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La fruizione del patrimonio culturale: i luoghi della fruizione ed i nuovi diritti

Dal riconoscimento dei diritti culturali nell'ordinamento italiano alla fruizione del patrimonio culturale come diritto fondamentale

di Massimo Carcione

Sommario: 1. Premessa. - 2. La concezione della cultura nell'ordinamento italiano. - 3. La faticosa definizione del diritto (culturale) alla fruizione. - 4. Obiezioni tradizionali e argomentazioni a favore. - 5. Tutela dei diritti e organizzazione dei servizi. - 6. Per una nuova definizione della fruizione.

From the recognition of cultural rights in the Italian law to the fruition of cultural heritage as a fundamental right
According to the Universal Declaration of Human Rights (article 27), since 1948 "everyone has the right freely to participate in the cultural life of the community", but also "to enjoy the arts", a statement formally confirmed some years after by the U.N. International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights, and also by the Preamble of the International Covenant on Civil and Political Rights (1966). Recently, cultural rights were expressly mentioned also by the 2005 Convention on the Protection and Promotion of the Diversity of Cultural Expressions, "referring to the provisions of the international instruments adopted by UNESCO relating to (...) the exercise of cultural rights", like the 2003 Convention for the Safeguarding of Intangible Cultural Heritage and many others. Nevertheless, in Italy cultural rights are not still fully recognised, respected and protected as such: first of all, the right to enjoy the arts and others rights relating to cultural heritage.

1. Premessa

Nel vasto panorama della dottrina giuspubblicistica nazionale, a partire dalla seconda metà del XIX secolo, ben pochi studiosi italiani hanno accettato e condiviso l'esistenza della categoria dei "diritti culturali", peraltro evidenziandone volta per volta, in modo diverso e non di rado contraddittorio, solo una o più delle molteplici tematiche e prospettive che li caratterizzano e definiscono [1].

Anche coloro che ammettono l'esistenza di questa controversa categoria giuridica, peraltro, ne forniscono definizioni e catalogazioni alquanto disparate e disomogenee, quasi mai esaustive né tantomeno riferite in modo esplicito a fonti e riferimenti di diritto positivo. Partendo da questo presupposto, già da tempo ho presentato [2] un'articolata ricognizione dei diritti culturali che, ad oggi, sono già stati effettivamente recepiti dall'ordinamento positivo italiano, correlandoli alle più significative norme che compongono e attuano la nostra "Costituzione culturale".

Infatti il termine compare, oltre che nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, in ben quattro convenzioni ratificate dall'Italia [3], cui la legislazione ordinaria si deve pertanto adeguare, ai sensi del novellato art. 117 c. 1 Cost. [4], anche alla luce dei principi e criteri direttivi di cui alla l. n. 137/2002 ("Delega per il riassetto e la codificazione in materia di beni culturali"), che all'art. 10, c. 2, lett. d), chiedeva che l'allora redigendo Codice [5] si conformasse "al puntuale rispetto degli accordi internazionali".

Poiché ciò non può ancora dirsi avvenuto con il d.lgs. n. 42/2004 (Codice dei Beni culturali), né in occasione delle ormai numerose modifiche intervenute successivamente, si era ritenuto che potesse essere di qualche utilità elaborare una formulazione più chiara e sintetica [6], andando oltre alle precedenti elencazioni dei diversi diritti culturali, nella speranza di rendere più effettivo l'esercizio di tali diritti da parte di comunità, associazioni e singoli cittadini, come pure la loro tutela da parte della Repubblica, nel rispetto dei principi fondamentali (in primis l'art. 9, ma non solo) della nostra Costituzione.

Non potendosi però adottare la chiara e univoca dizione di "diritto alla cultura" [7], dal momento che in Italia esiste un generale consenso sul fatto che sia inappropriato riunire in un unico concetto una pluralità eterogenea di soggetti, oggetti e garanzie, avevo dunque proposto per la categoria dei diritti culturali solo due nozioni, tra loro coordinate [8], sintetiche e onnicomprensive, che prendono in debita considerazione l'ormai acquisita duplice prospettiva della "Libertà di creare e diffondere la cultura e la conoscenza" e del "Diritto a fruire della cultura e della conoscenza"; quest'ultimo, maggiormente originale e significativo ai fini della presente trattazione, si configura ogniqualvolta necessita l'azione dei poteri pubblici, direttamente finalizzata a rispondere - seppure in modo proporzionato alle risorse finanziarie e tecniche disponibili - al bisogno di acquisire cultura e conoscenza [9], per il tramite del sistema dei servizi culturali nazionali e locali, tanto analogici che digitali [10].

Una conferma di quanto era stato sin qui sostenuto solo da qualche voce isolata, è inaspettatamente venuta, in una sede particolarmente significativa dal punto di vista politico-istituzionale, in occasione dell'illustrazione delle linee programmatiche del nuovo Ministro per i Beni e le attività culturali, presentate alle Camere il 23 maggio 2013 [11]: "La cultura non è soltanto uno degli interessi pubblici essenziali, tutelato dalla costituzione e dai trattati internazionali"; essa "rappresenta anche l'oggetto di un insieme di diritti fondamentali [12] del cittadino, della persona, delle formazioni sociali: il diritto di accesso al sistema della produzione culturale; il diritto alla più ampia fruizione di tutti i beni culturali e dei prodotti delle attività culturali".

Pochi giorni dopo si è svolta presso l'Università di Venezia Ca' Foscari, sotto l'egida della Commissione Europea e del Consiglio d'Europa, la giornata di studi "Al cuore della cittadinanza europea: i diritti culturali" [13], che ha consentito, in virtù dell'approccio multidisciplinare che caratterizza l'attività scientifica del Centro di Studi sui Diritti Umani (Cestudir), di mettere a confronto e far dialogare tra loro su questo tema non solo esperti di diritto internazionale, diritto europeo e diritto pubblico della cultura, ma anche i giuristi con i filosofi, i politologi, gli antropologi e gli economisti. In quella sede - nell'ambito della sessione presieduta da Maria Laura Picchio Forlati - l'estensore delle presenti note ha riproposto, in modo assai più articolato e argomentato, la definizione sintetica dei diritti culturali poc'anzi riportata [14].

È forse giunto il momento, dunque, di capovolgere l'approccio assai riduttivo che tutt'ora prevale nella communis opinio di quanti si occupano a vario titolo di cultura, recuperando e valorizzando un punto di vista che non ha trovato finora condivisione e apprezzamento generalizzato nella comunità scientifica nazionale ed ancor meno nella vulgata, forse perché continua ad essere percepito come connotato ideologicamente [15]. Eppure si ispira a concezioni tutt'altro che recenti e originali, ampiamente condivise nella comunità scientifica internazionale, oltre che presso Organizzazioni internazionali di diversa natura (l'UNESCO, il Consiglio d'Europa, le OnG del settore) e in ordinamenti nazionali basati su concezioni giuridiche e tradizioni culturali assai differenti tra loro.

2. La concezione della cultura nell'ordinamento italiano

In Italia vige tradizionalmente, tanto nel comune sentire che nell'azione delle istituzioni pubbliche, nella giurisprudenza come nel giudizio della dottrina - fatte salve le rare eccezioni che segnaleremo nominatim tra breve - una separazione piuttosto netta tra i diritti, le competenze, le funzioni e le prerogative che si possono ricomprendere nell'ambito lato sensu culturale e in quello scolastico: così vengono in considerazione da un lato tutela e valorizzazione del patrimonio, promozione della cultura e della ricerca, libertà di espressione artistica e autonomia delle istituzioni culturali; dall'altro, sempre ben distinti, troviamo il diritto all'educazione e all'istruzione, il diritto allo studio, la libertà di insegnamento e l'autonomia delle istituzioni scolastiche, universitarie e accademiche.

Tale distinzione appare criticabile perché sono in primo luogo le istituzioni formative di ogni ordine e grado a promuovere la cultura e la ricerca scientifica; d'altronde il considerare i beni e le attività culturali in senso materiale e astratto (seppure nel rispetto dei più alti valori storici ed estetici), prescindendo dai loro autori e destinatari, mal si concilia con la concezione internazionale [16] secondo cui il patrimonio storico-artistico va preservato e valorizzato non solo ai fini della sua materiale protezione e conservazione, ma anche e soprattutto nell'intento di perseguirne la piena condivisione e fruizione da parte di tutti. Esso è considerato quale ideale strumento di espressione e veicolo di educazione [17], intesa alla migliore conoscenza, convivenza e comprensione reciproca tra le diverse comunità e nazioni [18], quasi sempre caratterizzate da lingue, religioni, tradizioni [19] ed espressioni artistiche differenti [20].

Quest'ultimo modello teorico è stato recepito e attuato, in Italia, mediante l'esercizio decentrato delle funzioni di valorizzazione dei beni culturali e di promozione della cultura, ben prima e in modo più ampio di quanto non lo sia stato tramite le tradizionali funzione statali di gestione del sistema scolastico e di tutela di "antichità e belle arti", che si sono orientate in tal senso solo di recente, soprattutto grazie alle previsioni dell'art. 2 c. 4 del Codice, che definisce il patrimonio culturale come "destinato alla fruizione della collettività".

È noto infatti che l'ordinamento italiano aveva sempre privilegiato, sin dalla storica legge di tutela del 1939 [21], la conservazione e il restauro [22] di monumenti e capolavori artistici, come pure lo studio e la promozione delle lettere, delle arti e delle scienze intese nel senso più classico del termine [23]. Dopo l'avvento della Repubblica, si era coerentemente scelto a parametro di riferimento il principio fondamentale sancito dalla seconda parte dell'art. 9 della Costituzione [24], con particolare riguardo all'impegno posto in capo allo Stato di tutelare il patrimonio storico-artistico, attuato per oltre mezzo secolo (senza peraltro allontanarsi di molto dallo storico impianto della legge Bottai) con il profluvio di leggi nazionali recentemente condensate dapprima nel Testo unico del 1999 e quindi nel "Codice Urbani" [25].

Non essendosi in questo caso (discutibilmente) interpretato il termine "Repubblica" come comprensivo di tutti i livelli istituzionali, tale riferimento è stato storicamente inteso dall'Amministrazione centrale come un mandato pieno ed esclusivo allo Stato, di per sé ritenuto adeguato e sufficiente a garantire l'effettiva promozione, protezione e conservazione del patrimonio culturale italiano, senza che ci si facesse tuttavia carico dei correlati diritti e interessi legittimi dei cittadini [26], fatto salvo il solo diritto all'istruzione che ha sempre goduto in modo autonomo (almeno teoricamente) della più alta considerazione.

