Tutela e sicurezza del patrimonio culturale
Il contenzioso transnazionale dinanzi alle corti statali quale via per la restituzione delle opere d’arte trafugate dai nazisti: rimedio effettivo o vicolo cieco?
di Francesca Ragno [*]
Sommario: 1. Introduzione. - 2. I Principi di Washington e la loro insoddisfacente attuazione a livello procedurale: una spinta verso il ricorso alle corti statali?. - 3. Il tendenziale carattere transnazionale del contenzioso riguardante la Nazi-looted art: l’ostacolo della giurisdizione. - 4. I corti circuiti prodotti dall’individuazione della legge applicabile: il recente caso Pissarro. - 5. Conclusioni: quali mezzi per superare l’impasse?.
Il presente scritto affronta l'inadeguatezza del contenzioso giudiziario come possibile via per il recupero delle opere d'arte depredate dai nazisti. Nell'ambito di questo tipo di controversie, i tribunali nazionali hanno il difficile compito di affrontare la doppia dimensione delle opere d'arte trafugate dai nazisti. In quanto beni mobili, questi beni culturali hanno una dimensione di diritto privato e sono soggetti a diritti di proprietà. Allo stesso tempo, l'arte depredata dai nazisti ha un'innegabile dimensione di interesse pubblico per il suo valore patrimoniale e di memoria. La difficoltà di conciliare i due (a volte) contrastanti interessi in gioco è aggravata dal fatto che le controversie in questo campo hanno molto spesso carattere transfrontaliero. Ciò solleva questioni di conflitto di leggi così complesse da essere percepite come ostacoli legali alle richieste di restituzione, non diversamente da difese come la prescrizione legale o il possesso avverso. L'analisi di alcune recenti decisioni statunitensi dimostra che i giudici spesso faticano ad abbracciare soluzioni e interpretazioni in linea con la politica favorevole alla restituzione alla base dei Principi di Washington. Come possibile via d'uscita, viene presa in considerazione e valutata la promozione dell'arbitrato in questo campo (come recentemente previsto dal governo tedesco).
Parole chiave: Principi di Washington; contenzioso transnazionale; opere d’arte rubate dai nazisti; restituzione.
Transnational litigation before state courts as a route to the return of artworks stolen by the Nazis: effective remedy or dead end?
This paper addresses the inadequacy of court litigation as a possible avenue for recovering Nazi-looted art claims. In the context of these types of disputes national courts are charged with the difficult task to deal with the double-faced dimension of Nazi-looted artwork. As movable assets, such cultural goods have a private law dimension and are subject to property rights. At the same time Nazi looted-art bears an undeniable public interest dimension because of its heritage and memory value. The difficulty of reconciling the two (at times) conflicting interests at stake is worsened by the fact that litigation in this field has very often a cross-border character. This raises conflict of laws questions that are so complicated to be perceived as legal barriers to restitution claims, not unlike defenses such as statutory limitations or adverse possession. The analysis of some recent US decisions proves that judges often struggle to embrace solutions and interpretations in line with the pro-restitution policy underlying the Washington Principles. As a possible way out, the promotion of arbitration in this field (as recently envisaged by the German government) is considered and assessed.
Keywords: Princes of Washington; transnational litigation; artworks stolen by the Nazis; restitution.
La sistematica depredazione di beni culturali perpetrata dai nazisti (e dai loro alleati) a danno degli ebrei è ben lungi dal rappresentare esclusivamente un trauma dell’umanità [1], ma costituisce una pagina della storia che impegna tuttora le corti nazionali.
Tale rilievo potrebbe risultare sorprendente se si considera che molti anni sono passati dagli orrori del periodo nazi-fascista, ma si comprende agevolmente se si pone l’attenzione su alcuni aspetti.
In primo luogo, l’emersione di opere d’arte trafugate è un fenomeno relativamente recente, in buona parte riconducibile all’apertura degli archivi e alla declassificazione di documenti seguiti all’implosione dell’Unione Sovietica [2] e da ultimo intensificatosi a seguito dall’esponenziale aumento delle ricerche di provenienza da parte di musei [3], case d’asta e - in misura minore - collezionisti privati.
Il problema della Nazi-looted art (o Raubkunst), inoltre, è tutt’altro che superato: si stima che delle 600.000 opere d’arte depredate dai nazisti almeno 100.000 debbano ancora essere recuperate [4].
Infine, le atrocità naziste, per la loro particolare lesività ed efferatezza, generano una domanda di giustizia che viene portata ancora oggi nelle aule giudiziarie per non rimanere soffocata nel nulla.
Emblematica, a tale riguardo, è la saga giudiziaria che ha tratto origine dalle molteplici liti intentate dinanzi ai tribunali italiani per vedere condannata la Germania al risarcimento dei danni cagionati dai crimini nazisti.
In quella discussa e intricata vicenda, la Corte costituzionale [5], a fronte della condanna dell’Italia da parte della Corte internazionale di giustizia per il mancato riconoscimento dell’immunità giurisdizionale allo Stato tedesco [6], si è spinta ad ergere la barriera dei controlimiti, ritenendo che la norma consuetudinaria che accorda agli Stati esteri l’immunità dalla giurisdizione civile per acta iure imperii non penetri nell’ordinamento italiano qualora si ponga in contrasto con i principi supremi dell’ordinamento costituzionale, quale è “il diritto al giudice a tutela di diritti inviolabili, sancito dalla combinazione degli artt. 2 e 24 della Costituzione repubblicana”.
Sebbene l’istituzione di un fondo a favore delle vittime da parte del governo italiano [7] e una successiva pronuncia della Corte costituzionale [8] paiano aver definitivamente chiuso una battaglia legale ultra-ventennale che ha rischiato di minare seriamente le relazioni diplomatiche italo-tedesche [9], in questa sede vale la pena ricordare tale vicenda per sottolineare come, in relazione ai quei fatti, il processo civile sia stato considerato - dagli stessi giudici costituzionali - l’unica sede ove poter soddisfare l’anelito di giustizia delle vittime [10].
Muovendo da questa prospettiva risulterà più agevole comprendere come, per quanto concerne le opere d’arte trafugate dai nazisti, l’esperimento di azioni restitutorie nell’ambito di processi civili instaurati a tanti anni di distanza dalle spoliazioni e caratterizzati da enormi complessità (in primo luogo sul piano probatorio) abbia rappresentato una sorta di “last resort remedy” [11] al quale ricorrere data la scarsa efficienza di altri meccanismi preordinati a favorire il “ritorno dei last prisoners of WWII” [12].
2. I Principi di Washington e la loro insoddisfacente attuazione a livello procedurale: una spinta verso il ricorso alle corti statali?
Il tema della Raubkunst, di difficile soluzione vista la limitata portata applicativa delle norme nazionali postbelliche e l’irretroattività di importanti strumenti europei e internazionali quali la Direttiva 2014/60/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, relativa alla restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro, la Convenzione UNESCO del 1970 concernente le misure da adottare per interdire e impedire l’illecita importazione, esportazione e trasferimento di proprietà dei beni culturali e la Convenzione Unidroit del 1995 sui beni culturali rubati o illecitamente esportati [13], è stato posto al centro del dibattito internazionale nell’ambito della Conferenza di Washington del 1988 sull’arte confiscata dai nazisti.
All’esito di questa Conferenza, come noto, sono stati licenziati i cc.dd. principi di Washington [14], un importante strumento di soft law preordinato a incoraggiare gli Stati a favorire la restituzione delle opere trafugate, rafforzando le ricerche sulla provenienza [15] e garantendo ai proprietari spogliati (e ai loro eredi) soluzioni “just and fair” (tarate sulle specificità del caso concreto) [16], oltre che accesso a meccanismi alternativi di risoluzione delle controversie che facilitino la definizione di questioni di carattere proprietario [17].
Al di là delle diverse modalità attraverso le quali la vaga formula “just and fair” è stata tradotta sul piano applicativo [18], il dato che emerge con maggiore evidenza a distanza di più di 25 anni dall’adozione di tali Principi è la scarsa attuazione che ad essi è stata data in molti degli Stati che li hanno approvati [19] e ciò nonostante l’impegno ribadito da tali Stati anche nell’ambito di conferenze successive [20].
Come emerge da un recente studio [21], tra i 47 Paesi che hanno approvato la Dichiarazione di Terezín del 2009, che ha riaffermato i Principi di Washington rafforzandone e chiarendone il contenuto [22], ben 24 non hanno minimamente recepito le raccomandazioni ivi cristallizzate. Si tratta di un dato davvero sorprendente se si considera che è vero che i Principi non hanno natura vincolante, ma è altrettanto innegabile che essi rappresentano un “rinforzo narrativo (oltre che un presupposto normativo) di obblighi internazionali di hard law” [23].
