Tutela del patrimonio culturale
La confisca transfrontaliera dei beni culturali trafugati
di Gianmarco Bondi [*]
Sommario: 1. Introduzione. Le confische nell’attuale sistema di tutela penale del patrimonio culturale. - 2. La cooperazione giudiziaria in tema di beni culturali trafugati. - 2.1. La vicenda dell’Atleta di Fano. - 3. La sostenibilità del regime probatorio sulla “culturalità” e sulla proprietà del bene. La quaestio del terzo in buona fede. - 4. Conclusioni e proposte.
La confisca è un istituto centrale nel sistema del diritto penale dei beni culturali, che si pone a presidio di entrambi gli interessi giuridici più rilevanti, sia quello del c.d. cultural heritage, svolgendo una funzione recuperatoria di res di valore storico-artistico, sia quello del c.d. art market, adempiendo a uno scopo securitario nel senso della limitazione della circolazione di opere false. Nello specifico, il fenomeno del trasferimento all’estero di oggetti d’arte trafugati in Italia impone di approfondire la confisca di beni culturali e gli strumenti di cooperazione giudiziaria penale esistenti, cercando di comprenderne le criticità, anche attraverso il confronto con un significativo arresto giurisprudenziale. L’indagine consentirà di evidenziare come l’istituto ablativo in esame si ponga in frizione con i principi costituzionali in materia penale e come la collaborazione internazionale in materia sia ancora carente. In chiusura, si propongono spunti di riforma volti ad innalzare il livello delle garanzie e rendere nel contempo più efficiente la cooperazione giudiziaria.
Parole chiave: confisca; beni culturali trafugati; cooperazione giudiziaria penale.
The cross-border confiscation of stolen cultural property
Confiscation is a central provision in the criminal law system concerning cultural property. It serves to protect both of the most relevant legal interests: on one hand, the so-called cultural heritage, by fulfilling a restorative function through the recovery of items of historical and artistic value; on the other, the so-called art market, by serving a security purpose in terms of restricting the circulation of counterfeit works. Specifically, the phenomenon of the transfer abroad of artworks stolen in Italy requires a thorough examination of the confiscation of cultural property and of the existing instruments of international cooperation in criminal matters, with a view to understanding their shortcomings, including through the analysis of a significant ruling. This study will highlight how the confiscatory measure under consideration may conflict with constitutional principles of criminal law and how international cooperation in this area remains insufficient. Finally, reform proposals will be presented, aimed at strengthening legal safeguards while simultaneously enhancing the efficiency of judicial cooperation.
Keywords: confiscation; stolen cultural property; judicial cooperation in criminal matters.
1. Introduzione. Le confische nell’attuale sistema di tutela penale del patrimonio culturale
Le espressioni “nomen plurale tantum” [1] e “nullum crimen sine confiscatione” [2], adoperate nella descrizione delle confische in generale, ben si attagliano a quelle del diritto penale dei beni culturali. Anche a seguito della riforma organica di cui alla legge 9 marzo 2022, n. 22 [3], si rivengono infatti in tale ambito, come si vedrà nel prosieguo della trattazione, istituti ablativi con identità diverse (e controverse) e spettri applicativi estesi (pressoché totalizzanti).
Nella dimensione sovranazionale, l’intervento legislativo del 2022 ha costituito l’occasione, oltre che per un ridisegno (e un sensibile inasprimento) delle sanzioni [4] nel diritto penale dell’arte, anche per una piena attuazione della Convenzione di Nicosia del 2017 [5].
Con attinenza alla confisca, la Convenzione richiede al relativo art. 14 par. 3 che le Parti “shall take” le misure legislative necessarie per permettere il sequestro e la confisca degli “instrumentalities” utilizzati per commettere i reati ivi previsti, dei “proceeds” che ne sono derivati o di “property” di valore corrispondente [6]. Al par. 4, domanda agli Stati contraenti di provvedere a “hand over” la “cultural property” sequestrata, quando non più necessaria per il procedimento penale, ai Paesi di provenienza [7].
Nel recepirli, il nuovo regime confiscatorio dei delitti contro il patrimonio culturale è andato ben oltre quanto richiesto dagli obblighi internazionali menzionati poc’anzi [8]. Attualmente, si distinguono due diverse tipologie di misure ablative, sulla base della res sulla quale si riverbera il relativo provvedimento: beni culturali e beni contraffatti.
Prendendo le mosse dalla confisca di beni culturali, essa è oggi disciplinata all’art. 518-duodevicies c.p. (mentre in precedenza lo era all’art. 174 c.b.c. [9]).
Il comma 1 impone “in ogni caso” al giudice di ordinare la confisca delle cose che hanno costituito l’oggetto del reato di uscita ed esportazione illecita ex art. 518-undecies c.p., e, cioè, beni culturali [10], cose di interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, bibliografico, documentale o archivistico o altre cose oggetto di specifiche disposizioni di tutela ai sensi della normativa sui beni culturali [11], salvo che queste appartengano a persona estranea al reato [12]. Inoltre, laddove si sia verificata l’estinzione del reato, viene fatto rinvio alla procedura dell’incidente di esecuzione, di cui all’art. 666 e ss. c.p.p. [13]. Attraverso un ulteriore richiamo, anche la normativa doganale concernente il contrabbando viene resa applicabile ai beni culturali [14].
Il comma 2 sancisce che, in caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti, per tutti i delitti previsti dal nuovo Titolo VIII-bis è sempre ordinata la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e di quelle che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo.
Il comma 3 stabilisce che, nell’evenienza in cui non si possa procedere a norma del secondo comma, è ordinata la confisca per equivalente di denaro, beni e utilità delle quali il reo dispone, anche se per interposta persona, per un valore che corrisponde al profitto o al prodotto del reato.
Ad un primo sguardo, l’art. 518-duodevicies c.p. include almeno tre modelli di confisca eterogenei: quello sui generis, sull’oggetto del reato; quello di misura di sicurezza, sulle cose servite o destinate alla commissione dell’illecito penale o che ne costituiscono prodotto, profitto o prezzo [15]; e quello della pena, su denaro, beni e utilità per il valore di profitto o prodotto [16].
La legge 22/2022 ha altresì interpolato l’art. 240-bis c.p., inserendo nel relativo elenco delle ipotesi nelle quali è possibile disporre la confisca per sproporzione: ricettazione, impiego, riciclaggio e autoriciclaggio di beni culturali, delitti previsti rispettivamente agli artt. 518-quater, quinquies, sexies e septies c.p.
Riprendendo il confronto con gli obblighi internazionali, ci si avvede allora dello zelo repressivo che ha contraddistinto l’intervento del legislatore nazionale poiché, come sopra evidenziato, la Convenzione di Nicosia pretende solamente la confisca di quanto utilizzato per la commissione dei reati, di ciò che ne è derivato e di cespiti di valore che vi corrisponda [17].
Concentrandosi, ratione materiae, sulla confisca ex art. 518-duodevicies c.p. [18], se ne deve sin d’ora denunciare l’ambiguità, mancando un’unanimità di vedute su quale sia la sua esatta identità.
Secondo una certa ricostruzione, tale ablazione sarebbe applicabile a tutte le fattispecie di reato del Titolo VIII-bis e quindi anche a condotte che potrebbero essere qualificate come di “trafugamento” [19] o comunque “dispersive” [20] o “di spoglio” [21] dei beni culturali [22], poiché l’art. 518 duodevicies c.p. rinvia alla disposizione precedente ai soli fini della elencazione di quanto potenzialmente apprendibile [23]. Siffatta lettura non convince però del tutto poiché al comma 2 è riportata la dicitura “per uno dei delitti previsti dal presente titolo”, che al comma 1 è assente. Dunque, si deve dedurre che quest’ultimo faccia riferimento al solo delitto di uscita o esportazione illecite, come per il previgente art. 174 c.b.c. [24].
La confisca di beni culturali non è infatti facilmente collocabile nelle categorie consuete. Del resto, l’oggetto d’arte non costituisce un prodotto o un profitto del reato, non avendo rispetto ad esso l’usuale nesso di derivazione, né è a una cosa in sé pericolosa (tutt’altro, essendo invece tutelato ai sensi del principio fondamentale di cui all’art. 9 Cost. [25]). Questa forma di ablazione presenta piuttosto forti affinità con il corrispettivo della normativa doganale, in particolare con l’art. 301 TULD che disciplina la confiscabilità dell’oggetto, affianco a prodotto e profitto, del reato. Neppure tale modello di riferimento risulta ad ogni modo pienamente soddisfacente a fini teorico-ricostruttivi in quanto, nella dimensione del diritto penale dell’arte, lo scopo della privazione del bene non collima con quello in materia di contrabbando. Infatti, nella prima si tratta solo in via mediata di sottrarre qualcosa alla circolazione interstatuale e si mira, con la privazione a scapito del singolo, in ultima istanza a offrire la res al godimento dei consociati. Nella seconda, invece, si guarda all’esigenza primaria di controllare ciò che entra nel Paese: occorre, quindi, assoggettare al dominio statale i movimenti delle merci, puntando in definitiva a non renderle in alcun modo accessibili.
Lasciando all’approfondimento successivo i profili della tutela del terzo, si deve a questo punto dare conto delle contrapposizioni esistenti circa la qualificazione della confisca di beni culturali.
Secondo alcuni, si è in presenza di una confisca amministrativistica [26] oppure civilistica [27]. La ratio di tale interpretazione poggia sul riconoscimento della proprietà statale del bene [28], laddove la confisca, seppure attraverso il processo penale, reintegra lo Stato nel pieno esercizio del proprio diritto. Secondo questa linea di pensiero, non si tratta di prevenire o reprimere, bensì di ripristinare la situazione preesistente. Inevitabilmente, questa lettura si traduce in una compressione delle prerogative dell’individuo: poiché lo Stato non viene altro che reimmesso nella titolarità della res, non si tratta di irrogare una punizione (come invece avviene con la confisca per equivalente) e non risultano pertanto applicabili i principi penalistici dettati dalla Costituzione e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, quali soprattutto i principi di legalità e di personalità della responsabilità penale, oltre al diritto di difesa nel suo criminal limb.
Su questo presupposto, la Corte di Cassazione ha ammesso la confisca di beni culturali, con riferimento al previgente art. 174 c.b.c., anche in assenza di una sentenza di condanna o di c.d. patteggiamento, quando il fatto non è punibile oppure il reato è estinto (per esempio, come non è infrequente, per intervenuta prescrizione del reato [29]), ossia “quando il giudizio penale si sia definito con sentenza di proscioglimento per cause che non riguardino la materialità del fatto e non siano tali da interrompere il rapporto fra la res quae necesse auferre ed il delitto commesso” [30]. Tale orientamento pare sia stato recepito in sede legislativa poiché, come anticipato, l’art. 518-duodevicies c.p. espressamente ammette la confisca nell’eventualità dell’esistenza di una causa estintiva del reato. Inoltre, è stata negata l’applicabilità dell’art. 578-bis c.p.p., sull’ablazione “in casi particolari” per intervenuta amnistia o prescrizione nel grado d’appello e di cassazione [31].
Secondo altri, trattasi invece di una confisca penalistica [32]. Gli elementi addotti a sostegno di questa tesi attengono al rapporto consequenziale tra la condanna e l’ablazione, alla natura e allo scopo della misura, alle procedure applicativa ed esecutiva, all’afflittività e alla disciplina della salvaguardia del terzo estraneo. Si esclude dunque che essa possa essere esperita senza un accertamento di responsabilità in senso oggettivo e soggettivo; il quale è assente, ad esempio, nell’evenienza di una declaratoria di prescrizione in fase di indagini preliminari o comunque di un ordine emesso nel successivo incidente di esecuzione. Tale costruzione teorica implica esiti agli antipodi rispetto alla concezione civilistica: occorrerebbe cioè assicurare la piena vigenza dei citati principi della Costituzione e della CEDU riguardanti la materia penale.
Al cospetto di tale difficile esegesi, appare condivisibile l’attenzione posta in dottrina sulla opportunità di distinguere le argomentazioni riguardanti i beni archeologici da quelle relative agli altri beni culturali [33].
Infatti, l’argumentum proprietatis (e la natura amministrativa o civile della confisca), all’esito di un bilanciamento tra contrapposti interessi meritevoli di tutela, non pare assumere lo stesso peso su entrambi i versanti. Del resto, mentre per i beni archeologici la titolarità è tendenzialmente pubblica e le ipotesi di proprietà privata sono residuali, per i beni culturali non è affatto lo stesso. Per giunta, essendo il delitto di uscita o esportazione illecite di pericolo [34] (atteso che è integrato anche in rapporto a condotte di trasferimento al di fuori dei confini statali di oggetti d’arte che, se richiesta, avrebbero ottenuto la relativa certificazione) l’ablazione interverrebbe con riguardo a res potenzialmente prive della caratura storico-artistica, che sola giustifica l’integrale sacrificio del diritto di proprietà individuale. In quest’ultima contingenza, la confisca costituisce un pregiudizio sproporzionato per la persona, priva di una giustificazione plausibile connessa all’esigenza di recupero al patrimonio nazionale.
