La disciplina giuridica delle attività culturali
Osservazioni sulla disciplina dello spettacolo. A proposito di un libro recente [*]
di Francesco Manganaro [**]
Sommario: 1. Premessa. - 2. Lo spettacolo come interesse pubblico ed il riparto di competenza della materia. - 3. Il finanziamento pubblico dello spettacolo: limite o sostegno necessario?. - 3.1. Il caso tipico delle fondazioni lirico-sinfoniche. - 3.2. La difformità delle fondazioni lirico-sinfoniche dal modello codicistico. - 3.3. La natura ibrida delle fondazioni lirico-sinfoniche. - 4. Natura giuridica e finanziamento degli altri enti teatrali.
Il lavoro, prendendo spunto da un recente volume sulla disciplina giuridica dello spettacolo, analizza alcune questioni relative alla natura giuridica ed al sistema di finanziamento dei soggetti che operano in questo ambito.
Parole chiave: spettacolo; organizzazione; finanziamento pubblico dello spettacolo.
Remarks on the discipline of entertainment
The work, taking inspiration from a recent volume on the legal discipline of entertainment, analyses some issues relating to the legal nature and the financing system of the subjects operating in this field.
Keywords: entertainment; organization; public financing of entertainment.
Il volume costituisce un unicum nel panorama della materia [1], visto che espone in maniera completa ed articolata la complessa disciplina normativa dei vari tipi di spettacolo, affrontando in modo approfondito anche i profili relativi all’organizzazione ed al finanziamento.
Tra tutti gli argomenti esposti nel volume, mi tratterrò su due questioni fondamentali, che, a mio avviso, costituiscono i pilastri su cui tutto il volume si fonda: il riparto di competenza tra Stato ed autonomie territoriali e l’utilità ed i limiti dell’intervento pubblico per la promozione dello spettacolo.
2. Lo spettacolo come interesse pubblico ed il riparto di competenza della materia
Sul primo punto, analizzando le relative competenze statali e degli enti locali, il giudizio degli autori appare molto significativo, poiché, alla fine di una accurata analisi della disciplina vigente, si giunge alla conclusione secondo cui “la materia dello spettacolo è tra quelle in cui più si avverte l’impostazione prerepubblicana, con conseguente mantenimento di istituti autoritari e statalisti, che, invero, mal si conciliano con l’impostazione costituzionale della libertà di espressione” [2].
Invero, è stato osservato che il termine “spettacolo” è complesso e plurisenso, poiché esso comprende “attività ed iniziative artistiche nei settori della cinematografia, della musica, della danza, del teatro, degli spettacoli viaggianti e circensi” [3] ed anche di varie attività culturali. Manca un’esatta definizione costituzionale della materia [4], perciò la sua tutela è stata ricondotta in via interpretativa alla libera manifestazione del pensiero di cui all’art. 21 Cost. o alla promozione culturale di cui all’art. 9 Cost.
La mancata esplicita previsione del contenuto della materia comporta effetti anche quanto alla sua attribuzione [5]. La competenza esclusiva statale rimane sostanzialmente intatta fino all’abolizione del ministero del Turismo e dello Spettacolo, avvenuta nel 1983 a seguito di un referendum, benché l’art. 49 del d.p.r. 24 luglio 1977, n. 616, attribuisse già la promozione delle attività teatrali di prosa, musicali e cinematografiche alle autonomie locali. L’art. 2 del d.l. 29 marzo 1995, n. 97, convertito in legge 30 maggio 1995, n. 203 assegna alle regioni una potestà concorrente, mantenendo in capo allo Stato “le competenze relative a soggetti, attività, obiettivi e funzioni di interesse nazionale”. Infine, l’art. 1, comma 4, lett. c) della legge “Bassanini” (legge 15 marzo 1997, n. 59) conferma di voler riservare allo Stato i “compiti di rilievo nazionale”, fissando principi e funzioni sulla base di un’intesa con la Conferenza permanente Stato-regioni.