Tra gli Stati più virtuosi, inoltre, solo 5 - Francia, Olanda, Germania, Austria, Regno Unito - hanno istituito meccanismi extra-giudiziali volti a facilitare la promozione e la trattazione di istanze restitutorie. La scarsa reattività degli ordinamenti nazionali su questo piano appare ancor più significativa se si considera che anche nei Paesi che si sono dotati di procedure ad hoc, la loro conformità alla logica sottesa ai Principi di Washington appare dubbia.
Si consideri, ad esempio, che in Austria l’organo deputato a pronunciarsi in merito alle richieste di restituzione non può mai essere attivato ex parte, ma solo a seguito di una sorta di valutazione di meritevolezza da parte della Commissione per le ricerche di provenienza [24]. In Germania, di converso, la commissione consultiva (Beratende Kommission) può essere investita in via sussidiaria e solo a condizione che entrambe le parti concordino nel devolvere la controversia alla sua cognizione: il presupposto della bilateralità del consenso - un unicum dell’esperienza tedesca che ha attratto molte critiche [25] - ha in una molteplicità di casi frustrato l’aspettativa di giustizia delle vittime [26] ed è all’origine dell’esiguo numero di raccomandazioni finora adottate in Germania (23 anni in 20 anni di attività della commissione).
La scarsa disponibilità di meccanismi speciali (e la loro limitata efficacia) ha prodotto la conseguenza inevitabile di un perdurante ricorso alla via giudiziaria, che investe le corti nazionali di una duplice sfida. I giudici sono chiamati, non solo, a misurarsi con il frequente carattere transnazionale delle controversie restitutorie e con le complesse questioni internazionalprivatistiche che ne discendono [27], ma devono altresì confrontarsi con la natura bidimensionale della Raubkunst [28]: beni mobili, oggetto di rapporti giuridici privatistici e di diritti di proprietà, ma anche oggetti caratterizzati da evidenti connotazioni pubblicistiche vista la loro dimensione culturale, storica e identitaria [29].
3. Il tendenziale carattere transnazionale del contenzioso riguardante la Nazi-looted art: l’ostacolo della giurisdizione
Il primo problema che un tribunale statale che venga investito di un’azione di restituzione transnazionale è chiamato a dirimere concerne la verifica della propria competenza giurisdizionale. Mentre nell’Unione Europea i giudici fondano tale accertamento su regole che dettano criteri di collegamento predeterminati, negli Stati Uniti l’approccio è diverso, anche se negli ultimi anni i parametri adottati dalla giurisprudenza di tale Paese consentono di rilevare una certa convergenza con l’impostazione euro-unitaria sotto il profilo degli esiti raggiunti (almeno per quanto concerne la c.d. personal jurisdiction) [30].
Ciò che accomuna le corti delle due sponde dell’Atlantico è il riconoscimento che, in tale fase, esse sono tenute ad accordare alla dottrina dell’immunità degli Stati stranieri dalla giurisdizione civile, così come sviluppatasi nell’ordinamento internazionale [31]. Tale esigenza emerge frequentemente in relazione alle controversie concernenti le opere d’arte trafugate dai nazisti, posto che tali beni risultano spesso nella disponibilità di enti o istituzioni pubbliche straniere [32].
In particolare, negli Stati Uniti la possibilità che l’autorità pubblica convenuta goda o meno di immunità rappresenta uno dei più caratteristici e accidentati terreni di scontro sul piano processuale. La ragione di ciò va in buona parte individuata nelle specifiche modalità attraverso le quali la regola consuetudinaria sull’immunità è stata recepita, a livello federale, nell’ambito del Foreign Sovereign Immunities Act (nel prosieguo “Fsia”). Il Fsia, nel definire in termini esaustivi [33] le condizioni di esercizio della giurisdizione civile da parte delle corti federali nei confronti degli Stati stranieri o delle loro divisioni politiche, agenzie o entità strumentali [34], ha previsto, infatti, alcune significative deroghe all’operatività del principio di immunità [35]].
L’eccezione più significativa per la nostra analisi è l’expropriation exception, che consente ai giudici statunitensi di conoscere controversie coinvolgenti Stati stranieri (e loro suddivisioni politiche, agenzie o entità strumentali) allorché siano controversi “rights in property taken in violation of international law (...) and that property or any property exchanged for such property is present in the United States in connection with a commercial activity carried on in the United States by the foreign State” [36].
Per quanto concerne la seconda condizione posta dalla expropriation exception, è interessante richiamare il famoso caso Malevich, nell’ambito del quale una corte statunitense aveva affermato che il prestito temporaneo di beni culturali potesse qualificarsi come attività commerciale ai fini della norma in esame [37]. Il Congresso degli Stati Uniti, a fronte dell’effetto paralizzante che tale interpretazione avrebbe prodotto sulla circolazione delle opere d’arte a fini espositivi, è corso ai ripari e nel 2016 ha adottato un Clarification Act, che ha specificato che le attività associate al prestito temporaneo di opere d’arte funzionale alla loro esposizione non possano essere qualificate come attività commerciali ai fini dell’expropriation exception di cui al FSIA [38]. Al riguardo, tuttavia, va rilevato come dalla portata di tale “eccezione all’eccezione” siano stati deliberatamente espunti i beni “taken in violation of international law by Germany (or a government of European territory occupied by German or any government that was a European ally of Germany) between 1933 and 1945” [39].
È evidente che il legislatore statunitense, nell’attuare un diverso bilanciamento tra le policies in gioco laddove la contesa riguardi oggetti qualificabili come Nazi-looted art, ha valorizzato lo status speciale dei beni trafugati dai nazisti (e dai suoi alleati) [40], facendo prevalere le esigenze di accesso alla giustizia rispetto a quelle legate all’international comity [41].
Quanto al primo presupposto d’operatività dell’expropriation exception, ovvero la sussistenza di una lite nell’ambito della quale siano controversi diritti di proprietà lesi in violazione del diritto internazionale, sembra ragionevole prevedere che un giudice statunitense non riconoscerà l’immunità a Stati esteri (o alle loro divisioni politiche, agenzie o entità strumentali) allorché vengano evocati in giudizio in relazione ad azioni di restituzione di beni trafugati alle vittime dell’Olocausto per mano pubblica [42]. Tale prognosi appare ancora più verosimile se si considera che in una storica sentenza resa nell’ambito della nota battaglia legale ingaggiata da Maria Altman per ottenere la restituzione di sei dipinti di Klimt da parte di un museo statale austriaco [43], la Corte suprema degli Stati Uniti ha chiarito come il Fsia e le sue eccezioni trovino applicazione anche a fatti e condotte anteriori alla sua data di adozione (1976) e ciò in quanto il Fsia rappresenta una “codificazione di regole internazionali pre-esistenti” [44].
In realtà, a dispetto delle aspettative di apertura generate dalla portata dell’expropriation exception e dalla pronuncia resa nel caso Austria v. Altman in cui si era affermata la giurisdizione del tribunale statunitense adito anche in considerazione del possibile esito del procedimento radicabile in Austria [45], la recente pronuncia Germany v. Philipp della stessa Corte suprema sembra aver definitivamente sbarrato la porta dei tribunali statunitensi a questo tipo di contenzioso [46].
La vicenda alle origini della sentenza riguarda una domanda di restituzione promossa, nei confronti della Germania e di un ente culturale tedesco, dagli eredi (due cittadini statunitensi e uno britannico) di alcuni collezionisti d’arte ebrei-tedeschi, che, nel 1935, avevano alienato ad alcuni ufficiali nazisti di alto rango una preziosa collezione di arte medioevale detenuta da un consorzio da loro in precedenza costituito (la c.d. Welfenschatz).
I beni, trasferiti ad un prezzo equivalente ad un terzo del loro valore di mercato, erano stati successivamente venduti e quindi trasmessi alla Stiftung Preussischer Kulturbesitz (nel prosieguo “Spk”), una fondazione pubblica tedesca, che ne aveva da quel momento garantito la fruizione al pubblico nella sua sede di Berlino. Gli eredi, a seguito della raccomandazione contraria alla restituzione adottata dalla Beratende Kommission tedesca, adivano la Corte distrettuale per il Distretto di Columbia, rivendicando la proprietà della collezione.
La Germania e la Spk, evocate in giudizio, eccepivano la carenza di giurisdizione del tribunale adito, rilevando come la expropriation exception non potesse operare nel caso in questione, posto che le spoliazioni di cittadini tedeschi da parte dei nazisti non fossero qualificabili come “acquisizioni di proprietà in violazione del diritto internazionale”, in quanto, sulla base della c.d. domestic takings rule, “a sovereign’s taking of its own nationals’ property is not unlawful under the international law”.
Gli attori, di contro, sostenevano la piena applicabilità dell’expropriaprion exception in quanto l’acquisizione del Welfenschatz era inseribile nel contesto delle persecuzioni che il Terzo Reich stava perpetrando a danno degli ebrei (tedeschi e non) in aperta violazione del diritto internazionale.
Sia la District Court che il D.C. Circuit accoglievano le prospettazioni attoree [47] e si ponevano in linea con un orientamento giurisprudenziale che, già in precedenza, aveva qualificato le depredazioni naziste come atti riconducibili ad un genocidio e, in quanto tali, connotabili come “takings of property in violation of international law within the meaning of the FSIA's expropriation exception” [48].
