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Lo statuto-tipo della fondazione museale:
il caso del Museo egizio di Torino

di Sergio Foà


Sommario: 1. Il modello della fondazione di partecipazione nel settore culturale. - 2. Lo statuto-tipo della fondazione di partecipazione per la gestione di un museo statale. Finalità e attività. - 3. Patrimonio e organi della fondazione. Il ruolo dei fondatori privati.



1. Il modello della fondazione di partecipazione nel settore culturale

La fondazione, in particolare la fondazione di partecipazione, è divenuta strumento tipico di gestione dei beni culturali statali a far data dal d.lg. 20 ottobre 1998, n. 368 [1].

Quale unico vincolo per le future persone giuridiche di diritto privato, l'art. 10 di tale decreto impone che l'atto costitutivo e lo statuto prevedano, in caso di estinzione o di scioglimento della fondazione, il ritorno nella disponibilità ministeriale dei beni culturali conferiti in uso dal ministero. Va ricordato che in base allo stesso tenore letterale della disposizione richiamata, il conferimento in uso dei beni da parte del ministero rappresenta una delle possibili forme di partecipazione statale al patrimonio fondazionale, e non è condizione necessaria per la costituzione della fondazione [2].

Lo scarno contenuto della norma richiamata è stato precisato, come noto, dal regolamento ministeriale approvato con d.m. 27 novembre 2001, n. 491, al cui commento si rimanda per le parti non approfondite in questa sede [3].

Anzitutto occorre valutare lo scopo che la fondazione mira a perseguire e l'utilità che il ministero per i Beni e le Attività culturali può trarre dalla sua costituzione. In via generale l'art. 10 d.lg. n. 368 del 1998 prevede, come noto, che la costituzione o la partecipazione del ministero a fondazioni sia rivolta al "più efficace esercizio delle sue funzioni e, in particolare, per la valorizzazione dei beni culturali"; il d.m. n. 491 del 2001 circoscrive opportunamente l'ambito di attività, precisando che la fondazione si occupa, in particolare, della gestione e della valorizzazione dei beni culturali e della promozione delle attività culturali [4].

Nello specifico, lo statuto - ancora in corso di approvazione - della costituenda fondazione per la gestione del Museo egizio di Torino (che è museo statale) pare ridefinire il raggio d'azione della fondazione, se si considera l'espresso richiamo delle disposizioni di cui al d.lg. 29 ottobre 1999, n. 490 (testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali), che indubitabilmente si occupa degli istituti di tutela dei beni culturali intesi come beni materiali e, come da tutti osservato, trascura nella sostanza le attività culturali [5]. Senza enfatizzare il richiamo dello statuto al testo unico, si potrebbe semplicemente giustificarlo pensando che la fondazione, quale strumento di gestione di un bene museale, debba organizzare le risorse per garantire una "adeguata conservazione" del museo e dei beni culturali conferiti (così, del resto, l'art. 2, comma 2, lett. a) dello statuto in esame): si tratta, in altri termini, del nucleo essenziale e prioritario dell'attività di gestione, necessario per poter valorizzare gli stessi beni.

 

2. Lo statuto-tipo della fondazione di partecipazione per la gestione di un museo statale. Finalità e attività

Se si entra nel vivo dell'analisi, colpisce anzitutto l'immediata definizione degli impegni che la fondazione richiede agli "altri fondatori" (cioè a tutti gli altri soggetti, enti territoriali, enti pubblici e soggetti privati, diversi dal ministero), tanto che il contenuto essenziale delle attività in prospettiva loro assegnate è precisato ancor prima dell'indicazione delle finalità della stessa fondazione (cfr. art. 1, comma 4).

Lo schema è chiaro: il ministero conferisce in uso il "museo", inteso come bene museale, comprese le relative dotazioni e collezioni [6], mentre gli altri fondatori debbono conferire "adeguate risorse finanziarie" per la costituzione del fondo di dotazione. Notevole importanza assumerà l'apposito "atto convenzionale" al riguardo richiamato dallo statuto: lo stesso atto, che a tutti gli effetti rappresenta un accordo accessorio rispetto alla concessione d'uso dei beni [7], deve stabilire le modalità di conferimento da parte del ministero e, sotto altro profilo, deve definire le modalità con cui gli altri fondatori si impegnano a concorrere al finanziamento delle "spese di funzionamento e delle attività della fondazione", nonché a garantire la copertura delle spese necessarie per la ristrutturazione funzionale della sede.

Riguardo a tale ulteriore "impegno", più correttamente qualificabile in termini di obbligazione (trattandosi di atto negoziale), lo statuto precisa che siano gli stessi fondatori ad individuare, ove necessario, nuovi edifici idonei allo svolgimento delle attività ed a sostenere gli oneri derivanti dal nuovo allestimento del museo [8].