Già nei lavori preparatori della Costituente, Massimo Severo Giannini aveva però individuato, in modo lungimirante ed originale, tra le competenze culturali dello Stato taluni "mezzi di educazione finora accessibili solo a ristrette classi (arti, spettacolo, turismo)" [27], concetto che solo di recente è stato ripreso e sancito formalmente dal Codice e dalla legge quadro sul turismo [28].

Sono stati però necessari decenni per conseguire il pieno riconoscimento a livello legislativo (dapprima nel TUBC e poi nel Codice stesso) dell'esistenza della "nuova" categoria degli istituti culturali [29] - musei, biblioteche, archivi, aree archeologiche, parchi storici, ecc. - che della funzione educativa dei beni culturali mobili e immobili costituiscono la principale struttura di servizio, direttamente rivolta all'utenza: e, ciò nonostante, non è stato ancora possibile fare l'ultimo e decisivo passo nel senso del loro riconoscimento quali istituzioni culturali, dotate cioè di autentica autonomia scientifica e operativa, che garantirebbe loro la possibilità di contribuire, attivamente e fuori dai condizionamenti partitici, ideologici e burocratici, alla costruzione della politica della cultura, nel rispetto del principio generale sancito dall'ultimo comma dell'art. 33 Cost. [30].

L'espressione "costituzione culturale" (assunta come lemma sintetico che designa l'insieme delle norme in materia presenti nella Carta fondamentale [31]) potrebbe essere intesa in un senso ben più ampio e trasversale, che non dovrebbe più sottostare alle tradizionali categorizzazioni. Concorre a questa impostazione l'art. 3 c. 2, sul presupposto che tra gli ostacoli di ordine sociale c'è il basso livello culturale di una ancora troppo larga parte della popolazione. Rispetto ad essa la Repubblica deve impegnarsi ad assicurare il pieno rispetto di tutte le norme costituzionali in materia, e con esse certamente del diritto all'istruzione [32] e della libertà di insegnamento, ma anche delle garanzie in materia di lingua, religione, opinione ed espressione, che in questo senso devono essere accomunate e strettamente correlate alla promozione della cultura e alla tutela del patrimonio culturale e paesaggistico.

Non giova però a tal fine che la fruizione della cultura in Italia venga proposta dai media e generalmente percepita a livello popolare come qualcosa di imposto (e dunque da subire passivamente, nei limiti del dovuto), e non piuttosto di indispensabile (che andrebbe quindi rivendicato); ciò sembra trasparire in modo sintomatico e può fors'anche essere stato indotto da alcuni ricorrenti riferimenti terminologici [33], condizionando in modo negativo la percezione e il riconoscimento dell'accesso alla cultura e alla conoscenza come vero e proprio diritto che spetta a "tutti i cittadini" [34], il che comporterebbe di andare oltre l'errata ma radicata convinzione che essa sia prerogativa soltanto di un'élite sociale sensibile alle più elevate libertà intellettuali, oppure di ancor più circoscritte rivendicazioni proprie delle comunità minoritarie, in quanto connesse alla loro specifica identità linguistica o religiosa.

Ecco allora che, per l'influsso deleterio di questo diffuso condizionamento sociale, ben difficilmente si condivide l'idea che la concreta e quotidiana possibilità di accedere ai più elementari servizi (locali in primis) del settore culturale e della conoscenza, usufruendo di una biblioteca o di una postazione Internet pubblica [35], costituiscano il presupposto per il rispetto del diritto di ciascuno: ne deriva, in ultima analisi, che la cultura è universalmente considerata correlata all'interesse nazionale o al più collettivo, mentre assai raramente la si reputa ricollegabile a quello individuale [36].

3. La faticosa definizione del diritto (culturale) alla fruizione

Il primo a dedicare ai diritti (pubblici) culturali una specifica attenzione [37], ed in specifico alla libertà di manifestazione dell'arte e della scienza, è stato Enrico Spagna Musso [38]: ciò sul presupposto che l'organizzazione delle istituzioni culturali, nella loro attività tipicamente culturale, deve essere indipendente dalla volontà statale.

Ma è stato invece Francesco Rimoli [39] a focalizzare per la prima volta l'attenzione sul diritto del fruitore di godere liberamente dell'opera, sottolineando anche in questo senso la necessità dell'intervento pubblico di promozione culturale e artistica, in quanto considerato strumento di realizzazione degli obiettivi di eguaglianza sostanziale.

Già nei suoi primi studi sul tema [40], nel definire e analizzare l'intervento culturale pubblico, lo stesso Michele Ainis si era riferito al diritto alla cultura [41], considerandolo un diritto sociale, in quanto configurato dall'art. 9 della Costituzione come oggetto di attività discrezionale dei pubblici poteri; anch'egli poneva in rilievo il fatto che l'impegno a difendere e valorizzare la cultura è "strumentale al raggiungimento di condizioni d'eguaglianza sostanziale", in linea con l'art. 3.

Alessandro Pizzorusso [42], da parte sua, nell'esaminare i rapporti tra i principi costituzionali e quello che definisce in senso prevalentemente oggettivo come il diritto della cultura, si è soffermato per lo più sul diritto a sviluppare liberamente la propria identità culturale, con diretto riferimento all'art. 27 del Patto sui Diritti civili e politici del 1966.

Invece Jörg Luther [43] ha collocato il tema nell'ottica europea, definendo la Carta dei Diritti fondamentali dell'UE (2001), come una vera e propria "costituzione culturale, fondata su diritti culturali" [44]: tra essi però non ci sarebbe spazio per diritti connessi alla conservazione e alla fruizione del patrimonio culturale. È tuttavia interessante l'osservazione che i diritti culturali riguardano tanto l'individuo che la comunità, con l'inevitabile conseguenza che vengono messi in gioco non solo gli aspetti religiosi, linguistici e identitari (il cui esercizio risulta determinare diritti individuali, che divengono però potenzialmente collettivi), ma anche a fortori quelli connessi al mero accesso e godimento almeno ai servizi culturali essenziali come la scuola, l'università e i servizi didattici di musei, teatri o biblioteche.

La dottrina più recente tende ad utilizzare più comunemente i termini in questione, facendo riferimento in particolare alla libertà della cultura [45] o più genericamente alle libertà culturali (Raffaele Chiarelli) [46], mentre stenta ancora a recepire in modo generalizzato e ad adottare convintamente il termine "diritti culturali", che è stato per lo più utilizzato con diretto o indiretto riferimento alle sole disposizioni dei Patti del 1966 [47].

Giulio Volpe [48], tuttavia, fa un interessante riferimento alla libertà della cultura, citando esplicitamente i diritti culturali allorché nell'illustrare l'intesa tra l'Italia e la Chiesa cattolica [49], pone in rilievo non solo la garanzia del diritto di accesso alle biblioteche, ma addirittura l'esistenza di un diritto a fruire di un soggiorno confortevole in biblioteca.

Anche Raffaele Tamiozzo ha evidenziato l'esistenza di un vero e proprio diritto di godimento dei beni culturali; pur definendo ancora la fruizione come "attività istituzionale" dello Stato, posta dunque in una "posizione mediana tra tutela e valorizzazione", è particolarmente interessante il fatto che l'Autore operi un collegamento con l'istituto della dicatio ad patriam, in virtù del quale si configura appunto un "diritto di godimento di beni culturali acquisito nel corso del tempo" [50].

Malgrado le perduranti resistenze e le perplessità della maggioranza degli studiosi italiani, dunque, sono sempre più numerosi coloro che, soprattutto dall'inizio di questo secolo, adottano la categoria de qua [51]; il recente studio di Gianluca Famiglietti ha infine offerto una disamina ampia del tema [52], il quale viene tuttavia discutibilmente considerato e declinato attribuendo un'assoluta preponderanza all'ottica identitaria, intesa soprattutto - se non esclusivamente - alla tutela dei diritti delle minoranze linguistiche o religiose, che vengono definiti come "i diritti culturali (rectius, il diritto alla tutela della propria vita culturale)" [53]. Malgrado l'evidente enfasi posta sull'asserita coincidenza tra diritti culturali e diritto all'identità, si riconosce però pari dignità e valore anche alla "libertà della cultura, nelle sue manifestazioni artistiche e scientifiche" [54], ma soprattutto al diritto alla fruizione (artistica, culturale e persino scientifica), che viene definito come collettivo ed alla cui base viene condivisibilmente posto in evidenza un più ampio "diritto individuale alla cultura (inteso come libertà positiva)" [55].

In questo modo viene recepita la sollecitazione di coloro che sostengono [56] che i diritti culturali, così intesi, mirano a tutelare non solo la civiltà, l'arte, la scienza e il patrimonio (culturale e paesaggistico) di una comunità, ma anche la personale educazione, competenza, e quindi capacità critica di ogni singolo cittadino, promuovendo il pluralismo cultuale al fine di garantire l'indipendenza del suo giudizio, anche ai fini della definizione dell'indirizzo politico generale, mediante il pronunciamento nell'ambito del corpo elettorale.

Ciò richiede che sia assicurata la "partecipazione consapevole alle sorti della cosa pubblica", consentendo alla cittadinanza, ma in ultima analisi ad ogni individuo (elettore), la possibilità effettiva di acquisire un "solido patrimonio di conoscenze", indispensabili alla sua crescita civile [57] e al pieno sviluppo della sua personalità. Vengono invece limitati, progressivamente, i riferimenti agli aspetti più specificamente identitari e religiosi [58], in quanto sono potenzialmente detonatori di impulsi nazionalistici e di conflitti interconfessionali, se non addirittura di degenerazioni a sfondo xenofobo o razzista.

Così circoscritti, i diritti culturali possono essere ritenuti, in quanto autonoma categoria, meritevoli di considerazione e tutela anche da parte di coloro che sinora ne paventavano, non senza ragione, gli aspetti più pericolosi [59]: se non altro per avvalersene, con la necessaria prudenza, come parametro o clausola generale, al fine di verificare l'effettiva apertura del sistema ai principi fondamentali di garanzia dei diritti umani, di pluralismo e di democraticità dell'ordinamento [60].