Ebbene, la Corte suprema statunitense, sollecitata ad intervenire da un ricorso presentato dalle parti soccombenti, ha, non solo, rigettato in toto tale linea esegetica, ma ha offerto una lettura oltremodo ristrettiva dell’expropriation exception, fondata sull’assunto secondo cui: 1) la locuzione violation of international law alluda unicamente alla violation of international law of expropriation e non si riferisca ad altri illeciti internazionali [49]; 2) le expropriations poste in essere da uno Stato nei confronti dei suoi cittadini non siano vietate dall’international law of expropriation così come vigente nel 1976 (data di adozione del Fsia) e ai giorni d’oggi (domestic takings rule) [50]; 3) una lettura ampia delle deroghe al principio di immunità, così come proposta dagli eredi delle vittime naziste, porterebbe le corti statunitensi a violare il diritto internazionale posto che la Corte di giustizia nella sentenza Germania c. Italia ha escluso che, a livello consuetudinario, si sia affermata una “eccezione umanitaria” alla regola sull’immunità.
Sebbene la preoccupazione dei giudici rispetto alla possibilità che l’expropriation exception si presti ad essere impiegata come un “all-purpose jurisdictional hook for adjudicating human rights violations” risulti comprensibile, l’interpretazione proposta dalla Corte forza in modo evidente il dato testuale della norma e lascia perplessi quanto agli argomenti impiegati e agli approdi raggiunti [51].
In primo luogo appare lecito dubitare del fatto che l’ordinamento internazionale sia indifferente rispetto ad expropriations “domestiche”; anche non volendo considerare gli impegni internazionali assunti al riguardo da una pluralità di Paesi [52], la maggior parte degli ordinamenti nazionali contiene regole che paiono supportare la tesi secondo cui il diritto a non essere privato arbitrariamente della proprietà e senza indennizzo dallo Stato di cui si è cittadini possa essere considerato un principio generale di diritto ai sensi dell’art. 38 dello Statuto della Corte internazionale di giustizia [53].
Il richiamo alla necessità di procedere ad una lettura restrittiva per un’esigenza di conformità al diritto internazionale, inoltre, appare poco convincente se si considera che, a ben vedere, tutte le eccezioni contemplate dal Fsia alla regola sull’immunità ristretta si pongono in contrasto con il diritto internazionale [54].
Per di più, posto che le richiamate eccezioni rappresentano, per gli Stati Uniti, un policy tool [55], risulta sorprendente come la Corte, nel valutare la questione in esame, non abbia assolutamente tenuto in considerazione la pro-restitution policy emersa in tale Paese ancor prima dell’adozione dei Principi di Washington e dalla Dichiarazione di Terezin [56].
Precludere - attraverso l’applicazione della cd. domestic takings rule [57] - ai tribunali statunitensi di esercitare la propria giurisdizione nei confronti della Germania rispetto a spoliazioni subite da cittadini tedeschi, ma non da cittadini stranieri [58], sembra francamente irragionevole e stride palesemente non solo con il ruolo di primo piano che gli Stati Uniti hanno assunto a livello internazionale per supportare le vittime dell’Olocausto nel rivendicare i beni loro sottratti [59], ma anche con le iniziative assunte per internalizzare tale linea programmatica sul piano normativo; tra esse basti ricordare, oltre il richiamato Clarification Act, l’Holocaust Victims Redress Act del 1998 [60] (che ha istituito un fondo per le vittime dei crimini nazisti e per le ricerche di provenienza), l’Holocaust Expropriated Art Recovery Act del 2016 [61] (che ha introdotto, a livello federale, un termine di prescrizione uniforme volto ad incoraggiare la proposizione di azioni restitutorie) e il Justice for Uncompensated Survivors Today (Just) Act del 2017 [62] (che ha promosso il monitoraggio da parte del Dipartimento di Stato delle azioni poste in essere nelle varie giurisdizioni per favorire la restituzione delle opere trafugate).
4. I corti circuiti prodotti dall’individuazione della legge applicabile: il recente caso Pissarro
Evidenziato come negli Stati Uniti un approccio formalistico al problema della giurisdizione si sia dimostrato atto a frustare la giustiziabilità delle pretese delle vittime delle depredazioni naziste, appare ora opportuno sottolineare come anche rispetto all’individuazione della legge applicabile l’iter logico seguito dalle corti di tale Paese si sia talora dimostrato sorprendentemente avulso dall’orizzonte programmatico-valoriale in cui invece dovrebbe (e potrebbe) essere inserito e abbia prodotto esiti in linea con la giurisprudenza dei Paesi di civil law, tradizionalmente refrattari a riconoscere le pretese restitutorie per decorso dei termini di prescrizione o per la tutela riconosciuta ai possessori in buona fede [63].
Al riguardo un interessante spunto di riflessione è offerto da una recente pronuncia della Corte d’appello del Ninth Circuit, che ha definito una controversia ventennale originata da un’azione di restituzione promossa dal nipote di una donna ebrea, alla quale i nazisti avevano sottratto il celebre dipinto di Camille Pissarro “Rue Saint-Honoré, dans l’après-midi. Effet de pluie” [64].
L’opera d’arte, dopo lo spoglio, era pervenuta ad un gallerista californiano, successivamente venduta al barone Hans Heinrich von Thyssen-Bornemisza e infine trasferita nella disponibilità di un museo statale spagnolo (la collezione Thyssen-Bornemisza Collection, Tbc). Claude Cassirer, nipote della donna e residente in California, dopo aver appreso che il quadro della sua ava era esposto al pubblico al museo nazionale Thyssen-Bornemisza di Madrid, ne aveva sollecitato la restituzione. A fronte del risoluto diniego da parte del museo, l’erede decideva di convenire Tbc e la Spagna dinanzi alla corte distrettuale federale della California, facendo leva sul Fsia.
Nella vicenda de qua il nodo problematico non riguardava la giurisdizione del giudice adito, ma la questione di quale fosse la legge applicabile alla proprietà del dipinto. Il Museo sosteneva di aver acquisito la proprietà dell’opera in base all’art. 1955 del codice civile spagnolo (ai sensi del quale gli acquirenti in buona fede usucapiscono un bene mediante il possesso continuativo per tre anni); l’attore, di contro, sosteneva che nessun acquisto di proprietà si fosse realizzato in base al diritto californiano, che è fedele al principio nemo dat quad non habet e prevede che un ladro non possa trasferire un titolo valido.
A monte del problema della determinazione della legge applicabile si poneva quello dell’individuazione delle norme di conflitto rilevanti; posto che l’azione era stata promossa nei confronti di un’entità pubblica e la giurisdizione del tribunale californiano si fondava sul Fsia, non era chiaro se il giudice adito dovesse impiegare le norme di conflitto californiane o il common law federale. Investita della questione, la Corte suprema statunitense si era pronunciata promuovendo il ricorso al diritto internazionale privato della California e ciò sulla base del ragionamento per cui, una volta rimosso lo scudo dell’immunità giurisdizionale, il soggetto pubblico convenuto andasse considerato alla stregua di una parte privata [65].
A fronte del chiarimento fornito dai giudici federali, la Corte d’appello del Ninth Circuit procedeva a risolvere il quesito internazionalprivatistico facendo ricorso al “governmental interest approach” adottato in California [66]. Tale metodo impone al giudice di procedere in tre fasi successive. In primis è necessario verificare se la disciplina della fattispecie vari a seconda dell’ordinamento preso in considerazione. Laddove l’accertamento dia esito positivo, si deve procedere a individuare quale sia l’interesse sotteso alle varie leggi che si candidano a regolare la questione controversa al fine di stabilire se sussista un autentico conflitto di leggi.
Qualora emerga un autentico conflitto di leggi, l’analisi deve vertere sulla valutazione e sulla comparazione della natura e della portata dell’interesse sotteso alle leggi in gioco al fine di stabilire “which state’s interest would be more impaired if its policy were subordinated to the policy of the other state” [67]. Una volta designato l’ordinamento il cui interesse, nel caso di specie, sarebbe maggiormente leso in caso di applicazione del diritto straniero, il giudice è tenuto ad applicare le norme di tale ordinamento.
Ebbene, nella vicenda in esame, la Corte d’appello, dopo aver invano richiesto supporto alla Corte suprema della California [68], ha stabilito - pur con alcune lacerazioni interne [69] - che la “comparative impairment analysis” inducesse a ritenere che, vista la tenuità del collegamento della vicenda con la California (residenza dell’attore) e l’esigenza di garantire prevedibilità e fiducia per chi operi in Spagna conformandosi al diritto spagnolo, “Spain’s governmental interests would be more impaired by the application of California law than would California’s governmental interests be impaired by the application of Spanish law”. Posto ciò, i giudici hanno dato applicazione al diritto spagnolo, rigettando la domanda di restituzione del dipinto alla luce dell’intervenuta usucapione in favore del museo.