La prima finalità della fondazione si desume proprio dalla disposizione appena richiamata: la necessità di reperire capitale per garantire al museo, quale bene di fruizione, di soddisfare la sua funzione naturale, intesa non solo come adeguata conservazione delle dotazioni, ma altresì come valorizzazione e maggiore visibilità al pubblico.

Tali attività sono meglio precisate dall'art. 2, comma 2, dello statuto, a mente del quale la fondazione persegue le finalità della valorizzazione, promozione, gestione e adeguamento strutturale, funzionale ed espositivo del museo, dei beni culturali ricevuti o acquisiti a qualsiasi titolo e della promozione e valorizzazione delle attività museali. Le finalità sono dunque sufficientemente precisate, anche se si tratta di definizioni che non rispecchiano fedelmente l'elenco delle funzioni di cui al d.lg. 31 marzo 1998, n. 112: così, ad esempio, la "valorizzazione" riferita alle attività museali e la "gestione" intesa come finalità e non come mezzo per valorizzare e adeguare l'esposizione e la struttura del museo [9].

Con riferimento alle finalità dichiarate, lo statuto riprende letteralmente l'art. 2 del citato d.m. n. 491 del 2001 (così le lettere a), b) e c) dell'art. 2, comma 2), ma lo integra significativamente aggiungendo "l'organizzazione, nei settori scientifici di competenza (...), di mostre, eventi culturali e convegni, nonché di studi, ricerche, iniziative, attività didattiche o divulgative, anche in collaborazione con enti ed istituzioni, anche internazionali ed organi competenti per il turismo, ed, in particolare con la regione" (lett. d).

Il punto più interessante riguarda comunque la previsione della possibile partecipazione della fondazione ad altre organizzazioni, comprese società di capitali, che perseguano finalità "coerenti con le proprie e strumentali al raggiungimento degli scopi" (art. 2, comma 4, lett. b). Premesso che la fondazione non ha fini di lucro e non distribuisce utili [10], si può ricordare che la previsione in esame riprende la norma originariamente contenuta nello schema di regolamento approvato dal consiglio dei ministri nella scorsa legislatura, che però subordinava la costituzione e la partecipazione a società di capitali ad autorizzazione ministeriale [11]; mentre il d.m. n. 491 del 2001 tace al riguardo. Il silenzio del regolamento deve essere interpretato come mancata imposizione di ulteriori vincoli all'attività fondazionale, lasciando a questa le scelte sull'opportunità di legarsi ad una società di capitali.

Se è vero che la possibilità di esternalizzare una serie rilevante di attività riconducibili alla gestione dei beni culturali, per effetto dell'art. 33 della l. 28 dicembre 2001, n. 448, dovrebbe consentire al ministero di seguire quella procedura anziché costituire la fondazione e, in seconda istanza, partecipare ad una società di capitali [12], è altrettanto evidente che nel caso in esame la scelta è stata effettuata a monte: la fondazione è stata ritenuta strumento di gestione idoneo per conservare e valorizzare il museo, ovviamente se sorretta da adeguato fondo di dotazione, e può partecipare a società di capitali ove l'intersezione con l'attività economica risulti strumentale o comunque connessa al perseguimento delle finalità statutarie [13].

L'obiettivo di realizzare economie di gestione giustifica altresì la possibilità di stipulare con enti pubblici o soggetti privati accordi o contratti per l'acquisto di beni e servizi, l'assunzione di personale dipendente e "l'accensione di mutui o finanziamenti" [14]: si tratta di previsione a carattere esemplificativo, in parte ultronea, laddove non fa altro che confermare la generale capacità di diritto privato della fondazione, con i conseguenti possibili effetti negoziali che ne rappresentano naturale manifestazione.

 

3. Patrimonio e organi della fondazione. Il ruolo dei fondatori privati

La previsione sul patrimonio della fondazione evidenzia implicitamente la particolare importanza assunta dal fondo di dotazione: se infatti si confronta l'art. 3 dello statuto con l'art. 3 del d.m. n. 491 del 2001, si nota subito il mancato richiamo, nella prima disposizione, della voce "beni mobili e immobili di cui è proprietaria" che invece è prevista nel regolamento; ciò perché il conferimento ministeriale dei beni mobili ed immobili riguarda il solo diritto d'uso e non trasferisce la proprietà, mentre i lasciti, le donazioni e le atre erogazioni ad incremento del patrimonio sono soltanto eventuali.

