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Chiesa cattolica in Italia e beni culturali
degli enti ecclesiastici: alcuni problemi

di Fra Giacomo Grasso, o.p.


Sommario: 1. Premessa. - 2. Una storia italiana. - 3. Una storia nella Chiesa. - 4. La situazione dei beni culturali ecclesiastici in Italia. - 5. Limiti. - 6. Una proposta articolata. - 7. Conclusione.



1. Premessa

La chiesa cattolica in Italia, nelle sue diverse espressioni, diocesi, parrocchie, santuari, province religiose o istituzioni affini, confraternite, associazioni e movimenti laicali, possiede di gran lunga la maggior parte dei beni culturali del Paese. Non ne esiste un censimento, nonostante quello che prevedeva la legge 1° giugno 1939, n. 1089, ma, quello o di proprietà ecclesiastica o in uso, si dice superi forse il settanta per cento dell'intero patrimonio nazionale. Dunque è importante che da una parte il ministero per i Beni e le Attività culturali, non solo sulla base della Intesa, d.p.r. 262/1996, ma attraverso le soprintendenze regionali e locali, e dall'altra gli ordinari diocesani e religiosi, e comunque quanti, a diverso titolo, li amministrano, abbiano cura di tali beni. Tutti ne sono facilitati dal decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, il Codice dei beni culturali e del paesaggio.

 

2. Una storia italiana

Il patrimonio della chiesa cattolica, e non solo i beni culturali, ha interessato, per diversi motivi, il nostro legislatore fino dai tempi delle leggi Cavour Rattazzi del 1855, poi estese dal Regno di Sardegna al Regno d'Italia. Le avevano precedute, le leggi Siccardi, del 1850, che abolivano i privilegi del clero e il foro ecclesiastico. Anche queste sarebbero state estese a tutto il Regno. Quelle Cavour Rattazzi erano leggi eversive del patrimonio della chiesa Toccavano, però, pesantemente soltanto gli ordini e altri istituti religiosi che per lo più furono anche soppressi. Non fu così per le diocesi, e le parrocchie. Gli espropri furono minori. Ben più pesanti erano state le leggi derivate dalla Rivoluzione francese, e dalla presenza napoleonica in Italia, che però erano durate solo fino al 1814 - 1815. Con la Restaurazione una parte dei beni sottratti ritornò agli enti ecclesiastici. Gli istituti religiosi riebbero la possibilità di costituirsi. Con loro anche la Compagnia di Gesù che era stata soppressa nel 1783 da papa Clemente XIV. Fu ricostituita da Pio VII nel 1814.

La legislazione positiva, di tutela, comincia già con gli anni '60 dell'800. Il clima generale [1] era però avverso alla chiesa che, anche quando non si dava il peggio, veniva perlomeno punzecchiata. Di conseguenza gli uomini di chiesa vedevano con sospetto iniziative legislative tese a proteggere anche il patrimonio dei beni culturali ecclesiastici. Questo tipo di sospetto continua anche oggi, anacronisticamente. Non è raro trovare, specie nel clero, ma anche nel laicato delle confraternite, persone che non amano l'azione di tutela svolta dalle soprintendenze del ministero per i Beni e le Attività culturali. Non si usano neppure sotterfugi. Per lo più si ignora la legge. Questo atteggiamento, diffuso, fa sì che documenti d'archivio, libri antichi, vesti liturgiche, arredo, opere d'arte vengano ancora o venduti o trasferiti, senza le necessarie autorizzazioni, oppure restaurati, senza l'autorizzazione delle autorità tutorie. Non è un caso, anche se si tratta di un ordinamento giuridico, quello canonico, a estensione mondiale, che il Cic del 1983 insista, come aveva cominciato a fare il Cic del 1918, su questi argomenti che vengono condivisi anche dagli ordinamenti giuridici statuali. Bisogna anche aggiungere che frequentemente l'amministrazione, sia del ministero ad hoc, sia della giustizia, è benevola nei confronti degli ecclesiastici. Rispetto a reati penalmente perseguibili si è lasciato, e si lascia facilmente, correre. Non ovunque così, ma lo è da molte parti.