La conclusione di tale percorso normativo avrebbe dovuto escludere dalla competenza statale la materia dello spettacolo, ma per consentire comunque la ripartizione del Fondo unico per lo spettacolo (Fus), nonostante un parere contrario del Consiglio di Stato [6], viene approvato il d.l. 18 febbraio 2003, n. 24 (Disposizioni urgenti in materia di contributi in favore delle attività di spettacolo), convertito nella legge 17 aprile 2003, n. 82, a cui fa seguito il d.m. 27 febbraio 2003 con il quale, in via transitoria, si fissano le modalità di erogazione dei contributi statali “con decreti del Ministro per i beni e le attività culturali non aventi natura regolamentare”.
La palese violazione del riparto di competenza diventa oggetto della giurisprudenza della Corte costituzionale che, con sentenza n. 255/2004 afferma che la mancata menzione delle attività di sostegno allo spettacolo nell’art. 117 Cost. non significa riconoscere una competenza esclusiva regionale, visto che lo spettacolo sarebbe compreso nella materia di legislazione concorrente “valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali”.
Anzi, la competenza attribuita alla regione in materia di “promozione ed organizzazione di attività culturali” ne rafforza la competenza anche “su antiche e consolidate istituzioni culturali pubbliche o private operanti nel settore (come, ad esempio e limitandosi al solo settore dello spettacolo, gli enti lirici o i teatri stabili)”.
Tuttavia, da questa osservazione, la Corte non trae la conclusione della illegittimità degli atti governativi adottati in materia, ma fa salva la disciplina impugnata, ritenendo che non vi sia una sopravvenuta automatica incostituzionalità. La disciplina normativa statale sulla ripartizione del fondo unico rimane perciò in vigore, anche se, secondo la Corte sarebbe stata “ineludibile” una profonda riforma di quelle leggi che prevedono procedure accentrate, contrarie al dettato costituzionale. La Corte, perciò, in questo caso, fa salvo l’intervento statale in materia di spettacolo, pur auspicando “l’attribuzione sostanziale di poteri deliberativi alle Regioni od eventualmente riservandole allo stesso Stato, seppure attraverso modalità caratterizzate dalla leale collaborazione con le Regioni”.
La Corte tornerà a ribadire tali principi nelle successive sentenze nn. 256/2004 e 160/2005, senza comunque modificare l’assetto del riparto delle competenze e del finanziamento dello spettacolo.
Nemmeno negli anni successivi, nonostante vari tentativi, si è giunti ad un riordino normativo del settore, in quanto non hanno avuto attuazione le deleghe contenute nella legge 22 novembre 2017, n. 175 (Disposizioni in materia di spettacolo e deleghe al Governo per il riordino della materia) e nel disegno di legge delega al Governo per il riordino della materia dello spettacolo e per la modifica del Codice dei beni culturali e del paesaggio del 28 febbraio 2019 [7].
Se, dunque, lo spettacolo dovrebbe essere considerato una materia a competenza ripartita non si può non concordare con il giudizio espresso dagli autori del volume circa l’illegittima preminenza statale di fatto, non congruente con la storia delle attività culturali svolte a tutti i livelli territoriali e con la compartecipazione sussidiaria dei soggetti privati [8], ma soprattutto non consona con lo spirito e la lettera della Costituzione.
3. Il finanziamento pubblico dello spettacolo: limite o sostegno necessario?
Il secondo punto che vorrei esaminare, oggetto di un ampio esame da parte degli autori [9], è il seguente: l’intervento pubblico a sostegno dello spettacolo ne limita la libertà d’espressione? Oppure, secondo l’opinione dominante della Corte costituzionale, lo spettacolo è merit goods e va offerto a prescindere dalla domanda e perciò ha bisogno di un sostegno pubblico?
3.1. Il caso tipico delle fondazioni lirico-sinfoniche
Un esempio significativo di questo conflitto si rinviene in materia di fondazioni lirico-sinfoniche [10], la cui natura giuridica pubblica o privata ben rappresenta il conflitto tra autonomia dello spettacolo e necessità di sostegno pubblico.