Tale sentenza, al netto degli approdi raggiunti in punto di merito e delle iniziative legislative che hanno cercato di correggerli [70], è interessante perché evidenzia come nell’ambito del bilanciamento degli interessi in campo, la natura sui generis del bene controverso e le circostanze della spoliazione non siano state minimamente tenute in considerazione.
La Corte ha genericamente richiamato l’interesse della California “in returning stolen art to victims of theft”, ma non ha fatto alcun riferimento al favor restitutionis che gli Stati Uniti promuovono con specifico riferimento alla Nazi-looted art [71]. Se è comprensibile che il giudice chiamato alla determinazione della legge applicabile si sentisse “directed to measure the interests of each jurisdiction based on the circumstances of the present case - the facts of this particular dispute - not the jurisdiction’s general policy goals expressed in the laws implicated”, sembra quanto meno sorprendente che, dato l’oggetto del procedimento, non sia stata minimamente valorizzata una federal policy che, a rigore, dovrebbe condurre “ad un’interpretazione del diritto interno conforme al risultato auspicato dall’esecutivo” [72].
Ciò che colpisce è che, talora, anche nelle giurisdizioni in cui il ragionamento internazionalprivatistico si fonda non su regole prestabilite e astratte (come nell’Ue), ma su approcci flessibili e più orientati al perseguimento della giustizia del caso concreto [73] la restituzione dei beni culturali trafugati dai nazisti venga unicamente agganciata alla dimensione privatistico-proprietaria [74] e non risulti permeata da considerazioni di carattere pubblicistico-sistematico [75]. A giudizio di scrive, la scarsa sensibilità manifestata nei confronti degli impegni assunti dal Governo federale a livello internazionale [76] e tradotti a livello interno con interventi normativi significativi - quali il già menzionato Hear Act - denota un’evidente mancanza di consapevolezza circa la funzione regolatoria delle norme di conflitto [77].
5. Conclusioni: quali mezzi per superare l’impasse?
La presente analisi ha dimostrato che talvolta (nemmeno) in Paesi storicamente sensibili al dramma della Shoah [78] le corti nazionali, allorché si trovino al cospetto di azioni restitutorie di carattere privatistico, sembrano in grado di tradurre sul piano pratico la pro-restitution policy affermatasi da tempo a livello internazionale.
L’inadeguatezza del contenzioso civile rispetto alle istanze di chi reclama oggetti che, al di là del valore patrimoniale, rappresentano frammenti di identità e simbolo delle diverse modalità con le quali si è perseguita la disumanizzazione di un popolo, impone un netto cambio di rotta.
A parere di chi scrive sarebbe opportuno abbracciare seriamente lo spirito dei Principi di Washington e istituire finalmente un modello alternativo di risoluzione delle controversie efficiente ed effettivo. A questo proposito merita attenzione la prospettiva che si sta delineando in Germania, dove da alcuni mesi è in discussione la proposta, già avanzata in passato [79], di promuovere il ricorso all’arbitrato non tanto per la soluzione di controversie concernenti in generale il mondo dell’arte - sull’esempio di quanto avvenuto in Olanda [80] e in Italia [81] - ma specificatamente in relazione a liti vertenti sulla Nazi-looted art [82].
Ad inizio ottobre 2004 il processo di riforma in atto ha subito una brusca accelerata [83] e il Governo federale, i Länder e gli enti rappresentativi dei Comuni hanno concordato sull’opportunità di sostituire l’attuale Beratende Kommission con una Commissione arbitrale che sarà sempre (gratuitamente) attivabile da parte di coloro che rivendichino opere d’arte trafugate nei confronti di musei ed entità pubbliche [84]. Musei ed entità pubbliche, infatti, saranno vincolati da una sorta di offerta d’arbitrato ad incertam personam (sul modello dell’arbitrato di investimento) e non potranno, pertanto, più opporre quell’atteggiamento ostruzionistico mantenuto in celebri casi [85]. Le decisioni assunte dalla Commissione arbitrale saranno - in quanto lodi arbitrali - vincolanti e suscettibili di produrre gli effetti di sentenze giudiziarie e non si riproporrà più quella situazione di cul-de-sac - verificatasi in passato - legata all’impossibilità di attuare coercitivamente le raccomandazioni della Beratende Kommission [86].
La valorizzazione dello strumento arbitrale pare opportuna e condivisibile se si pensa che la giustizia arbitrale, oltre ad essere celere e snella, ha già da tempo dimostrato una piena fungibilità rispetto alla giustizia statale anche rispetto alla risoluzione di controversie coinvolgenti l’interesse pubblico [87]. Tale nuovo modello, tuttavia, potrà produrre soluzioni “just and fair” solo se si innoverà la cornice normativa applicabile al merito della lite, intervenendo sui termini di prescrizione e adattando l’istituto dell’usucapione alla specificità dei beni in oggetto. In assenza di siffatte modifiche, l’unico modo per evitare che la situazione di impasse precedentemente descritta si riproduca anche dinanzi ai giudici privati sarebbe far sì che gli arbitri siano istituzionalmente autorizzati a decidere ex aequo et bono.
Note
[*] Francesca Ragno, professoressa ordinaria di Diritto internazionale nell’Università di Bologna Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali, Strada Maggiore 45, Bologna, francesca.ragno@unibo.it.
[1] Per approfondimenti cfr. F. Bajohr, Expropriation and Expulsion, in The Historiography of the Holocaust, (a cura di) D. Stone, Londra, 2005, pag. 52 ss.
[2] Cfr. B. Demarsin, Let’s Not Talk about Terezin: Restitution of Nazi Era Looted Art and the Tenuousness of Public International Law, in Brooklyn Journal of International Law, 2011, Vol. 37, pag. 121 ss.; R.L. Garrett, Time for a Change? Restoring Nazi-Looted Artworks to its Rightful Owners, in Pace International Law Review, Vol. 12, 2000, pag. 373 ss.; P. McCarter Collins, Has”The Lost Museum” Been Found? Declassification of Government Documents and Report on Holocaust Assets Offer Real Opportunity to “Do Justice” for Holocaust Victims on the Issue of Nazi-Looted Art, in Maine Law Review, 2002, Vol. 54, pag. 115 ss.
[3] Tra le prime iniziative al riguardo si vedano il Report of the (American) Association of Art Museums Directors - AAMD Task Force on the Spoliation of Art during the Nazi/World War II Era (1933-1945), 8 giugno 1998: https://aamd.org e le Guidelines of the American Association of Museums Concerning the Unlawful Appropriation of Objects during the Nazi-Era, novembre 1999 (successivamente riviste nel 2001): https://www.aam-us.org.
[4] U.S. Department of State, 25th Anniversary of the Washington Principles on Nazi-Confiscated Art: Best Practices & the Way Forward (Mar. 5, 2024): https://www.state.gov.
[5] Corte cost., 22 ottobre 2014, n. 238, in Riv. dir. int., 2015, pag. 237. Per un’analisi di questa pronuncia v. E. Cannizzaro, Jurisdictional Immunities and Judicial Protection: The Decision of the Italian Constitutional Court No. 238 of 2014, in Riv. dir. int., 2015, 1, pag. 126 ss.; G. Cataldi, A Historic Decision of the Italian Constitutional Court on the Balance between the Italian Legal Order’s Fundamental Values and Customary International Law, in Italian Yearbook of International Law, 2015, vol. 24, pag. 37 ss.; P. De Sena, The Judgment of the Italian Constitutional Court on State Immunity in Cases of Serious Violations of Human Rights or Humanitarian Law: A Tentative Analysis under International Law, in Questions of International Law, Zoom Out II, 2014, pag. 17 ss.; M. Iovane, The Italian Constitutional Court Judgment No. 238 and the Myth of the “Constitutionalization” of International Law, in Journal of International Criminal Justice, 2016, vol. 14, 3, pag. 595 ss.; A. Lanciotti/M. Longobardo, La Corte costituzionale risponde alla Corte di giustizia internazionale. L’ordinamento italiano non si adatta alla regola sull’immunità, in federalismi.it, 2015, 2, pag. 1 ss.; F. Salerno, Giustizia costituzionale versus giustizia internazionale nell’applicazione del diritto internazionale generalmente riconosciuto, in Quaderni costituzionali, 2015, pag. 33 ss.; A. Tanzi, Un difficile dialogo tra Corte internazionale di giustizia e Corte costituzionale, in Comunità internazionale, 2015,1, pag. 13 ss.
[6] Corte int. giustizia, 3 febbraio 2012, Germania c. Italia, in Riv. dir. int., 2012, pag. 475 ss. Per approfondimenti sull’accertamento della responsabilità internazionale dell’Italia effettuato dalla Corte internazionale di giustizia v. B. Conforti, The Judgment of the International Court of Justice on the Immunity of Foreign States: A Missed Opportunity, in Italian Yearbook of International Law, 2012, vol. 21, pag. 133 ss.; L. Gradoni, A. Tanzi, Immunità dello Stato e crimini internazionali tra consuetudine e bilanciamento: note critiche a margine della sentenza della Corte internazionale di giustizia del 3 febbraio 2012, in Comunità internazionale, 2012, pag. 203 ss.; F. Salerno Gli effetti della sentenza internazionale nell’ordinamento italiano: il caso Germania c. Italia, in Dir. um. dir. int., 2012, 2, pag. 350 ss.