 

3. Una storia nella chiesa

Da parte sua la Santa Sede, segregata, nella figura del papa, nei palazzi vaticani, e ancora lontana da una soluzione della questione romana, non aveva provveduto a nulla, dal punto di vista giuridico. Sarà solo col Cic pio-benedettino del 1917, entrato in vigore nel 1918, che si daranno disposizioni per tutta la chiesa universale, e dunque anche per l'Italia, col can. 375, archivi diocesani, can. 470, archivi parrocchiali, can. 485, decoro e conservazione dei sacri arredi ed edifici sacri, can. 1164, costruzione e restauro delle chiese, udito anche il parere di esperti, can. 1178, manutenzione, can. 1186, oneri di restauro, can. 1497, distinzione tra beni sacri e beni preziosi, can. 1522, inventari, can. 1530, alienazione dei beni, can. 1532, ruolo della Santa Sede, can. 1534, azioni giudiziarie.

Nel 1924 venne istituita la pontificia commissione centrale per l'arte sacra in Italia. Se ne diede notizia agli ordinari con lettera del Segretario di Stato, cardinale Pietro Gasparri, del 1° settembre 1924. L'anima di questa iniziativa fu mons. Celso Costantini, arcivescovo, poi cardinale. Nel dopoguerra la presiedette mons. Giovanni Fallani, arcivescovo. Seguirono mons. Pietro Amato e infine mons. Francesco Marchisano, arcivescovo, ora cardinale arciprete della Basilica di San Pietro. L'attuale presidente è mons. Mauro Piacenza, vescovo. Fu con Francesco Marchisano che la pontificia commissione cessò di occuparsi solo dell'Italia, 1988, per acquistare poco dopo il nome di pontificia commissione per i beni culturali della chiesa, nel 1993.

Per l'Italia esiste, all'interno degli uffici della conferenza episcopale italiana, Cei, un ufficio per i beni culturali ecclesiastici, diretto da mons. Giancarlo Santi. Nel frattempo, oltre alle lettere circolari della pontificia commissione, si è dato il nuovo Cic, del 1983, che aumenta l'attenzione nei confronti dei beni culturali. Sono i canoni 486-491, sugli archivi, can. 535, sugli archivi parrocchiali, can. 555, anche sul decoro delle chiese e degli arredi nonché ancora sugli archivi, can. 638, sulle alienazioni, can. 1171, sul modo di trattare le cose sacre, can. 1189 sul restauro di immagini sacre antiche, can. 1190, sulle reliquie, can. 1210, sull'uso dei luoghi sacri, can. 1215, sulla costruzione delle chiese, can. 1216, sulla consulenza di esperti, adhibito peritorum consilio, nella costruzione o restauro di chiese, can. 1220, sui mezzi di sicurezza, can. 1222, sulla riduzione ad uso profano di una chiesa, can. 1224, sugli oratori, can. 1234, sugli ex voto, can. 1269, sull'acquisto di oggetti sacri, can. 1270 sulla prescrizione, can. 1283, sugli inventari, can. 1284, sul compito degli amministratori di beni ecclesiastici, can. 1292, sull'alienazione di beni preziosi, can. 1377, pene per alienazione di beni ecclesiastici. Nel 1990 è stato promulgato il Cceo, il codice delle chiese orientali. In Italia ci sono l'eparchia di Lungro, Cosenza, e quella di Piana degli Albanesi, con ordinari propri. Sono diocesi di rito greco-albanese [2]. La Cei ha prodotto, dal 1974, diversi documenti che hanno, in alcuni casi solo un tono esortativo, e non possono essere considerate leggi, ma contano non poco.