Anche in questo ambito, come accaduto in generale nel caso delle privatizzazioni per fondazioni [11], si ripropone la querelle circa la natura pubblica o privata di esse. Da una parte, l’imposizione di vincoli sullo svolgimento delle attività e sull’uso dei beni confermerebbe la natura pubblicistica, anzi, come avvenuto in altri ambiti del nostro ordinamento [12], questo tipo di privatizzazione produrrebbe, come effetto opposto, un ampliamento della regolazione pubblica [13].
In questo senso l’organizzazione non segue l’attività, nel senso che permane una regolazione pubblica qualunque sia l’organizzazione del soggetto che la svolge.
In senso opposto si è sostenuto che la formula organizzatoria del soggetto gestore rimane indifferente quanto alla tutela delle attività svolte e dei beni affidati. O meglio, che il regime giuridico dei beni e delle attività svolte prescinde dalla natura pubblicistica o privatistica del soggetto che le esercita, cosicché è ammissibile un’organizzazione pubblica in forma privatistica [14].
Nel caso specifico delle fondazioni lirico-sinfoniche, l’incertezza sulla loro natura giuridica è dovuta ad una legislazione contraddittoria.
La legge c.d. Corona (legge 14 agosto 1967, n. 800) attribuisce all’attività lirico-sinfonica finalità di rilevante interesse generale ed ai soggetti che la esercitano natura di enti pubblici, sottoposti alla vigilanza governativa. Come è noto, la legge individua i tredici (ora quattordici) enti lirici e le istituzioni concertistiche di prioritario interesse nazionale [15], indicando altresì i teatri di tradizione e le altre istituzioni concertistiche. Agli enti specificamente indicati spetta un contributo statale gravante sul Fondo unico per lo spettacolo istituito dalla legge n. 163/85, in attesa di una ipotetica riforma del settore.
La discussione sulla natura giuridica si intreccia con il regime economico delle strutture di eccellenza, i cui bilanci risentono dei rilevanti costi delle produzioni lirico-sinfoniche, cosicché appare indispensabile l’intervento pubblico per ripianare l’inevitabile deficit di bilancio [16].
Si pone qui una questione cruciale, poiché il finanziamento pubblico non solo può essere considerato un sintomo della natura pubblicistica di tali enti, ma pone la fondamentale questione dell’eventuale interferenza tra politica e manifestazione artistica [17]. Invero, l’Unione europea non considera il finanziamento pubblico alla cultura un aiuto di Stato vietato dalla disciplina della concorrenza [18], tanto che si è sostenuto che il sostegno pubblico favorisca addirittura la concorrenza, poiché altrimenti la fisiologica debolezza di alcune culture locali o sperimentali impedirebbe la loro sopravvivenza, venendosi a determinare un regime di monopolio culturale [19].
Tuttavia, proprio l’insufficienza del Fondo unico per lo spettacolo induce il legislatore ad introdurre un mutamento del regime giuridico degli enti lirici, nella speranza di ottenere investimenti privati nelle attività culturali. Il d.lg. 29 giugno 1996, n. 367 obbliga gli enti lirici di rilievo nazionale e gli altri enti concertistici previsti dalla legge Corona a trasformarsi in fondazioni di diritto privato [20], stabilendo, tra l’altro, il regime privatistico del personale, sul presupposto - insito in tutte le privatizzazioni di quegli anni - che un regime privatistico avrebbe reso più agile l’azione di questi enti. Invero, al di là delle buone intenzioni del legislatore, non si perviene ai risultati auspicati, poiché solo il Teatro alla Scala riuscirà a coinvolgere capitali privati consistenti.
Per questo il legislatore interviene nuovamente con il d.lg. 23 aprile 1998, n. 134, imponendo, con una esplicita disposizione, la trasformazione ex lege in fondazione degli enti autonomi lirici e delle altre istituzioni concertistiche individuate nella legge Corona, stabilendo altresì che esse acquisiscano la personalità giuridica di diritto privato alla data di entrata in vigore della legge e con il trasferimento ope legis alla fondazione dei rapporti costituiti dai precedenti enti lirici.