[7] P. Caroli, Crimini tedeschi e soldi italiani? Osservazioni sull’epilogo della triste saga dei risarcimenti alle vittime degli eccidi nazisti, in La legislazione penale, 2022.
[8] Corte cost., 4 luglio 2023, n. 159, in federalismi.it. Per un commento v. R. Baratta, Il Fondo «ristori» tra rispetto del diritto internazionale, controlimiti e ragioni creditorie delle vittime di crimini nazisti: Il punto di tenuta dell’ordine costituzionale, in Riv. dir. int., 2023, pag. 1093 ss.; A. Gattini, La sentenza n. 159/2023 della Corte costituzionale: Un primo passo di ravvedimento operoso della Corte in tema di immunità degli Stati stranieri, in Riv. dir. int., 2023, pag. 1100 ss.
[9] Basti pensare che in esecuzione delle sentenze italiane di condanna della Germania si è proceduto al pignoramento di beni immobili della Stato tedesco, quali Villa Vigoni, l’Istituto archeologico tedesco, il Goethe institut, l’Istituto storico tedesco e la Scuola germanica. Tali azioni hanno spinto la Germania, che già aveva visto accolte le proprie domande nella richiamata sentenza della Corte internazionale di giustizia, a instaurare un nuovo contenzioso dinanzi all’organo giurisdizionale delle Nazioni Unite: International Court of Justice, Application instituting proceedings containing a request for provisional measures. Questions of jurisdictional immunities of the State and measures of constraint against State-owned property (Germany v. Italy), 29 aprile 2022, in www.icj-cij.org. In merito v. G. Berrino, Quale effettività della tutela giurisdizionale nel caso Germania c. Italia? L’art. 43 del d.l. n. 36/2022 come “rimedio” costituzionalmente legittimo, in Dir. um. dir. int., 2023, 1, pag. 201 ss.
[10] Cfr. S. Negri, Sovereign Immunity v. Redress for War Crimes: The Judgment of the International Court of Justice in the Case Concerning Jurisdictional Immunities of the State (Germany v. Italy), in International Community Law Review, 2014, 16, pag. 131.
[11] In questo senso v. M.A. Renold, A. Chechi, Just and fair solutions: an analysis of international practice and trends, in Fair and just solutions?: alternatives to litigation in Nazi-looted art disputes: status quo and new developments, a cura di E. Campfens, l’Aja, 2015, pag. 189. In senso analogo v. E. Campfens, Restitution of Looted Art: What About Access to Justice?, in Santander Art & Culture Law Review, 2018, Vol. 4, pag. 202: “adversarial litigation is generally considered a last option, to be entered into only after good-faith negotiations and ADR mechanisms and procedures have been exhausted”.
[12] Per questa espressione v. J. Schubert, Prisoners of War: Nazi-Era Looted Art and the Need for Reform in the United States, in Touro Law Review, 2014, Vol. 30, pag. 675 ss.; E.J. Henson, The Last Prisoners of War: Returning World War II Art to Its Rightful Owners. Can Moral Obligations Be Translated into Legal Duties?, in DePaul Law Review, 2002, Vol. 51, pag. 1103 ss.
[13] Sull’incidenza di tali convenzioni sulle azioni esperibili dai privati v. G. Magri, Le Convenzioni UNESCO 1970 e UNIDROIT 1995 e la loro incidenza sul diritto privato, in Aedon, 2021, 2.
[14] Principi di Washington sull’arte confiscata dai nazisti, 3 dicembre 1998: https://www.state.gov/washington-conference-principles-on-nazi-confiscated-art.
[15] Principio n. 3: “Resources and personnel should be made available to facilitate the identification of all art that had been confiscated by the Nazis and not subsequently restituted”.
[16] Principio n. 8: “If the pre-War owners of art that is found to have been confiscated by the Nazis and not subsequently restituted, or their heirs, can be identified, steps should be taken expeditiously to achieve a just and fair solution, recognizing this may vary according to the facts and circumstances surrounding a specific case”.
[17] Principio n. 11: “Nations are encouraged to develop national processes to implement these principles, particularly as they relate to alternative dispute resolution mechanisms for resolving ownership issues”.
[18] Sul tema v. S. Ferreri, G. Magri, Inventività giuridica nella difesa dei beni culturali. Recuperi avventurosi di arte razziata nell’Olocausto, in Aedon, 2024, 1; per osservazioni critiche sull’incorenza dei risultati raggiunti v. M. Weller, Key elements of Just and Fair Solutions - The Case for a Restatement of Restitution Principles, in Fair and just solutions?: alternatives to litigation in Nazi-looted art disputes: status quo and new developments, cit., pag. 201 ss.
[19] Sul punto cfr. M.J. Birnkrant, The Failure of Soft Law to Provide an Equitable Framework for Restitution of Nazi-looted Art, in Washington University Global Studies Law Review, 2019, Vol. 18, pag. 213 ss.
[20] Forum internazionale di Vilnius sui beni culturali saccheggiati all’epoca dell'Olocausto del 2000: https://www.lootedart.com/MG8D3S66604; Conferenza di Terezin e di Praga del 2009 sui beni risalenti all’epoca dell’Olocausto: http://holocausteraassets.eu.
[21] World Jewish Restitution Organization (WJRO)/Claims Conference, Holocaust-Era Looted Cultural Property: A Current Worldwide Overview, 5 marzo 2024: https://art.claimscon.org/wp-content/uploads/2024/03/11-March-2024-Holocaust-Era-Looted-Cultural-Property-A-Current-Worldwide-Overview.pdf.
[22] Terezin Declaration on Holocaust Era Assets and Related Issues, 30 giugno 2009: https://2009-2017.state.gov/p/eur/rls/or/126162.htm. Un aspetto rilevante di tale Dichiarazione concerne l’assimilazione tra confische e alienazioni frutto di coercizione o di violenza morale (Principle n. 2: “Noting the importance of restituting communal and individual immovable property that belonged to the victims of the Holocaust (Shoah) and other victims of Nazi persecution, the Participating States urge that every effort be made to rectify the consequences of wrongful property seizures, such as confiscations, forced sales and sales under duress of property, which were part of the persecution of these innocent people and groups, the vast majority of whom died heirless”).
[23] In questo senso cfr. B. Cortese, Un’analisi della legislazione speciale luogotenenziale e repubblicana nella prospettiva internazionalprivatistica, alla luce degli obblighi internazionali e della soft law, in VNTNV ed essi restituiranno. Studi sulla restituzione dei beni d’arte trafugati nella persecuzione antiebraica nazifascista, (a cura di) B. Cortese, B.M. Savy, Torino, 2023, pag. 80.
[24] M. Weller, Restatement of Restitution Rules for Nazi-Confiscated Art, 2024, sub Procedural Building Blocks, pag. 21: https://conflictoflaws.net/2024/restituting-nazi-confiscated-art-a-restatement-conference-at-the-university-of-bonn-4-september-2024-7-pm-and-talk-at-the-new-york-university-16-september-2024-6-pm/?print=pdf.
[25] Si veda, ad esempio, il memorandum predisposto recentemente dalla stessa commissione consultiva, consultabile alla pagina web: https://www.beratende-kommission.de/media/pages/aktuelles/memorandum/01d57d758c-1701788233/23-09-04_memorandum-advisory-commission.pdf, che ha messo in luce l’incompatibilità tra l’approccio corrente e il Principio n. 7 dei Principi di Washington, ai sensi del quale: “(p)re-war owners and their heirs should be encouraged to come forward and make known their claims to art that was confiscated by the Nazis and not subsequently restituted”. Sul punto v., altresì, M. Weller, Restatement, sub Introduction, cit., pag. 19. Tali critiche hanno spinto il Governo tedesco a presentare una proposta per una radicale riforma del sistema attualmente in vigore: https://www.kulturstaatsministerin.de/SharedDocs/Downloads/DE/2024/2024-03-13-beratende-kommission-beschlusspapier.pdf?__blob=publicationFile&v=3.
[26] Celebre è il caso dell’invocata restituzione del dipinto “Mademe Soler” di Picasso, che vedeva contrapposti gli eredi di un collezionista ebreo e un’istituzione museale (pubblica) bavarese, che si opponeva strenuamente a devolvere la soluzione della questione alla Beratende Kommission posto che l’opera rivendicata non fosse qualificabile come Nazi-looted art: per approfondimenti cfr. J.H. Schoeps, Wem gehört Picassos „Madame Soler”? Der Umgang des Freistaates Bayern mit einem spektakulären NS-Raubkunstfall, Berlino, 2022.