Ove, infine, si ritenesse necessario operare un'ulteriore valutazione di rilevanza, e quindi di priorità nella tutela, tra le due categorie così sintetizzate, si dovrebbe considerare che la libertà di diffondere cultura attiene a chi (in quanto artista, professore o giornalista) ha potuto acquisire e già possiede un bagaglio di conoscenze, che mette a disposizione della comunità [61], mentre il diritto a fruire della cultura spetta, anche e soprattutto, a tutti coloro che non hanno ancora avuto questa opportunità e si aspettano quindi dalla Repubblica l'adempimento, anche sotto questo specifico profilo, dei principi di garanzia dei diritti inviolabili dell'Uomo, di pari dignità sociale e di eguaglianza sostanziale, solennemente proclamati dagli articoli 2 e 3 della nostra Carta fondamentale [62].

4. Obiezioni tradizionali e argomentazioni a favore

Se dunque i diritti culturali sono da considerarsi pacificamente codificati nel diritto positivo nazionale di fonte convenzionale, essendo come tali riconosciuti da una parte non marginale della dottrina, che ormai si sta orientando in modo sempre più convinto, specialmente negli ultimi anni, a sostenere l'esistenza della categoria giuridica dei diritti culturali, se non di un unico e generale diritto alla cultura, nondimeno, permangono una serie di resistenze e obiezioni [63] cui occorre a questo punto tentare, seppure in modo sommario e sintetico, di dare riscontro.

Preliminarmente, la supposta configurabilità delle posizioni giuridiche soggettive in oggetto come meri interessi legittimi, implicherebbe il fatto di trovarci di fronte a un prevalente interesse pubblico alla tutela del patrimonio culturale della Nazione, che però appare con evidenza solo nei casi (ben distinti e tutto considerato limitati) in cui tale tutela prevale effettivamente sul diritto individuale del privato.

Ciò avviene nei casi di beni culturali di proprietà privata che vengono espropriati a fini di tutela e conservazione, oppure sono oggetto di dichiarazione e conseguente vincolo; possono essere ancora considerate quelle rare situazioni in cui l'interesse nazionale può davvero limitare i diritti e le libertà individuali, per ragioni di sicurezza nazionale o di tutela del segreto di Stato; ma al di fuori di queste situazioni non si vede quale ulteriore interesse generale avrebbe ragione di prevalere sulla pretesa del cittadino di ottenere e di offrire istruzione, cultura, conoscenza e informazione [64], che anzi possono solo portare benefici al nostro Patrimonio culturale.

Obiezione consueta al riconoscimento dei diritti culturali è poi quella relativa al fatto che sarebbero condizionati finanziariamente dalla disponibilità di risorse economiche, come peraltro è riconosciuto anche dallo stesso art. 22 della Dichiarazione e dall'art. 32 Cost.; circostanza che però non può essere opposta nei casi e nelle situazioni in cui adeguate risorse sarebbero invece disponibili ma vengano stornate a favore di altre finalità, assai meno garantite sul piano normativo (ad esempio il gioco del calcio o i format televisivi). In tal caso saremmo dunque di fronte a diritti incondizionati e intangibili, così come in tutte le altre circostanze in cui si può ormai ovviare ai limiti finanziari e organizzativi (ad esempio di effettivo accesso a università, biblioteche o musei delle aree metropolitane da parte degli abitanti di realtà periferiche o montane) con le sempre più diffuse e meno costose tecnologie multimediali, una volta rese effettivamente accessibili a tutti sul piano tecnico [65].

Sostenere che i diritti culturali non attribuirebbero allo Stato un obbligo di facere positivo, correlato al loro esercizio, se non per quanto attiene alle norme sulla scuola dell'obbligo [66], contrasta invece con l'esistenza di norme di diritto positivo in base alle quali i beni e gli istituti culturali pubblici sono destinati alla fruizione [67]: dunque appare difficile sostenere che un sito, un museo, un archivio, un teatro o una biblioteca possono essere arbitrariamente chiusi al pubblico, poiché una volta che sono stati realizzati e attivati, ogni cittadino ha diritto a usufruirne, trattandosi di servizi pubblici [68] e non già di attività meramente discrezionali della pubblica amministrazione.

Inoltre non è corretto sostenere che i diritti culturali non sarebbero tutelati da norme cogenti, non ravvisandosi un altro preminente interesse pubblico che possa essere posto a motivazione delle norme penali del Codice dei Beni culturali che sanzionano, talvolta in modo tutt'altro che lieve (anche penalmente) [69], la violazione delle norme di tutela del patrimonio culturale mobile e immobile, oppure del paesaggio, con disposizioni che vincolano anche la stessa P.A. allorché interviene sui beni culturali pubblici; analoga considerazione può essere fatta anche per i divieti di discriminazione, oppure per le norme contro la contraffazione o l'utilizzo abusivo di prodotti oggetto di brevetti e diritti d'autore, come pure per le sanzioni poste a tutela del diritto all'accesso agli atti amministrativi.

L'affermazione secondo cui, essendo collettivi, i diritti culturali spetterebbero esclusivamente a una comunità o nazione, e quindi sarebbero tutelati solo in quanto riferiti a una minoranza, linguistica, etnica o religiosa [70], non può di per sé escludere che essi costituiscano anche (e su questo concorda la dottrina in ultimo citata) diritti di ogni singolo individuo che forma la comunità [71]; d'altronde, essendo unanimemente riconosciuti come diritti di una minoranza, ben difficilmente si potrebbe sostenere che non spettino, a maggior ragione, anche a favore della rimanente maggioranza dei cittadini, almeno nei confronti delle possibili prevaricazioni dei pubblici poteri [72] ma anche, in casi limite che pure si sono posti in altri Stati, nei confronti di minoranza particolarmente prevaricatrici e violente.

In ultimo si potrebbe ipotizzare che i diritti culturali debbano essere considerati disponibili da parte dei singoli titolari, il che potrebbe configurare, per assurdo, una sorta di "libertà di ignoranza", che dovrebbe prevalere una volta ottemperato al mero adempimento dell'obbligo scolastico: tuttavia a questo paradosso si può opporre, anche alla luce del principio generale di promozione della cultura (art. 9 Cost.), l'art. 4 Cost. che proclama il dovere di concorrere al progresso, anche spirituale [73], il quale compete a ogni cittadino e non soltanto a coloro che raggiungono i più alti gradi dell'istruzione essendo "capaci e meritevoli", dal momento che la facoltà di scelta dell'attività o funzione da svolgere è condizionata alle effettive possibilità intellettuali di ciascuno, e non al mero interesse o spirito di impegno.

Deve essere ancora affrontato, in conclusione, lo spinoso problema delle classificazione dei diritti culturali, che va affrontato necessariamente con modalità non consuete: questo perché essi sono stati definiti come sociali, in quanto mirano a rimuovere in positivo eventuali fattori di inferiorità sociale, a fronte delle quali sono necessarie politiche attive da parte dei poteri pubblici (dunque sarebbero programmatici) [74].

Ma rientrano anche nel novero delle libertà di contenuto negativo: sono infatti posti a protezione degli individui nei confronti dell'intromissione - e quindi dal condizionamento culturale, ideologico o anche solo propagandistico - da parte dello Stato, o meglio del Governo e di chi da esso è autorizzato a divulgare (ad esempio attraverso la televisione o in occasione di manifestazioni pubbliche di massa) modelli culturali che poi diventano facilmente sociali e quindi politici. Solo se considerati unitariamente e trasversalmente [75], dunque, i diritti culturali possono essere riconosciuti, rientrando a pieno titolo nel novero dei diritti civili e come tali precettivi [76]. Infine, atteso che i più significativi tra essi, come il diritto all'istruzione e la libertà dell'arte, sono universalmente riconosciuti [77] come intangibili e inalienabili, appare corretto attribuire tale dignità di rilievo costituzionale, con il relativo sistema di garanzie [78] assicurato dall'ordinamento nazionale e internazionale, anche alla categoria generale che tutti li ricomprende e contempera [79], senza bisogno di perdersi ancora oltre il dovuto nella declinazione che pure abbiamo doverosamente riportato supra.

5. Tutela dei diritti e organizzazione dei servizi

Per dimostrare in modo analitico la rilevanza della tutela dei diritti culturali ai fini di una migliore organizzazione dell'azione pubblica in campo culturale, occorre concentrare l'attenzione sulle relazioni tra i diversi livelli istituzionali competenti in materia e le relative funzioni o attività, che da oltre un decennio [80] sono oggetto di una lenta e non agevole (almeno per quanto concerne questo specifico ambito) riorganizzazione sulla base dei due criteri della sussidiarietà [81], quindi all'individuazione, organizzazione e coordinamento dei relativi servizi culturali.

Se infatti, accettando e condividendo la posizione ancora minoritaria della dottrina sin qui richiamata, iniziamo a porre l'insieme dei diritti culturali garantiti dagli strumenti internazionali e dalla "costituzione culturale", in diretta connessione con le diverse tipologie di servizi pubblici in ambito culturale, possiamo constatare che essi sono volta per volta tutelati da funzioni ed attività [82] che solo in minima parte vengono poste in essere dallo Stato, per il tramite delle strutture centrali e periferiche del Ministero per i Beni e le Attività culturali. In tutti gli altri casi, invece, occorre fare riferimento a servizi direttamente amministrati o che comunque promanano in primo luogo dal sistema delle autonomie locali [83], ma che sono gestiti, non di rado, anche da soggetti di diritto privato a carattere "non lucrativo" [84].

Ad esempio mostre, teatri, auditorium ed ogni altro istituto o attività di promozione culturale aventi come obiettivo e finalità, in pari misura, la garanzia del diritto a godere delle arti e la speculare libertà di espressione in forma artistica - ma che possono essere anche funzionali al più generale diritto allo sviluppo della cultura - sono per la grande maggioranza gestiti da istituzioni civiche o comunque a carattere locale [85], mentre in assoluto sono alquanto limitate numericamente (anche se normalmente godono di grande prestigio e competenza) le analoghe istituzioni nazionali.

Parimenti la gestione dei musei, la manutenzione e sicurezza dei beni demaniali ed anche (in casi estremi) il sistema di protezione civile dei beni culturali, sono tutti ugualmente orientati all'attuazione del fondamentale principio costituzionale di tutela del patrimonio storico-artistico e dei correlati diritti individuali e collettivi; in specifico, ad esempio, i musei etnografici o le iniziative di salvaguardia e promozione del patrimonio linguistico, popolare o tradizionale, che attengono al pluralismo e alla tutela della dignità e identità, secondo il principio di non discriminazione delle minoranze ed a tutela del diritto ad un proprio patrimonio culturale, sono per la quasi totalità di pertinenza non statale [86].