Il Codice dei beni culturali, sopra citato, dimentica comunque almeno un testo importante che ha valore giuridico. Mi riferisco al n. 14 delle Precisazioni che seguono i Principi e norme per l'uso del messale romano, II ed., 1984. In esso si norma sull'altare che deve essere unico e rivolto al popolo, e si continua affermando che "nel caso di difficili soluzioni artistiche per l'adattamento di particolari chiese e presbitèri, si studi, con le competenti commissioni diocesane, l'opportunità di un altare mobile appositamente progettato e definitivo" [3].

 

4. La situazione dei beni culturali ecclesiastici in Italia

L'insieme dei beni culturali della chiesa cattolica appartiene soprattutto alle manifestazioni artistiche dall'oggi alle cose del periodo paleocristiano. Le più antiche, tra quelle cristiane, sono del IV secolo d.C., ma reperti archeologici ben più antichi, posseduti ab immemorabili da enti ecclesiastici, aprono a secoli precedenti. Sono talora cose molto antiche, riusate in edifici medievali, rinascimentali, barocchi. Dai tempi della restaurazione, dal 1814-15 al 1830, ad oggi o si è fatto del restauro, da quello dei puristi, anni '30-'60 del XIX secolo, a quello romantico, a quello che ha accolto la carta di Venezia, o si costruiscono nuove chiese, o si compiono gli adeguamenti previsti dalla riforma conciliare.

L'architettura chiesastica si è sganciata dall'eclettismo solo con gli anni '30 del novecento. Non vi sono quasi edifici liberty o dell'art déco. Dall'eclettismo si passa direttamente al razionalismo. La scultura ha avuto e ha, invece, un facile accesso alle chiese. Grandi nomi come Francesco Messina e Giacomo Manzù sono presenti e con loro molti altri valenti scultori. Oggi Giuliano Vangi, Mimmo Palladino, Arnaldo Pomodoro, e tanti altri. L'arte pittorica assai meno. Sono stati accolti Mario Sironi. Pietro Annigoni, e non molti di più. Possono essere considerate alcune opere di grandi artisti, come si dà, ad esempio, nel caso di una cappella della Madonna del Rosario, a Pietrasanta di Lucca, di Fernando Botero. Troppe chiese, seppur modeste, dell'Italia meridionale sono state anche recentemente imbrattate in maniera indegna, senza nessun intervento delle soprintendenze, spesso lasciate per lunghi anni nelle mani di soprintendenti vicari.

Non va dimenticato, invece, lo sforzo di grandi e piccole diocesi, o anche di parrocchie o di santuari, o di chiese di istituti religiosi, di attrezzare propri musei. Così quelli della chiesa ambrosiana, della chiesa di Pisa, della chiesa di Brescia, della parrocchia di Zagarise (Cosenza), del santuario di San Gabriele dell'Addolorata a Isola del Gran Sasso (Teramo) che è l'unico museo di arte sacra contemporanea in Italia, ma ne esiste una grande raccolta ad Assisi presso la Cittadella cristiana, del convento di Santa Maria di Castello a Genova, del convento dei Cappuccini a Voltaggio, Alessandria, ecc.

L'ambito più interessante è però dato dalla necessità di adeguare le chiese pre-conciliari. A questo proposito la commissione episcopale per la liturgia, di intesa con l'ufficio Cei per i beni culturali ecclesiastici ha pubblicato nel 1996 un documento dal titolo L'adeguamento delle chiese alla riforma liturgica [4]. Una stima di larga massima fa ammontare le chiese e cappelle a circa centodiecimila. E' in preparazione la schedatura delle chiese degli enti parrocchia. Il numero degli enti parrocchia è noto, ma non il numero delle chiese. Ci sono enti parrocchia che ne hanno più di una, addirittura decine. In base alla normativa canonica, can. 1216, il termine refectio può anche indicare l'adeguamento, occorre "il consiglio dei periti". Così il documento Cei appena citato, n. 48. La Cei, nel documento Norme dell'episcopato italiano. Tutela e conservazione del patrimonio storico-artistico della Chiesa in Italia, del 1974 [5], in particolare nn. 18-19, prevede una commissione diocesana, che però potrebbe anche essere interdiocesana o regionale. E' possibile che i due numeri citati, 18 e 19, risentano di quanto si faceva nella diocesi di Torino. Già dal 1966 il cardinale Michele Pellegrino, ordinario di letteratura latina all'università degli studi di Torino e attento alle professionalità dei suoi collaboratori anche laici, istituì una commissione liturgica diocesana che affiancava l'ufficio liturgico diocesano ed era composta da tre sezioni, arte, musica e liturgia pastorale. Nella sede dell'ufficio esistono un archivio e una biblioteca, nonché la raccolta di un bollettino bibliografico che ogni trimestre aggiorna i membri della commissione [6].

