte del clero, ma anche del laicato cattolico, al rispetto della legislazione civile sulla tutela del patrimonio culturale v. G. Grasso, Chiesa cattolica in Italia e beni culturali degli enti ecclesiastici: alcuni problemi, in Aedon, 2004, n. 3.

[57] Art. 2, comma 5, terzo periodo, Intesa del 2005.

[58] D.lg. 490/1999, art. 19, comma 1; d.lg. 42/2004, art. 9, comma 1.

[59] Art. 2, comma 5, ultimo periodo, Intesa del 2005. Secondo l'attuale organizzazione del ministero, il dipartimento competente per materia sarà quello per i beni culturali e paesaggistici.

[60] Sulla competenza all'autorizzazione, prevista dall'art. 21 del Codice, per l'esecuzione di opere e lavori sui beni culturali v. A. Roccella, L'organizzazione instabile: direzioni regionali e soprintendenze nei recenti provvedimenti del ministero per i Beni e le Attività culturali, in Aedon, 2005, n. 3.

[61] Art. 5, comma 3, Intesa del 2005.

[62] Art. 6, comma 2, Intesa del 2005.

[63] Art. 2, comma 6, Intesa del 2005.

[64] Sull'istituzione del ministero per i Beni culturali e ambientali v. G. Spadolini, Beni culturali. Diario, interventi, leggi, Firenze, 1976; S. Cassese, I beni culturali da Bottai a Spadolini, in Id., L'amministrazione dello Stato, Milano, 1976, 153 ss.

[65] Legge 1 marzo 1975, n. 44, art. 5; legge 27 maggio 1975, n. 176.

[66] Si vedano le norme della Cei del 1974, su Tutela e conservazione del patrimonio storico artistico della Chiesa in Italia, parr. 8 e 9, in Cesen, Codice dei beni culturali di interesse religioso, cit., 836-837, e il documento del 1992 su I beni culturali della Chiesa cattolica in Italia. Orientamenti, par. 23, ivi, 857-858.

[67] Art. 2, comma 7, Intesa del 2005.

[68] R.d. 30 gennaio 1913, n. 363, art. 28, primo comma. Il secondo comma dello stesso articolo stabilisce inoltre che "Speciali norme e cautele, d'accordo fra i ministeri dell'Istruzione, degli Interni e di Grazia e giustizia e dei Culti, dovranno adottarsi per le cose di eccezionale valore esistenti in dette chiese ed edifizi, nonché per gli stabilimenti sacri in cui per il loro particolare carattere, sia necessario determinare limitazioni al generale diritto di visita del pubblico".

[69] Art. 130, d.lg. 42/2004.

[70] V. il documento della Cei del 1992 su I beni culturali della Chiesa cattolica in Italia. Orientamenti, par. 39, in Cesen, Codice dei beni culturali di interesse religioso, cit., 864-865.

[71] Sull'impegno del clero e dei religiosi nella custodia dei beni culturali della Chiesa cattolica v. A. Paolucci, Interesse culturale e valenza religiosa: problemi di applicazione della normativa vigente. a) Beni storico-artistici, in G. Feliciani (a cura di), Beni culturali di interesse religioso, Bologna, 1995, 205.

[72] Art. 2, comma 8, Intesa del 2005.

[73] Sull'art. 48 del Codice v. il commento di L. Zanetti, in M. Cammelli (a cura di), Il codice dei beni culturali e del paesaggio, cit., 233 ss. L'autorizzazione è attribuita alla competenza dei direttori generali, secondo il tipo di beni. V. d.p.r. 173/2004, art. 7, comma 2, lett. g), per il direttore generale per i beni archeologici; art. 9, comma 2, lett. e), per il direttore generale per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico; art. 11, comma 2, lett. e), per il direttore generale per gli archivi; art. 12, comma 2, lett. c), per il direttore generale per i beni librari e gli istituti culturali.

[74] V. il documento della Cei del 1992 su I beni culturali della Chiesa cattolica in Italia. Orientamenti, par. 38, in Cesen, Codice dei beni culturali di interesse religioso, cit., 863-864.

[75] Art. 12 d.lg. 42/2004.

[76] D.m. 25 gennaio 2005, Criteri e modalità per la verifica dell'interesse culturale dei beni immobili di proprietà delle persone giuridiche private senza fine di lucro, ai sensi dell'articolo 12 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in Gazz. Uff. n. 28 del 4 febbraio 2005 e in Aedon, 2005, n. 2, con un commento di G. Sciullo, Novità (e conferme) in tema di verifica dell'interesse culturale per gli immobili appartenenti a soggetti pubblici e privati non profit.

[77] L'Accordo dell'8 marzo 2005 è pubblicato sul web, in www.olir.it, con un commento di M. Rivella, Procedura per la verifica dell'interesse culturale dei beni immobili di proprietà di enti ecclesiastici. Si veda altresì l'Accordo per la verifica dell'interesse culturale dei beni immobiliari di proprietà di enti ecclesiastici, stipulato il 9 giugno 2005 dalla direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici delle Marche e la Conferenza episcopale marchigiana, pubblicato sempre sul web, in www.olir.it.

 



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