L'attività di tutela e conservazione, posta a sua volta a presidio e garanzia fondamentale dei diritti relativi al patrimonio, compete certamente in prima istanza allo Stato: tuttavia anche in questo caso una parte tutt'altro che trascurabile di tali funzioni è svolta a livello amministrativo dalle Regioni, mentre gli enti locali possono concorrervi a vario titolo, ai sensi dell'art. 5 del Codice [87].

Le scuole di ogni ordine e grado, le università e accademie, gli archivi e le biblioteche, come tutte le altre istituzioni di studio e ricerca, con le relative attività scientifiche e divulgative (convegni e pubblicazioni in primis, che sono anche le sedi naturali della liberta di espressione), concorrono invece a rendere effettivi il diritto all'educazione e all'istruzione, cui deve corrispondere specularmente la garanzia della libertà di insegnamento per i docenti e di ricerca scientifica per gli studiosi, nonché il diritto allo studio almeno per i capaci e meritevoli.

Più in generale, è inoltre in questione il diritto alla conoscenza e all'accesso ai procedimenti, fondamentale come si è visto per il consapevole esercizio dei diritti civili e politici da parte dei cittadini. Infatti la comunicazione pubblica, con sportelli e materiali informativi (inclusi quelli turistici), servizi URP, siti web e giornali istituzionali, ha come scopo ultimo la libertà di pensiero e di opinione o, per lo meno, il diritto all'informazione oggettiva sull'attività istituzionale e politica, oltre che sull'andamento dei diversi procedimenti amministrativi di interesse generale o particolare.

Si pensi in particolare allo specifico, ma del tutto analogo e omologo, ambito sanitario, in cui al diritto al consenso informato vengono ricollegate la "dignità del paziente" da un lato e la capacità di organizzazione dei servizi, intesa quale "momento non secondario e marginale, ma strettamente collegato al profilo dei diritti, e dunque al tema dell'attuazione costituzionale" [88].

6. Per una nuova definizione della fruizione

In conclusione, la nostra attenzione si può dunque concentrare sulle finalità ultime dell'azione dei pubblici poteri in campo culturale, che concettualmente sono cosa diversa dalle funzioni pubbliche di valorizzazione del patrimonio culturale, nonché di promozione della cultura che le perseguono, essendo ad esse funzionalizzate [89].

In questo senso è infatti da interpretare, positivamente, il fatto che il Codice dedichi alla fruizione (art. 102) più spazio di quanto le fosse concesso dal TUBC del 1999, per quanto si possa ritenere con la migliore dottrina che essa "non abbia una propria autonomia funzionale" [90]. È del tutto condivisibile, parimenti, l'affermazione di Lorenzo Casini, secondo il quale "le amministrazioni pubbliche tutelano e valorizzano, al limite gestiscono il patrimonio culturale, non lo fruiscono, ma realizzano le condizioni per consentirne la fruizione da parte della collettività" [91].

Il passo successivo, sin qui raramente azzardato da qualche esponente della dottrina favorevole, non a caso di matrice internazionalistica, porta quindi ad affermare che "la fruizione di un museo ... si manifesta come diritto di accesso", traducendosi quindi anche "in un diritto all'informazione del visitatore", e persino nel "diritto di fruire di un soggiorno confortevole" negli spazi museali [92] che, oltre a ricalcare l'intesa tra l'Italia e la Chiesa sulle biblioteche, fa immediatamente pensare ai sempre citati (ma assai meno condivisi e recepiti) principi dell'ICOM.

Per questa ragione la fruizione è ormai arrivata - in special modo dopo il 2004 con l'approvazione del Codice - a costituire l'autentico "cuore" della disciplina sui beni culturali [93], pur non essendo ancora definita in modo puntuale, soprattutto nelle sue molteplici relazioni (evidenziate poc'anzi) con la valorizzazione da un lato e con la promozione dello sviluppo della cultura, dall'altro, arrivando in quest'ultimo caso ad includere anche gli opportuni riferimenti all'ambito della divulgazione e del marketing pubblicitario.

Completando l'individuazione dei suoi tratti fondamentali, si può ancora dire che la fruizione costituisce, quanto meno, il "risultato minimo" della valorizzazione, nel senso che la si deve "assicurare in ogni caso per i beni culturali presenti negli istituti e nei luoghi della cultura" [94]; essa va perciò intesa come godimento pubblico dei beni culturali, venendo in tal modo a costituire, "sul piano sistematico, solo un aspetto della valorizzazione, più esattamente una finalità che questa deve perseguire" [95].

Per cogliere ancor meglio il senso dell'art. 6 del Codice, visto in una chiave dinamica e proattiva, possiamo ricordare che la valorizzazione è mirata all'obiettivo di costituire le migliori condizioni di fruizione: dunque non è sufficiente limitarsi a porre rimedio al degrado e alla chiusura al pubblico dei siti e degli istituti, ma occorre integrare e migliorare l'offerta di condizioni di accesso, che restano tutt'ora, in molti casi, minimali e quindi del tutto inadeguate [96].

Ne è testimone diretto lo stesso Ministero per i Beni e le Attività culturali [97], secondo il quale ormai il "servizio pubblico di fruizione" è "il punto di sintesi nella gestione di un bene culturale"; ma per arrivare a questo risultato, non è più sufficiente limitarsi a consentire, essendo piuttosto indispensabile garantire la fruizione; e questo non solo a beneficio della collettività, ma anche e soprattutto del singolo cittadino (che lo si voglia considerare come utente o come cliente), ogniqualvolta questi chiede di accedere a un istituto o a un luogo della cultura e di poterne utilizzare i servizi [98].

E ciò, si badi bene, va anche al di là del pur legittimo intento di rendere - nei termini condivisibili in cui è stato posto in evidenza da Sabino Cassese - la gestione del patrimonio culturale più efficace ed efficiente, "nel senso che la produzione di reddito da parte dei beni culturali consente maggiori entrate; e che maggiori entrate possono assicurare migliore tutela e fruizione più ampia dei beni culturali", in una logica di circolarità che va ben oltre gli aspetti meramente definitori [99].

A giudizio del Consiglio di Stato, anzi, i monumenti devono "rispondere alla fondamentale esigenza di una destinazione d'uso coerente con il valore culturale protetto e strumentale al suo pieno godimento da parte della collettività" [100]; ne deriverebbe pertanto, anche alla luce dell'art. 101 ss. del Codice, l'obbligo di "destinare i complessi monumentali [101] alla pubblica fruizione e all'espletamento di un servizio pubblico".

Sviluppando fino in fondo, in senso logico e consequenziale, questo ragionamento, ed avendo presente anche l'art. 102, c. 1 ("Lo Stato, le regioni, gli altri enti pubblici territoriali ed ogni altro ente ed istituto pubblico, assicurano la fruizione dei beni presenti negli istituti e nei luoghi") e c. 4 ("ciascun soggetto pubblico è tenuto a garantire la fruizione") [102] del Codice, nel rispetto del principio generale previsto dall'art. 2, c. 4 ("I beni del patrimonio culturale di appartenenza pubblica sono destinati alla fruizione della collettività") [103], possiamo ritenere ormai acquisito che in linea di principio, una volta che si è regolarmente pagato l'eventuale tassa di iscrizione o biglietto di ingresso, nessuno può essere escluso da un sito, museo, biblioteca, archivio, conferenza, spettacolo, scuola, università, o altro servizio pubblico culturale.

Ciò configura un diritto individuale, posto in capo al cittadino-utente del servizio in questione, a fruire (godere) dei relativi beni o attività culturali, per il loro interesse scientifico o educativo, per il loro valore estetico, oppure anche "solo" per mero diletto; tale diritto si può comprimere solo in presenza di un effettivo interesse pubblico superiore, che imponga di limitare o escludere l'accesso al bene stesso, nel rispetto delle "ragioni di tutela" (finalizzate a ineludibili necessità tecniche di conservazione e sicurezza [104]), oppure di eventuali ulteriori "esigenze di uso istituzionale" di cui all'art. 2 del Codice.

Non si potrebbe quindi ammettere sic et simpliciter, come giustificazione per la mancata fruizione, la storica carenza di risorse pubbliche statali, atteso che già a partire dal TUBC (1999) si prevedevano diverse forme di coinvolgimento delle autonomie locali e della società civile; nella definizione degli indirizzi politici e delle priorità di spesa, peraltro, la garanzia dei servizi culturali dovrebbe essere sempre anteposta alle funzioni e attività che non godono delle stesse garanzie costituzionali e legislative.

Nella misura in cui la pubblica amministrazione è tenuta, mediante il servizio culturale - eventualmente erogato anche da un privato, concessionario o comunque esercente una "attività socialmente utile" (art. 111, c. 4, del Codice) - ad assicurare la produzione di tali beni e servizi, e con essi di un'utilità nei confronti del pubblico [105], essa si trova dunque con tutta evidenza a dover soddisfare un diritto soggettivo [106], che ha come fine proprio la fruizione del bene o dell'attività culturale in questione; la conferma ci viene dallo stesso art. 3 del Codice, per il quale anche la stessa tutela dei beni culturali è sempre diretta a "garantirne la protezione e la conservazione per fini di pubblica fruizione" [107] (e quindi a ciò dovrebbe essere funzionale).

In questo senso non c'è più alcuna ragione di limitarsi a constatare, ancora una volta, che la dottrina [108] non ha sinora configurato in alcun modo questa fattispecie come una delle modalità ordinarie di esercizio da parte dei cittadini di un loro fondamentale diritto culturale (e della loro garanzia, attraverso l'organizzazione dei servizi pubblici, da parte delle istituzioni pubbliche), che come detto supra può essere felicemente sintetizzato nella dizione "Diritto a fruire delle arti" [109]: un diritto che non ha trovato, in modo alquanto inspiegabile, alcun richiamo implicito o esplicito nella Costituzione e nella legislazione nazionale italiana [110], pur essendo stato proclamato sin dalla Dichiarazione universale dei Diritti dell'Uomo del 1948 [111].

Ciò nonostante, avendo constatato che, con tutta evidenza, esso non si contrappone mai ed in alcun modo alla nostra secolare tradizione di tutela (anzi ne costituisce l'autentica ragione fondante [112]), possiamo dunque affermare che i "fini di pubblica fruizione" cui il patrimonio culturale è destinato, presupponendo una garanzia di effettività, possono costituire anche l'implicito e definitivo riconoscimento - per riprendere la terminologia utilizzata da Raffaele Tamiozzo - di un vero e proprio "diritto di godimento" dei beni culturali [113].