 

5. Limiti

In Italia, però, la situazione delle commissioni diocesane per l'arte, oggi in molte diocesi le si intitola "per i beni culturali", è disastrata. Il disastro è variamente motivabile. Le diocesi italiane sono 227, di esse una è quella per i militari. Le altre sono o grandi diocesi che superano di molto il milione di abitanti, così Milano, con cinque milioni, Roma con quasi tre, Torino con più di due, o diocesi sul milione, e sono otto. Ce ne sono un po' più di venti sul mezzo milione. Le altre si assestano su una media di centoquarantamila abitanti. Ma un certo numero è addirittura sotto i centomila abitanti [7]. Le deriva la limitata possibilità di una buona organizzazione degli uffici diocesani. Tra essi il nostro. Di più. Nonostante la moltiplicazione delle sedi universitarie, le diocesi in genere non le raggiungono. Ne segue che le commissioni che abbisognano di elevate professionalità nel campo dell'urbanistica, della progettazione architettonica, del restauro, della storia dell'arte e dell'architettura, dell'estetica, e ancora, non riescono ad essere formate. Esistono, sulla carta, in tutte le diocesi, ma lavorano ad un livello basso. I loro membri sono al limite sopportabile della professionalità. Qualche architetto, di frequente attirato dalla speranza di committenze, in questo senso il documento Cei del '74, e quelli successivi, sono carenti è qualche docente di scuola media superiore, qualche amatore, neanche laureato. O non lavorano affatto. In questa situazione, per la verità, si trovano anche grandi diocesi. Il documento Cei, Tutela e conservazione, citato, non è tenuto presente. E' difficile dare una stima. Ritengo, però, che sia vicino al vero affermare che solo una trentina di diocesi abbia una commissione per i beni culturali ecclesiastici adeguata.

E sì che il documento non è semplice esortazione proveniente da una commissione episcopale della Cei, ma documento approvato dall'assemblea generale dei vescovi che è organo legiferante. Se ne hanno diverse conseguenze. La prima è l'inefficienza. Ogni amministratore unico, vescovo, parroco, rettore, superiore religioso, ecc., tende a far da sé. Le conseguenze sono penose. Casi di interventi di adeguamento a Padova, Pisa, Loreto, Napoli, Gerace, in provincia di Reggio Calabria, dunque su monumenti di grande rilevanza per la cultura del paese, non sostenuti da adeguata commissione, hanno inferto gravi danni ad edifici preziosi. Le autorità tutorie dello Stato non sono intervenute. La seconda è la debolezza degli enti ecclesiastici, là dove le autorità tutorie sono forti. Finisce per prevalere l'aspetto culturale su quello pastorale. Anche questo è un male perché una parte rilevante dei beni culturali ecclesiastici sono ancora utilizzati per il culto. Una destinazione puramente museale o una soluzione dettata solo da principi rigorosi di restauro secondo la filosofia della carta di Venezia, finiscono, se non altro, per non tenere in conto dimensioni antropologiche da non sottovalutare. La terza è la mancanza di continuità. Capita che diocesi medio-piccole vedano la presenza di un prete attento ai beni culturali e dunque disponile a far sorgere una buona commissione. Capita anche che il suo vescovo ne accolga la buona volontà e abbia, bontà sua, una formazione giuridico-ecclesiologica che lo porta a valutare positivamente i consigli che gli vengono sottoposti, anche se dettati da un gruppo a prevalenza di christifideles laici. Se quel prete, però, è chiamato ad altro servizio, o il vescovo nominato ad altra diocesi, o collocato tra gli "emeriti", tutto finisce. Nei più dei casi tutto si deve a vescovi, preti religiosi "interventisti" che reputano di avere un carisma proprio a livello di beni culturali ecclesiastici.

