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Novità (e conferme) in tema di verifica dell'interesse culturale
per gli immobili appartenenti a soggetti pubblici e privati non profit

di Girolamo Sciullo


Sommario: 1. Generalità. - 2. Il decreto 25 gennaio 2005. - 3. Il decreto 28 febbraio 2005. - 4. Valutazione complessiva e rilievi critici. - Postilla (anche il diritto, come i sistemi operativi dei computers, ha i suoi files nascosti).



1. Generalità

Due recenti decreti provenienti dal capo Dipartimento per i beni culturali e paesaggistici del Mbac (25 gennaio e 28 febbraio 2005) intervengono in materia di verifica dell'interesse culturale ai sensi dell'art. 12 del Codice dei beni culturali e del paesaggio. Pur nella diversità dell'oggetto (l'uno si riferisce agli immobili di persone giuridiche private senza scopo di lucro, l'altro agli immobili di enti pubblici), i due decreti sono in larga misura convergenti quanto a contenuti, presentano identiche criticità e concorrono a integrare la disciplina subprimaria della verifica dei beni culturali avviata con il decreto 6 febbraio 2004.

Poiché il significato dei due decreti non risulta evidente "a prima lettura", non è inutile premettere alcune indicazioni di inquadramento.

La prima, di ordine generale, concerne i dati di novità contenuti nell'art. 12 del Codice. Diversamente da quanto stabilito dal decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 (art. 5) e dalla legge 1 giugno 1939, n. 1089 (artt. 4 e 58), le cose mobili e immobili appartenenti ad enti pubblici e a persone giuridiche private senza scopo di lucro, che presentino un interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico, risalgano ad oltre cinquant'anni e siano di autore non più vivente, vengono sottoposte ad un apposito procedimento volto a "verificare" la sussistenza di tale interesse. In attesa della verifica tali cose sono provvisoriamente soggette alla disciplina di tutela e, in ogni caso, inalienabili (art. 54, comma 2, lett. a). L'esito della verifica - che è avviata d'ufficio o su richiesta dell'ente proprietario -, se positivo, comporta la definitiva sottoposizione della cosa alla disciplina di tutela, se negativo, la fuoruscita da detta disciplina, la sdemanializzazione (nel caso di bene demaniale) e la libera alienabilità (le due ultime conseguenze peraltro si producono sempre che non vi ostino ragioni di regime giuridico diverso da quello inerente i beni culturali).

E' noto che tale meccanismo, ripreso da un'indicazione del decreto del Presidente della Repubblica 27 settembre 2000, n. 283 [1], è stato introdotto dal Codice, si potrebbe dire, "di conserva" con il decreto legge 30 settembre 2003, n. 269. In particolare il Codice ha tenuto "fermo" quanto il comma 10 dell'art. 27 del decreto legge dispone per la verifica degli immobili statali promossa dall'agenzia del Demanio - e il comma 12 dello stesso articolo estende alla verifica degli altri immobili pubblici promossa dall'ente interessato -, ossia che la mancata comunicazione dell'esito della verifica da parte dell'autorità di tutela nel termine complessivo di centoventi giorni, decorrenti dalla ricezione della scheda contenente i dati conoscitivi del bene, equivale ad esito negativo della verifica (c.d. silenzio-assenso).

La seconda premessa concerne il meccanismo operativo della verifica. L'art. 27, comma 9, del d.l. 269/2003 e l'art. 12, comma 3, del Codice stabiliscono che i criteri per la predisposizione degli elenchi degli immobili dello Stato, le modalità di redazione delle relative schede descrittive - gli uni e le altre di corredo alle richieste di verifica - e le modalità di trasmissione degli stessi siano fissati con decreto del Mbac adottato di concerto con l'agenzia del Demanio (e con il ministero della Difesa per gli immobili in uso a questa amministrazione), mentre il medesimo comma 3 demanda al Mbac la formulazione dei criteri e delle modalità per la predisposizione e la presentazione delle richieste di verifica da parte degli "altri soggetti" (ossia degli enti pubblici diversi dallo Stato e di quelli privati senza scopo di lucro).