[27] “One difficulty with the study of stolen art stems from the fact that so much of the stolen art is transported across state and national boundaries and, as a result, presents difficult questions of international and domestic choice of law” (S.J. Schlegelmilch, Ghost of the Holocaust: Holocaust Victim Fine Arts Litigation and a Statutory Application of the Discovery Rule, in Case Western Reserve Law Review, 1999, pagg. 102-103). Sul tema v., altresì, P. McCarter Collins, Has “The Lost Museum” Been Found? Declassification of Government Documents and Report on Holocaust Assets Offer Real Opportunity to “Do Justice” for Holocaust Victims on the Issue of Nazi-Looted Art, in Maine Law Review, 2002, Vol. 54, pag. 118.
[28] In generale sulle peculiari caratteristiche dei beni culturali e sulla difficoltà di conciliare i diversi interessi (privato e pubblico) che li sottendono v. Z. Crespi Reghizzi, Profili di diritto internazionale privato del commercio dei beni culturali, in La tutela dei beni culturali nell’ordinamento internazionale e nell’Unione europea, (a cura di) E. Catani, G. Contaldi, F. Marongiu Buonaiuti, Macerata, 2019, pagg. 151-152.
[29] In argomento v. C. Roodt, Restitution of Art and Cultural Objects and Its Limits, in The Comparative and International Law Journal of Southern Africa, 2013, pag. 286. Sul tema cfr., anche, T. O’Donnell, Restitution of Holocaust Looted Art and Transitional Justice: The Perfect Storm or the Raft of the Medusa?, in European Journal of International Law, 2011, Vol. 22, pag. 53 ss.
[30] Sul punto si rimanda a L. Silberman, Goodyear and Nicastro: Observations from a Transnational and Comparative Perspective, in South Carolina Law Review, 2012, Vol. 63, pag. 593 ss.
[31] Come noto, tale sviluppo ha portato a circoscrivere l’immunità giurisdizionale degli Stati alle sole attività che costituiscano estrinsecazione immediata e diretta del loro potere iure imperii: sul contributo della giurisprudenza italiana e belga nel tratteggiare la regola dell’immunità ristretta v. U. Villani, La rilevazione della consuetudine internazionale, in Luigi Ferrari Bravo - Il diritto internazionale come professione, a cura di G. Nesi/P. Gargiulo, Napoli, 2015, pag. 81. Sul mutamento di paradigma avvenuto negli Stati Uniti nel 1952 v. D. Ducaine, Expectations of Immunity: Removing the Barriers to Retroactive Application of the Foreign Sovereign Immunities Act to Pre-1952 Events, in The Loyola of Los Angeles International and Comparative Law Review, 2003, Vol. 25, pag. 723.
[32] Sul punto v., anche, S. Ferreri, G. Magri, Inventività giuridica nella difesa dei beni culturali. Recuperi avventurosi di arte razziata nell’Olocausto, cit.; M.J. Chorazak, Clarity and Confusion: Did Republic of Austria v. Altmann Revive State Department Suggestions of Foreign Sovereign Immunity?, in Duke Law Journal, 2005, Vol. 55, pag. 374.
[33] In questo senso si veda, nella giurisprudenza della Corte suprema statunitense, Verlinden BV v. Central Bank Nigeria, 461 U.S., 488.
[34] 28 U.S.C. §1603: “(a) A ‘foreign state’ (...) includes a political subdivision of a foreign state or an agency or instrumentality of a foreign state as defined in subsection (b). (b) An 'agency or instrumentality of a foreign state' means any entity (1) which is a separate legal person, corporate or otherwise, and (2) which is an organ of a foreign state or political subdivision thereof, or a majority of whose shares or other ownership interest is owned by a foreign state or political subdivision thereof, and (3) which is neither a citizen of a State of the United States as defined in section 1332 (c) and (d) of this title, nor created under the laws of any third country”.
[35] Mentre tale principio è affermato nella sezione 1604 dell’Act - “[a] foreign state shall be immune from the jurisdiction of the courts of the United States and of the States” [28 U.S.C. § 1604] -, le eccezioni sono previste nelle sezioni 1605, 1606 e 1607.
[36] 28 U.S.C. §1605(a)(3)).
[37] Malewicz v. City of Amsterdam, 362 F. Supp. 2D 298 (D.D.C. 2005).
[38] Foreign Cultural Exchange Jurisdictional Immunity Clarification Act of 2016 (FCEJCA), Pub. L. No. 114-319, 130 Stat. 1618 (2016).
[39] FCEJCA § 2 (A).
[40] Sullo speciale status della Nazi-looted art si veda il dibattito riportato in Fair and Just Solutions? Alternatives to Litigation in Nazi-Looted Art Disputes: Status Quo and New Developments, (a cura di) E. Campfens, L’Aja, 2015, pag. 113 ss.
[41] Per un approfondimento sulla rilevanza dell’international comity nella fase di accertamento della competenza giurisdizionale v. A. Rivero, J.A. Mestre, L.K. Revak, A Comity of Errors: Understanding the International Abstention Doctrine, in Florida Journal of International Law, 2005, Vol. 17, pag. 405 ss.
[42] Come chiarito dalla giurisprudenza, “the term 'taken'... refers to acts of a sovereign, not a private enterprise, that deprive a plaintiff of property without adequate compensation. In consequence, 'takings' jurisdiction exists only where the property at issue passed in the first instance from the plaintiff - or, as here, the plaintiff’s predecessor - to a sovereign or to some person or entity acting on a sovereign’s behalf”: Andrew Orkin v The Swiss Confederation and Others, 770 F. Supp. 2d 612 (S.D.N.Y. 2011).
[43] Republic of Austria v. Altmann, 541 U.S. 677 (2004). Per un approfondimento sul tema v. M. Chorazak, Clarity and Confusion, cit., pag. 373 ss.; D.P. Vandenberg, In the Wake of Republic of Austria v. Altmann: The Current Status of Foreign Sovereign Immunity in United States Courts, in University of Colorado Law Review, 2006, Vol. 77, pag. 839 ss.; C.M. Vazquez, Altmann v. Austria and the Retroactivity of the Foreign Sovereign Immunities Act, in Journal of International Criminal Justice, 2005, Vol. 3, pag. 207 ss.
[44] “The FSIA is not simply a jurisdictional statute, but a codification of the standards governing foreign sovereign immunity as an aspect of substantive federal law”.
[45] “Plaintiff’s claims, if asserted in Austria, will most likely be barred by the statute of limitations of thirty years (...) clearly, therefore, Austria is not an adequate alternative forum for Plaintiff’s claims”.
[46] Federal Republic of Germany v. Philipp, 141 S. Ct. 703 (2021).
[47] Philipp v. Federal Republic of Germany, 248 F. Supp. 3d 59, 70-74 (D.D.C 2017) e Philipp v. Federal Republic of Germany, 894 F.3d 406, 410 (D.C. Cir. 2018).
[48] Simon v. Republic of Hungary (812 F.3d 127 (D.C. Cir. 2016). Sul punto v., altresì, Abelesz v. Magyar Nemzeti Bank, 692 F.3d 661 (7th Cir. 2012): “where international law universally condemns the ends, we do not believe the domestic takings rule can be used to require courts to turn a blind eye to the means used to carry out those ends - in this case, widespread expropriation of victims’ property to fund and accomplish the genocide itself. Plaintiffs’ allegations of these expropriations as an integral party of the overall genocidal plan allege violations of international law notwithstanding the domestic takings rule that would apply in most other circumstances”.
[49] “(T)he use of the expropriation exception is best read as referencing the international law of expropriation rather than of human rights. We do not look to the law of genocide to determine if we have jurisdiction over the heirs’ common law property claims. We look to the law of property”.
[50] “In 1976, the state of that body of law was clear: A 'taking of property' could be 'wrongful under international law' only where a state deprived 'an alien' of property. Restatement (Second) §185; see also Permanent Mission of India to United Nations v. City of New York, 551 U.S. 193, 199-200 (2007) (noting our consistent practice of interpreting the FSIA in keeping with 'international law at the time of the FSIA’s enactment' and looking to the contemporary Restatement for guidance). As explained above, this rule survived the advent of modern human rights law, including the United Nations Convention on Genocide. Congress drafted the expropriation exception and its predecessor, the Hickenlooper Amendment, against that legal and historical backdrop (...)”. La “domestic takings rule”, secondo la Corte, muoverebbe dalla premessa per cui “international law customarily concerns relations among States, not between States and individuals”.
[51] In senso adesivo v., tuttavia, V.C. Grosswald, Appraising the Supreme Court's Philipp Decision, in University of Pittsburgh Law Review, 2021, Vol. 83, pag. 303 ss.
[52] Cfr., ad esempio, art. 21 della Convenzione americana sui diritti umani; art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali, art. 31 della Carta araba dei diritti dell’uomo, artt. 13, 14 e 21 della Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli.