 

6. Una proposta articolata

Come è noto, in seguito ai Patti lateranensi del 1929 sono stati istituiti in Italia i tribunali ecclesiastici regionali. Le cause matrimoniali sono state sottratte al tribunale diocesano. La motivazione è evidente Le più di trecento diocesi esistenti in quel tempo non davano garanzia quanto ad adeguato funzionamento. Sono trascorsi più di settanta anni e i risultati si possono dire buoni. Nelle diocesi il presidente del tribunale ecclesiastico è il vescovo che nomina un suo vicario nella figura di un ufficiale. Quello dei tribunali ecclesiastici regionali viene nominato dai vescovi della regione ecclesiastica, così i giudici, ecc.

A livello di formazione seminaristica si è dato qualcosa di simile, anche se di minore organicità. In molte regioni, negli anni '30, sono stati istituiti Seminari regionali. Il livello degli studi è salito. Questa esperienza è oggi superata e tali seminari non dipendono più direttamente dalla Santa Sede. Per circa quaranta anni, però, hanno funzionato bene. Oggi tali seminari dipendono o da Conferenze episcopali regionali, come in Sardegna, nelle Puglie, ecc., o da gruppi di diocesi, per esempio in Calabria, e nel Lazio. Pio XI ha inoltre riorganizzato gli studi con la costituzione apostolica Deus scientiarum Dominus, del 1931. Sono state soppresse molte facoltà teologiche che si trovavano ad un livello di qualità e quantità assai basso. Dopo il concilio ecumenico Vaticano II ne sono sorte due, addirittura interregionali. La facoltà di teologia dell'Italia settentrionale, a Milano. La grande arcidiocesi ambrosiana continua però ad avere anche l'unica facoltà rimasta dopo la costituzione di cui sopra, quella di Venegono. E la facoltà di teologia dell'Italia meridionale, con le due sedi, quella di San Tommaso d'Aquino, dell'arcidiocesi di Napoli e quella di San Luigi, dei padri della Compagnia di Gesù. Nel 2004 si conta un maggior numero di facoltà teologiche e precisamente quella di Santa Giustina, a Padova, dei Benedettini, quella dell'Emilia Romagna, a Bologna, con le due sedi, quella del Seminario diocesano e quella di San Tommaso d'Aquino, quella di Firenze, quella di Palermo. Sta nascendo qualcosa a Venezia e a Bari.

Ho scritto questo, e mi ci sono soffermato perché in un ambito de iure condendo, mi sembra utile evidenziare l'esistenza di istituzioni regionali analoghe che hanno dato buoni risultati. Come si è agito a livello regionale, o interregionale per i tribunali matrimoniali, per i seminari regionali, per le facoltà di teologia, qualcosa di simile deve farsi per i beni culturali ecclesiastici. Le regioni italiane sono venti. Quelle ecclesiastiche sono soltanto sedici perché la diocesi di Aosta fa parte della conferenza episcopale piemontese, le diocesi di Trento e Bolzano, nonché quelle della regione Friuli - Venezia Giulia fanno parte della conferenza episcopale triveneta, quelle della regione Molise sono unite nella conferenza episcopale dell'Abruzzo e Molise. Le sedici regioni ecclesiastiche hanno sedi universitarie. La Sardegna, la Basilicata, e l'Umbria non hanno facoltà di architettura, ma hanno facoltà di ingegneria con indirizzi di ingegneria civile che possono supplire. Tutte hanno facoltà di lettere e alcune anche di beni culturali, o simili.