In attuazione di quanto previsto dall'art. 27, comma 9, del d.l. 269/2003 - e, si potrebbe aggiungere, in vista dell'entrata in vigore del Codice nel frattempo emanato - è intervenuto il decreto 6 febbraio 2004, assunto dal Mbac di concerto con l'agenzia del Demanio. Tale decreto determina i criteri e le modalità per la predisposizione e la trasmissione degli elenchi e delle schede funzionali alla verifica, imponendo l'utilizzazione del modello informatico disponibile sul sito web del ministero, il cui tracciato è contenuto nell'allegato A. Per quanto si dirà più avanti, merita di essere sottolineato che il decreto fa riferimento agli immobili dello Stato e delle pubbliche amministrazioni e concerne le verifiche da avviarsi (non d'ufficio, ma) su richiesta dell'agenzia o dell'ente proprietario. Inoltre esso introduce il principio che i tempi di trasmissione e la consistenza numerica degli elenchi siano concordati fra l'autorità del Mbac e le amministrazioni interessate. Ciò nell'implicito, ma evidente intento di "governare" il carico operativo derivante alle strutture ministeriali dal nuovo meccanismo.

 

2. Il decreto 25 gennaio 2005

Come risulta dal titolo e più diffusamente dal preambolo, il decreto 25 gennaio 2005 ha l'obiettivo di fissare criteri e modalità per la verifica dell'interesse culturale degli immobili appartenenti alle persone giuridiche private senza scopo di lucro, in attuazione dell'art. 12, comma 3, del Codice.

Talune sue previsioni riprendono, nella sostanza almeno, quelle del decreto 6 febbraio 2004. Così, ad essere considerata è la verifica delle sole cose immobili, si ribadisce il criterio che i dati relativi ai beni debbano essere forniti utilizzando il modello informatico disponibile sul sito web del Mbac (il cui tracciato, contenuto nell'allegato A, presenta solo poche variazioni rispetto a quello che corredava l'altro decreto) e si conferma il principio che i tempi di trasmissione e la consistenza numerica delle richieste di verifica siano concordati con le autorità del Mbac (le direzioni regionali) [2] (artt. 1 e 2).

Tuttavia per vari profili (a parte i diversi immobili considerati) i due decreti divergono. Il decreto 25 gennaio 2005 si occupa, non solo delle verifiche su richiesta dei soggetti interessati, ma anche di quelle d'ufficio e prevede che le direzioni regionali - organi competenti alla verifica sulla base delle istruttorie condotte dalle soprintendenze (allegato A) - utilizzino "il sistema informativo per l'inserimento dei dati descrittivi dei beni oggetto di verifica positiva" (art. 4, comma 1). Soprattutto è diversamente disciplinato il tema del silenzio serbato dall'autorità di tutela: il procedimento di verifica deve concludersi entro centoventi giorni dalla data "di ricezione della richiesta" (per le verifiche avviate su domanda) oppure da quella "di ricezione della comunicazione di avvio del procedimento" (per le verifiche promosse d'ufficio) (art. 3, comma 1, art. 4, comma 2). Quando la pronuncia della direzione regionale non intervenga entro tale termine, in ambedue le ipotesi gli interessati possono diffidare il ministero a provvedere e, qualora questo non si pronunci nei trenta giorni successivi al ricevimento della diffida, agire avverso il silenzio ai sensi dell'art. 21-bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (art. 3, comma 2, e art. 4, comma 3).