La constatazione della mancata partecipazione dei privati induce il legislatore a consentire il funzionamento del consiglio di amministrazione anche solo composto da soggetti pubblici in attesa della (eventuale) partecipazione dei soggetti privati. Sempre al fine di invogliare gli investitori privati, le nuove disposizione riducono la quota ad essi richiesta per la designazione di un membro nel consiglio di amministrazione, passando dal dodici per cento annuo degli interi finanziamenti per la gestione previsto dal decreto n. 367/96 al dodici per cento dei soli finanziamenti statali. Inoltre, il mancato perseguimento di questa quota minima di investimento privato non comporta riduzione del finanziamento pubblico, ma solo impedisce di richiedere un aumento della contribuzione pubblica del fondo unitario per lo spettacolo.
Pur se il d.lg. 23 aprile 1998, n. 134 viene dichiarato illegittimo per eccesso di delega dalla sentenza n. 503/2000 della Corte costituzionale [21], il suo contenuto viene sostanzialmente reiterato con il d.l. 24 novembre 2000, n. 345, convertito in legge 26 gennaio 2001, n. 6, cosicché è sempre la legge a determinare la natura privatistica delle fondazioni, il contenuto dello statuto, il numero e la composizione degli organi.
3.2. La difformità delle fondazioni lirico-sinfoniche dal modello codicistico
Fermando qui la nostra descrizione della disciplina normativa si possono rilevare - per quanto interessa il tema della natura delle fondazioni lirico-sinfoniche - palesi aporie normative [22].
Quanto alla costituzione, la fondazione di diritto privato trova il suo fondamento in un atto unilaterale di natura personale [23], tanto che il fondatore può revocare l’atto di fondazione fino al riconoscimento della stessa (art. 15 cod. civ.). All’atto di fondazione si affianca il negozio di dotazione, con cui vengono assegnati i beni necessari per la vita della fondazione. Le fondazioni liriche e concertistiche, invece, vengono costituite ex lege senza alcun atto di disposizione personale e questo non può non comportare modifiche dal regime giuridico delle stesse.
In secondo luogo, il codice civile prevede che lo statuto della fondazione indichi necessariamente la sede, l’entità del patrimonio, lo scopo, la sua organizzazione interna, mentre sono facoltative regole sulla trasformazione, l’estinzione e la devoluzione del patrimonio. Nelle fondazioni liriche e concertistiche il contenuto dello Statuto è stabilito dalla legge, così come il numero degli organi ed il numero dei componenti del consiglio di amministrazione.
Il procedimento di riconoscimento, regolato in forma semplificata dal d.p.r. 10 dicembre 2000, n. 361 prevede che sia il prefetto o la regione a riconoscere le fondazioni, secondo se esse esercitino attività in una o più regioni, mentre invece per le fondazioni liriche rimane vigente la disposizione che attribuisce il riconoscimento all’autorità di governo competente in materia di spettacolo.
Quanto alla cessazione delle attività, le fondazioni liriche e concertistiche non possono fallire, ma essere eventualmente sottoposte alla liquidazione coatta amministrativa (art. 20).
In conclusione, a differenza di quanto previsto dal codice civile, queste fondazioni non sono costituite né per un atto di autonomia privata, né per un negozio di fondazione, ma direttamente dalla legge. In secondo luogo, il contenuto dello Statuto è sottratto all’autonomia privata e determinato anch’esso dalla legge. È sempre la legge a stabilire quali siano gli organi della fondazione, la loro composizione ed i loro compiti. Infine, la procedura per il riconoscimento della personalità giuridica è assai diversa da quella prevista per le altre fondazioni.
3.3. La natura ibrida delle fondazioni lirico-sinfoniche
La natura ibrida delle fondazioni trova autorevole conferma nella sentenza n. 153/2011 della Corte costituzionale che continua ad affermare che tali fondazioni, “nonostante l’acquisizione della veste giuridica formale di fondazione di diritto privato, conservano, pur dopo la loro trasformazione, una marcata impronta pubblicistica”, soprattutto per l’uso di risorse pubbliche, derivanti dal Fus.