Giungendo quindi, per ragioni di completezza, alla confisca di beni contraffatti, quest’ultima trova spazio all’interno del “microsistema della contraffazioni” [35], all’art. 518-quaterdecies c.p.
Il comma 4 dispone che è “sempre ordinata” la confisca degli esemplari contraffatti, alterati o riprodotti delle opere o degli oggetti indicati nel primo comma [36], a meno che si tratti di cose appartenenti a persone estranee al reato. Inoltre, è vietata la vendita delle stesse alle aste dei corpi di reato, senza limiti di tempo.
Quest’altra nozione di confisca è chiaramente riconducibile al genus delle misure di sicurezza [37]. Infatti, la pericolosità della res si può comprendere nella stessa esistenza di un’opera d’arte falsa, che si presta, in potenza, a trarre in inganno eventuali acquirenti, viziando il mercato di tali prodotti. Questa spiegazione illustra anche il correlato divieto, normativamente imposto, di vendita nelle aste dei corpi di reato. Si discute del destino della res contraffatta (e delle modalità per assicurarsene), quale la distruzione oppure l’apposizione di un’attestazione sulla sua non genuinità. Cionondimeno, occorrerà esaminare caso per caso quale sia l’iniziativa preferibile, tenendo a mente la rilevanza che virtualmente assumono certi falsi d’artista.
2. La cooperazione giudiziaria in tema di beni culturali trafugati
La confisca di beni culturali, quale arma affilata nell’arsenale del contrasto alla circolazione illecita, logicamente dipende dall’esistenza di una cooperazione giudiziaria che permetta il recupero degli oggetti d’arte al di fuori dei confini nazionali [38], nel contesto internazionale ed eurounitario [39].
A eccezione degli accordi bilaterali, tra gli strumenti normativi per il recupero di oggetti d’arte trafugati si distinguono quelli con carattere prevalentemente, da un lato, amministrativistico e civilistico, che rappresentano la maggioranza [40], e, dall’altro, penalistico [41].
Nel primo insieme, si trovano convenzioni internazionali, come la convenzione UNESCO del 1970 [42] e la convenzione UNIDROIT del 1995 [43], e direttive dell’Unione europea, quale la direttiva 2014/60/UE [44]. Nel secondo insieme, si rinvengono convenzioni del Consiglio d’Europa [45], come la convenzione di Strasburgo del 1959 [46], e regolamenti dell’Unione europea, quale il regolamento UE 2018/1805 [47].
In particolare, il reg. UE 2018/1805 [48] è dedicato espressamente al riconoscimento dei provvedimenti di congelamento e di confisca e si applica nei procedimenti in materia penale [49] attinenti anche al “traffico illecito di beni culturali, compresi gli oggetti d’antiquariato e le opere d’arte” (art. 3, par. 1, n. 19). In particolare, il Regolamento tratta della non conviction based confiscation, ammettendo i provvedimenti “emessi anche in assenza di una condanna definitiva”, ma escludendo quelli “emessi nel quadro di procedimenti in materia civile o amministrativa” (considerando n. 13). Rispetto alla gestione e alla destinazione delle res, l’art. 28 reg. UE 2018/1805 stabilisce, richiamando la definizione dell’art. 2, par. 1, dir. 2014/60/UE, che lo Stato di esecuzione non è tenuto a vendere o restituire i beni culturali, lasciando impregiudicato l’obbligo di restituirli a mente della dir. 2014/60/UE.
La disposizione in questione si presta a due diverse letture, in relazione alla titolarità dell’oggetto d’arte considerato, ossia in funzione del fatto che esso appartenga al patrimonio dello Stato richiesto oppure a quelli di entrambi i Paesi coinvolti [50].
Per la prima lettura, lo Stato di esecuzione non può considerarsi obbligato alla restituzione o alla vendita di propri beni in quanto, appunto, appartenenti al medesimo. Tale interpretazione non impedisce tuttavia la restituzione allo Stato di emissione di beni la cui titolarità è ad esso riconducibile, che può avvenire attraverso due diverse procedure: quella in favore della vittima in virtù dell’art. 29 reg. UE 2018/1805 [51] oppure quella del procedimento amministrativo disciplinato dalla dir. 2014/60/UE.
Per la seconda lettura, invece, il bene culturale deve essere restituito o venduto a prescindere dall’esistenza del diritto di proprietà in capo allo Stato richiesto oppure a quello richiedente.
Per le source countries come l’Italia è certamente favorevole la prima interpretazione, che permette di assicurare un esito pienamente satisfattivo delle pretese ablative statali. Eppure, si deve sottolineare che il relativo iter rappresenta un sub-procedimento meno garantista rispetto a quello di cui alla dir. 2014/60/UE poiché in coincidenza con la restituzione allo Stato si contempla una semplice compensazione per i terzi di buona fede. Il Regolamento non pare dunque essere il mezzo più consono per raggiungere l’obbiettivo di apprendere beni culturali. Piuttosto, laddove un dato Paese abbia contezza della presenza all’estero di un oggetto d’arte di proprietà pubblica, è auspicabile che si utilizzi la dir. 2014/60/UE.
Nel contesto della collaborazione internazionale tra autorità giudiziarie, è possibile tracciare una distinzione tra richieste riguardanti beni culturali “strettamente intesi” (rientranti cioè nel novero di quelli all’art. 10 c.b.c.) e cose di interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, bibliografico, documentale o archivistico o altre cose oggetto di specifiche disposizioni di tutela ai sensi della normativa sui beni culturali (di cui all’elenco dell’art. 518-undecies c.p.) [52].
Su questo piano, si posiziona anche la confisca di beni culturali, la quale, come già evidenziato, è ammessa altresì in assenza di una condanna e in presenza di una causa di estinzione del reato quale la prescrizione.
Generalmente, la confisca senza condanna di oggetti d’arte presenta difficoltà di riconoscimento transfrontaliero. Tradizioni giuridiche di Paesi diversi dal nostro, del resto, non contemplano l’applicabilità di tale istituto in presenza di provvedimenti declaratori della improcedibilità (per prescrizione o morte) o di assoluzione. Eppure, risulta che ciò avvenga con regolarità nei procedimenti penali in questo settore, ove l’ablazione viene ordinata pur senza affermazione di responsabilità “in senso formale” e talvolta neppure “in senso sostanziale”, qualora rimanga ignoto l’autore del fatto [53]. Sotto questo aspetto, occorrerà valutare nel tempo se tale situazione verrà modificata dall’applicazione del reg. UE 2018/1805, precipuamente dedicato, lo si è visto, alla non conviction based confiscation.
Dai dati ad oggi disponibili sulle richieste di cooperazione giudiziaria, risulta che le autorità italiane non valorizzino adeguatamente l’interesse culturale che presentano i beni in rilievo, tant’è che le omologhe autorità straniere domandano sovente chiarimenti su quali siano gli elementi che permettono di disporre l’ablazione [54].
Inoltre, va segnalato che non di rado la confisca viene ordinata attraverso un decreto di archiviazione. Questa modalità di chiusura del procedimento complica l’accoglimento della domanda di riconoscimento da parte di autorità giudiziarie degli Stati Membri dell’Unione europea in duplice prospettiva: per l’una, l’adozione del provvedimento al di fuori dell’udienza e, per l’altra, senza che il possessore sia informato della pendenza della procedura [55].
Tra le criticità operative afferenti alla scelta degli strumenti di cooperazione giudiziaria, vi è poi l’uso errato dell’Ordine europeo di indagine penale [56].
Succede infatti che l’iniziativa di sequestro e restituzione ai fini di confisca di beni culturali dell’autorità nazionale venga ritenuta, da quella straniera, priva di una effettiva valenza probatoria, oppure che l’Oei non sia considerato il mezzo più corretto da utilizzare nel caso concreto [57]. In presenza, agli atti, di una evidenza della provenienza da attività illecita del bene culturale, l’attivazione della collaborazione viene motivata solamente da scopi recuperatori, cosicché i corrispondenti stranieri (coerentemente) non ravvisano l’esistenza di un’esigenza di indagine e, quindi, concludono per la non necessità dell’Oei, ai sensi dell’art. 6 direttiva 2014/41/UE. Da tali presupposti, conseguono, alternativamente, il rifiuto della richiesta o la proposta di atti di indagine diversi (quali, ad esempio, lo svolgimento di un expertise nello Stato dell’esecuzione oppure la consegna temporanea all’Italia, con successiva restituzione, per esperire tale atto istruttorio, secondo l’art. 32 dir. 2014/41/UE). Perciò, questa situazione suggerisce che l’Oei debba essere adoperato per accertamenti che siano effettivamente tali (e non per ablazioni “mascherate” da investigazioni), anche, in ipotesi, al fine di sondare la vera titolarità dell’oggetto d’arte; al contrario, esso non si presta a venire utilizzato se l’aspirazione è quella alla restituzione del bene culturale.
2.1. La vicenda dell’Atleta di Fano
Tra i casi di cooperazione giudiziaria che meglio esemplificano le problematiche esistenti sotto entrambi i profili della compatibilità costituzionale e della efficacia concreta dei provvedimenti di confisca dei beni culturali spicca, pur nella sua unicità, la vicenda del c.d. Atleta di Fano, Atleta Vittorioso o Getty Bronze [58].
In sintesi, con una prima ordinanza del 2007, il Tribunale di Pesaro aveva accolto la richiesta di archiviazione per prescrizione e rigettato quella di confisca del pubblico ministero (per essere i proprietari estranei al reato in relazione a un procedimento penale per preparazione, organizzazione ed esportazione al di fuori dell’Italia) della statua dell’Atleta di Fano [59]. Con una seconda ordinanza del 2010, lo stesso Tribunale, quale giudice dell’esecuzione, aveva accolto la domanda di ablazione della statua. Conclusivamente, con una terza ordinanza del 2018 [60], l’autorità medesima aveva respinto l’opposizione della difesa del Getty Trust avverso tale provvedimento ablativo. Adita da quest’ultima, la Corte di Cassazione ha rigettato il gravame contro l’ordinanza, elaborando taluni principi di diritto sulle nozioni di confisca di beni culturali e di terzo estraneo al reato meritevoli di approfondimento.
Per quanto attiene alla confisca di beni culturali, la Suprema Corte ha ribadito che essa “non può dirsi espressiva di una misura avente scopo repressivo e sanzionatorio, dovendo piuttosto, in tale senso salvaguardandone anche la compatibilità con i più recenti approdi giurisdizionali delle Corti sovranazionali, parlarsi di una misura avente carattere recuperatorio, finalizzata ad assicurare il rispetto sostanziale della presuntiva natura pubblica del bene culturale e, pertanto, la tutela dell’interesse alla sua custodia, conservazione e, tendenziale, generale fruizione” [61].
Per ciò che si riferisce ai requisiti della buona fede del terzo estraneo al reato, la Corte di Cassazione ha precisato che “il concetto di estraneità al reato deve essere inteso - attesi i rilevanti interessi sottesi alla applicazione della misura della confisca, volta, come infra sarà più diffusamente illustrato, alla tutela di valori primari dello Stato - in termini di pregnante rigore; dovendosi escludere che tale estraneità possa esulare dalla fattispecie solo in ipotesi di connivenza o, addirittura, di complicità, deve, viceversa ritenersi che debba intendersi estraneo alla commissione dell’illecita esportazione del bene culturale all’estero chi, attraverso il suo comportamento, anche solo colposo o colpevolmente negligente, abbia dato causa al fatto costituente illecito penale o, comunque, abbia tratto consapevole giovamento dalla sua commissione, dovendosi, peraltro, individuare il contenuto del giovamento, in qualsivoglia condizione di favore che sia derivata al soggetto dalla sua non estraneità al fatto astrattamente costituente reato; di tal che detto giovamento è certamente rinvenibile nella posizione di chi, in condizione di non estraneità rispetto alla commissione del reato, si trovi nel possesso del bene culturale, a prescindere dalla destinazione di questo alla produzione di un beneficio materiale in favore del detentore” [62].