Dovranno essere oggetto di serio approfondimento da parte degli specialisti le implicazioni e le conseguenze di questo capovolgimento di prospettiva, anche alla luce delle dichiarazioni programmatiche del nuovo Ministro, in particolare sotto il profilo della garanzia costituzionale dei livelli essenziali delle prestazioni (ex art. 117, c. 2, lett. m)), che sino ad oggi venivano ipotizzati solo con riferimento all'istruzione, e quindi alla garanzia delle necessarie risorse finanziarie, ma soprattutto al problema della rappresentanza e tutela attiva - anche in sede giurisdizionale - non più solo di interessi diffusi e diritti collettivi, ma anche di questi "nuovi" diritti individuali fondamentali.

Tale ruolo che non potrà che essere svolto dalle OnG e dalle associazioni di volontariato culturale [114], naturali garanti del fondamentale diritto degli individui e dei popoli di partecipare alla cultura (art. 2, c. 5, della Convenzione sulla protezione e promozione della diversità delle espressioni culturali del 2005), che è tale in quanto "rappresenta un settore essenziale dello sviluppo".

 

Note

[1] Per un quadro riassuntivo della problematica si vedano in particolare AA.VV., Les droits culturels en tant que droits de l'homme, Paris, UNESCO, 1970; P. Meyer-Bisch (a cura di), Les droits culturels. Projet de déclaration, Parigi-Friburgo, UNESCO-Editions Universitaires, 1998; CDCC, Les Droits culturels au Conseil de l'Europe (1949-1997), Project:'Démocratie, droits de l'homme, minorités: les aspects éducatifs et culturels', DECS/SE/DHRM (97-5), Strasburgo, Conseil de l'Europe, 1997; E. Stamatopoulou, Cultural Rights in International Law. Artiche 27 of the Universal Declaration of Human Rights and Beyond, M.Nijhoff, Leiden 2007; F.Francioni, M. Scheinin, Cultural human rights, Leiden-Boston, Maryinus Nijhoff, 2008.

[2] La ricognizione, che costituiva il primo capitolo di una tesi di dottorato (tutor Luca Geninatti Saté, coordinatore Renato Balduzzi) in seguito discussa presso l'Università del Piemonte Orientale (febbraio 2012), è stata pubblicata in M. Carcione, Per una definizione dei diritti culturali garantiti dall'ordinamento italiano, in Annuario DRASD 2011, (a cura di) R. Balduzzi, Milano, Giuffré, 2011, pagg. 305-334.

[3] Ibidem, pagg. 308-313.

[4] F. Sorrentino, Nuovi profili costituzionali dei rapporti tra diritto interno e diritto internazionale e comunitario, in Regioni, diritto internazionale e diritto comunitario, (Atti del convegno dell'Associazione italiana dei costituzionalisti), Genova, 2002, pag. 3 ss.

[5] Già l'art. 20 del TUBC del 1999 affermava il principio per cui l'attività di tutela e valorizzazione "si conforma ai principi di cooperazione tra Stati, anche nell'ambito di organizzazioni internazionali, stabiliti dalle convenzioni rese esecutive in Italia in materia di protezione del patrimonio culturale mondiale".

[6] Ancora in M. Carcione, Per una definizione dei diritti culturali, cit., pagg. 330-331.

[7] Giulio Carlo Argan aveva lucidamente evocato già nel 1968, intendendolo come diritto riconosciuto ad ogni individuo di "fare la cultura", svolgendo un ruolo attivo della comunità; nello stesso senso andava la proposta di Boutros Ghali, che nello stesso documento configurava il "diritto di accedere alla conoscenza": cfr. AA.VV., Les droits culturels en tant que droits de l'homme, Paris, Unesco, 1970, pag. 93. A favore sembra andare M. Ainis, L'intervento culturale. Promozione e libertà della cultura nel disegno costituzionale, Roma, 1988 (in seguito ripubblicato, in forma ampliata, in Cultura e politica. Il modello costituzionale, Padova, Cedam, 1991, pag. 126, mentre contra si schiera J. Luther, Le frontiere dei diritti culturali in Europa, in G. Zagrebelsky (a cura di), Diritti e Costituzione nell'Unione Europea, Laterza, Bari, 2004, pag. 227.

[8] Per E. Spagna Musso, Lo stato di cultura nella costituzione italiana, Napoli, Morano, 1961, pagg. 56-57, i due principi fondamentali di sviluppo della cultura e di libertà della cultura sono solo apparentemente in antitesi, mentre in realtà il loro rapporto è di "implicazione e integrazione"; M. Ainis, L'intervento, cit., pag. 122, evidenzia che la Costituzione predica l'ingerenza dei poteri pubblici, ponendo però al tempo stesso il valore della libertà della cultura, rilevando che il raccordo sta nel fatto che "l'intervento sulla cultura serve a renderla libera" (il corsivo è suo). Cfr. G. Famiglietti, Diritti culturali e diritto della cultura - La voce "cultura" dal campo delle tutele a quello della tutela, Torino, Giappichelli, 2010, pag. 240 e 252, che propone invece una concezione tripartita, includendo anche la garanzia del diritto alla diversità culturale.

[9] A partire dall'adempimento (che sempre più si sta collocando su un piano meramente formale) dell'obbligo scolastico minimo, oltre che con riserva di contribuire, se non al progresso spirituale, almeno a quello materiale ex art. 4 Cost.; si richiama ancora, a questo proposito, la già citata sentenza della Corte costituzionale n. 438/2008, in materia di "diritto a ricevere le opportune informazioni", qualificato come un "vero e proprio diritto della persona".

[10] In proposito mi permetto di rimandare a M.Carcione, Dalle reti di solidarietà e conoscenze, al sistema integrato di valorizzazione del patrimonio culturale, in Il patrimonio culturale immateriale di Venezia e del Veneto come patrimonio europeo, (a cura di) M.L. Picchio Forlati, Venezia, Ca' Foscari University Press, 2013 ed anche alla nota Per un sistema integrato di gestione e valorizzazione del patrimonio culturale nazionale, pubblicata il 16 giugno 2013 nel sito web: www.italiafutura.it.

[11] Il testo dell'audizione del Ministro Bray alle Commissioni congiunte VII della Camera dei Deputati e VII del Senato della Repubblica, è disponibile nel sito web: http://www.beniculturali.it/mibac/export/MiBAC/sito-MiBAC/Contenuti/Ministero/LegislaturaCorrente/Massimo-Bray/Audizioni/visualizza_asset.html_2057032597.html#fine

[12] In questo senso cfr. P.Haberle, Prima lezione di diritto costituzionale, in Annuario DRASD 2012, (a cura di) R. Balduzzi, J. Luther, Milano, Giuffré, 2013, pagg. 258-262; v. anche infra, nota 35.

[13] Il convegno si è svolto il 4 giugno 2013, presso l'Aula Baratto di Ca' Foscari, con la partecipazione - tra gli altri - di Giovanni Luigi Fontana, Maurizio Cermel, Bernardo Cortese, Ivana Padoan, Erminia Sciacchitano e Lauso Zagato; gli atti sono di prossima pubblicazione, a cura di Lauso Zagato, nell'ambito della nuova collana on-line "Sapere l'Europa, sapere d'Europa" (Ca' Foscari University Press).

[14] Il programma e alcuni abstract delle relazioni sono disponibili alla pagina web http://www.unive.it/nqcontent.cfm?a_id=154737.

[15] In connessione da un lato con la deprecata azione di propaganda totalitaria fascista del "Min.Cul.Pop." e dall'altro con il tradizionale timore nei confronti dell'egemonia culturale dei partiti di sinistra; a ciò si aggiungono (come avviene in Francia o in Spagna) i timori passati e recenti nei confronti di un legame tra diritti culturali e rivendicazioni separatistiche.

[16] S. Cassese, Oltre lo Stato, Bari, Laterza, 2006, pag. 29 e 183 afferma che la rigida divisione tra diritto costituzionale e internazionale "si attenua", dal momento che da carte o convenzioni a carattere universale "deriva un diritto più alto di quello costituzionale, che sancisce garanzie generali più vaste".

[17] Può essere utile, a proposito del rapporto inscindibile tra tutela e dei beni culturali, promozione della cultura e istruzione, richiamare la fondamentale Sentenza della Corte cost. n. 118 del 6-9 marzo 1990: "lo Stato deve curare la formazione culturale dei consociati alla quale concorre ogni valore idoneo a sollecitare e ad arricchire la loro sensibilità come persone, nonché il perfezionamento della loro personalità ed il progresso anche spirituale oltre che materiale. In particolare, lo Stato deve porsi gli obiettivi della promozione e dello sviluppo della cultura, deve provvedere alla tutela dei beni che sono testimonianza materiale di essa ed assumono rilievo strumentale per il raggiungimento dei suddetti obiettivi (...); deve, inoltre, assicurare alla collettività il godimento dei valori culturali espressi da essa", concetto in seguito ripreso anche da Cons. St. n. 2009/2008.

[18] Una visione decisamente più nazionalistica emerge dalla lettura che del concetto di patrimonio culturale dà Salvatore Settis, secondo il quale si tratta piuttosto del "fulcro dell'identità nazionale" e quindi di un "valore fondante della società civile, di un senso condiviso di identità, di cultura e di cittadinanza": cfr. S. Settis, Italia S.p.A, Torino, Einaudi, 2007, pag. 131.

[19] Oggi a livello internazionale è diffusa e accreditata l'assai ampia nozione di "patrimonio immateriale", come definito dall'art. 2 c. 1 della Convenzione per la salvaguardia del Patrimonio immateriale (20 aprile 2003, che non considerare solo il patrimonio etno-antropologico in senso stretto, dal momento che include "le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, il know-how - come pure gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali associati agli stessi - che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale".

[20] Si richiama l'Atto costitutivo dell'UNESCO, che al quinto punto del Preambolo ricorda "la dignità dell'uomo che esige la diffusione della cultura e l'educazione di tutti per il raggiungimento della giustizia, della libertà e della pace"; su questo presupposto gli Stati, per perseguire la finalità di "assicurare a tutti il completo ed eguale accesso all'educazione, il libero perseguimento della verità oggettiva e il libero scambio di idee e di conoscenze, si impegnano a sviluppare e moltiplicare le relazioni tra i loro popoli per una migliore comprensione e ad acquisire una conoscenza più profonda e più reale delle loro rispettive consuetudini".