Ora, per insegnamento tradizionale, l'atto di fondazione si compone di due negozi distinti: il negozio di fondazione, diretto alla nascita del nuovo soggetto giuridico e funzionalmente collegato con il riconoscimento della persona giuridica; il negozio di dotazione, mero atto di disposizione patrimoniale accessorio al primo [15]. Nel caso di specie, la stessa costituzione del fondo di dotazione è rimessa ad appositi atti convenzionali che, come si è visto, sono destinati ad assumere rilievo decisivo, proprio perché destinati a chiarire in quali termini gli altri fondatori permetteranno alla fondazione di adempiere alle proprie finalità. La determinazione degli impegni finanziari relativi ai primi cinque anni di attività è invece rimessa all'atto costitutivo.

Da tali convenzioni e dall'atto costitutivo si potranno trarre elementi significativi per valutare la fattibilità degli obiettivi previsti in sede statutaria.

Un'osservazione può tuttavia già essere permessa: in caso di estinzione della fondazione, la sorte dei beni conferiti dagli altri fondatori è rimessa ad apposite previsioni statutarie, in mancanza delle quali l'art. 31 cod. civ. prevede che l'autorità governativa possa disporre la loro devoluzione ad enti che hanno fini analoghi. E' opportuno ricordare che nel dibattito dottrinale si fronteggiano coloro che ammettono clausole intese al recupero dei beni conferiti e coloro che ritengono tali clausole incompatibili con lo scopo di pubblica utilità che informa l'attività della fondazione, che sarebbe derogabile solo nell'ipotesi in cui il fondatore persegua fini analoghi a quelli dell'ente estinto [16]. Ebbene, nel caso di specie, si è scelta una linea dura, poco conveniente per gli altri fondatori, atteso che "gli altri beni acquisiti a qualunque titolo dalla fondazione vengono devoluti allo stesso ministero o ad altro ente, individuato dal consiglio di amministrazione, che persegua finalità analoghe a quelle della fondazione estinta" (art. 14, comma 3). Ciò significa, in altri termini, che i beni conferiti dai privati non potranno tornare nella loro disponibilità in caso di estinzione della fondazione.

Con riferimento agli organi, lo statuto in esame rispetta la distinzione di cui all'art. 4 d.m. n. 491 del 2001 tra funzioni di indirizzo, di amministrazione, di controllo, di consulenza scientifica e di controllo, e stabilisce per tutti la durata di quattro anni, cioè la durata massima consentita dalla fonte regolamentare.

L'assemblea dei fondatori, quale organo di indirizzo, adotta il documento programmatico pluriennale, che "determina le strategie, le priorità e gli obiettivi da perseguire, nonché i relativi programmi di intervento" [17]: si tratta di un documento vincolante per l'attività della fondazione, che in fase di attuazione è utilizzabile dal comitato tecnico-scientifico come parametro per valutare la congruità delle scelte culturali effettuate.

Il consiglio di amministrazione è caratterizzato dalla prevalenza dei rappresentanti del ministero e dei fondatori privati, che vantano tre membri a fronte di un unico rappresentante per regione, provincia e comune [18].

Sfruttando l'opportunità concessa dal d.m. n. 491 del 2001, l'art. 10 dello statuto introduce inoltre la figura del direttore generale, cui vengono affidate le funzioni di amministrazione ed i compiti di gestione, oltre ai poteri di proposta e di impulso relativi agli obiettivi ed ai programmi di attività della fondazione. La preferenza per una gestione monocratica, ovviamente temperata dagli importanti poteri riservati all'organo consiliare, ha suscitato discussioni, ancora aperte, sulla tipologia di formazione richiesta al direttore generale, oscillanti tra una preferenza per competenze marcatamente manageriali oppure per conoscenze più tecnico-culturali.

Il comitato tecnico-scientifico e il collegio dei revisori dei conti rappresentano invece gli organi che, relativamente ai propri ambiti di competenza, controllano la pertinenza dell'attività fondazionale agli indirizzi, ai programmi ed piani di spesa approvati. Il primo organo collegiale, presieduto dal soprintendente competente per materia, segnala al ministero le attività non coerenti con il conseguimento delle finalità statutarie, permettendo al ministero di revocare, nei casi più gravi, la concessione d'uso dei beni conferiti [19]; il secondo segnala al ministero, ed agli altri organi fondazionali, tutti gli atti o fatti che possano costituire irregolarità di gestione ovvero violazione di norme che disciplinano l'attività della fondazione [20]. Viene in tal modo garantito lo svolgimento delle funzioni ministeriali di controllo e di vigilanza che a livello regolamentare sono imposte quali condizioni necessarie per la partecipazione ministeriale ad una fondazione (formalmente) di diritto privato [21].

 



Note

[1] Per un primo commento, E. Bruti Liberati, Il ministero fuori dal ministero (art. 10 del d.lg. 368/1998), in Aedon, n. 1/1999.