In senso del tutto opposto, soprattutto in materia di contabilità e di tutela dei lavoratori, viene ribadita anche di recente la natura privatistica delle fondazioni, sia nella giurisprudenza della Corte dei conti in materia di controllo che nelle sentenze del giudice del lavoro [24].
Quanto al controllo contabile, le Sezioni riunite della Corte dei Conti, con la sent. n. 1/2020, hanno affermato che le fondazioni lirico sinfoniche, avendo natura privatistica, non debbano essere sottoposte al controllo contabile, poiché escluse dall’elenco Istat delle società che percepiscono finanziamenti pubblici, seppure inserite nel conto consolidato.
Anche la consolidata giurisprudenza del giudice ordinario afferma la natura privatistica delle fondazioni lirico-sinfoniche in materia di contratti di lavoro dei dipendenti, nel caso di trasformazione dei contratti a tempo determinato in contratti a tempo indefinito, poiché è la legge a stabilire la natura privatistica dell’ente pur ove svolga funzioni di interesse pubblico [25]. Tuttavia, anche a questo proposito, si registra una recente difforme opinione delle Sezioni unite della Cassazione (nn. 5542 e 5556 del 22 febbraio 2023), che rigettano la domanda di stabilizzazione di un rapporto di lavoro fondato su ripetuti contratti a tempo determinato, sul presupposto che la natura di ente pubblico delle fondazioni lirico-sinfoniche la vieti.
Dal rapido esame della disciplina vigente e dalla interpretazione offerta dalla giurisprudenza si conferma che le fondazioni lirico sinfoniche sono enti ibridi. Seppure il legislatore le sottoponga al regime delle fondazioni del codice civile, sussistono molteplici eccezioni alla disciplina codicistica, che ripropongono la questione - già discussa in tema di accordi procedimentali e di regime dei beni pubblici - di una illusoria privatizzazione o dell’esistenza di un diritto civile speciale o, meglio, di un diritto comune tra privato e pubblico [26].
Per questo gli autori del volume affermano esplicitamente che queste fondazioni sono certamente molto lontane dal modello codicistico [27], pur rimanendo aperta la questione sulla effettiva natura di esse [28].
La vicenda descritta, al di là della questione circa la natura giuridica della fondazione, serve a dare una risposta alla domanda se lo spettacolo debba essere un settore sostenuto o meno con fondi pubblici, se esso debba essere oggetto di un’impresa privata o (anche) sostenuto dagli enti pubblici in quanto merit goods.
Su questo punto sembra prevalere, anche nel volume in oggetto, la necessità di una contribuzione pubblica a sostegno dello spettacolo, che può avvenire non solo con le misure tradizionali del finanziamento diretto, ma anche attraverso forme di coinvolgimento dei privati attraverso agevolazioni fiscali o crediti di imposta [29].
4. Natura giuridica e finanziamento degli altri enti teatrali
Anche per gli enti lirici e teatrali diversi dalle fondazioni lirico-sinfoniche si pongono analoghi problemi circa la disciplina giuridica applicabile e la possibilità di ottenere finanziamenti pubblici. Anch’essi, forse per un effetto di assimilazione, tendono a costituirsi in fondazione, sebbene non obbligati a farlo dalla legge, nella speranza che la nuova formula giuridica li aiuti ad intercettare risorse private [30].
È evidente che non avendo un preciso parametro normativo da rispettare, queste fondazioni hanno statuti estremamente variegati. Seppure tutte dichiarano di applicare la disciplina del codice civile, esse finiscono per essere fondazioni di diritto speciale, in quanto introducono - analogamente alle fondazioni ex lege - molti sostanziali correttivi alla disciplina codicistica.
Anche in questi casi, in genere, l’atto costitutivo della fondazione non ha natura privatistica, ma deriva dalla deliberazione di un ente - in genere locale - che decide di costituire la fondazione mettendo a disposizione di essa beni di pubblica utilità (in genere, i teatri). Il numero degli organi e la loro composizione sono lasciati alle esigenze delle singole fondazioni, anche se rimane costante sia la presidenza di un organo politico sia la possibilità di partecipazione dei privati con quote e modalità differenti. Lo scioglimento della fondazione avviene secondo regole specifiche non previste nel codice civile, sempre con la retrocessione all’ente pubblico dei beni di pubblica utilità assegnati alla fondazione.