[21] La legge n. 1089/1939 "Tutela delle cose d'interesse artistico e storico" ha rappresentato per sessant'anni la legge fondamentale in materia di tutela dei beni culturali; ne fu relatore Giuseppe Bottai, Ministro per l'Educazione Nazionale del Governo Mussolini.

[22] Vedremo meglio infra che, senza nulla togliere alla universalmente nota e apprezzata competenza tecnica specialistica delle scuole italiane di conservazione e restauro, sarebbe meglio in questo senso agire preventivamente per evitare il verificarsi del danno, come hanno finalmente sancito i commi 1-3 dell'art. 29 del Codice dei Beni culturali.

[23] Ben al di là del dato testuale delle norme, sono universalmente note la difficoltà e la scarsa attitudine degli uffici statali di tutela (fatte salve alcune importanti eccezioni) ad occuparsi in modo sistematico di un ambito importante e rilevanti come quello demo-etno-antropologico, o di farsi carico di quel significativo settore del patrimonio culturale che ancora rientra nella definizione convenzionale di "archeologia industriale", evitando (per carità di patria) di considerare l'attenzione garantita dal Ministero nei confronti dell'arte e dell'architettura contemporanea, della fotografia o dell'audiovisivo.

[24] "La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione".

[25] Sull'evoluzione della legislazione nazionale in ambito culturale e paesaggistico si rimanda a F. Taormina, La tutela del patrimonio artistico italiano, Torino, Giappichelli, 2001; M.A. Cabiddu, N. Grasso, Diritto dei Beni culturali e del paesaggio, Torino, Giappichelli, 2004; C. Barbati, M. Cammelli, G. Sciullo, Il diritto dei beni culturali, Bologna, Il Mulino, 2006; A. Crosetti, D. Vaiano, Beni culturali e paesaggistici, Torino, Giappichelli, 2009; R. Tamiozzo, La legislazione dei Beni Culturali e paesaggistici, Milano, Giuffré, 2009.

[26] La stessa Costituzione, nella sua formulazione letterale, appare intesa a garantire in modo del tutto impersonale e astratto la cultura e le sue espressioni istituzionali, artistiche e materiali in quanto tali, il che non parrebbe consentire una considerazione diretta ed esplicita di quelli che a livello internazionale sono definiti come diritti culturali dei cittadini, i quali devono avere la possibilità di accedere non soltanto all'educazione scolastica, ma anche a tutte le altre forme di cultura e conoscenza, le quali proprio per questa ragione devono essere sempre caratterizzate da autonomia e pluralismo. Contra però è G. Volpe, Manuale di legislazione dei beni culturali, Padova, Cedam, 2005, pag. 166.

[27] Cfr. M.S. Giannini, Relazione preliminare sul tema "I rapporti tra Stato e cittadini attinenti all'eguaglianza e alla solidarietà sociale", in Alle origini della Costituzione italiana, (a cura di) G. D'Alessio, Bologna, Il Mulino, 1979, pag. 677 ss.

[28] Art. 1, c. 2, lett. c), del d.lgs. n. 135/2001.

[29] A riprova che si tratta di categorie e nozioni assolutamente consolidate a livello internazionale si vedano ad esempio il Manifesto UNESCO delle Biblioteche o il Codice di deontologia delle professioni museali dell'ICOM (su cui v. infra).

[30] Non si può infatti accettare che vengano individuate come "istituzioni di alta cultura" soltanto quelle citate dalla l. n. 508/1999 (le accademie nazionali di belle arti, di arte drammatica e di danza, i conservatori di musica), o quelle inserite, in modo più o meno arbitrario, nell'art. 1, c. 5, della l. n. 311/2004 (Finanziaria 2005), nella cui lista figurano realtà di indiscutibile prestigio e livello nazionale come l'Accademia dei Lincei o quella della Crusca, il CNR o l'ENEA (ma non ad es. Italia Nostra o la Dante Alighieri), ed anche decine di "istituti" assai meno rinomati e reputati.

[31] L'espressione è stata recentemente utilizzata in particolare con riferimento alla normativa europea in materia: cfr. ed es. D. Ferri, La costituzione culturale dell'Unione Europea, Padova, Cedam, 2008.

[32] Sul dibattito in tema di diritto all'istruzione e di autonomia scolastica cfr. V. Campione, A.M. Poggi, Sovranità, decentramento, regole, Bologna, Il Mulino, 2009.

[33] La questione di fondo, cui andrebbe consacrato un supplemento di indagine in quell'area grigia che si trova al confine tra diritto e sociologia, è che l'utilizzo reiterato ed in certa misura esasperato, nell'ambito della nostra legislazione culturale, di formulazioni normative più punitive che incentivanti, come "vincolo storico-artistico", "esproprio a fini di tutela", "obbligo scolastico", per arrivare alla nozione costituzionale del "dovere di contribuire al progresso" (art. 4 Cost.), ha probabilmente fatto sì che in Italia la conoscenza venisse percepita dai più come un onere, invece che come una opportunità. In questo senso sarebbe probabilmente più corretta la dizione "responsabilità": cfr. D. Goldoni, Cultural responsibility, in La Convenzione UNESCO per la salvaguardia del patrimonio culturale intangibile, A.A.V.V, Milano, Giuffrè 2012.

[34] Il riferimento forse più pregnante, in tal senso, può rinvenirsi nella sentenza della Core cost. n. 364/1998, in materia di ignoranza incolpevole della legge, laddove alla tradizionale concezione di un onere incombente sul cittadino di informarsi (e quindi conoscere) tutte le norme vigenti sin dal momento della loro pubblicazione, per quanto possano essere talora formulate in modo complesso, oscuro e per nulla conforme alle norme di drafting legislativo, si inizia a contrapporre una crescente considerazione non solo dell'eventuale caso limite dell'impossibilità culturale di conoscere e comprendere le leggi, ma anche del ruolo fondamentale che l'amministrazione sarebbe tenuta ad esercitare, al fine di mettere in grado tutti i destinatari di conoscere la legislazione che li riguarda, senza essere costretti ad abbonarsi a una banca dati informatica a pagamento o a ricorrere continuamente a un avvocato.

[35] Ho preso spunto da un'illuminante riferimento al "diritto fondamentale a Internet" fatto da Peter Häberle, nel corso della lezione magistrale tenuta ai dottorandi del DRASD il 25 ottobre 2011, in cui aveva anche definito come diritti fondamentali, "la libertà di religione, la libertà di opinione e di stampa, ma anche diritti fondamentali sociali come il diritto all'istruzione". Cfr. P.Haberle, Prima lezione, cit., pag. 258.

[36] Nella prassi istituzionale e nella connessa terminologia istituzionale ed amministrativa (si pensi all'intitolazione delle competenze ministeriali o assessorili), scuola e università vengono distinte dalle attività culturali, mentre la tutela dell'arte viene perseguita a prescindere dal suo effettivo rapporto con le diverse formazioni sociali che se ne occupano o ne usufruiscono, operando una separazione che è difficilmente spiegabile sul piano della mera logica. Cfr. M. Ainis, M. Fiorillo, L'ordinamento della cultura, Milano, Giuffré, 2003, pag. 91, secondo cui le cose d'arte non vanno considerate statiche e inerti, senza che ne sia incentivata "l'interazione con la società civile".

[37] E. Spagna Musso, Lo stato di cultura, cit., pag. 127 ss.

[38] Ibidem, pag. 55, secondo il quale uno Stato è democratico in quanto "si basi sulla cultura" tutelando la propria democraticità anche tramite la garanzia degli "istituti direttamente formativi della cultura"; la democraticità di un ordinamento è infatti garantita dalla effettività di partecipazione dei cittadini, che sotto il profilo qualitativo è condizionato alla loro maturità, ovverosia la idoneità di ogni cittadino a realizzare una scelta libera e cosciente. Cfr. G. Famiglietti, Diritti culturali e diritto della cultura, cit., pagg. 192-195, secondo il quale "può pacificamente dirsi" che l'art. 9 Cost. proclama il principio (rectius la "clausola") dello stato di cultura, affermando un principio generale che trova specificazione nell'art. 33 e 34.

[39] F. Rimoli, La libertà dell'arte nell'ordinamento italiano, Padova, Cedam, 1992

[40] M. Ainis, L'intervento culturale, cit., pag. 125.

[41] Ibidem, pag. 20 ss., che a tal fine richiama e commenta a sua volta N. Bobbio, Politica e cultura, Torino, Einaudi, 2005.

[42] A. Pizzorusso, Diritto della cultura, cit., pag. 319-331.

[43] J. Luther, Le frontiere dei diritti culturali, cit., pag. 221-243.

[44] Così essi sarebbero secondo l'Autore "tradizionalmente qualificati sia a livello internazionale sia a livello nazionale"; non essendo citato alcun autore in particolare, il riferimento è da intendersi al "livello nazionale" di tutti gli Stati europei e non in modo specifico all'Italia, la cui dottrina prevalente si è infatti ben guardata dal riconoscere, sia tradizionalmente che di recente, la categoria dei diritti culturali; ibidem, pag. 228.

[45] A. Pizzorusso, Diritto della cultura, cit., pag. 317.

[46] R. Chiarelli, Profili costituzionali del patrimonio culturale, Torino, Giappichelli, 2010, pag. 481.

[47] Cfr. AA.VV., I diritti economici, sociali e culturali nella prospettiva di un nuovo stato sociale, Padova, Cedam, 1990.

[48] G. Volpe, Manuale, cit, pag. 115, 157.

[49] Gli artt. 7 e 8 Cost. dall'intesa tra Ministero per i Beni culturali e CEI del 26 gennaio 2005, integrativa di quella del 18 aprile 2000; per l'equiparazione del Concordato a un trattato internazionale cfr. la sentenza Core cost. n. 16/1978; AA. VV., Il Concordato: trattato internazionale o atto politico?, Roma, Borla, 1978.

[50] R. Tamiozzo, La legislazione, cit., pag. 255 ss.; si richiama anche la già citata Sentenza della Corte costituzionale n. 118 del 6-9 marzo1990, in base alla quale lo Stato "deve porsi gli obiettivi della promozione e dello sviluppo della cultura (...); deve, inoltre, assicurare alla collettività il godimento dei valori culturali".