[53] Sul punto v., anche, B.M. Claggett, The Controversy Over Title III of the Helms-Burton Act: Who Is Breaking International Law. The United States or the States that Have Made Themselves Co-conspirators with Cuba in its Unlawful Confiscations?, in The George Washington Journal of International Law and Economics, 1997, pag. 289. Per una critica all’analisi della Corte v. anche N.B. Novogrodsky, G.H. Fox, Of Looting, Land and Loss: The New International Law of Takings, in Harvard International Law Journal, 2024, Vol. 65, 1, pag. 190: “the Court offered an erroneous history of international law itself, a question distinct from which elements of international law the U.S. Congress intended to incorporate into the Takings Exception. In contrast to the domestic takings rule, human rights treaties protected citizens against wrongful taking by their governments as early as 1976. In the following decades, international law produced a vast web of jurisprudence, treaties, 'soft law' instruments, state practice, and initiatives of international organizations supporting an individual’s right to property against her own government. International law has done so with particular attention to forced evictions in the course of mass human rights violations (...) Philipp’s eagerness to avoid human rights-based claims under the Takings Exception led the Court to misstate international law with respect to citizen takings. International law has long understood such losses as remediable because they are rooted in the importance of home, culture, and land, and distinct from the law of alien takings. Philipp missed that point, and its focus on the citizenship of the property owner to the exclusion of a rich history represents a lost opportunity”.
[54] Cfr. D. Franchini, State immunity as a tool of foreign policy: the unanswered question of certain Iranian assets, in Virginia Journal of International Law, 2020, Vol 60, pag. 435. La Corte suprema, in verità, sembra avvedersi della problematicità dell’expropriation exception sul piano della sua compatibilità con il diritto internazionale ma la giustifica adducendo ragioni storico-politiche: “It is true that the expropriation exception, because it permits the exercise of jurisdiction over some public acts of expropriation, goes beyond even the restrictive view. In this way, the exception is unique; no other country has adopted a comparable limitation on sovereign immunity. Restatement (Fourth) of Foreign Relations Law of the United States §455, Reporters’ Note 15 (2017). History and context explain this nonconformity. As events such as Secretary Hull’s letter and the Second Hickenlooper Amendment demonstrate, the United States has long sought to protect the property of its citizens abroad as part of a defense of America’s free enterprise system (...)”.
[55] Cfr. D. Franchini, State immunity as a tool of foreign policy: the unanswered question of certain Iranian assets, cit., pag. 433 ss.
[56] Basti leggere il contenuto di un comunicato stampa del Dipartimento di Stato del 1949 (Press Release No. 296 on April 27, 1949), intitolato “Jurisdiction of United States Courts Re Suits for Identifiable Property Involved in Nazi Forced Transfers”: “it is this Government’s policy to undo the forced transfers and restitute identifiable property to the victims of Nazi persecution wrongfully deprived of such property; and sets forth that the policy of the Executive, with respect to claims asserted in the United States for restitution of such property, is to relieve American courts from any restraint upon the exercise of their jurisdiction to pass upon the validity of the acts of Nazi officials”.
[57] Per l’applicazione di tale regola in altri procedimenti vertenti su crimini nazisti v. Dreyfuss v. Von Finck, 534 F.2d 24 (2d Cir. 1976); Siderman de Blake v. Republic of Argentina, 965 F.2d 699, 714 (9th Cir. 1992).
[58] Republic of Austria v. Altmann, cit.: nel caso di specie la vicenda coinvolgeva l’Austria e un cittadino ceco.
[59] In proposito appare significativo richiamare le parole pronunciate della segretaria di Stato Madeleine K. Albright in sede di apertura dei lavori della Conferenza di Washington sull’arte confiscata dai nazisti, promossa e organizzata dall’US Department of State: “our work will be driven by certain overarching imperatives. The first is that our goal must be justice, even though justice in this searing context is a highly relative term. We know well our inability to provide trite justice to Holocaust victims. We cannot restore life nor rewrite history; But we can make the ledger slightly less out of balance by devoting our time, energy and resources to the search for answers, the return of property and the payment of just claims. Our second imperative must be openness. Because the sands of time have obscured so much, we must dig to find the truth. This means that researchers must have access to old archives; and by that, I don't mean partial, sporadic or eventual access - I mean access in full, everywhere, now. Our third imperative is to understand that the obligation to seek truth and act on it is not the burden of some, but of all; it is universal. As the United States has recognized by declassifying documents and creating its own presidential advisory commission on Holocaust assets, every nation, every business, every organization and every person able to contribute to the full telling of the story is obliged to do so. In this arena, none of us are mere spectators, none are neutral; for better or worse, we are all actors on history's stage. The fourth imperative that propels our work is urgency.' Remaining Holocaust survivors have reached an advanced stage in life. More than five decades have passed since the Nazis perpetrated their thefts and murders. As records are lost and memories fade, effective restitution becomes more difficult. So let us each vow that by the dawn of the new century, we have done all things possible to conclude the unfinished business of the old. Finally, we must remember that our efforts here serve a twin purpose. Part one is to forge a common approach to the issues still surrounding Holocaust assets. Part two is to advance Holocaust education, remembrance rind research. This is a task that knows no end. It must be renewed as the human race is renewed, generation by generation, so that the reality of the Holocaust is always before us and never ceases to disturb us” (Secretary of State Madeleine K. Albright Remarks at Opening of Washington Conference on Holocaust-Era Assets Washington, DC, December 1, 1998: https://1997-2001.state.gov).
[60] Holocaust Victims Redress Act of 1998, 112 Stat. 15.
[61] Holocaust Expropriated Art Recovery Act of 2016, Pub. L. No. 114-308.
[62] Justice for Uncompensated Survivors Today (JUST) Act of 2017, Pub. L. No. 115-171.
[63] Cfr. Oberlandesgericht Frankfurt am Main, 8 febbraio 2018, Az.: 1 U 196/16; Landesgericht Frankfurt am Main, 2 Novembre 2016, Az.: 2-21 O 251/15. In senso opposto v., tuttavia, Cour d’appel de Paris, Chambre 1, section A, 2 giugno 1999, n. 1998/19209. Per una condivisibile valorizzazione della particolarità dei beni trafugati dai nazisti, però, ai fini dell’interpretazione delle norme sull’usucapione v. Corte cass. civ., sez. II, 14 giugno 2019, n. 16059 (su cui v. Ferreri, G. Magri, Inventività giuridica nella difesa dei beni culturali. Recuperi avventurosi di arte razziata nell’Olocausto, cit.) o sulla prescrizione v. BGH 16, marzo 2012 - V ZR 279/10.
Sulla questione, in dottrina v. L. Solaro, Il Saccheggio Nazista dell'Arte Europea: Uno Sguardo Comparatistico sul Contenzioso Transnazionale nei Restitution Cases, Milano, 2022, pagg. 25-59, che sottolinea come “il livello di protezione delle acquisizioni a non domino concesso dai Paesi europei di civil law renda quasi impossibile vincere una causa giudiziaria intentata per rivendicare le opere depredate”.
[64] Cassirer v. TBC, 89 F.4th 1226 (9th Cir. 2024). Per decisioni precedenti riguardanti la “saga Pissarro” v. Cassirer v. Kingdom of Spain, 616 F.3d 1019 (9th Cir. 2010) (en banc) (“Cassirer I”); Cassirer v. Thyssen-Bornemisza Collection Found., 737 F.3d 613 (9th Cir. 2013) (“Cassirer II”); Cassirer v. Thyssen-Bornemisza Collection Found., 862 F.3d 951 (9th Cir. 2017) (“Cassirer III”); Cassirer v. Thyssen-Bornemisza Collection Found., 824 F. App’x 452 (9th Cir. 2020) (“Cassirer IV”); Cassirer v. Thyssen-Bornemisza Collection Found., 596 U.S. 107 (2022) (“Cassirer V”); Cassirer v. Thyssen-Bornemisza Collection Found., 69 F.4th 554 (9th Cir. 2023) (“Cassirer VI”); v. anche Cassirer v. Thyssen-Bornemisza Collection Found., 153 F. Supp. 3d 1148 (C.D. Cal. 2015); Cassirer v. Thyssen-Bornemisza Collection Found., 2019 WL 13240413 (C.D. Cal. Apr. 30, 2019).
[65] Cassirer v. Thyssen-Bornemisza Collection Found., 596 U.S. 115 (2022) (“Cassirer V”): “(The FSIA) requires the use of California’s choice-of-law rule - because that is the rule a court would use in comparable private litigation”.
[66] Cfr. McCann v. Foster Wheeler, 225 P.3d 516, 527 (Cal. 2010).
[67] Per l’elaborazione di tale standard v. Offshore Rental Co. v. Cont’l Oil Co., 583 P.2d 721, 726 (Cal. 1978).
[68] Il quesito rimesso alla Corte suprema californiana (e deliberatamente non risolto dalla stessa) era stato così formulato: “(w)hether, under a comparative impairment analysis, California’s or Spain’s interest is more impaired if California’s rule that a person may not acquire title to a stolen item of personal property (because a thief cannot pass good title, and California has not adopted the doctrine of adverse possession for personal property), were subordinated to Spain’s rule that a person may obtain title to stolen property by adverse possession”.