Detto con altre parole, il decreto 25 gennaio 2005, in piena armonia con l'art. 12, comma 9, del Codice e con l'art. 27, commi 10 e 12, del d.l. 269/2003, che prevedono il regime del silenzio-assenso nel (solo) caso di verifica di immobili pubblici avviata su domanda, si muove nell'ottica del silenzio-inadempimento per la verifica di immobili di persone giuridiche private senza scopo di lucro, comunque si avvii la relativa procedura. In dettaglio il decreto, dando attuazione al disposto dell'art. 2, comma 2, della legge 7 agosto 1990, n. 241, stabilisce il termine di conclusione del procedimento di verifica, individuandolo in centoventi giorni - variamente decorrente in relazione all'iniziativa procedurale - e, sulla base della implicita qualificazione del silenzio eventualmente prestato dall'amministrazione come silenzio-inadempimento, delinea il meccanismo giuridico adeguato a disposizione degli interessati: diffida dell'amministrazione e ricorso giurisdizionale contro il silenzio. Ma aggiungiamo subito - rinviando al prosieguo i dettagli - meccanismo adeguato fino all'entrata in vigore (peraltro ormai intervenuta) della legge 11 febbraio 2005, n. 15.

 

3. Il decreto 28 febbraio 2005

A differenza di quello appena esaminato, il decreto 28 febbraio 2005 (adottato dal capo Dipartimento per i beni culturali e paesaggistici del Mbac di concerto con il direttore dell'agenzia del Demanio) presenta lo stesso oggetto - verifica dei beni immobili appartenenti ad enti pubblici - del decreto 6 febbraio 2004, al quale arreca, come indica il titolo, "modifiche e integrazioni".

Sotto il primo profilo, l'allegato A - che quanto a contenuto corrisponde pressoché puntualmente all'allegato A del decreto 25 gennaio 2005 - viene a sostituire l'omologo allegato del decreto 6 febbraio 2004 (art. 2).

Sotto il secondo profilo, viene affermato il principio che anche per le richieste di verifica relative a immobili di enti pubblici diversi dallo Stato i tempi di trasmissione e la consistenza degli elenchi di corredo vadano concordati con le direzioni regionali del ministero (nuovo art. 4, comma 2) e si introduce il vincolo per le stesse direzioni di inserire nel sistema informativo i dati descrittivi dei beni quando la richiesta di verifica avviata d'ufficio abbia un esito positivo (nuovo art. 4-bis, comma 1). Di maggiore significato è però la previsione per la quale le verifiche "avviate d'ufficio" si devono concludere entro il termine di centoventi giorni, decorrente dalla data di comunicazione dell'avvio del procedimento, e che in caso di mancata pronuncia i "richiedenti" (rectius, gli interessati) possono, previa diffida a provvedere e decorsi inutilmente trenta giorni dalla stessa, agire in giudizio ai sensi dell'art. 21-bis della l. 1034/1971 (nuovo art. 4-bis, commi 2 e 3). Detto in breve, il decreto si occupa del silenzio dell'amministrazione che si manifesti all'interno di procedimenti di verifica di immobili di proprietà pubblica avviati d'ufficio (ossia da parte del Mbac) e lo disciplina secondo gli schemi del silenzio-inadempimento, implicitamente rinviando alla diversa configurazione (come silenzio-assenso), prevista dal d.l. 269/2003, e tenuta ferma dall'art. 12, comma 10, del Codice, della mancata pronuncia nel caso di verifiche avviate su richiesta (dell'agenzia del Demanio o dell'ente pubblico proprietario).

Con ciò l'illustrazione dei contenuti del decreto 28 febbraio 2005 potrebbe considerarsi esaurita, se non corresse l'obbligo di chiarire un dubbio interpretativo suscitato dalla lettera dello stesso decreto. Il nuovo art. 4-bis, comma 3, nel delineare il regime della mancata pronuncia dell'amministrazione come silenzio-inadempimento, parla a proposito della diffida e del ricorso giurisdizionale di "richiedenti", ingenerando il sospetto che esso intenda riferirsi ai casi in cui il procedimento di verifica è avviato su richiesta. Con il che il decreto, sulla base di un'interpretazione "condivisa" (fra Mbac e agenzia del Demanio), si sarebbe posto in una logica di superamento del regime di silenzio-assenso posto dal d.l. 269/2003 e tenuto fermo dal Codice. Vari motivi tuttavia spingono a respingere tale ipotesi e a non "dare credito" alla lettera della previsione del decreto.