La Suprema Corte, nel decidere la vertenza sulla base di tali principi di diritto, ha ritenuto che la confisca potesse essere applicata pur essendosi i reati contestati ormai prescritti e ha escluso che il Getty Trust fosse da considerarsi terzo estraneo in buona fede, per una serie di ragioni. Più precisamente, il comportamento dei rappresentanti del Museo nell’acquisto dell’Atleta di Fano era da assumersi colposo, tenuto conto di diverse circostanze: essi sapevano che inizialmente lo stesso fondatore aveva declinato l’acquisto dell’opera a causa, oltre che dell’ammontare del prezzo, anche delle perplessità manifestate sulla legittimità della provenienza; avevano in seguito deliberato la compravendita affidandosi ai consulenti del venditore; avevano inoltre contezza dei procedimenti penali che avevano riguardato l’Atleta Vittorioso; avrebbero infine dovuto conoscere la normativa italiana sulla circolazione dei beni culturali, interloquendo con le autorità nazionali [63].
Tanto premesso, occorre interrogarsi su alcuni aspetti problematici del decisum.
In primo luogo, la prova sulla proprietà italiana del bene viene fondata su presupposti piuttosto labili. Indubbiamente, il rinvenimento sul fondale marino da parte di un motopeschereccio italiano rappresenta un’evenienza eccezionale (con conseguenze peculiari sulla verifica dell’appartenenza); eppure nelle trame della sentenza in esame si tende ad affidarsi a perizie e consulenze di carattere storico-artistico tutt’altro che certe, poiché spesso inevitabilmente suffragate da elementi probatori di scarso conforto, inidonei a dimostrare l’esistenza della proprietà di un bene [64].
In secondo luogo, la valenza recuperatoria della confisca di beni culturali, per quanto espressione della giurisprudenza maggioritaria, viene esasperata. Non soltanto si applica quando il reato è prescritto ma senza nemmeno un accertamento processuale sulla sussistenza dell’illecito penale. La strumentalità del procedimento di esecuzione diventa chiara: l’apertura delle indagini preliminari coincide già con l’estinzione dell’illecito penale (per prescrizione e anche per morte dell’indagato [65]), così dimostrando la sua funzionalizzazione allo scopo di fondare l’ablazione. Peraltro, le argomentazioni addotte a conforto della “italianità” tradiscono l’attitudine a equiparare il regime rigido (e singolare) dei beni archeologici con gli oggetti d’arte generalmente intesi [66].
In terzo luogo, l’inflessibilità nel ravvisare la estraneità del terzo è dichiarata, ancor prima che autoevidente [67]. In termini di situazione giuridica, il mero possesso del bene culturale (condizionato a una effimera “non estraneità” al reato) viene considerato una condizione di incompatibilità con la clausola di esclusione dall’ablazione, pressoché svuotandola del suo significato garantista, benché essa sia pur sempre espressione di principi costituzionali. Per quanto concerne i criteri accertativi, sono avversate le expert opinions di professionisti, preferendo loro acriticamente pareri pubblici [68]. Siffatto ragionamento si presenta però deficitario. Per un verso, gli expert witnesses hanno notevole rilievo nel mercato dell’arte, specie nordamericano. Per altro verso, pretendere l’interlocuzione con uno Stato che si ritiene legittimo proprietario non conferisce, di per sé, maggiore imparzialità.
La chiusura della sentenza rende lampante qual è la stella polare della concezione statalista della protezione dei beni culturali: tra la presunzione di buona fede del possessore e quella di proprietà statale si propende, infatti, per la seconda [69].
Recentemente, si è espressa sulla vicenda anche la Corte europea dei diritti dell’uomo, a seguito del ricorso presentato avverso la predetta decisione di legittimità dal Getty Trust [70].
I ricorrenti lamentavano che l’ordinanza di confisca violasse il loro diritto al pacifico godimento dei beni ai sensi dell’art. 1 Prot. n. 1. della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e, altresì, che rischiassero di essere privati del medesimo diritto se la richiesta di riconoscimento ed esecuzione avanzata dallo Stato italiano nei riguardi degli Stati Uniti d’America avesse avuto successo.
In via preliminare, la Corte EDU, riprendendo pedissequamente le motivazioni a suo tempo addotte dalla Corte di Cassazione, ha ritenuto che la dimostrazione proposta da quest’ultima circa la proprietà statale dell’Atleta di Fano rispondesse a canoni di ragionevolezza, senza tuttavia pronunciarsi nel merito sulla esattezza della attribuzione [71]. In aggiunta, ha affermato che l’applicazione della confisca nei riguardi di un soggetto terzo fosse da ritenersi prevedibile da quest’ultimo in ragione delle risalenti disciplina normativa e interpretazione giurisprudenziale che la avallavano [72].
Per quanto maggiormente interessa in questa sede, i giudici di Strasburgo hanno escluso che l’art. 1 Prot. n. 1 fosse stato violato dall’Italia, sancendo, specificamente, che l’ablazione disposta dalle autorità giudiziarie del Paese non avesse natura sanzionatoria penale e fosse proporzionata.
Quanto al primo profilo, riguardante la natura del provvedimento, la Corte EDU ha valorizzato, tra i noti criteri c.d. Engel [73], quello teleologico-funzionale, qualificando la confisca sottoposta al suo vaglio come una misura altra rispetto ad una pena: “Date le specifiche circostanze del caso di specie, la Corte osserva che la confisca in questione, applicabile sia all’imputato del reato di esportazione illecita di beni culturali che a terzi, estranei al reato, in possesso dei medesimi beni, non aveva alcun principale fine punitivo. Indipendentemente dal fatto che possa trattarsi di una sanzione nei confronti di persone accusate di un reato, secondo la Corte di cassazione, tale misura, di natura amministrativa, adempieva una ‘funzione prioritariamente recuperatoria’. [...] La misura era pertanto finalizzata a recuperare uno specifico bene, al fine di garantire il rispetto dell’interesse pubblico violato da un’esportazione illecita, ripristinando la situazione originaria di dominio pubblico” [74].
Quanto al secondo profilo, quello della proporzionalità, la Corte EDU ha anzitutto premesso che gli Stati parte preservano, per il rilievo dell’utilità collettiva a ciò sottesa, un ampio margine nella scelta degli strumenti votati alla protezione dei beni culturali [75]. In linea generale, ha sancito che, in siffatto contesto, il suo giudizio deve comprendere i seguenti dati fattuali: “(i) il ricorrente abbia agito con la necessaria diligenza, (ii) le autorità interne abbiano agito tempestivamente e in modo appropriato e coerente, e (iii) se i ricorrenti siano stati gravati di un onere eccessivo, in ragione dell’assenza di un risarcimento” [76]. Con particolare attinenza alla vertenza trattata, ha conseguentemente stabilito che il Museo non godeva di un’aspettativa legittima di ritenzione della statua, che derivasse dalla inerzia delle autorità italiane nel richiederne la restituzione, e, altresì, che quest’ultimo era stato negligente al momento dell’acquisto, tanto da non avere nemmeno diritto, a fronte della perdita della res, a una compensazione economica [77].
Essenzialmente, la classificazione di bona fide purchaser del Getty Trust è stata esclusa a motivo delle seguenti circostanze: la consapevolezza ad esso attribuibile circa le vicissitudini giudiziarie in Italia; la contrarietà del suo stesso fondatore alla compravendita senza garanzie sulla legittima provenienza; l’omissione di verifiche accurate e indipendenti; e l’affidamento a pareri legali superficiali e parziali [78]. L’agire dello Stato italiano, per converso, è stato valutato tempestivo e diligente in quanto esso, per la lacunosità della normativa, aveva operato in una sorta di legal vacuum e, nonostante questo, aveva sempre insistito per il recupero della statua [79]. Cionondimeno, il Paese era stato anch’esso parzialmente negligente poiché, per un verso, avrebbe potuto tutelarsi in sede giudiziaria negli Stati Uniti e, per l’altro, avrebbe potuto (diversamente da quanto dallo stesso asserito) instaurare il procedimento penale dal quale era scaturita l’ordinanza di confisca anche prima del 2007 [80].
A ben vedere, dalla lettura della sentenza dei giudici di Strasburgo si colgono due aspetti di notevole significato. In primis, poiché non rileva il principio di legalità all’art. 7 CEDU bensì l’art. 1 Prot. n. 1, la confisca in parola è utilizzabile anche nell’evenienza della declaratoria di prescrizione del reato e della terzietà del destinatario, fintantoché l’acquisizione illecita sia stata coerentemente dimostrata e il soggetto sia stato messo nelle condizioni di difendersi. In secundis, il test di proporzionalità della misura ablativa deve essere condotto osservando congiuntamente la diligenza prestata in concreto dall’interessato e la correttezza nell’operato delle pubbliche amministrazioni [81].
Nondimeno, come puntualmente sottolineato in dottrina [82], permangono potenziali profili di illegittimità in chiave CEDU della confisca in discussione, specialmente qualora essa venga applicata a beni culturali di proprietà di un privato, anche se destinatari di notifica ai sensi del Codice dei beni culturali; ovvero all’esito di iniziative tardive o discontinue oppure di errori di procedura imputabili alle autorità statali [83].
Ad oggi - e non può sorprendere - la confisca dell’Atleta di Fano non è stata eseguita [84], tant’è che sono state proposte soluzioni ad essa alternative [85]. A prescindere dalla sua futura collocazione fisica, le peripezie giudiziarie che hanno contrassegnato la statua non sono state prive di ripercussioni reputazionali negative per il Getty Museum e hanno, seppur non in modo diretto e immediato, svolto anche un ruolo di viatico diplomatico per altri oggetti d’arte [86].
3. La sostenibilità del regime probatorio sulla “culturalità” e sulla proprietà del bene. La quaestio del terzo in buona fede
Lo studio sull’esecuzione transfrontaliera dei provvedimenti di confisca di beni culturali trafugati condotto sinora induce a svolgere delle riflessioni sui nodi gordiani della disciplina italiana.
Un primo aspetto problematico attiene al regime probatorio della “culturalità” dell’oggetto d’arte. In proposito, deve appuntarsi la propensione della giurisprudenza a garantire la tutela penale del bene culturale c.d. reale [87], cioè la tendenza ad affermare la responsabilità per reati concernenti oggetti d’arte anche quando non vi è una precedente dichiarazione di interesse culturale. Tale orientamento presenta forti criticità per ciò che concerne soprattutto due principi costituzionali in materia penale: determinatezza-tassatività e colpevolezza [88]. Infatti, da un lato, il valore dell’opera (e, quindi, la condanna e la confisca) vengono rimessi spesso alla valutazione di esperti pur in un ambito intrinsecamente incerto quale quello storico-artistico [89], e, dall’altro, la tecnica di accertamento dell’“artisticità” fa sì che l’elemento soggettivo del delitto venga considerato esistente in re ipsa [90], pur innanzi a un errore sia sull’oggetto d’arte in sé sia sulla normativa di settore riguardante la sua circolazione [91].
Un secondo punctum dolens è quello della verifica della proprietà del bene culturale, se pubblica o privata, e del relativo onere della prova, specie nel contesto transnazionale.
In premessa, esistono due sistemi di legislazione sul trasferimento all’estero di beni culturali, quelli del “permesso con riserva di divieto” (Erlaubnis mit Verbotsvorbehalt), volto alla libera circolazione, e del “divieto con riserva di permesso” (Verbot mit Erlaubnisvorbehalt), orientato alla sua limitazione [92]. L’opzione italiana, malgrado alcune recenti aperture [93], ricade pienamente nel secondo insieme [94].
L’architrave della struttura normativa è l’art. 65 c.b.c., che distingue tre diverse categorie di oggetti d’arte in rapporto alla loro esportabilità: assolutamente non esportabili (art. 65, commi 1 e 2, c.b.c.); esportabili con autorizzazione (art. 65, comma 3, c.b.c.); e liberamente esportabili (art. 65, comma 4, c.b.c.) [95].
Tali disposizioni di legge determinano l’attribuzione e il grado dell’onus probandi, sul quale si deve ora posare lo sguardo.
In linea generale, il Codice civile e il Codice dei beni culturali trattano della proprietà pubblica degli oggetti d’arte, specialmente della sottocategoria dei beni archeologici. Nel tempo, vi è stata una stratificazione di atti normativi: legge 20 giugno 1909, n. 364, regio decreto 30 gennaio 1913, n. 363, legge 1 giugno 1909, n. 1089 e decreto legislativo 19 ottobre 1999, n. 490. Oggi, le disposizioni di maggiore rilievo in questo settore sono: artt. 826, comma 2, 828, 832 e 932 c.c. e art. 91 c.b.c.
Come si potrà constatare a breve, in Italia si osserva un trend riduttivo delle prerogative dei privati, siano essi possessore e o terzo estraneo. Attualmente, esiste piuttosto un favor rispetto alla restituzione allo Stato, con contestuale aggravamento dell’onere probatorio in capo all’individuo, tale da assumere i contorni di una probatio diabolica [96].
In particolare, si deve distinguere tra i due attori della “contesa”: quello pubblico e quello privato.