[2] L'art. 10 utilizza infatti il termine "anche" riferito al conferimento in uso dei beni da parte del ministero, come possibile forma di partecipazione statale alla fondazione.

[3] S. Foà, Il regolamento sulle fondazioni costituite e partecipate dal ministro per i Beni e le Attività culturali, in Aedon, n. 1/2002; S. Foà, Il regolamento sulle fondazioni culturali a partecipazione statale, in Giornale di diritto amministrativo, 2002, 829 ss.

[4] Cfr. art. 1, comma 1.

[5] Per tutti I beni e le attività culturali, a cura di A. Catelani e S. Cattaneo, in Trattato di diritto amministrativo, diretto da G. Santaniello, vol. XXXIII, Padova, 2002, e spec. D. Amirante, Le attività culturali: una nozione da ricostruire, ivi, 755 ss. Occorre inoltre prestare attenzione alla distinzione tra attività culturali ricomprese nel regime giuridico dei beni a seconda che appaiano o meno strumentalmente connesse con questi ultimi (come per esempio sostenuto nel volume appena richiamato). Sul punto è bene ricordare che non tutti i beni culturali richiedono la prestazione di attività strumentali, o meglio non tutti i beni richiedono la stessa tipologia di attività: nessuno dubita infatti che per i musei e le biblioteche assuma primaria rilevanza l'apertura al pubblico e la fruibilità dei beni conservati, mentre per un monumento assume primaria importanza la conservazione (e dunque la gestione sarà orientata prevalentemente in tale direzione). Nel caso di specie, trattandosi di un bene museale, la fondazione deve occuparsi principalmente dell'erogazione di un servizio all'utenza.

[6] Il conferimento ha dunque ad oggetto sia beni immobili sia beni mobili.

[7] In genere, sulla figura dell'accordo e sui suoi limiti, E. Bruti Liberati, Consenso e funzione nei contratti di diritto pubblico, Milano, 1996, 119 ss.

[8] Così suscitando l'impressione di una "fondazione-veicolo" per finanziare interventi strutturali sul museo: il conferimento in uso da parte del ministero, a quel punto, si ridurrebbe ai beni mobili contenuti nella sede originaria, che verrebbero trasferiti in altro immobile individuato dai privati.

[9] Sulla ricostruzione delle nozioni di cui al d.lg. n. 112 del 1998, cfr. da ultimo C. Barbati, M. Cammelli, G. Sciullo (a cura di), Il diritto dei beni culturali, Bologna, 2003; M. Ainis, M. Fiorillo, I beni culturali, in Trattato di diritto amministrativo. Diritto amministrativo speciale, a cura di S. Cassese, II ed., vol. II, Milano, 2003, 1449 ss.; I beni e le attività culturali, cit., spec. P. Stella Richter, E. Scotti, Lo statuto dei beni culturali tra conservazione e valorizzazione, ivi, 385 ss.; N. Aicardi, L'ordinamento amministrativo dei beni culturali. La sussidiarietà nella tutela e nella valorizzazione, Torino, 2002; S. Foà, La gestione dei beni culturali, Torino, 2001, 33 ss.; L. Casini, La valorizzazione dei beni culturali, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 2001, 651 ss.

[10] Così l'art. 2, comma 1, dello statuto.

[11] Approvato in data 26 novembre 1999 e riportato in Aedon, n. 2/2000, ed ivi il commento di A. Canuti, Il regolamento attuativo dell'art. 10 d.lg. 368/1998: un primo commento.

[12] Così già S. Foà, Il regolamento sulle fondazioni, cit.

[13] Del resto, se la fondazione svolge attività non coerenti con il conseguimento delle finalità statutarie, lo stesso statuto prevede che il ministro, nei casi più gravi, possa disporre la revoca della concessione d'uso dei beni culturali conferiti (cfr. art. 11, comma 4).

[14] Art. 2, comma 4, lett. a) dello statuto.

[15] Si richiama solo la letteratura di carattere generale più recente, cui si rinvia per ulteriori riferimenti bibliografici: E. Bellezza, F. Florian, Le fondazioni nel terzo millennio, Firenze, 1998; G. Iorio, Le fondazioni, Milano, 1997.

[16] Per una ricostruzione del dibattito dottrinale, A. Fusaro, voce Fondazione, in Digesto discipline privatistiche - Sezione civile, vol. VIII (1992), 359 ss., spec. 366 s.

[17] Art. 5, comma 2, dello statuto.

[18] Art. 7 dello statuto.

[19] Art. 11, comma 4, dello statuto.

[20] Art. 12, comma 4, dello statuto.

[21] Si tratta invero di elementi necessari del negozio di fondazione, imposti da una norma imperativa che è soltanto di rango secondario.

 



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