La differenziazione normativa dal modello codicistico viene ulteriormente aggravata dalla creazione di una nuova figura ibrida quale la c.d. fondazione di partecipazione [31], che associa al patrimonio, tipico elemento della fondazione, una parte associativa, allo scopo di dare una base diffusa che sostenga la gestione delle iniziative culturali. A questo scopo, tra gli organi della fondazione, viene prevista un’assemblea a cui possono partecipare coloro che acquisiscono la qualifica di socio, anche con una minima contribuzione. A questa assemblea di partecipazione vengono attribuiti, in genere, compiti di indirizzo e controllo che comunque cambiano radicalmente l’assetto giuridico delle fondazioni.
In genere, gli statuti di tali fondazioni prevedono diverse categorie di soci fondatori tra cui gli enti pubblici che costituiscono la fondazione o i privati che partecipano con una quota elevata stabilita in statuto ed a cui spetta una rappresentanza in consiglio di amministrazione, soci sostenitori ed ordinari secondo le quote di partecipazione fissate in statuto, fatta salva l’esigenza di mantenere una maggioranza pubblica.
La deviazione dalla disciplina codicistica ripropone la questione circa la natura giuridica e la possibilità di finanziamento pubblico dello spettacolo, poiché la natura pubblica [32] o privata del soggetto organizzatore degli eventi interseca diritto pubblico e privato, dato per ammesso che un servizio con finalità generali possa essere svolto in regime privatistico [33], seppure con le dovute garanzie dovute all’uso di risorse e beni pubblici destinati alle fondazioni.
Tornando, ancora una volta, alla domanda posta nel volume se il finanziamento pubblico sia necessario o costituisca un elemento che possa influenzare la libertà di espressione dello spettacolo, il volume, tenendo conto dei vari modi in cui si articola la materia dello spettacolo, analizza dettagliatamente la storia e l’attualità dell’intervento pubblico diretto ed indiretto, sia esso statale, regionale o da parte degli enti territoriali.
È impossibile trarre una conclusione univoca, considerata la significativa differenziazione dei settori dello spettacolo (teatro, musica, cinema, spettacolo dal vivo) nonché la differenziazione ulteriore all’interno dei singoli ambiti per la più o meno vasta rilevanza dei prodotti delle varie forme di spettacolo, che richiedono assai diverse modalità organizzative e, di conseguenza, impegni finanziari.
Più in generale, il volume in oggetto, pur criticando il sistema del Fus, prende realisticamente atto della necessità di un sostegno pubblico delle varie forme di spettacolo, pur apprezzando l’eventuale coinvolgimento economico dei privati. Prevale, perciò l’idea che si necessaria una contribuzione pubblica a sostegno dello spettacolo “per assicurarne il godimento alla collettività, indipendentemente dalla domanda del mercato e dall’utilità che possono produrre” [34].
Note
[*] Attualitą - Valutato dalla Direzione. Il lavoro riprende ed amplia le osservazioni fatte alla presentazione del volume scritto da Maria Immordino ed Alfredo Contieri sulla disciplina giuridica dello spettacolo, che ha avuto luogo presso il Teatro Massimo di Palermo il 17 maggio 2024.
[**] Francesco Manganaro, Professore ordinario in Diritto amministrativo presso l’Università Mediterranea di Reggio Calabria, Via dell'Università 25 (già Salita Melissari), 89124 Reggio Calabria, francesco.manganaro@unirc.it.
[1] M. Immordino, A. Contieri, La disciplina giuridica dello spettacolo, Torino, Giappichelli, 2023.
[2] M. Immordino, A. Contieri, op. ult. cit., pag. 119.
[3] A.G. Arabia, Lo spettacolo, in Trattato di diritto amministrativo, (a cura di) S. Cassese, Tomo II, Parte Speciale, Milano, Giuffrè, 2003, pag. 1585 ss.