Per quanto riguarda la parte pubblica, lo Stato deve dimostrare l’esistenza di un interesse culturale. Nello specifico, per i reperti, occorre anche provarne la natura archeologica, il rinvenimento nel sottosuolo o sui fondali marini e la provenienza dal territorio italiano [97].
Per ciò che concerne la parte privata, il quadro è più complesso.
In termini di disciplina legislativa, con precipuo riferimento ai beni archeologici la proprietà non pubblica è legittima qualora essi sono stati alternativamente: assegnati in premio per il loro ritrovamento; ceduti dallo Stato; oppure acquistati in data anteriore all’entrata in vigore della legge 364/1909.
Inoltre, la Corte di Cassazione ritiene solitamente che la legislazione sulla proprietà dei beni culturali crei una presunzione di titolarità pubblica [98]. E, si continua, non vi sarebbe in questo ambito nessun privilegio probatorio pro republica, sul duplice presupposto teorico costituito dall’id quod plerumque accidit e dalla “normalità normativa”.
Non ci si può esimere, in proposito, dal censurare entrambe le asserzioni. Quanto alla prima, i beni culturali (anche archeologici) possono ben appartenere a privati [99] e la praesumptio codicistica ricade, al più, sulla “culturalità” dell’oggetto d’arte [100]. Rispetto alla seconda, essa pare tautologica. Giustificare, infatti, la correttezza di un impianto esegetico sull’esperienza comune e la continuità storica significa aggiungere presunzione a presunzione, ricorrendo a canoni marcatamente astratti e oggettivistici. In specie, con riferimento ai beni trovati nel sottosuolo e sui fondali marini a seguito dell’entrata in vigore della legge 364/1909, si sarebbe trasformato “un fatto costitutivo (il rinvenimento posteriore al 1909) in un fatto impeditivo (il rinvenimento anteriore al 1909), spostando così l’onere della prova sul privato possessore” [101].
Come è stato osservato, si intravedono, dunque, tre piani di presunzioni per i beni archeologici, oltre a quella sulle “culturalità” e proprietà statale: il ritrovamento dopo il 1909, nel sottosuolo e in Italia [102]. Sicché, tale indirizzo giurisprudenziale non può dirsi neutrale, avendo lo stesso progressivamente e inesorabilmente [103] eroso gli spazi per una legittimazione della titolarità non pubblica degli oggetti d’arte.
L’accertamento sul valore culturale e sulla proprietà del bene si accompagna, altresì, a quello sulla estraneità del terzo possessore [104]. Anche in questa occasione [105], l’interpretazione della normativa è lasciata soprattutto alla giurisprudenza in quanto non viene fornita un’esatta definizione della estraneità all’illecito penale e della inapplicabilità della ablazione [106].
La scelta sulla identità della confisca di beni culturali, se amministrativistica, civilistica o penalistica, presenta importanti ripercussioni anche quanto alla valutazione sulla protezione delle persone che, coinvolte nel procedimento ablativo, divengono bersaglio della pretesa di privazione della res pur non avendo avuto il ruolo di partecipi nella commissione del reato. Come è assai noto, la nozione di terzo estraneo coincide con colui il quale non abbia preso parte alla realizzazione dell’illecito penale e non abbia, da esso, tratto giovamento, nel senso di averne percepito vantaggio oppure utilità [107].
La giurisprudenza di legittimità, in questo settore, trasfigura il controllo sulla estraneità in quello sulla buona fede, benché quest’ultima non sia menzionata dalla norma [108]. Addirittura, gli stessi confini della colpa vengono flessibilizzati fino a richiedere la prova della correttezza della titolarità al mero detentore.
In sostanza, si assiste a una duplice mutazione dei criteri accertativi di applicabilità della confisca, che sono strettamente correlati fra loro: dalla estraneità si transita alla bona fide e dall’allegazione sull’assenza di colpa alla prova contraria alla (presunzione di) proprietà statale.
Confisca di beni culturali e confisca di beni contraffatti sono dunque lo zenit e il nadir della protezione degli interessi identitari e mercatistici [109] che connotano il rapporto tra diritto penale e arte.
I dati relativi alla difficile esecuzione delle misure ablative dei beni culturali a livello internazionale ed eurounitario raffigurano, come di riflesso, due visioni di politica criminale antitetiche tra loro. Da un lato, vi sono le source countries e la corrente nazionalista (a favore della titolarità in loco) e, dall’altro, le transit e market countries e quella internazionalista (pro riferibilità all’umanità intera) [110]. La diversità di esigenze informa le priorità e quindi le inclinazioni rispetto alla collaborazione per la restituzione degli oggetti trasferiti, riverberandosi sull’efficienza delle relazioni transfrontaliere e interrogando la proporzionalità delle scelte punitive esistenti nei rispettivi Stati.
Prendendo in esame la normativa italiana, nell’art. 518-duodevicies c.p. la pena si pone in funzione servente e secondaria. Da un lato, i limiti edittali sono essenziali per allungare i termini di prescrizione [111] e permettere l’accesso a mezzi di ricerca della prova (quali le intercettazioni) e misure cautelari personali (anche custodiali) [112] e, dall’altro, la “priorità” [113] dell’impianto sanzionatorio a contrasto della circolazione illecita è e rimane la confisca. In quest’ottica, infatti, è attraverso la (re)immissione manu militari dei beni culturali nella piena disponibilità dello Stato che si raggiunge l’obbiettivo ultimo: la fruizione pubblica (rectius, statale) della res da parte dei consociati nelle dimensioni spaziale e temporale [114].
Inoltre, come è stato possibile appurare, se l’ablazione non giunge a termine (perché la richiesta di cooperazione giudiziaria viene rigettata) la confisca diviene un elemento aggiuntivo latu sensu diplomatico, sia in via preventiva sia in via successiva alla decisione giudiziaria nel Paese richiesto, utile per addivenire a una restituzione di carattere “volontario”, specie da parte di operatori istituzionali pubblici o privati (quali musei) [115].
Parallelamente, tale uso estensivo di uno strumento talmente invasivo come l’ablazione porta con sé effetti non desiderabili sul mercato dell’arte. Non si può escludere, cioè, che opportunità di crescita economica vengano a essere frustrate proprio per il correlato business risk, generando un effetto dissuasivo sugli operatori (come le case d’asta) [116].
La constatazione della primazia della confisca, e della soddisfazione di mire schiettamente civilistiche, trova conferma nel dato prasseologico analizzato, ove si osserva lo svolgimento di indagini preliminari anche per reati già estinti al momento della apertura delle stesse; una propensione, questa, che si giustifica solamente sul presupposto di giungere all’apprensione del bene, no matter what. In questo modo, si verifica una torsione delle finalità proprie del sistema penale, che si ripercuote, evidentemente, sia sull’indagato sia sul terzo possessore del bene.
Nei confronti di quest’ultimo la procedura non offre peraltro guarentigie adeguate, nel senso che permettano di assicurare la piena tutela del diritto di proprietà privata. Come evincibile dai rigetti delle richieste di collaborazione internazionale avanzate dalle autorità giudiziarie italiane esaminati, in effetti, le relative motivazioni si riferiscono anche alla mancata conoscenza della pendenza del procedimento da parte dell’interessato e quindi alla impossibilità per lo stesso di difendersi.
Alla luce delle considerazioni svolte, appare opportuno formulare, in chiusura, alcuni (necessariamente) brevi rilievi de jure condendo.
Segnatamente, stigmatizzando lo sfruttamento improprio della “clava” penale, si deve auspicare in parallelo una riforma della disciplina sostanziale e procedurale, che, in caso di richiesta di confisca, permetta, tra l’altro, di salvaguardare la contezza da parte del possessore dell’esistenza di un procedimento penale e, instaurato il contradittorio, la presenza di un regime probatorio equo per entrambe le parti.
Rispetto invece alla ripartizione dell’onere della prova, precipuamente, si potrebbe agire attraverso l’adozione di strumenti di diritto sovranazionale, con un contemperamento delle varie esigenze, volto all’innalzamento delle garanzie e, quindi, al successo della cooperazione giudiziaria.
A titolo esemplificativo, si potrebbe esperire uno sforzo di selezione dei requisiti legittimanti l’attività di import-export di beni culturali, attraverso l’introduzione di atti giuridicamente vincolanti, anche in riferimento alla costruzione di fattispecie penali che siano votate a prevenire invece che reprimere [117]. Specialmente per i soggetti istituzionali, parrebbe opportuno integrare la disciplina di accesso a banche dati, ove i beni culturali vengano catalogati; aggiungere un onere di consultazione; e incentivare l’adozione di strumenti di soft law [118], quali codici etici, regole di comportamento, ecc. [119].
Ulteriormente, occorrerebbe intervenire chiarendo il concetto di terzietà dal reato (distinguendolo dalla buona fede) e implementando le prerogative del privato possessore (per preservargli l’esercizio del diritto di difesa).
Altrimenti, occorrerà ammettere che i rifiuti opposti alle richieste di esecuzione transfrontaliera altro non sono se non i sintomi della irragionevolezza della disciplina italiana sulla confisca di beni culturali trafugati, in ragione del difetto di proporzione del mezzo utilizzato, pur nella (parziale) meritevolezza dei fini perseguiti.
Note
[*] Gianmarco Bondi, Assegnista di ricerca presso l’Università degli Studi di Ferrara, Corso Ercole I d’Este 37, 44121 Ferrara, gianmarco.bondi@unife.it.
[1] D. Castronuovo, “Nomen plurale tantum”. Le confische tra principi costituzionali e convenzionali, in Confische e sanzioni patrimoniali nella dimensione interna ed europea, (a cura di) D. Castronuovo, C. Grandi, Napoli, Jovene, 2021, pag. 1.
[2] V. Manes, L’ultimo imperativo della politica criminale: nullum crimen sine confiscatione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, 3, pag. 1259.
[3] Cfr. L. Ramacci, Primo rapido sguardo d’insieme sulla legge 9 marzo 2022, n. 22 in tema di reati contro il patrimonio culturale, in Lexambiente, 2022, 1, pag. 105 ss.; G.P. Demuro, I delitti contro il patrimonio culturale nel Codice penale: prime riflessioni sul nuovo Titolo VIII-bis, in Sist. pen., 29 aprile 2022, pag. 1 ss.; C. Iagnemma, I nuovi reati inerenti ai beni culturali. Sul persistere miope di una politica criminale ricondotta alla deterrenza punitiva, in Arch. pen., 2022, 1, pag. 1 ss.; N. Recchia, Una prima lettura della recente riforma della tutela penalistica dei beni culturali, in Aedon, 2022, 2, pag. 90 ss.; R.E. Omodei, Note critiche sui nuovi reati a tutela del patrimonio culturale: incoerenze normative e questioni aperte, in Lexambiente, 2022, 2, pag. 2 ss.; U. Santoro, La riforma dei reati contro il patrimonio culturale: commento alla L. n. 22 del 2022, in Dir. pen. proc., 2022, 7, pag. 872 ss.; e A. Visconti, Problemi e prospettive della tutela penale del patrimonio culturale, Torino, Giappichelli, 2023, pag. 74 ss. e pag. 165 ss.
[4] Lo sottolinea C. Iagnemma, I nuovi reati inerenti ai beni culturali, cit., pag. 1 ss.
[5] L’Italia ha ratificato la Convenzione con legge 21 gennaio 2022, n. 6. Per un commento alla Convention v. M.M. Bieczy?ski, The Nicosia Convention 2017: A New International Instrument Regarding Criminal Offences against Cultural Property, in Santander Art and Culture Law Review, 2017, 3, pag. 255 ss.; L. D’Agostino, Dalla “vittoria di Nicosia” alla “navetta” legislativa: i nuovi orizzonti normativi nel contrasto ai traffici illeciti di beni culturali, in Dir. pen. cont.-Riv. trim., 2018, 1, pag. 81 ss.; D. Fincham, The Blood Antiquities Convention as a Paradigm for Cultural Property Crime Reduction, in Cardozo Arts & Entertainment, 2019, 2, pag. 299 ss.; ed E. Mottese, La lotta contro il danneggiamento e il traffico illecito di beni culturali nel diritto internazionale. La Convenzione di Nicosia del Consiglio d’Europa, Torino, Giappichelli, 2020.
[6] Art. 14, par. 3, Council of Europe Convention on Offences relating to Cultural Property (CETS n. 221), adottata a Nicosia il 19 maggio 2017.
[7] Art. 14, par. 4, Council of Europe Convention on Offences relating to Cultural Property (CETS n. 221), adottata a Nicosia il 19 maggio 2017.
[8] Di “interventi più estesi” parla A. Visconti, Problemi e prospettive della tutela penale del patrimonio culturale, cit., pag. 282.