[51] Si vedano anche R. Chiarelli, Profili costituzionali, cit., pag. 34; i già ricordati J. Luther, Le frontiere dei diritti culturali, cit.; J. Luther, Il pane dei filosofi e i denti dei giuristi: diritti culturali fondamentali?, cit.; G. Melegari, Libertà dell'arte e rispetto delle diversità culturali: fondamento dei diritti culturali, in Il diritto costituzionale comune europeo, (a cura di) M. Scudiero, Napoli, Jovene, 2002; in ultimo (ma non cronologicamente) si veda anche M. Carcione, Diritti culturali: alle radici dei diritti dell'uomo, in Patrimonio in pericolo, (a cura di) M. Carcione, G. Ravasi, Milano, Nagard, 2003, pagg. 111-116.

[52] G. Famiglietti, Diritti culturali e diritto della cultura, cit.

[53] Ibidem, pag. 64; in un altro passaggio viene però utilizzata, in connessione con il concetto di "senso di appartenenza", la più consueta dizione di "diritto all'identità culturale" (pagg. 114-115).

[54] Questo in stretta connessione con l'esplicito riconoscimento dell'autonomia della cultura stessa: ibidem, pag. 195; altrove (pag. 252) si parla invece di una libertà di creazione e trasmissione della cultura, che assicura il libero svolgimento dell'attività culturale).

[55] Ibidem, pagg. 252-253 e 287; viene anche definita come libertà (e possibilità) di fare uso dei beni culturali, che deve essere assicurata da "garanzie giuridiche".

[56] In particolare M. Ainis, L'intervento, cit., pag. 154; anche E. Spagna Musso, op. cit., pagg. 47-52, sostiene che esiste un rapporto di dipendenza tra la democraticità dell'ordinamento e la piena e libera formazione culturale del cittadino, posto così in grado di valutare la propaganda. Per M. Mazziotti di Celso, Appunti sulla libertà di manifestazione del pensiero nell'ordinamento italiano, in Scritti in onore di Vezio Crisafulli, Padova, Cedam, 1985, pag. 517 ss., va difesa la "soglia di coscienza" dei destinatari delle manifestazioni di pensiero, esercitando un "pregiudizio critico razionale" sul contenuto dei messaggi; v. anche F. Rimoli, La libertà dell'arte, cit., pag. 18 e nota 1 e A. Pizzorusso, Diritto della cultura, cit., pag. 320; contra, F.S. Marini, Lo statuto costituzionale della cultura, Milano, Giuffré, 2002, pag. 186.

[57] M. Ainis, L'intervento, cit., pagg. 144-150; cfr. anche F. Merusi, Commento all'Articolo 9 della Costituzione, in Commentario della Costituzione, (a cura di) G. Branca, Bologna, 1975, che pone in rilievo il ruolo della cultura nella determinazione dell'indirizzo politico e R. Chiarelli, Profili costituzionali, cit., pagg. 272-273.

[58] Anche se è di contrario avviso M. Ainis, L'intervento, cit., pagg. 137-138; un'ampia disamina dei diritti culturali in tale ottica è ora in G. Famiglietti, Diritti culturali e diritto della cultura, cit., pagg. 66-177.

[59] R. Balduzzi, Cultura e Costituzione: avevano ragione i costituzionalisti?, in La Voce, 2010, 36, pag. 25, secondo il quale per questo motivo la dottrina italiana ha sempre visto con "sfavore" l'utilizzo del termine diritti culturali, trovando riscontro nella "paura" dimostrata dai costituenti nei confronti del termine cultura; sul rischio di connessione diritti culturali-nazionalismo cfr. J. Luther, Le frontiere dei diritti culturali, cit., pag. 238.

[60] In questo senso andavano le conclusioni svolte da Renato Balduzzi, in qualità di Président de séance dell'Atelier Existe-t-il un patrimoine commun euro-méditerranéen, nell'ambito delle II Doctoriades euro-méditerranéennes (7-8 dicembre 2010, Université du Sud Toulon-Var).

[61] Per R. Chiarelli, Profili costituzionali, cit., pag. 429, il pluralismo è prerogativa propria dei "soggetti attivi", che per questo sono definibili come "creatori di cultura".

[62] Si aggiunga che, mentre coloro che già detengono cultura e conoscenza hanno la possibilità di influenzare coloro che ne sono sprovvisti, questi ultimi proprio per la ragione opposta (e quindi per la carenza di spirito critico) sono facilmente influenzabili anche ai fini dell'esercizio dei loro diritti politici.

[63] Cfr. ad esempio E. Spagna Musso, Lo stato di cultura, cit., pag. 58, 98 e 156, il quale ha dato ampio e circostanziato riscontro, confutandolo, al noto rilievo di V. Crisafulli, La costituzione e le sue disposizioni di principio, Milano, Giuffré 1952, pag. 36, circa la supposta genericità e indeterminatezza dell'art. 9 Cost. (peraltro si tratta di un'obiezione poi ritrattata anche dallo stesso Crisafulli); si ricordano le risposte ai rilievi proposte da F. Francioni, Culture, Heritage and Human Rights: an Introduction, in Cultural human rights, cit., pag. 3, per il quale tali critiche si potrebbero prospettare anche con riferimento a molti altri diritti economici e sociali.

[64] E. Spagna Musso, Lo stato di cultura, cit., pagg. 65-66 e 77.

[65] M. Ainis, L'intervento, cit., pag. 127, nel porre in rilievo le "gravi disparità che viziano la libertà della cultura", sottolinea la necessità di dare priorità, anche in questo specifico settore, agli interventi a favore della categorie più deboli (come in effetti è poi avvenuto ad esempio in anni recenti con i contributi statali a favore dell'acquisto di personal computers e relativa connessione ADSL).

[66] E. Spagna Musso, Lo stato di cultura, cit., pag. 156.

[67] Art. 2, c. 4 e art. 101, c. 3 del Codice Urbani; secondo F. Rimoli, La libertà dell'arte, cit., pag. 21-22, è necessario considerare anche la fruizione delle manifestazioni artistiche, da intendersi come (libera) manifestazione di pensiero non solo dell'artista ma anche dei destinatari.

[68] V. anche M.S. Giannini, I beni culturali, in Riv. trim. dir. pubbl., 1976, pag. 3 ss., il quale affermava in proposito che "fruibilità significa obbligo di permettere la fruizione"; si noti che già la l. n. 286 del 28 giugno 1871 sui fedecommessi tutelava con espliciti divieti e relative sanzioni lo jus fruendi della cittadinanza, prevalente sull'analogo diritto del privato proprietario: cfr. G. Volpe, Manuale, cit., pagg. 59-65.

[69] Si vedano gli artt. 169 ss. (Sanzioni penali relative alla Parte seconda) del Codice dei Beni culturali, ed in particolare l'art. 176 che punisce con la reclusione fino a tre anni chi si impossessa di beni culturali appartenenti allo Stato, oppure l'art. 178 che punisce con la reclusione da tre mesi a quattro anni la contraffazione di opere d'arte.

[70] F. Rimoli, La libertà dell'arte, cit., pag. 20, nota 3; si veda anche S. Fois, Principi costituzionali e libera manifestazione del pensiero, in La libertà di informazione: scritti sulla libertà di informazione e la sua diffusione, (a cura di) A. Vignudelli, Rimini, Maggioli, 1957, pagg. 76-79.

[71] Cfr. anche J. Luther, Le frontiere dei diritti culturali, cit, pag. 227, secondo il quale se "la titolarità dei diritti culturali non può essere automaticamente riservata agli individui", tuttavia il loro esercizio "determina in ogni caso l'identità culturale soggettiva di un individuo" che a sua volta concorre all'identità culturale collettiva; con il che si garantisce l'interesse soggettivo all'affermazione di un'identità culturale personale.

[72] In tal senso A. Pizzorusso, Diritto della cultura, cit., pag. 321.

[73] M. Ainis, L'intervento, cit., pagg. 132-133.

[74] E. Spagna Musso, Lo stato di cultura, cit., pag. 46.

[75] Secondo J. Luther, Le frontiere dei diritti culturali, cit., pag. 226, a livello europeo oggi i d.c. costituiscono una "categoria trasversale sia rispetto ai diritti di libertà a contenuto negativo, sia rispetto ai diritti sociali (o di prestazione) a contenuto positivo".

[76] M. Ainis, L'intervento, cit., pagg. 150-151.

[77] Si veda il preambolo della Dichiarazione sulle politiche culturali dell'UNESCO (Città del Messico, 1982) secondo cui "La cultura può oggi essere considerata come l'insieme dei tratti distintivi, spirituali e materiali, intellettuali e affettivi, che caratterizzano una società o un gruppo sociale. Essa ingloba (...) i diritti fondamentali dell'essere umano"; cfr. Häberle, Per una dottrina della Costituzione come scienza della cultura, Roma, Carocci, 2001, pag. 23, il quale sottolinea che alcuni di questi principi sono destinati a diventare "elementi di un diritto costituzionale della cultura in fieri, una sorta di soft law".

[78] Se ne potrebbe forse dedurre la possibilità di qualificare almeno i c.d. espressamente garantiti dalla Costituzione come diritti non degradabili o inaffievolibili, di fronte alla carenza di potere della P.A.; in questo senso sembrerebbe andare la pronuncia del Consiglio di Stato, sez. VI, n. 556 del 13 febbraio 2006, che si è espresso con specifico riferimento alla sola libertà di religione, in quanto tutelata a livello costituzionale (il che però, come si è visto, è vero anche per altri diritti culturali come quello all'istruzione), sulla base della constatazione che dal provvedimento amministrativo impugnato siano derivati danni a diritti fondamentali della persona; ciò conferirebbe loro prerogative analoghe a quelle del ben più rispettato e garantito diritto alla tutela della salute: cfr. P.A. Capotosti, I limiti costituzionali all'organizzazione e al funzionamento del S.S.N. nella giurisprudenza della Corte costituzionale in Annuario Drasd 2010, (a cura di) R. Balduzzi, pagg. 315-336.

[79] Infatti per F. Rimoli, La libertà dell'arte, cit., pag. 162, la libertà culturale deve essere considerato un "valore primario".

[80] R. Balduzzi, Le autonomie locali dopo la revisione costituzionale del Titolo V, in Quaderni Regionali, 2003, pagg. 63-88.

[81] Sul tema si veda M. Cammelli, Riordino dei beni culturali in una prospettiva di forte decentramento istituzionale, in Le Regioni, 1996, pag. 619 ss.

[82] Su tema si veda G. Piperata, I modelli di organizzazione dei servizi culturali: novità, false innovazioni e conferme, in Aedon, 2002, 1.

[83] Cfr. A. Barbiero, L'ente locale nel sistema culturale, in GNA, 2006, 1, pagg. 17-29.

[84] Cfr. G. Franchi Scarselli, Sul disegno di gestire servizi culturali tramite associazioni e fondazioni, in Aedon, 2000, 3.