[4] Salvo l’accenno dell’art. 21, comma 6, Cost. che vieta quelli contrari al buon costume.
[5] Sul punto, si segnala, in particolare, C. Barbati, Lo spettacolo: il difficile percorso delle riforme (dalla Costituzione del 1948 al “nuovo” Titolo V e “ritorno”), in Aedon, 2001, 1, secondo la quale crea incertezze il riparto della materia previsto nella riforma costituzionale del 2001.
[6] Cons. St., sez. atti norm., 20 dicembre 2002, n. 3608, in Foro amm. - Cons St., 2003, pag. 274, secondo cui non spetterebbe più allo Stato il potere di emanare il regolamento previsto dalla d.lg. 21 dicembre 1998, n. 492 per la concessione di ausili finanziari ad autori e soggetti teatrali contemporanei, in quanto la materia dello spettacolo non rientra più nella legislazione esclusiva statale.
[7] A. Gualdani, Il disegno di legge delega per il riordino delle disposizioni di legge in materia di spettacolo: quale futuro per il settore?, in Aedon, 2022, 1.
[8] Osserva a questo proposito C. Barbati, Lo spettacolo: il difficile percorso delle riforme (dalla Costituzione del 1948 al “nuovo” Titolo V e “ritorno”), op. ult. cit., che “lo spettacolo rientra, infatti, nel novero di quei settori per i quali non è configurabile alcuna forma di riserva o di monopolio pubblico, né sono ravvisabili interessi che sollecitino l’esercizio di funzioni, in senso proprio. Anzi, l’intervento dei soggetti istituzionali risponde qui ad una logica di complementarità con l’intervento e con le azioni dei privati che si declina essenzialmente come una sussidiarietà sorretta da finalità essenzialmente perequative, in quanto destinata a quelle espressioni di spettacolo che non trovino nel mercato le condizioni necessarie e sufficienti alla loro affermazione”.
[9] M. Immordino, A. Contieri, La disciplina giuridica dello spettacolo, cit., pag. 68.
[10] F. Manganaro, Pubblico e privato nella disciplina giuridica delle fondazioni liriche e teatrali, in Nuove autonomie, 2005, 4-5, pag. 523 ss.
[11] F. Merusi, La privatizzazione per fondazioni tra pubblico e privato, in Dir. amm., 2004, 3, pag. 447 ss.; S. De Götzen, Le “fondazioni legali” tra diritto amministrativo e diritto privato, Milano, 2011, in part. pag. 219 ss.
[12] M. Renna, La regolazione amministrativa dei beni a destinazione pubblica, Milano, 2004.
[13] In questo senso già, S. Cassese, Le privatizzazioni: arretramento o riorganizzazione dello Stato, in Riv. it. dir. pubbl. comunitario, 1996, 3-4, pag. 579, ritiene che le privatizzazioni abbiano rafforzato l’intervento pubblico, con una sostanziale estensione del diritto amministrativo rispetto al diritto civile.
[14] V. Cerulli Irelli, Le fondazioni lirico-sinfoniche come organizzazioni pubbliche in forma privatistica, in Aedon, 2012, 3. In questo senso, F. Manganaro, Le amministrazioni pubbliche in forma privatistica, in Dir. amm., 2014, 1-2, pag. 45 ss.
[15] Come è noto, si tratta degli enti lirici La Scala di Milano, l’Opera di Roma, l’Ente autonomo di Firenze ed i teatri di Bari, Bologna, Genova, Napoli, Palermo, Torino, Trieste, Venezia e Verona.
[16] P. Carpentieri, Il diritto amministrativo dell’eccellenza musicale italiana: l’organizzazione e il finanziamento delle fondazioni lirico-musicali, in Aedon, 2018, 3.
[17] Il problema attiene all’influenza che il finanziatore pubblico (come il privato) esercita sul contenuto delle forme dell’arte, come analogamente può accadere per il finanziamento pubblico della ricerca scientifica: sul punto, di recente, L’intervento pubblico nella ricerca scientifica, Atti del XXIII Convegno di Copanello, (a cura di) F. Astone, F. Manganaro, R. Rolli, F. Saitta, Esi, 2020.