[9] La relativa “matrice” è rinvenibile nell’art. 66 legge 1° giugno 1909, n. 1089. Cfr. G. Cernuto, sub D.lg. 22.1.2004, n. 42 - Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137, in Codice delle confische, (a cura di) T. Epidendio, G. Varraso, Milano, Giuffrè, 2018, pagg. 335-354.
[10] Nella previgente disposizione tale termine risultava assente. Cfr. A. Massaro, Illecita esportazione di cose di interesse artistico: la nozione sostanziale di bene culturale e le modifiche introdotte dalla legge n. 124 del 2017, in Dir. pen. cont., 2018, 5, pag. 118 e pag. 120 s.
[11] Sulle monete antiche rinvenute nel sottosuolo o sui fondali marini v. F. Di Bonito, “Testa o croce”: la Cassazione su impossessamento illecito e ricettazione di beni numismatici tra proprietà privata e dominio pubblico, in Cass. pen., 2022, 2, pag. 662 ss.
[12] Tale previsione trae origine da Corte Cost., 14 gennaio 1987, n. 2, che aveva dichiarato “l’illegittimità costituzionale dell’art. 66 della legge 1° giugno 1939, n. 1089 e dell’art. 116, primo comma, della legge 25 settembre 1940, n. 1424 (ora art. 301, primo comma, d.p.r. 23 gennaio 1973, n. 43) nella parte in cui prevedono la confisca di opere tutelate ai sensi della legge n. 1089 del 1939 che siano state oggetto di esportazione abusiva, anche quando risultino di proprietà di un terzo che non sia autore del reato e non ne abbia tratto in alcun modo profitto”.
[13] Tale rimando alla procedura esecutiva dovrebbe assicurare maggiori garanzie di tutela del diritto di difesa, specie rispetto a un procedimento di archiviazione della notitia criminis.
[14] È la stessa Corte costituzionale a suggerire tale correlazione in Corte Cost. n. 2/1987. Cfr. L. Luparia, La tutela penale dei beni culturali nella dimensione processuale: avvertenze e proposte nello scenario di riforma, in AA.VV., Circolazione dei beni culturali mobili e tutela penale: un’analisi di diritto interno, comparato e internazionale, Milano, Giuffrè, 2015, pag. 196.
[15] Allargando in senso maggiormente afflittivo l’elenco dell’art. 240 c.p. Cfr. L. Ramacci, Primo rapido sguardo d’insieme sulla legge 9 marzo 2022, n. 22 in tema di reati contro il patrimonio culturale, cit., pag. 140 s.
[16] Nella ampia letteratura, anche per gli opportuni riferimenti bibliografici, v. L. Sirotti, La confisca per equivalente: problemi applicativi, in Confische e sanzioni patrimoniali nella dimensione interna ed europea, (a cura di) D. Castronuovo, C. Grandi, Confische e sanzioni patrimoniali nella dimensione interna ed europea, Napoli, Jovene, 2021, pag. 311 ss. In dottrina, vi è chi si è espresso favorevolmente a tale sanzione penale atteso il “buon effetto preventivo (deterrente), come in altre precedenti applicazioni, [che] potrebbe avere” (G.P. Demuro, I delitti contro il patrimonio culturale nel Codice penale, cit., pag. 32).
[17] Vieppiù, la Convenzione UNESCO del 1970 e la Convenzione Unidroit del 1995 non contemplano tale istituto. Cfr. E. Mottese, La confisca di beni culturali illecitamente esportati, in Riv. dir. int., 2019, 4, pag. 1106, spec. nt. n. 45.
[18] Paradossalmente, durante l’iter di adozione della legge 22/2022 si è temuto che tale ipotesi di confisca non venisse mantenuta in quanto espunta dal testo in quel momento in discussione. Cfr. A. Visconti, La repressione del traffico illecito di beni culturali nell’ordinamento italiano. Rapporti con le fonti internazionali, problematiche applicative e prospettive di riforma, in Leg. pen., 29 dicembre 2021, pagg. 1-16 ed Ead., Problemi e prospettive della tutela penale del patrimonio culturale, cit., pag. 283, spec. nt. n. 218. L’Autrice critica l’esito di tale (re)inserimento ritenendo che, in armonia con quanto svolto con riferimento all’art. 518 duodevicies c.p., sarebbe stato preferibile collocarla in un capoverso dedicato all’interno della fattispecie di reato alla quale fa precipuo riferimento (i.e. l’art. 518-undecies c.p.). Contra, per un’opinione favorevole a tale eliminazione (poi, appunto, non verificatasi), v. E. Mottese, La confisca di beni culturali illecitamente esportati, cit., pag. 1105.
[19] In questa costellazione di fenomeni criminosi potrebbero iscriversi: i delitti di furto (art. 518-bis c.p.), appropriazione indebita (art. 518-ter c.p.), ricettazione (518-quater c.p.), impiego (art. 518-quinquies c.p.), riciclaggio (art. 518-sexies c.p.), autoriciclaggio (art. 518-septies c.p.), falsificazione in scrittura privata (art. 518 octies c.p.), violazioni in materia di alienazione (art. 518 novies c.p.), importazione illecita (art. 518-decies c.p.), uscita o esportazione illecite (art. 518-undecies c.p.) e devastazione e saccheggio (art. 518-terdecies c.p.); e le contravvenzioni di collocazione e rimozione illecita (art. 171 c.b.c.), inosservanza delle prescrizioni di tutela indiretta (art. 172 c.b.c.) e violazioni in materia di ricerche archeologiche (art. 175 c.b.c.). Mutuando da un precedente studio tale summa divisio (cfr. V. Manes, La circolazione illecita dei beni artistici e archeologici. Risposte penali ed extrapenali a confronto, in AA.VV., Circolazione dei beni culturali mobili e tutela penale: un’analisi di diritto interno, comparato e internazionale, Milano, Giuffrè, 2015, pag. 94 ss.) pare che le aggressioni al corpus mechanicum debbano essere escluse poiché non riconducibili a una circolazione illecita propriamente intesa, con caratteristiche omogenee. Trattasi di: delitti di distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito (art. 518-duodecies c.p.); e contravvenzioni di danneggiamento (art. 733 c.p.) e opere illecite (art. 169 c.b.c.). Lo stesso dicasi per le falsificazioni, come il delitto di contraffazione (art. 518-quaterdecies c.p.).
[20] G.P. Demuro, Beni culturali e tecniche di tutela penale, Milano, Giuffrè, 2002, pag. 79 ss. e pag. 121 ss. e V. Manes, La tutela penale, in Diritto e gestione dei beni culturali, (a cura di) C. Barbati, M. Cammelli, G. Sciullo, Bologna, Il Mulino, 2011, pag. 294 ss. e pag. 298 ss.
[21] F. Mantovani, Lineamenti della tutela penale del patrimonio artistico, in Riv. it. dir. proc. pen., 1976, 1, pag. 75 s.
[22] Riporta tali due definizioni S. Manacorda, La circolazione illecita di beni culturali nella prospettiva penalistica: problemi e prospettive di riforma, in AA.VV., Circolazione dei beni culturali mobili e tutela penale: un’analisi di diritto interno, comparato e internazionale, Milano, Giuffrè, 2015, pag. 3.
[23] Cfr. Corte Suprema di Cassazione, Ufficio del massimario e del ruolo, Servizio Penale, Relazione su novità normativa. Disposizioni in materia di reati contro il patrimonio culturale (legge 9 marzo 2022, n. 22). Rel.: n. 34/22, Roma, 21 giugno 2022, disponibile su Sist. pen., 29 giugno 2022, pag. 60: “Da notare, anzitutto, in punto di tecnica legislativa, che il riferimento all’art. 518-undecies è stato operato per così dire “quoad res”, ossia al (solo) fine di individuare l’oggetto su cui ricade la misura ablatoria, quindi, non va inteso nel senso riduttivo come se la confisca fosse da limitarsi “all’ipotesi” incriminatrice dell’art. 518-undecies, essendo invece applicabile a tutti i delitti del Titolo VIII-bis». Seguendo questa linea, prima della riforma del 2022, per l’uscita o esportazione illecite di beni culturali il regime di prova ai fini della confisca era distinto da quello dell’impossessamento o della ricettazione degli stessi. Infatti, mentre per il primo era sufficiente dimostrare che l’oggetto fosse stato trasferito all’estero (oppure che fosse stato ivi trattenuto oltre la data prevista per il rientro), per gli altri due si richiedeva altresì l’avvenuto prelevamento dal sottosuolo o sui fondali marini all’indomani dell’entrata in vigore della legge 20 giugno 1909, n. 364. Cfr. P. Cipolla, Sulla obbligatorietà della confisca di beni culturali appartenenti allo Stato illecitamente esportati, in Giur. merito, 2011, 9, pag. 2201 ss. e A. Visconti, La repressione del traffico illecito di beni culturali nell’ordinamento italiano, cit., pag. 59. Sulla stretta interrelazione tra circolazione illecita e reati di ricettazione e riciclaggio v. P.G. Ferri, Uscita o esportazioni illecite, in Il codice dei beni culturali e del paesaggio. Gli illeciti penali, (a cura di) A. Manna, Milano, Giuffrè, 2005, pag. 252 ss.
[24] Altrimenti, si avrebbero effetti aberranti, come, in ipotesi, l’ablazione ordinata anche rispetto alla fattispecie penale di distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito di beni culturali o paesaggistici di cui all’art. 518-duodecies c.p.
[25] Per un’opinione favorevole all’esistenza di un obbligo di incriminazione scaturente da tale norma della Carta v. G.P. Demuro, Beni culturali e tecniche di tutela penale, cit., pag. 43 ss. Per una contraria v. V. Manes, La tutela penale, cit., pag. 290.
[26] Ritiene trattarsi di “misura recuperatoria di carattere amministrativo” L. Ramacci, Primo rapido sguardo d’insieme sulla legge 9 marzo 2022, n. 22 in tema di reati contro il patrimonio culturale, cit., pag. 144. Questa è anche la posizione della giurisprudenza di legittimità maggioritaria. Cfr. Cass. Pen., sez. III, del 10 giugno 2015, n. 42458, con note di R. Muzzica, Confisca dei beni culturali e prescrizione: contro o oltre Varvara?, in Dir. pen. cont., 23 novembre 2015, pag. 1 ss. e A. Viglione, Prescrizione del reato e confisca dei beni culturali, sanzione penale o misura amministrativa?, in Cass. pen., 2016, 11, pag. 4180 ss.; e Cass. Pen., sez. III, del 21 marzo 2018, n. 19692. Per una equiparazione tra la confisca urbanistica e quella di beni culturali come misure di sicurezza v. però Cass. Pen., sez. III, dell’8 aprile 2015, n. 27066, secondo la quale: “In sintesi, quindi, la confisca obbligatoria (quella di cui all’art. 44, comma 2, cit., al pari di quella di cui al d.lgs. n. 42 del 2004, art. 174) è compatibile [con] la declaratoria di prescrizione, qualora questa sia comunque preceduta - caso per caso - da una verifica piena della configurabilità del reato, riguardante sia l’elemento materiale che quello psicologico, demandata al Giudice di merito in via esclusiva ed esplicitata in una motivazione adeguata e priva di vizi logici”.
[27] Sostiene la “qualificazione pienamente civilistica della speciale confisca ex art. 174 comma 3” R. Muzzica, Confisca dei beni culturali e prescrizione, cit., pag. 15.
[28] È stato sostenuto che il bene culturale è “pubblico in quanto bene di funzione, e non di appartenenza” M.S. Giannini, I beni culturali, in Riv. trim. dir. pubbl., 1976, 1, pag. 3 ss.
[29] Cfr. Cass. Pen., sez. III, del 24 gennaio 2023, n. 9101, annotata da D. Colombo, La confisca di beni culturali in caso di estinzione del reato per decorso del termine di prescrizione, in Giur. pen., 2023, 3, pag. 1 ss.
[30] Cass. Pen., sez. III, del 30 gennaio 2018, n. 17116, con nota di G. Baffa, L’illecita esportazione del “Ritratto di Isabella d’Este”. Considerazioni sull’interesse giuridico tutelato dall’art. 174 d.lg. n. 42 del 2004, in Cass. pen., 2019, 9, pag. 3317 ss. Negli stessi termini v. Cass. Pen., sez. III, ord. n. 49438 del 4 novembre 2009 e sent. 19692/2018.
[31] Cfr. Cass. Pen., sez. III, del 30 novembre 2018, n. 22, par. 10.3. Contra v. A. Massaro, Illecita esportazione di cose di interesse artistico, cit., pag. 127 s.
[32] Cfr. M. Montagna, Il “Getty Bronze”: prima un giallo archeologico, poi un rebus giuridico. Profili processualistici, in Arch. pen., 2019, 1, pag. 4 ss. e pag. 13 ss.