[85] Sulla riorganizzazione in forma decentrata dei servizi alla cultura cfr. M. Ainis, Beni culturali: decentramento possibile, in Aedon, 1998, 1.

[86] Si segnala il Museo Nazionale Etnografico "L. Pigorini" di Roma, realtà di eccellenza che costituisce però, proprio nella sua unicità, la conferma che in Italia quasi tutti i musei etnografici e delle tradizioni fanno capo alle amministrazioni civiche o a soggetti privati (associazioni, fondazioni, ecc.); non molto diversa è la situazione dei musei scientifici, anche in questo caso con rare seppur importanti eccezioni, come il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano.

[87] Secondo il dettato dell'art. 5 "Cooperazione delle regioni e degli altri enti pubblici territoriali in materia di tutela del patrimonio culturale", primo comma, "Le regioni, nonché i comuni, le città metropolitane e le province, di seguito denominati 'altri enti pubblici territoriali', cooperano con il Ministero nell'esercizio delle funzioni di tutela in conformità a quanto disposto dal Titolo I della Parte seconda del presente codice".

[88] A questo proposito si richiama R. Balduzzi (a cura di), Sistemi costituzionali, diritto alla salute e organizzazione sanitaria. Spunti e materiali per l'analisi comparata, Bologna, Il Mulino, 2009, pag. 23; si veda, nello stesso volume, B. Gardella Tedeschi, M. Grazia, Prevenire è meglio che curare: l'informazione al paziente, la responsabilità del medico e il governo del rischio clinico, pag. 400 ss.

[89] N. Assini, G. Cordini, I beni culturali e paesaggistici. Diritto interno, comunitario comparato e internazionale, Padova, Cedam, 2006, pag. 39-40, affermano che "tutela, fruizione e valorizzazione sono un continuum che non si può segmentare senza paralizzare l'intera macchina amministrativa e culturale". Anche se c'è chi come G. Leone, A.L. Tarasco, Commentario al codice dei beni culturali e del paesaggio, Padova, Cedam, 2006, pag. 67 si limita a rilevare che "valorizzazione non coincide tout court con la fruizione, consistendo in un accrescimento di questa".

[90] G. Volpe, Manuale, cit., pag. 201; anche a giudizio di A. Crosetti, D. Vaiano, op. cit., pag. 118, non sembra potersi configurare una funzione di fruizione.

[91] L. Casini, Valorizzazione e fruizione dei beni culturali, in Giorn. dir. amm., 2004, 5, pag. 481.

[92] C. Carmosino, Le modalità e i luoghi della fruizione, in La globalizzazione dei beni culturali, (a cura di) L. Casini, Bologna, Il Mulino, 2010, pagg. 207-208.

[93] R. Chiarelli, Profili costituzionali, cit., pag. 274, che tuttavia in precedenza (pag. 162) aveva rilevato come "la valorizzazione sembra assurgere a forma di direzione e organizzazione di una fruizione che parrebbe finire per essere quasi assorbita dalla valorizzazione stessa"; si veda anche Cassese, Trattato di diritto amministrativo. Dir. amm. Speciale, Tomo II, Parte IV (La Cultura e i media), Giuffré, Milano, 2003, pagg. 1469-70.

[94] L. Casini, Valorizzazione e fruizione, cit., pag. 481; per G. Volpe, Manuale, cit., pag. 302, nota. 18, la fruizione fungerebbe invece da "saldatura della 'frattura' tra tutela e valorizzazione".

[95] Cfr. G. Sciullo, Le funzioni, in Il diritto dei beni culturali, cit., pag. 44.

[96] Si pensi alla differenza riscontrabile, anche nel novero delle strutture statali, tra certi musei tradizionali, presidiati solo dai custodi, privi di catalogo e di qualsiasi servizio di fruizione (fatta eccezione per i cartellini delle vetrine) e le più moderne strutture museali, non di rado anche civiche o private, concepite e realizzate a misura di visitatore, con pannelli illustrativi e didascalie tradotte in più lingue, installazioni multimediali interattive, audioguide e servizi didattici, una caffetteria per ristorarsi e al termine del percorso un attrezzato bookshop.

[97] Nel dossier illustrativo Nuovo codice dei beni culturali e paesaggistici, in data 16 gennaio 2004, citato da G. Volpe, Manuale, cit., pag. 164 e scaricabile dal sito www.governo.it/GovernoInforma/Dossier/index.asp.

[98] F.S. Marini, Lo statuto costituzionale dei beni culturali, Milano, Giuffré 2002, pag. 281. segnala che se la gestione rientrasse nella competenza esclusiva della Regione "dovrebbe ritenersi che la disciplina dell'organizzazione tesa alla fruizione pubblica non sia riconducibile alla materia della tutela dei beni culturali".

[99] S. Cassese, I beni culturali, cit., pag. 673 ss.; cfr. anche A. Crosetti, D. Vaiano, op. cit., pagg. 122-123.

[100] Cons. St., sez. VI, n. 5509/2008.

[101] Che il termine sia qui da intendersi nel senso più ampio è comprovato dalla citazione nella stessa sentenza, nell'ambito dello stesso punto 5, dei "beni ambientali in senso ampio", in cui si comprendono "la conservazione e valorizzazione dei beni culturali" e "dei monumenti e dei centri storici", il che parrebbe escludere solo il patrimonio immateriale e le attività culturali.

[102] Il fatto che sia rimasta irrisolta, a distanza di oltre un decennio dalla mancata attuazione della procedura prevista dal Decreto "Bassanini", la questione dell'effettivo rispetto di tale disposizione da parte dello stesso Ministero, con riferimento alla tuttora inadeguata fruizione e valorizzazione dei beni in sua diretta gestione e responsabilità, è certificato dal c. 5 dello stesso articolo, per il quale "il Ministero può altresì trasferire alle regioni e agli altri enti pubblici territoriali, in base ai principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, la disponibilità di istituti e luoghi della cultura, al fine di assicurare un'adeguata fruizione e valorizzazione dei beni ivi presenti".

[103] Il principio è ribadito dall'art. 101 commi 3 e 4, il quale specifica che in tal modo viene espletato un "servizio pubblico", mentre gli analoghi beni privati aperti al pubblico costituiscono un "servizio privato di utilità sociale".

[104] Tale non sarebbe, quindi, la consueta motivazione della carenza di personale di custodia, laddove risulti possibile utilizzare le risorse offerte dalla tecnologia oppure, meglio ancora (per contenere i costi), attivare convenzioni con le associazioni di volontariato.

[105] Si anticipa la definizione di servizio pubblico locale contenuta nell'art. 112 del TUEL: sono tali, infatti, "i servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali". Si veda infra, cap. 3.2.

[106] Si ricorda a questo proposito che secondo M.S. Giannini, I beni culturali, in Riv. trim. dir. pubbl., 1976, 1, pag. 355, "fruibilità significa obbligo di permettere la fruizione", cui dovrebbe corrispondere un correlato diritto del fruitore di goderne liberamente.

[107] Si ricorda che, a giudizio di G. Sciullo, Le funzioni, cit., pag. 44, si tratta di una finalità che la pubblica amministrazione "deve perseguire"; secondo Vaiano, dal punto di vista specificamente funzionale il fine (la fruizione) è un elemento della funzione (la valorizzazione o la promozione); non appare in contraddizione la formulazione letterale dell'art. 1 c. 3 del Codice, secondo cui "lo Stato, le regioni, le città metropolitane, le province e i comuni assicurano e sostengono la conservazione del patrimonio culturale e ne favoriscono la pubblica fruizione e la valorizzazione", tanto più che secondo il c. 4 "gli altri soggetti pubblici, nello svolgimento della loro attività, assicurano la conservazione e la pubblica fruizione del loro patrimonio culturale", il che se inteso alla lettera finirebbe paradossalmente per configurare un maggiore onere e impegno a carico di questi ultimi soggetti. piuttosto che in capo allo stesso sistema delle istituzioni, del Ministero in primis: cfr. A. Crosetti, D. Vaiano, op. cit., pag. 118.

[108] Neppure una ricerca correttamente improntata alla correlazione tra norme internazionali e interne come quella di N. Assini, G. Cordini, I beni culturali e paesaggistici, cit., pag. 41, si spinge al di là della sottolineatura di un "intento di favorire la fruizione collettiva del bene", che "garantisce alla collettività una fruizione ampia ed effettiva", dunque senza fare esplicito riferimento a un correlato diritto individuale o almeno collettivo. L'unica eccezione, assai interessante, ci viene offerta da F. Rimoli, La libertà dell'arte, cit., pag. 286, che afferma l'esistenza di un "diritto del fruitore a godere liberamente" dell'opera d'arte, il quale viene però proposto esclusivamente come "risvolto della libertà dell'artista di disporre dell'impiego della medesima".

[109] Tale traduzione, più chiaramente riconducibile alla terminologia del Codice, è preferibile alla più usuale di "diritto a godere"; l'art. 27 della Dichiarazione Universale dei D.U., nei testi originali, cita il "droit de jouir des arts", ovvero il "right to enjoy the arts". Cfr. C. Vitale, La fruizione dei beni culturali tra ordinamento internazionale ed europeo, in La globalizzazione, cit., pagg. 171-180.

[110] A. Papa, Il turismo culturale in Italia: multilevel governance e promozione dell'identità culturale locale, in Federalismi.it, 2007, 4, pag. 1, rileva come in Italia siano "mancate sino ad oggi politiche riguardanti in modo specifico il 'turismo culturale' e più in generale la fruizione dei beni culturali".

[111] Si richiama tuttavia l'importante Sentenza della Corte costituzionale n. 118 del 6-9.3.1990, in base alla quale lo Stato "deve porsi gli obiettivi della promozione e dello sviluppo della cultura (...); deve, inoltre, assicurare alla collettività il godimento dei valori culturali".

[112] La percezione della cultura come diritto favorirebbe la maturazione di un sostegno sociale tale da assicurare il consenso generalizzato (a tutti i livelli sociali) e la condivisione collettiva che in Italia, al di là dei tanti luoghi comuni, sino ad oggi è sempre mancata.

[113] R. Tamiozzo, La legislazione, cit., pag. 255 ss.

[114] Sul tema mi permetto di rimandare al precedente articolo Ong internazionali e volontariato: sussidiarietà e partecipazione, per la salvaguardia e la sicurezza del patrimonio culturale, in Aedon, 2012, 1-2.

 

 



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