Anzitutto, nel preambolo si richiama il disposto dell'art. 12, comma 10, del Codice e si rileva che i criteri fissati nel decreto 6 febbraio 2004 "possano corrispondere al dettato e alle finalità del predetto art. 12". L'interpretazione qui disattesa avrebbe comportato invece una diversa formulazione o, quantomeno, l'evidenziazione del dato di novità che si intendeva introdurre.

In secondo luogo, sempre a seguire il tenore letterale, si avrebbe che il decreto disciplina il termine di conclusione dei procedimenti di verifica avviati d'ufficio (il nuovo art. 4-bis, comma 2, è inequivoco al riguardo), ma non si occuperebbe del silenzio che si manifesti in detti procedimenti, mentre disciplinerebbe il silenzio all'interno dei procedimenti su richiesta, senza però fissare relativamente ad essi il termine di conclusione. Insomma un decreto affetto da una sorta di "strabismo" prescrittivo, di difficile giustificazione.

In ogni caso è la connessione letterale e logica fra i commi 2 e 3 del nuovo art. 4-bis a risultare decisiva. Il comma 2 parla di "verifiche avviate d'ufficio" e per esse prevede che il termine di conclusione sia di centoventi giorni decorrente dalla data di ricezione "della comunicazione di avvio del procedimento" (elemento questo che ulteriormente conferma che si tratta di verifiche promosse d'ufficio, decorrendo invece il termine, nelle verifiche avviate su richiesta, dalla data di ricezione della stessa richiesta, cfr. art. 27, comma 10, d.l. 269/2003 e allegato A dello stesso decreto 28 febbraio. Il comma 3 fa a sua volta riferimento al caso che "la pronuncia (dell'amministrazione) circa la sussistenza o meno dell'interesse culturale non intervenga entro il termine di cui al comma 1" - si noti, il comma richiamato peraltro non può che essere il comma 2, giacché il comma 1 non fissa nessun termine - e per tale evenienza indica la possibilità della diffida e del ricorso avverso il silenzio. E' del tutto evidente allora la correlazione fra meccanismo del silenzio-inadempimento e verifiche promosse d'ufficio. L'imprecisa formulazione ("richiedenti" in luogo di "interessati", come del resto quella di "comma 1" in luogo di "comma 2") è segno di una fattura prescrittiva non ottimale, ma nulla più.

 

4. Valutazione complessiva e rilievi critici

recisati i contenuti dei due decreti, si può indicare il significato che la loro emanazione riveste: esso va colto nel senso della omogeneizzazione del regime giuridico di specifiche, ma non disomogenee, fattispecie. Che si tratti di immobili di proprietà pubblica o appartenenti a soggetti privati senza scopo di lucro, i meccanismi di verifica, avviati su richiesta, vengono omogeneizzati quanto a dati tecnici (la predisposizione e la trasmissione degli elenchi e delle schede descrittive di corredo alle richieste devono avvenire attraverso l'utilizzo del modello informatico disponibile sul sito web del ministero) e criteri operativi (i tempi di trasmissione e la consistenza numerica degli elenchi degli immobili da sottoporre a verifica vanno concordati con le direzioni regionali competenti).

Così pure, per le verifiche avviate d'ufficio, le direzioni generali, in caso di esito positivo, sono tenute a inserire nel sistema informativo i dati descrittivi dei beni, sia pubblici che privati. Infine, nei limiti in cui opera il silenzio-inadempimento - verifiche d'ufficio, per gli immobili pubblici, verifiche d'ufficio o avviate su richiesta, per quelli dei privati non profit - il relativo meccanismo è disciplinato in termini omogenei, a partire dal termine di conclusione del procedimento.

Il giudizio di apprezzamento che l'obiettivo di omogeneizzazione sicuramente merita, non impedisce peraltro di formulare alcuni rilievi.