[33] Cfr. A. Visconti, La repressione del traffico illecito di beni culturali nell’ordinamento italiano, cit., pag. 56 ss. ed Ead., Problemi e prospettive della tutela penale del patrimonio culturale, cit., pag. 289 s.
[34] Si discute se trattasi di pericolo astratto (cfr. G.P. Demuro, Beni culturali e tecniche di tutela penale, cit., pag. 15) oppure presunto (cfr. A. Visconti, Problemi e prospettive della tutela penale del patrimonio culturale, cit., pag. 265).
[35] A. Visconti, Problemi e prospettive della tutela penale del patrimonio culturale, cit., pag. 165.
[36] Opere di pittura, scultura o grafica e oggetti di antichità o di interesse storico o archeologico.
[37] Cfr. P. Cipolla, I limiti soggettivi alla confiscabilità delle opere di pittura, scultura e grafica provento di falsificazione, in Cass. pen., 2005, 2, pag. 568 ss.
[38] Cfr. N. Brodie, J. Doole, C. Renfrew, Trade in Illicit Antiquities: The Destruction of the World’s Archaeological Heritage, Cambridge, McDonald Institute for Archaeological Research, 2001; P.G. Ferri, Uscita o esportazioni illecite, cit., pag. 181 ss.; M. Frigo, La circolazione internazionale dei beni culturali. Diritto internazionale, diritto comunitario e diritto interno, Milano, Giuffrè, 2007; S. Manacorda, Criminal Law Protection of Cultural Heritage: An International Perspective, in Crime in the Art and Antiquities World. Illegal Trafficking in Cultural Property, (a cura di) S. Mancorda, D. Chapell, New York, Springer, 2011, pag. 17 ss.; N. Brodie, J. Dietzler, S. Mackenzie, Trafficking in Cultural Objects: an Empirical Overview, in Beni culturali e sistema penale, (a cura di) S. Manacorda, A. Visconti, Milano, Vita e Pensiero, 2014, pag. 19 ss.; G. Melillo, La cooperazione giudiziaria internazionale nei reati contro il patrimonio culturale, in Beni culturali e sistema penale, (a cura di) S. Manacorda, A. Visconti, Milano, Vita e Pensiero, 2014, pag. 55 ss.; T. Scovazzi, La dimensione internazionale della tutela. Principi etici e norme giuridiche in materia di restituzione dei beni culturali, in Beni culturali e sistema penale, (a cura di) S. Manacorda, A. Visconti, Milano, Vita e Pensiero, 2014, pag. 69 ss.; A. Visconti, La tutela penale del patrimonio culturale mobile: esigenze di riforma alla luce degli impulsi internazionali, in AA.VV., Circolazione dei beni culturali mobili e tutela penale: un’analisi di diritto interno, comparato e internazionale, Milano, Giuffrè, 2015, pag. 137 ss.; L. Luparia, La tutela penale dei beni culturali nella dimensione processuale, cit., pag. 258 ss.; Id., Tutela dei beni culturali e processo penale, in Patrimonio culturale. Profili giuridici e tecniche di tutela, (a cura di) E. Battelli, B. Cortese, A. Gemma, A. Massaro, Roma, Roma Tre-Press, 2017, pag. 200 ss.; R. Virzo, La confisca nell’azione internazionale di contrasto ad attività criminali, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2020, pag. 122 ss.; A. Visconti, The Illicit Trade in Cultural Objects. From Marginalization to the Current Surge in Attention by Transnational Criminal Policymakers, in Histories of Transnational Criminal Law, (a cura di) N. Boister, S. Gless, F. Jessberger, New York-Oxford, 2021, Oxford University Press, pag. 220 ss.; Ead., La repressione del traffico illecito di beni culturali nell’ordinamento italiano, cit., pag. 1 ss.; ed Eurojust, Ufficio italiano, La Cooperazione Giudiziaria penale in materia di beni culturali: analisi giuridica e proposte operative dell’Ufficio italiano di Eurojust, disponibile su Sist. pen., 24 giugno 2022.
[39] Cfr. V. Manes, La circolazione illecita dei beni artistici e archeologici, cit., pag. 103 s., spec. nt. n. 66. Nel sistema Ue, l’Autore segnala le estensioni delle competenze delle agenzie Eurojust ed Europol e il superamento della verifica della doppia incriminazione per il “traffico illecito di beni culturali”. Sulle difficoltà rispetto alla comprensione di quali siano le fattispecie di reato che rientrano in questo fenomeno criminoso v. A. Visconti, La tutela penale del patrimonio culturale mobile, cit., pag. 170. Sull’importanza della comparazione rispetto a tale appuramento v. D. Vozza, La prevenzione e il contrasto al traffico illecito di beni culturali mobili tra spunti comparati e prospettive di riforma, in AA.VV., Circolazione dei beni culturali mobili e tutela penale: un’analisi di diritto interno, comparato e internazionale, Milano, Giuffrè, 2015, pag. 187 e pagg. 229-231. In questo senso, gli obblighi di incriminazione promananti dalla Convenzione di Nicosia potrebbero costituire un meccanismo utile nel colmare le lacune relative alla double criminality, uniformando le diverse fattispecie penali esistenti negli Stati Parte.
[40] Cfr. A. Visconti, La tutela penale del patrimonio culturale mobile, cit., pagg. 181-183. Ad avviso dell’Autrice: “malgrado la questione della restituzione dei beni culturali illecitamente fuoriusciti dal patrimonio culturale nazionale sia tradizionalmente al centro delle preoccupazioni della comunità internazionale, tutte le altre fonti esaminate, come si è visto, hanno decisamente privilegiato la via privatistica”. Nella pratica, ciò porta gli operatori del diritto ad avvalersi di trattati multilaterali aventi finalità originariamente differenti, come, ad esempio, la Convenzione di Palermo del 2000 sulla criminalità organizzata transnazionale. Cfr. M. Frigo, Approaches Taken by the Security Council to the Global Protection of Culture Heritage: An Evolving Role in Preventing Unlawful Traffic of Cultural Property, in Riv. dir. int., 2018, 4, pag. 1164 ss.
[41] Certamente, gli strumenti di diritto amministrativo e civile sono utilizzati anche nell’ambito di procedimenti penali. La dir. 2014/60/UE richiede la qualifica di “culturalità” dell’oggetto d’arte e l’illecita esportazione dello stesso e, dunque, è applicabile anche a beni culturali “trafugati”, non rilevando, ai sensi dell’art. 2, par. 2, dir. 2014/60/UE, le motivazioni della relativa uscita.
[42] Convenzione concernente le misure da adottare per interdire e impedire l’illecita importazione, esportazione e trasferimento di proprietà dei beni culturali, sottoscritta a Parigi il 14 novembre 1970.
[43] Convenzione UNIDROIT sui beni culturali rubati o illecitamente esportati, sottoscritta a Roma il 24 giugno 1995.
[44] Direttiva 2014/60/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, relativa alla restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro e che modifica il regolamento (UE) n. 1024/2012 (Rifusione). In proposito, con d.m. 27 dicembre 2022, rep. 456, il ministro della Cultura ha disciplinato il Comitato per il recupero e la restituzione dei beni culturali, che ha il compito anche “di procedere all’esame di tutte le questioni relative alle domande di restituzione di beni culturali anche mediante la procedura o l’azione di restituzione, di cui agli articoli 5 e 6 della Direttiva 2014/60/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, o in forza di convenzioni internazionali, per l’individuazione delle procedure più efficaci ai fini della restituzione” (art. 2, comma 1, lett. b).
[45] Si deve specificare che la citata Convenzione di Nicosia tratta della cooperazione al relativo art. 19, senza, però, prevedere disposizioni precise e rinviando, così, alla normativa esistente. Cfr. E. Mottese, La lotta contro il danneggiamento e il traffico illecito di beni culturali nel diritto internazionale, cit., pagg. 150-168 e A. Visconti, La repressione del traffico illecito di beni culturali nell’ordinamento italiano, cit., pag. 1 ss.
[46] Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale, sottoscritta a Strasburgo il 20 aprile 1959.
[47] Regolamento (UE) 2018/1805 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 novembre 2018, relativo al riconoscimento reciproco dei provvedimenti di congelamento e di confisca. Recentemente, è stata adottata la Direttiva 2024/1260/UE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 aprile 2024, riguardante il recupero e la confisca dei beni. Si segnala in specie, per quanto qui in interesse, l’art. 15, concernente la “confisca non basata sulla condanna”, che sancisce l’applicabilità di quest’ultima anche nel caso di “a) malattia dell’indagato o imputato; b) fuga dell’indagato o imputato; c) decesso dell’indagato o imputato; d) i termini di prescrizione per il reato in questione stabiliti dal diritto nazionale sono inferiori a 15 anni e sono scaduti dopo l’avvio del procedimento penale”. In tema, v. A.M. Maugeri, La nuova direttiva 2024/1260 per il recupero e la confisca dei beni: un complessivo sforzo di armonizzazione per la lotta al crimine organizzato e all’infiltrazione criminale nell’economia, in Sist. pen., 30 dicembre 2024, pag. 1 ss.
[48] Cfr. C. Grandi, Mutuo riconoscimento in materia penale e diritti fondamentali. Il nodo delle confische, Torino, Giappichelli, 2023, pag. 168 ss.
[49] Il procedimento in materia penale viene definito quale “concetto autonomo del diritto dell’Unione interpretato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, ferma restando la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. Tale termine contempla pertanto tutti i tipi di provvedimenti di congelamento e provvedimenti di confisca emessi in seguito a procedimenti connessi ad un reato e non solo i provvedimenti che rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva 2014/42/UE” (considerando n. 13).
[50] Cfr. Eurojust, Ufficio italiano, La Cooperazione Giudiziaria penale in materia di beni culturali, cit., pag. 10 s.
[51] È prevista infatti una procedura per la restituzione alla vittima dei beni congelati, a condizione che: il titolo sui beni non sia contestato; essi non costituiscano elementi di prova in un procedimento penale nello Stato di esecuzione; e non siano pregiudicati i diritti dei soggetti colpiti.
[52] Cfr. Eurojust, Ufficio italiano, La Cooperazione Giudiziaria penale in materia di beni culturali, cit., pag. 2 s.
[53] Cfr. ivi, pag. 4.
[54] Cfr. ivi, pag. 3. Sulla scorta di tale risultanza, il Desk italiano suggerisce che “prima di procedere alla redazione di richiesta di assistenza giudiziaria (con un Oie) è bene munirsi di documentazione idonea a sostenere la riferibilità del bene ad una delle categorie richiamate dall’art. 10 comma 3 del d.lgs. n. 42/2004”.
[55] Cfr. ivi, pag. 12 s. Occorre attendere per verificare se la riforma, con legge 22/2022, che ha imposto per l’ablazione sui generis dell’art. 518 duodevicies c.p., in caso di estinzione del reato, l’utilizzo del rito di cui all’art. 666 e ss. c.p.p., permetta di superare le obiezioni manifestate in precedenza rispetto alla mancanza di contraddittorio e di informazione integranti la causa di non riconoscimento dell’art. 19, comma 1, lett. e), reg. UE 2018/1805 e la violazione delle garanzie della CEDU.
[56] Cfr. L’ordine europeo di indagine penale. Il nuovo volto della raccolta transnazionale delle prove nel d.lgs. n. 108 del 2017, (a cura di), M. Daniele, R. Kostoris, Torino, Giappichelli, 2018.
[57] Cfr. Eurojust, Ufficio italiano, La Cooperazione Giudiziaria penale in materia di beni culturali, cit., pag. 4.