Tutte hanno la possibilità di darsi una buona struttura. Questa dovrebbe prevedere anzitutto la costituzione di un ufficio regionale per i beni culturali ecclesiastici, dotato di personale, sede propria, archivio, biblioteca, budget. Accanto all'ufficio una commissione formata da un presidente proposto in una terna, dai membri della commissione, alla conferenza episcopale regionale e da essa designato, per cinque anni. Da un segretario nella persona del direttore dell'ufficio, nominato dalla stessa conferenza. Da un dottore in teologia e da un dottore in scienze liturgiche nonché da un parroco, designati dalla conferenza episcopale regionale, da un religioso, designato dalla conferenza italiana superiori maggiori, C.i.s.m., sezione regionale, una religiosa designata dall'unione superiore maggiori italiane, U.s.m.i., sezione regionale, da cinque tra architetti, urbanisti, docenti di restauro, tre storici dell'arte, un docente di estetica, uno di antropologia, uno di psicologia religiosa e uno di sociologia religiosa. Tutti questi designati per cinque anni dalla conferenza episcopale regionale. La commissione dovrà riunirsi una o più volte al mese per esaminare le richieste. Si dovranno verbalizzare le decisioni da sottoporre ai vescovi. Sarà commissione solo consultiva, ma si legge nel documento Cei, 1974, n. 18: "particolare ascolto sia dato al loro voto consultivo". E' un'esortazione, ma forte, e strettamente collegabile con l'ecclesiologia della costituzione dogmatica sulla chiesa Lumen gentium, promulgata il 21 novembre 1964. Le motivazioni sono, dall'esperienza, le seguenti. E' conveniente che il presidente sia nominato sulla base di una terna, espressa dalle commissione, e proposta alla conferenza episcopale regionale che procede alla nomina. Le sue competenze professionali hanno importanza anche nei rapporti con le soprintendenze. Il dottore in teologia e il dottore in scienze liturgiche portano la loro specifica, e diversa, competenza. Il parroco porta la competenza pastorale, i religiosi lo specifico della vita religiosa che sta nel testimoniare che il mondo non può essere trasfigurato e offerto a Dio se non con lo spirito delle beatitudini, cfr. Lumen gentium, 31, e canoni 573-575 e 607. Tutti questi devono essere professori di prima fascia o, almeno, di seconda. Tutti i membri della commissione devono dare la disponibilità per le riunioni della commissione ed eventuali sopralluoghi. Non possono, durante munere, ricevere incarichi nell'ambito della costruzione o dell'adeguamento delle chiese, o simili, esempio expertise di opere d'arte, a meno che non siano invitati a farlo dalla commissione stessa. Non è necessario siano coinvolti nella vita della comunità ecclesiale. Nel concorso indetto dal vicariato di Roma per una chiesa che restasse come memoria del grande giubileo del 2000, dei sei architetti invitati uno solo era cattolico, e della giuria faceva parte, invitato dal Vicariato, l'architetto Bruno Zevi, di religione ebraica. Sarà fissato un gettone di presenza e un rimborso spese per i sopralluoghi.

 

7. Conclusione

La situazione tutta particolare in cui si trova il nostro paese quanto ai beni culturali, e la situazione particolare in esso della chiesa cattolica che possiede o almeno gestisce tali beni, fanno sì che le due parti non solo debbano essere attive ma anche che si operi ben di più di quanto previsto dall'Intesa. L'amministrazione dello Stato, quanto il settore considerato, è abitualmente efficiente, pur con i due limiti segnalati: troppo souple nei confronti degli amministratori dei beni culturali ecclesiastici, carenze nel corpo dei soprintendenti. Si è segnalata una situazione nel Meridione, ma una grande città come Genova si è trovata in situazione simile quanto alla soprintendenza dei beni artistici e storici, mi riferisco a soprintendente vicario per troppo tempo. Da parte della chiesa occorre arrivare a commissioni per i beni culturali ecclesiastici regionali che sostituiscano quelle diocesane non in grado di svolgere con elevata professionalità il loro compito.