Anzitutto per un dato di "tecnicalità" solo in apparenza minore. Si è ricordato che la trasmissione degli elenchi e delle schede descrittive di corredo alle richieste di verifica deve avvenire utilizzando il modello informatico disponibile sul sito web del ministero. Si può ora aggiungere che l'allegato A di entrambi i decreti presi in esame prevede una richiesta di autorizzazione all'accesso e il rilascio della user-id e della password. Tutto ciò lascerebbe supporre che con l'invio informatico l'interessato perfezioni la sua richiesta di verifica. Sennonché si precisa in entrambi gli allegati che "il solo invio informatico, anche se corredato da firma digitale, non costituisce avvio del procedimento di verifica". A tal fine si aggiunge che gli interessati "una volta inviati via web i dati definitivi (...) inviano le stampe degli elenchi e delle schede descrittive alla direzione regionale e per conoscenza alla soprintendenza", invio ovviamente da effettuarsi "secondo modalità che prevedono l'avviso di ricevimento". Invero, solo "il ricevimento della richiesta, corredata dalle stampe degli elenchi e delle schede descrittive, costituisce l'avvio del procedimento".

Sorridendo si potrebbe notare che quelle del Mbac non rientrano fra le best practices dell'amministrazione statale in fatto di nuove tecnologie (per un confronto si pensi ai casi del ministero dell'Economia e del ministero dell'Istruzione). Sul piano giuridico va ricordato che il documento informatico corredato dalla firma digitale certificata sostituisce a tutti gli effetti il documento cartaceo (art. 38, comma 2, lett. a, del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445) [3].

In secondo luogo, deve rilevarsi che ambedue i decreti concernono immobili. L'art. 12, comma 1, del Codice (come del resto l'art. 27, comma 1, del d.l. 269/2003) prevede la verifica dell'interesse culturale anche per cose mobili. E' ben vero che l'art. 12, comma 3, del Codice (al pari dell'art. 27, comma 9, del d.l. 269/2003, nel rinviare a decreti ministeriali per la determinazione di criteri e modalità delle richieste di verifica, fanno riferimento solo a immobili. Resta però il fatto che la verifica può aver ad oggetto anche cose mobili e che essa richiede una disciplina applicativa - se non altro circa il termine di conclusione del procedimento di verifica - al momento mancante e la cui assenza l'emanazione dei decreti esaminati ha reso evidente.

Da ultimo va segnalato che la disciplina in tema di silenzio-inadempimento dettata da entrambi i decreti risulta in parte non più compatibile con le novità intervenute sul piano legislativo.

L'art. 2 della l. 15/2005 ha infatti introdotto nell'art. 2 della l. 241/1990 il comma 4-bis, secondo il quale "decorsi i termini di cui ai commi 2 e 3 (di conclusione dei procedimenti), il ricorso avverso il silenzio, ai sensi dell'art. 21-bis della l. 6 dicembre 1971, n. 1034, (...) può essere proposto anche senza la necessità di diffida all'amministrazione inadempiente" [4]. La l. 15/2005 è stata pubblicata nella G.U. del 21 febbraio 2005, in data cioè successiva a quella del decreto 25 gennaio, ma anteriore a quella del decreto 28 febbraio. In questo secondo caso la stesura avrebbe potuto tener conto dell'innovazione legislativa. Come che sia, imporre, come fanno gli artt. 3, comma 2, e 4, comma 3, del decreto 25 gennaio e l'art. 4-bis, comma 3, del decreto 28 febbraio, la previa diffida all'amministrazione ai fini dell'esperibilità del ricorso avverso il silenzio, si scontra ormai con un dato legislativo entrato in vigore e risulta privo di valenza precettiva.