[58] Per un riassunto delle vicissitudini giudiziarie v. A. MacKintosh Ritchie, Victorious Youth in Peril: Analyzing Arguments Used in Cultural Property Disputes to Resolve the Case of the Getty Bronze, in Pepperdine Dispute Resolution Law Journal, 2009, 2, pag. 325 ss.; A. Lanciotti, Patrimonio culturale sommerso: tutela dei beni archeologici e limiti alla cooperazione internazionale, in Arch. pen., 2011, 2, pag. 1 ss.; T. Scovazzi, Dal Melqart di Sciacca all’atleta di Lisippo, in Riv. dir. int. priv. proc., 2011, 2, pag. 5 ss.; P. Cipolla, Sulla obbligatorietà della confisca di beni culturali appartenenti allo Stato illecitamente esportati, cit., pag. 2197 ss.; A. Gaito, M. Antinucci, Prescrizione, terzo estraneo e confisca in executivis di beni archeologici (a margine della vicenda dell’Atleta Vittorioso di Lisippo), in La giustizia patrimoniale penale, (a cura di) A. Bargi, A. Cisterna, Torino, UTET, 2011, pag. 1185 ss.; P. Vigni, Il caso del “Bronzo di Lisippo” e la gestione del patrimonio culturale subacqueo nel diritto internazionale pubblico, in Stud. sen., 2012, 2, pag. 314 ss.; D. Fincham, Transnational Forfeiture of the Getty Bronze, in Cardozo Arts & Entertainment, 2014, 2, pag. 471 ss.; A. Lanciotti, Il Getty Bronze: prima un giallo archeologico, poi un rebus giuridico. Profili internazionalistici, in Arch. pen., 2019, 1, pag. 1 ss.; M. Montagna, Il Getty Bronze, cit., pag. 1 ss.; C. Santoriello, Il Getty Bronze: prima un giallo archeologico, poi un rebus giuridico. Profili intertemporali, in Arch. pen., 2019, 1, pag. 1 ss.; V. Marchesi, La confisca di beni archeologici e l’‘Atleta vittorioso’ di Lisippo al Getty Museum, in Arch. nuova proc. pen., 2019, 4, pag. 391 ss.; T. Scovazzi, Un atleta non ancora giunto a destinazione, in Riv. dir. int., 2019, 2, pag. 511 ss.; E. Mottese, La confisca di beni culturali illecitamente esportati, cit., pag. 1096 ss.; e M. Fiorilli, Il caso Atleta vittorioso di Fano, Roma, Edizioni Efesto, 2020.
[59] Trattasi di una statua in bronzo, in apparenza del periodo tardo-classico greco, rinvenuta da pescatori italiani nel 1964 a largo della città di Fano, i quali, secondo le ricostruzioni delle indagini susseguitesi nel tempo: l’avevano dapprima issata a bordo di una imbarcazione e portata a terra; dopo, nascosta presso un amico; quindi, ceduta a dei commercianti; infine, la stessa era stata celata da parte di un sacerdote. In relazione a tali fatti, la Procura di Perugia aveva aperto un processo penale per indebito impossessamento, che era terminato con l’assoluzione degli imputati per carenza di prova sulla natura del reperto e sul luogo di rinvenimento. Dopo alterne vicissitudini, la statua era stata segnalata a Milano e, successivamente, presso un antiquario a Monaco di Baviera. Rispetto a questa vicenda, la Pretura di Gubbio aveva iscritto un nuovo procedimento penale per esportazione clandestina di opere d’arte nei confronti di tale soggetto, con richiesta di rogatoria, che, però, non era stata accolta dalle autorità monacensi poiché fondata su un reato per il quale non era concedibile l’estradizione. Le autorità giudiziarie tedesche, nel 1974, avevano a propria volta archiviato un procedimento originatosi nel Paese nei confronti del commerciante, restituendogli l’opera. In seguito, egli l’aveva venduta a una società lussemburghese mediante la relativa filiale londinese. Nel 1977, la statua era entrata negli Stati Uniti dal porto di Boston, rimanendo presso un locale museo, per poi passare a un altro a Denver e da ultimo giungere al Getty Museum di Malibù. Su questo filone, la magistratura di Gubbio aveva disposto delle ulteriori rogatorie all’estero che erano state respinte dalle omologhe inglese (perché il Regno Unito non aveva aderito alla Convenzione del 1970) e americana (per carenza di requisiti legali). Conseguentemente, era stata emessa declaratoria di non luogo a procedere per la contestazione di illecita esportazione, non essendo noti gli autori del reato.
[60] Nelle more, infatti, si era già sviluppato un altro iter procedurale riguardante, tra l’altro, la celebrazione del giudizio di opposizione in pubblica udienza (e, quindi, non immediatamente rilevante per la presente trattazione). In quel frangente, si è anche pronunciata la Corte costituzionale in Corte Cost., 15 aprile n. 109. Cfr. E. Aprile, La pubblicità dell’udienza dinanzi al tribunale di sorveglianza ed al giudice dell’esecuzione in caso di opposizione alla confisca, in Cass. pen., 2015, 9, pag. 3011 ss. e F. Giunchedi, La Consulta fornisce le passwords per l’accesso alla pubblica udienza nel procedimento di esecuzione de plano... ma solo in sede di opposizione, in Dir. pen. proc., 2015, 10, pag. 1283 ss. Per delle considerazioni critiche sulle garanzie esistenti nel procedimento di esecuzione in questione v. M. Montagna, Il Getty Bronze, cit., pag. 8 ss.
[61] Cass. Pen., sez. III, del 30 novembre 2018, n. 22, par. 8.3.2. Contra, la reputa una sanzione sostanzialmente penale M. Montagna, Il “Getty Bronze”, cit., pag. 4 ss.
[62] Sent. 22/2018, par. 12.3.1.
[63] Cfr. ivi, par. 12.3.3.
[64] Cfr. ivi, par. 18.3: “Da tale sommarissima rassegna non può che dedursi la esistenza di un continuum fra la civiltà greca, importata in territorio italico, e la successiva esperienza culturale romana; continuum del quale costituisce una conferma proprio la presenza al largo di (OMISSIS), in quelle che ora sono le Marche, della statua dell’“atleta vittorioso”. In tema v. A. Lanciotti, Il Getty Bronze, cit., pag. 10 ss. Sulle varie ricostruzioni degli archeologi in ordine alla sua esatta origine v. A. Viacava, L’Atleta di Fano, Roma, L’Erma di Bretschneider, 1994, pag. 8 ss.
[65] Cfr. sent. 22/2018, par. 15.1.
[66] Cfr. ivi, par. 13.2.1.
[67] Negativamente, sulla esperibilità di tale verifica solamente nel giudizio di cognizione e non nell’incidente di esecuzione, v. M. Montagna, Il Getty Bronze, cit., pag. 19 ss.
[68] Cfr. sent. 22/2018, par. 12.3.2.
[69] Cfr. ivi, par. 19.3: “Ritiene il Collegio che, di fronte all’insanabile contrasto fra le due presunzioni di segno opposto, debba essere data la prevalenza alla presunzione di appartenenza del bene allo Stato, posto che attraverso di essa si privilegia l’interesse pubblico nazionale alla custodia, conservazione, valorizzazione e fruizione del bene culturale”.
[70] Cfr. Corte EDU, sez. I, sent. 2 maggio 2024, The J. Paul Getty Trust e altri c. Italia, con note di A. Visconti, La Corte EDU si pronuncia sulla confisca obbligatoria di beni culturali illecitamente esportati nella vicenda dell’‘Atleta vittorioso’, in Sist. pen., 12 giugno 2024, pag. 1 ss.; R. Sapienza, L’“Atleta di Fano” torna in Italia?, in Dir. um. dir. int., 2024, 3, pag. 735 ss.; R. Nodari, Maccanismi di contrasto al traffico internazionale di beni culturali, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2024, 3-4, pag. 419 ss.; e T. Scovazzi, Malibu, California: una destinazione molto improbabile per l’Atleta vittorioso, Riv. dir. int., 2024, 4, pag. 1097 ss.
[71] Criticamente, v. R. Sapienza, L’“Atleta di Fano” torna in Italia?, cit., pag. 740.
[72] Corte EDU, sez. I, sent. 2 maggio 2024, The J. Paul Getty Trust e altri c. Italia, parr. 300-325.
[73] Nella ampia produzione scientifica, anche per i dovuti richiami, v. F. Mazzacuva, Le pene nascoste, Torino, Giappichelli, 2017.
[74] Corte EDU, sez. I, sent. 2 maggio 2024, The J. Paul Getty Trust e altri c. Italia, par. 314. Traduzione non ufficiale a cura del ministero della Giustizia, disponibile su www.giustizia.it.
[75] Cfr. ivi, parr. 340-342.
[76] Ivi, par. 379. Traduzione non ufficiale a cura del Ministero della Giustizia, disponibile su www.giustizia.it.
[77] Cfr. ivi, parr. 405-408.
[78] Cfr. ivi, parr. 386-390.
[79] Cfr. ivi, parr. 394-397.
[80] Cfr. ivi, parr. 398-400.
[81] Cfr. A. Visconti, La Corte EDU si pronuncia sulla confisca obbligatoria di beni culturali illecitamente esportati nella vicenda dell’‘Atleta vittorioso’, cit., pag. 15 e pag. 16 s.
[82] Cfr. ivi, pag. 21 s.
[83] Tra le altre, v. Corte EDU, Grande Camera, 5 gennaio 2000, Beyeler c. Italia, annotata da F.S. Marini, La prelazione “storico-artistica” tra illegittimità costituzionale e violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in Giur. cost., 2000, 2, pag. 1173 ss.
[84] Cfr. L. Luparia, Tutela dei beni culturali e processo penale, cit., pag. 200: “È chiaro, infatti, come la confisca penale disposta dal giudice italiano rispetto a beni oramai custoditi oltreoceano appaia uno strumento assolutamente inidoneo, quasi simbolico, a fronte della mancanza di dispositivi cogenti spendibili all’estero”.
[85] Data la improbabilità dell’enforcement suggerisce un prestito a lungo termine A. Lanciotti, Patrimonio culturale sommerso, cit., pag. 14 ss.
[86] Si pensi all’iniziativa di “embargo culturale” del ministro dei Beni Culturali del 2006, on. Francesco Rutelli, mirante alla restituzione dell’Atleta Vittorioso, che portò a un accordo con il Getty Trust consistente nella resa all’Italia di quaranta beni culturali. Cfr. A. Lanciotti, Patrimonio culturale sommerso, cit., pag. 1 ss.
[87] Cfr. F. Mantovani, Lineamenti della tutela penale del patrimonio artistico, cit., pag. 64 e F.C. Palazzo, La nozione di cosa d’arte in rapporto al principio di determinatezza della fattispecie penale, in AA.VV., La tutela penale del patrimonio artistico, Milano, Giuffrè, 1977, pag. 236 ss. Sulle complicazioni evocate dalla distinzione tra “dichiarato” e “reale” v. P. Carpentieri, La tutela penale dei beni culturali in Italia e le prospettive di riforma: i profili sostanziali, in Beni culturali e sistema penale, (a cura di) S. Manacorda, A. Visconti, Milano, Vita e Pensiero, 2014, pag. 31 ss. Per una pronuncia della Corte di Cassazione che ribadisce la scelta “realista” v. Cass. Pen., sez. III, del 17 ottobre 2017, n. 10468, annotata da A. Massaro, Illecita esportazione di cose di interesse artistico, cit., pag. 111 ss. Per una isolata che opta invece per quella “dichiarazionista” v. Cass. Pen., sez. III, del 27 maggio 2004, n. 28912, con nota di P. Cipolla, P.G. Ferri, Il recente codice dei beni culturali e la continuità normativa in tema di accertamento della culturalità del bene, in Cass. pen., 2005, 11, pag. 3451 ss. L’indirizzo “realista” ha resistito anche alla riforma del 2022. Cfr. Cass. Pen., sez. II, del 27 settembre 2023, n. 41131, con nota di D. Colombo, La ‘culturalità’ del bene nei reati contro il patrimonio culturale. Anche dopo la riforma la Cassazione accoglie la tesi ‘sostanzialistica’, in Sist. pen., 15 novembre 2023, pag. 1 ss. e Cass. Pen., sez. III, del 5 giugno 2024, n. 30653, annotata da, volendo, G. Bondi, Approccio “formalista” e approccio “sostanzialista” alla nozione di cosa d’arte all’indomani della riforma dei reati contro il patrimonio culturale del 2022, in Stud. iur., dicembre 2024.
[88] “In mancanza di criteri obiettivi sulla base dei quali affermare la natura di bene culturale o paesaggistico di un determinato oggetto ovvero di un determinato luogo, si rischia innanzitutto di violare il fondamentale principio di tassatività-determinatezza della fattispecie penale dal momento che la sussistenza di un interesse culturale o paesaggistico del bene offeso verrebbe fatalmente a dipendere dall’arbitrium iudicis” (G. Morgante, Art. 174, in Leggi penali complementari, (a cura di) T. Padovani, Milano, Giuffrè, 2007, pag. 65). Una soluzione alle problematiche afferenti alla protezione del principio di colpevolezza potrebbe essere quella di sanzionare penalmente solo condotte rispetto alle quali si ravvisi, nella forma del dolo diretto, la consapevolezza della “culturalità” del bene, sul modello dell’art. 733 c.p. Cfr. C. Sotis, La tutela penale dei beni culturali mobili. Osservazioni in prospettiva de iure condendo, in AA.VV., Circolazione dei beni culturali mobili e tutela penale: un’analisi di diritto interno, comparato e internazionale, Milano, Giuffrè, 2015, pag. 111 ss., spec. pag. 133 ss. e F. Di Bonito, Il problema definitorio del «bene culturale» tra ‘reale’ e ‘dichiarato’: consapevolezza della culturalità e ricadute penalistiche, in Il diritto dei beni culturali, (a cura di) B. Cortese, Roma, Roma Tre-Press, 2021, pag. 51 ss.