 



Note

[1] Come ha dimostrato Arturo Carlo Iemolo nel libro Chiesa e stato in Italia. Dalla unificazione a Giovanni XXIII, Torino, 1965, II ed., passim.

[2] Non cito i canoni di questo codice e rimando alla pregevole opera di M. Renna - V.M. Sessa - M. Vismara Missiroli (a cura di), Codice dei beni culturali di interesse religioso, aggiornato alla g.u. del 31 maggio 2003, n. 125, Milano, 2003. Nell'Introduzione, nella parte riguardante l'ordinamento giuridico italiano, 3-17, e in quella riguardante l'ordinamento giuridico canonico, 627-650, M. Renna e M. Vismara Missiroli ricostruiscono la storia italiana e quella della Chiesa cattolica a proposito di beni culturali, con ampi riferimenti in nota.

[3] Per tutto il materiale quasi normativo della Cei, vedi G. Grasso (a cura di), Chiesa e arte, documenti della Chiesa, testi canonici e commenti, Cinisello B., 2001, che non solo consegna al lettore quanto prodotto dalla Cei, ma sviluppa tutti i riferimenti, nel testo e nelle note, ai documenti papali, a quelli del concilio ecumenico Vaticano II, a quelli delle congregazioni romane, ecc.

[4] Per il testo vedi G. Grasso (a cura di), Chiesa e arte, cit., 135-239.

[5] vedi G. Grasso (a cura di), Chiesa e arte, cit., 51-68.

[6] L'ufficio liturgico è aperto al pubblico, con la sua biblioteca e l'archivio. Cfr. ufficio liturgico diocesano, Curia Arcivescovile, via Arsenale 12, 10121 Torino.

[7] Così in Piemonte, l'arcidiocesi di Torino ha più di duemilioni di abitanti, la segue la diocesi di Novara con più di cinquecentomila, ma le altre ne hanno quasi duecentomila l'arcidiocesi di Vercelli e le diocesi di Biella e Ivrea, centocinquantamila le diocesi di Acqui, di Alessandria e di Asti, centoventimila le diocesi di Aosta, Alba, Mondovì e Cuneo, centomila ne ha la diocesi di Casale M., Saluzzo ne ha novantamila, Pinerolo settantacinquemila, Susa sessantamila e Fossano quarantamila. Più equilibrato il Triveneto. Il patriarcato di Venezia ha trecentosessantamila abitanti, un milione ne ha la diocesi di Padova, quella di Verona ottocentomila, quella di Treviso quasi altrettanto, quella di Vicenza settecentocinquantamila, le diocesi di Trento e di Udine sono oltre i quattrocentocinquantamila, quella di Bolzano Bressanone ne ha quattrocentoventimila, la diocesi di Gorizia ne ha trecentottantamila le diocesi di Vittorio Veneto e di Concordia Pordenone sono sui trecentocinquantamila, duecentoquarantamila ne ha la diocesi di Trieste, duecentomila la diocesi di Adria Rovigo, centottantamila la diocesi di Belluno Feltre e centoventimila la diocesi di Chioggia. Per il Sud do i dati della Calabria. Trecentottantamila sono gli abitanti dell'arcidiocesi di Cosenza Bisignano, l'arcidiocesi di Reggio Calabria Bova ha duecentottantamila abitanti, l'arcidiocesi di Catanzaro ne ha duecentosessantamila, l'arcidiocesi di Crotone Santa Severina, centonovantamila, la diocesi di Mileto Nicotera Tropea ha centottantamila abitanti con Oppido Mamertini Palmi, centoquarantamila quella di Lamezia Terme, centotrentamila la diocesi di Locri Gerace, centoventimila quella di Rossano, San Marco Argentano ne ha centodiecimila, Cassano allo Ionio centottomila, trentatremila la eparchia, rito greco albanese, di Lungro. Ho riportato questi dati perché sia chiara a chi legge la grande diversità esistente tra le diocesi, e la loro localizzazione, frequentemente lontana dai centri universitari.



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