 

Postilla (anche il diritto, come i sistemi operativi dei computers, ha i suoi files nascosti)

Mentre il numero di Aedon, nel quale compaiono queste note, "va in stampa", da una notizia apparsa su Il Sole-24 Ore dell'8 luglio 2005, p. 25, apprendiamo del "superamento" del silenzio-assenso: "Sulla vendita dei beni culturali non esiste più il silenzio assenso. Lo ha precisato ieri il ministro Rocco Buttiglione davanti alla commissione Cultura (...). Caduto il silenzio assenso, che consentiva di procedere alla vendita del bene nel caso le soprintendenze regionali non si fossero pronunciate entro 120 giorni, ora la strada da percorrere contro l'inerzia dell'amministrazione è - ha precisato il ministro - quella del ricorso al Tar. (...) L'annuncio fatto ieri da Buttiglione fa seguito a quanto già stabilito dal decreto del 28 febbraio scorso, divenuto operativo a marzo".

La notizia trova riscontro in un comunicato comparso sul sito del Mibac dal titolo "Silenzio-assenso: la risposta del ministro Buttiglione alla Commissione cultura della Camera": "... con il recente decreto del febbraio 2005, il Ministero dei Beni e le Attività Culturali e l'Agenzia del demanio si sono dati reciprocamente atto della cessazione dei periodo di "prima applicazione" della norma sul silenzio-assenso e, nel riconfermare criteri e modalità precedentemente stabiliti per lo svolgimento delle verifiche, hanno statuito che d'ora innanzi avverso l'eventuale silenzio serbato dal Ministero nei confronti delle istanze di verifica dell'interesse culturale, lo strumento cui gli enti interessati potranno affidarsi sarà il ricorso al Tar. perché ordini all'Amministrazione di provvedere sulla richiesta, ai sensi dell'art. 21-bis della legge n. 1034 del 1971".

Nell'impossibilità di avere un quadro esauriente della portata della notizia (ossia di quali siano i procedimenti di verifica interessati), ci si limita a tre battute, con riserva di ritornare semmai sulla questione in un successivo numero.

Se la notizia si riferisce anche alle verifiche promosse su richiesta dell'Agenzia del demanio e delle autonomie territoriali, non ci si può che rallegrare.

Resta la curiosità di capire se ciò sia l'effetto di un qualche atto non ancora noto oppure, come sembra, proprio del decreto 28 febbraio di quest'anno, magari in virtù di una sua clausola "segreta" (perché sul suo contenuto esplicito non si può che confermare quanto scritto a commento). E soprattutto, se è vera la seconda ipotesi, perché l'attuale ministro (ma lo stesso potrebbe dirsi per il Suo predecessore) abbia serbato il "silenzio" per tanto tempo sulla novità.

Da ultimo, una notazione. Un grande giurista ora scomparso, Massimo Severo Giannini, parlò dell'amministrazione dello Stato italiano come organizzazione "disaggregata", per indicare le articolazioni strutturali e operative in cui la complessiva macchina statale si suddivide e opera. Forse però non avrebbe immaginato che un ministro di questo stesso Stato potesse teorizzare (nel senso di considerare normale) che una controversia fra lo Stato-ministero per il beni culturali e lo Stato-amministratore di beni pubblici (lo Stato-Agenzia del demanio) acquisisse una tale evidenza e identità da essere rimessa al giudice amministrativo. Ma anche questo, probabilmente, è un altro segno dei tempi non facili che stiamo vivendo.

 



Note

[1] Sul punto sia consentito rinviare al mio Articolo 12, in Il codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M. Cammelli, Bologna, 2004, 115.

[2] L'art. 2, comma 5, prevede che le direzioni regionali, nello stipulare accordi con i soggetti interessati, "si attengano agli accordi eventualmente intervenuti a livello nazionale tra tali soggetti e il Dipartimento per i beni culturali e paesaggistici". Un esempio dei secondi è rappresentato da quello sottoscritto l'8 marzo 2005 fra il Dipartimento e l'Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici della Cei.

[3] Il medesimo principio è ora affermato dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 ("Codice dell'amministrazione digitale", in G.U., suppl. ord. n. 112 del 16 maggio 2005) nell'art. 45, comma 1, in comb. disp. con l'art. 20, comma 2, e nell'art. 47, commi 1 e 2, che danno applicazione al disposto dell'art. 3, recante la significativa rubrica "Diritto all'uso delle tecnologie".

[4] Corsivo mio.



 

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