[89] Si pensi alla prova sulla provenienza di un cratere greco da uno scavo illecito di una tomba etrusca del Centro-Italia. Per quanto si possa sostenere che, in astratto, molti di essi sono stati scoperti dentro tali strutture funerarie e, quindi, ben può essere che la res sotto esame abbia conosciuto il medesimo destino, non si può affatto escludere, in concreto, che essa sia sempre rimasta in Grecia, nel luogo ove l’artista l’ha realizzata. Dedurre la titolarità di un’opera attraverso tale modalità ricostruttiva pare non condivisibile perché scientificamente debole.
[90] Su tutti, v. F. Bricola, Dolus in re ipsa. Osservazioni in tema di oggetto e di accertamento del dolo, Milano, Giuffrè, 1960, pag. 151 ss. Sul dolo nell’art. 174 c.b.c. v. G. Baffa, L’illecita esportazione del “Ritratto di Isabella d’Este”, cit., pagg. 3323 - 3325 e A. Visconti, La repressione del traffico illecito di beni culturali nell’ordinamento italiano, cit., pagg. 49-52.
[91] Cfr. V. Manes, La circolazione illecita dei beni artistici e archeologici, cit., pag. 93 s. e A. Massaro, Illecita esportazione di cose di interesse artistico, cit., pag. 124.
[92] Cfr. R. Mußgnug, Europäischer und nationaler Kulturgüter-Schutz, in Aktuelle Fragen des Kulturgüterschutzes, (a cura di) R. Mußgnug, G. Roelleckem, Heidelberg, Müller, 1998, pag. 11 ss.; G.P. Demuro, Beni culturali e tecniche di tutela penale, cit., pag. 149; e V. Manes, La circolazione illecita dei beni artistici e archeologici, cit., pag. 93 s.
[93] Con legge 4 agosto 2017, n. 124 è stato esteso il novero degli oggetti d’arte esportabili, includendovi: le opere risalenti fino a settanta anni (prima il limite era di cinquanta) e quelle di autore non più vivente realizzate oltre tale soglia temporale, fintantoché il valore delle stesse non si collochi oltre i 13.500 euro. Cfr. B. Mastropietro, L’esportazione di opere d’arte: luci e ombre della nuova disciplina, in Rass. dir. civ., 2018, 3, pag. 1131 ss.; A. Massaro, Illecita esportazione di cose di interesse artistico, cit., pag. 124 s.; e B. Munari, L’innalzamento della soglia temporale derivante dalla L. 4 Agosto del 2017, n. 124, in Il diritto dei beni culturali, (a cura di) B. Cortese, Roma, Roma Tre-Press, 2021, pag. 23 ss.
[94] Cfr. A. Massaro, Illecita esportazione di cose di interesse artistico, cit., pag. 113.
[95] Cfr. A. Simonati, Art. 65, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, (a cura di) M.A. Sandulli, Milano, Giuffrè, 2019, pag. 652 ss.
[96] Sulle presunzioni esistenti nei procedimenti penali in questo settore v. L. Luparia, La tutela penale dei beni culturali nella dimensione processuale, cit., pagg. 254-256, ove l’Autore individua una combinazione tra “presunzioni legali iuris tantum [...], presunzioni giurisprudenziali [...], alleggerimenti degli standard probatori con sforamenti nella categoria del “fatto notorio” e passaggi inferenziali tra queste ipotesi presuntive, spesso in violazione della classica regola secondo cui praesumptio de praesumptio non admittitur”. Cfr. anche G. Di Biase, La risoluzione delle controversie sulla proprietà delle cose sequestrate in sede penale, ed in particolare dei beni archeologici. Gli strumenti processuali a disposizione dello Stato italiano a tutela del patrimonio culturale nazionale e straniero, in Il diritto dei beni culturali, (a cura di) B. Cortese, Roma, Roma Tre-Press, 2021, pag. 71 ss.
[97] Cfr. G. Di Biase, La risoluzione delle controversie sulla proprietà delle cose sequestrate in sede penale, cit., pag. 77 ss.
[98] Inter alia, v. sent. 42458/2015.
[99] Per una tassonomia v. G. Pioletti, Sulla probatio diabolica della legittimità del possesso di cose d’interesse archeologico, in Cass. pen., 1997, 2, pag. 515 ss.
[100] Cfr. E. Mottese, La confisca di beni culturali illecitamente esportati, cit., pag. 1097 ss., spec. nt. n. 26.
[101] G. Pioletti, Sulla probatio diabolica della legittimità del possesso di cose d’interesse archeologico, cit., pag. 521.
[102] Cfr. F. Di Bonito, “Testa o croce”, cit., pag. 676 ss., il quale parla di “ginepraio presuntivo”.
[103] Sembra ormai superato quel sentire della giurisprudenza di legittimità, secondo cui: “Il sistema, pertanto, letto in aderenza ai precetti costituzionali, non consente che venga posta a carico del cittadino la prova della legittimità del possesso di oggetti archeologici, ma è l’accusa che deve dare la prova della illegittimità del suo possesso” (Cass. Pen., sez. III, sent. n. 7131 del 4 maggio 1999). Cfr. F. Di Bonito, “Testa o croce”, cit., pag. 677.
[104] Cfr. P. Cipolla, Sulla obbligatorietà della confisca di beni culturali appartenenti allo Stato illecitamente esportati, cit., pag. 2204 ss.; R. Muzzica, Confisca dei beni culturali e prescrizione, cit., pag. 11 ss.; A. Viglione, Prescrizione del reato e confisca dei beni culturali, sanzione penale o misura amministrativa?, cit., pag. 4187 ss.; B. Romanelli, Esecuzione e confisca, in Codice delle confische, (a cura di) T. Epidendio, A. Varraso, Milano, Giuffrè, 2018, pagg. 1304-1308; ed E. Mottese, La confisca di beni culturali illecitamente esportati, cit., pag. 1097 ss. Su quello riguardante la falsificazione v. P. Cipolla, L’«appartenenza a persona estranea al reato» come causa di preclusione della confisca di falsi d’arte, tra prassi giurisprudenziali e oscillazioni interpretative, in Giur. merito, 2008, 6, pag. 1699 ss.
[105] La confisca prevista per reati tributari, all’art. 12-bis decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, contempla una clausola non dissimile.
[106] Cfr. R. Muzzica, Confisca dei beni culturali e prescrizione, cit., pag. 11. Cionondimeno, vi sono settori attigui nei quali è presente una disciplina maggiormente articolata e approfondita del terzo estraneo e delle sue prerogative, come per le misure di prevenzione patrimoniali nel Codice antimafia.
[107] Cfr. M. Montagna, Confisca e tutela del terzo estraneo, in Arch. pen., 2019, 2, pag. 9.
[108] Cfr. E. Mottese, La confisca di beni culturali illecitamente esportati, cit., pag. 1098. Ad esempio, essa è invece richiamata a chiare lettere nella confisca nei confronti dell’ente ex art. 19 decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231.
[109] Sul consumarsi di una “battaglia di concetti” relativamente alla corretta individuazione del bene giuridico, se esso sia cultural heritage oppure cultural property, v. M. Frigo, Cultural Property v. Cultural Heritage: A “Battle of Concepts” in International Law?, in International Review of the Red Cross, giugno 2004, pag. 367 ss.
[110] Tra gli altri, v. J.H. Merryman, Two Ways of Thinking About Cultural Property, in The American Journal of International Law, 1986, 4, pag. 831 ss. e Id., Cultural Property Internationalism, in International Journal of Cultural Property, 2005, 1, pag. 11 ss. Anche per ulteriori approfondimenti, v. A. Visconti, La repressione del traffico illecito di beni culturali nell’ordinamento italiano, cit., pag. 5, spec. nt. n. 21. Per un’analisi comparatistica, dove a ciascun Paese, Spagna, Svizzera e Regno Unito, corrisponde uno di questi tre paradigmi, v. D. Vozza, La prevenzione e il contrasto al traffico illecito di beni culturali mobili tra spunti comparati e prospettive di riforma, cit., pag. 185 ss.
[111] Auspicava tale aumento P.G. Ferri, Uscita o esportazioni illecite, cit., pag. 248 s. e 258. Su questa problematica, in rapporto alla forzata categorizzazione degli illeciti penali di settore quali reati permanenti, v. V. Manes, La circolazione illecita dei beni artistici e archeologici, cit., pag. 102 s.
[112] Su tale “modello utilitarista” di punizione v. C. Sotis, La tutela penale dei beni culturali mobili, cit., pag. 125 s. Relativamente a passati progetti di modifica cfr. P.G. Ferri, Uscita o esportazioni illecite, cit., pag. 180; P. Carpentieri, La tutela penale dei beni culturali in Italia e le prospettive di riforma, cit., pag. 45; e L. Luparia, La tutela penale dei beni culturali nella dimensione processuale, cit., pag. 249. Riguardo alla riforma del 2022 cfr. U. Santoro, La riforma dei reati contro il patrimonio culturale, cit., pag. 875 e A. Visconti, Problemi e prospettive della tutela penale del patrimonio culturale, cit., pag. 78.
[113] L. Luparia, Tutela dei beni culturali e processo penale, cit., pag. 196.
[114] Cfr. M. Carcione, Dal riconoscimento dei diritti culturali nell’ordinamento italiano alla fruizione del patrimonio culturale come diritto fondamentale, in Aedon, 2013, 2.
[115] Si pensi all’uso degli “archivi Becchina e Medici” e, in particolare, alle circostanze che hanno portato alla riconsegna della Dea di Morgantina e del Cratere di Eufronio. Cfr. E. Mottese, La confisca di beni culturali illecitamente esportati, cit., pag. 1107, spec. nt. n. 45 ed Eurojust, Ufficio italiano, La Cooperazione Giudiziaria penale in materia di beni culturali, cit., pag. 6 s., 17 e 18, spec. nt. n. 13. Sul tema, in generale, v. M. Fiorilli, Gli accordi di restituzione di beni archeologici italiani provenienti da scavi clandestini e illecitamente esportati dal territorio nazionale, in La diplomazia culturale. Forza del dialogo, potere della cultura. Le opportunità per l’Italia, (a cura di) G. Beghini, R. Fiorani, E. Giacomin, E. Gregori, Roma, Aracne, 2013, pag. 75 ss.; S. Alessandrini, La diplomazia culturale italiana per il ritorno dei beni in esilio. Storia, attualità e future prospettive, Roma, Edizioni Efesto, 2018; e T. Scovazzi, The Restitution of Illicitly Exported Cultural Properties: Recent Italian Cases, in Pravovedenie, 2020, 1, pag. 156 ss.
[116] Sul chilling effect causato dallo stato di incertezza dovuto all’azione tipizzante della giurisprudenza penale sul concetto di bene culturale c.d. reale v. F. Di Bonito, Il problema definitorio del «bene culturale» tra ‘reale’ e ‘dichiarato’, cit., pag. 67. Sulla falsariga, è stata avanzata una modifica delle discipline penale e amministrativa per evitare che “l’effetto complessivo della regolamentazione sia quello [...] di scoraggiare il commercio legittimo di beni culturali, giungendo magari anche a colpire autentici outsiders (i privati possessori di buona fede/bona fide purchasers) sottoposti al rischio penale per il tramite di autentiche presunzioni declinate sul tralatizio schema del dolus ex re” (V. Manes, La circolazione illecita dei beni artistici e archeologici, cit., pag. 105).
[117] Sulla priorità del momento preventivo v. A. Visconti, Le prospettive internazionali di tutela penale: strategie sanzionatorie e politico-criminali, in Beni culturali e sistema penale, (a cura di) S. Manacorda, A. Visconti, Milano, Vita e Pensiero, 2014, pagg. 143-150. Siffatto modus operandi si trova nelle International Guidelines for Crime Prevention and Criminal Justice Responses with Respect to Trafficking in Cultural Property and Other Related Offences, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 18 dicembre 2014. Per alternative al diritto penale v. A.P. Valentini, Verso una nuova governance nella circolazione internazionale dei beni culturali: contrastare la circolazione illecita con strumenti amministrativi e meccanismi di soft law idonei a regolare l’esportazione, in Il diritto dei beni culturali, (a cura di) B. Cortese, Roma, Roma Tre-Press, 2021, pag. 39 ss.
[118] Sulla crescente importanza degli stessi anche nel diritto penale v. A. Bernardi, Sui rapporti tra diritto penale e soft law, in Riv. it. dir. proc. pen., 2011, 2, pag. 536 ss.
[119] Di recente, v. A. Visconti, La repressione del traffico illecito di beni culturali nell’ordinamento italiano, cit., pag. 6.