[69] Emblematica al riguardo appare la concurring opinion del giudice Callahan: “(s)ometimes our oaths of office and an appreciation of our proper roles as appellate judges require that we concur in a result at odds with our moral compass. For me, this is such a situation. As we have previously held, the district court’s 'finding that the Baron lacked actual knowledge that the Painting was stolen was not clearly erroneous', and thus, 'even if the Baron’s knowledge could be imputed to TBC, it does not cause TBC to have actual knowledge'. Furthermore, I fully agree with the opinion’s application of California law to the facts in this litigation and the determination that Spain’s interests would be more impaired if California law were applied than California’s interests would be impaired by applying Spanish law. Nonetheless, I reaffirm the point we made in footnote three of our opinionin Cassirer, 824 F. App’x. at 457. Spain, having reaffirmed its commitment to the Washington Principles on Nazi-Confiscate Art when it signed the Terezin Declaration on Holocaust Era Assets and Related Issues, should have voluntarily relinquished the Painting. However, as we previously held, 'we cannot order compliance with the Washington Principles or the Terezin Declaration'. Our opinion is compelled by the district court’s findings of fact and the applicable law, but I wish that it were otherwise” (Cassirer v. TBC, 89 F.4th 1226, 1246 (9th Cir. 2024) (Callahan, J., concurring).
[70] In proposito si segnala che in risposta alla decisione de qua il governatore della California, il 16 settembre 2004, ha firmato una legge che impone ad ogni tribunale della California di applicare il diritto californiano “in lawsuits involving the theft of art or other personal property looted during the Holocaust or due to other acts of political persecution” (AB-2867 Recovery of artwork and personal property lost due to persecution: https://leginfo.legislature.ca.gov/faces/billNavClient.xhtml?bill_id=202320240AB2867. Per un commento relativo alla possibile efficacia retroattiva della legge v. W.S. Dodge, A Legislative Fix for the Cassirer Case?, in Transnational Litigation Blog: https://tlblog.org/a-legislative-fix-for-the-cassirer-case.
[71] Cfr. Emden v. Museum of Fine Arts, No. 23-20224 (5th Cir. 2024), che sottolinea come “U.S. policy includes the following tenets: (1) a commitment to respect the finality of ‘appropriate actions’ taken by foreign nations to facilitate the internal restitution of plundered art; (2) a pledge to identify Nazi-looted art that has not been restituted and to publicize those artworks in order to facilitate the identification of prewar owners and their heirs; (3) the encouragement of prewar owners and their heirs to come forward and claim art that has not been restituted; (4) concerted efforts to achieve expeditious, just and fair outcomes when heirs claim ownership to looted art; (5) the encouragement of everyone, including public and private institutions, to follow the Washington Principles; and (6) a recommendation that every effort be made to remedy the consequences of forced sales”.
[72] Per tale auspicio v., in generale, B. Cortese, La restituzione dei beni d’arte nell’ambito del decreto legislativo luogotenenziale n. 601/1946: profili di diritto internazionale privato ed intertemporale, cit., pag. 120. Nella giurisprudenza statunitense una valorizzazione dei Principi di Washington si riscontra in Von Saher v. Norton Simon Museum of Art at Pasadena, 754 F.3d 712, 723 (9th Cir. 2014): “Von Saher is just the sort of heir that the Washington Principles and Terezin Declaration encouraged to come forward to make claims, again, because the Cranachs were never subject to internal restitution proceedings. Perhaps most importantly, this litigation may provide Von Saher an opportunity to achieve a just and fair outcome to rectify the consequences of the forced transaction with Göring during the war, even if such a result is no longer capable of being expeditiously obtained”.
[73] E. Bodenheimer, Is Codification an Outmoded Form of Legislation?, in American Journal of Comparative law, 1982, Vol. 30, pag. 24: “the achievement of justice in human relations sometimes requires the use of methods which detract to some extent from the realization of legal certainty”. Per approfondimenti sul tema sia consentito rinviare a F. Ragno, Certainty vs. Flexibility in the EU Choice of Law System, in Private International Law: Contemporary Challenges and Continuing Relevance, (a cura di) F. Ferrari, D. Fernández Arroyo, Cheltenham, 2019, pag. 27 ss.
[74] Per questo approccio, nella giurisprudenza italiana, v. Corte cass., 14 giugno 2019, n. 16059.
[75] Per una lettura diversa, però, v. Bakalar v. Vavra (2nd Cir. Oct. 11, 2012); in questa decisione la corte ha individuato come applicabile la legge newyorchese sottolineando il “compelling New York interest to preserve the integrity of transactions and prevent the State from becoming a marketplace for stolen goods”.
[76] B. Demarsin, Let's Not Talk about Terezin: Restitution of Nazi Era Looted Art and the Tenuousness of Public International Law, in Brooklyn Journal of International Law, 2011, Vol. 37, p. 118: “in spite of numerous international declarations proclaiming moral obligations for governments to effectuate the return of Nazi-looted art and cultural property to Holocaust victims and their heirs, United States courts have shown little difficulty dismissing these important international commitments by denying numerous claims for recovery”.
[77] Sul tema v. A. Mills, The Confluence of Public and Private International Law: Justice, Pluralism and Subsidiarity in the International Constitutional Ordering of Private Law, Cambridge, 2009.
[78] Nel senso che “the United States will continue to champion justice for Holocaust survivors and their heirs” v. lo Statement del Presidente Joseph R. Biden, Jr. in occasione dell’International Holocaust Remembrance Day, 27 gennaio 2021: https://justandfree.com/statement-by-president-joseph-r-biden-jr-on-international-holocaust-remembrance-day-january-27-2021-statements-and-releases.
[79] R. Keim, Filling the Gap Between Morality and Jurisprudence: The Use of Binding Arbitration to Resolve Claims of Restitution Regarding Nazi-Stolen Art, in The Pepperdine Dispute Resolution Law Journal, 2003, pag. 295; O.C. Pell, Using Arbitral Tribunals to Resolve Disputes Relating to Holocaust-looted Art, in Resolution of Cultural Property Disputes: Papers Emanating from the Seventh PCA International Law Seminar, (a cura di) International Bureau of the Permanent Court of Arbitration L'Aja, 2003, pag. 309 ss.
[80] In tale Paese è stata istituita, nel 2018, la Court of Arbitration for Art, frutto di un’iniziativa congiunta della NAI (Netherlands Arbitration Institute - Camera Arbitrale Olandese) e della Authentication in Art (AiA). Per un approfondimento v. N. Kadhim, Arbitration in the Art World and the Court of Arbitration for Art: heading towards a more effective Resolution of Arts Disputes?, in Art Antiquity & Law, 2019, vol. 24, pag. 223 ss.
[81] In proposito va menzionata l’interessante iniziativa della Camera arbitrale di Venezia, che ha istituito una sezione dedicata alla risoluzione delle controversie (nazionali e internazionali) in materia di arte, dotandosi di un regolamento ad hoc: http://camera-arbitrale-venezia.com/?IdPagina=568.
[82] Sulle potenzialità e i limiti dell’arbitrato rispetto a questo tipo di contenzioso v. M. Frigo, Il quadro giuridico internazionale in tema di restituzione dei beni culturali spogliati alle famiglie ebraiche: quale spazio per i meccanismi alternativi di soluzione delle controversie?, in VNTNV ed essi restituiranno, cit., pagg. 163-164; M. Gramola, Il valore dei Washington Conference Principles on Nazi-confiscated art nella soluzione arbitrale e negli altri possibili sistemi di soluzione alternativa delle controversie in Italia, in VNTNV ed essi restituiranno, cit., pag. 178 ss.
[83] Cfr. Comunicato stampa del 9 ottobre 2024 del Governo federale: https://www.bundesregierung.de/breg-de/aktuelles/bund-laender-und-kommunale-spitzenverbaende-verbessern-restitutionspraxis-in-deutschland-und-staerken-die-einbindung-der-opfer-und-ihrer-nachfahren-2314144.
[84] Da notare che la Commissione arbitrale potrà essere investita anche rispetto a controversie promosse nei confronti di privati: in quest’ultimo caso, tuttavia, la matrice consensualistica dell’arbitrato imporrà che la parte convenuta accetti espressamente di devolvere la lite ad arbitri.
[85] Cfr. nota 26.
[86] In proposito basti ricordare la mancata ottemperanza da parte della Fondazione Hagemann alla raccomandazione adottata dalla Beratende Kommission che aveva disposto il pagamento di un indennizzo alla famiglia della vittima dello spoglio: https://www.disputeresolutiongermany.com/wp-content/uploads/2021/02/21-01-18_HagemannStiftungDL.pdf.
[87] Si pensi, ad esempio, alle liti in materia di concorrenza: sul punto v. L. Radicati di Brozolo, Arbitrato e diritto della concorrenza: il problema risolto e le questioni aperte, in Riv. arb., 2004, pag. 1 ss.