[18] L’art. 151 del Trattato Ue afferma che l’Unione può “appoggiare ed integrare” l’azione degli Stati nei settori della cultura, della conservazione del patrimonio culturale, nella creazione artistica e letteraria. Sul punto: S. Rudiger, Per una Cultura di Europa. Il ruolo delle Fondazioni, in Queste Istituzioni, 2001, 124, pag. 9 ss.; M. Immordino, A. Contieri, La disciplina giuridica dello spettacolo, cit., pag. 407 ss.
[19] Secondo S. Foà e W. Santagata, Eccezione culturale e diversità culturale. Il potere culturale delle organizzazioni centralizzate e decentralizzate, in Aedon, 2004, 2, “la diversità culturale come una regola o istituzione ... fa evolvere il mercato in una direzione efficiente. .... In termini economici se ne può sottolineare l’appartenenza a quella classe di istituzioni, come la fiducia, la reciprocità, gli standard, le corti commerciali che sono essenziali per una evoluzione dei mercati in senso moderno ed efficiente. Il problema tecnico-ideologico che riguarda tutte le sovvenzioni di enti pubblici si può tradurre nei seguenti termini: è legittimo utilizzare risorse pubbliche per sanare bilanci in perdita, ma consentendo di svincolare la produzione artistica da sole valutazioni circa la “vendibilità” del prodotto-cultura?”.
[20] L’intenzione di privatizzare gli enti del settore spettacolo viene successivamente confermata con la trasformazione in fondazioni della Biennale di Venezia, della Scuola del cinema, dell’Istituto del dramma antico.
[21] Con nota di E. Rossi, Cacofonie giuridiche per gli enti lirici, in Le Regioni, 2001, 2, pag. 350 ss.
[22] Secondo C. Amiconi, Enti pubblici e privatizzazione, in Foro amm., 1999, 7-8, pag. 1658 ss. “ad un breve ed epidermico vaglio delle predette normative, ci si accorge subito dell’onnipresenza dirigista dello Stato, nelle procedure, nel regime degli apporti dei privati, nella composizione, tipologia e numero degli organi, nella vigilanza e nel controllo sugli atti, tanto che seppur nominalisticamente si parli di trasformazione in fondazioni di diritto privato, non è ozioso reputare che agli effetti trattasi di fondazione di diritto pubblico con tutte le ambiguità e i chiaroscuri sottesi a tale locuzione”.
[23] F. Galgano, Le associazioni, le fondazioni, i comitati, Padova, 1996, pag. 387; M. Civetta - A. Florimo, Associazioni e fondazioni, Milano, 2002, F. Galgano, Fondazione, I) Diritto civile, in Enc. Giur. Trecc., vol. XIV, Roma 1989, pag. 4 ss.; P. Rescigno, Fondazione (diritto civile), in Enc. dir., XVII, Milano, Giuffrè, pag. 1.
[24] Sul punto, più ampiamente, P. Carpentieri, Il diritto amministrativo dell’eccellenza musicale italiana: l’organizzazione e il finanziamento delle fondazioni lirico-musicali, cit.
[25] Tra le tante: Corte cass., sez. un. civ., sent. n. 10244/2021; Corte cass., sez. lav., sent. n. 12642/2021.
[26] Per le fondazioni liriche è stata avanzata l’ipotesi che non si tratti di un soggetto di diritto privato, ma che sia un organismo di diritto pubblico: F. Merusi, La privatizzazione per fondazioni tra pubblico e privato, cit., pag. 493. In generale sull’organismo di diritto pubblico: V. Caputi Jambrenghi, L’organismo di diritto pubblico, in Dir. amm., 2000, 1, pag. 13 ss.; per un’ipotesi analoga, M.R. Spasiano, Enti non lucrativi a rilevanza pubblica, in Dir. amm., 1994, 2, pag. 263 ss.
[27] M. Immordino, A. Contieri, op. ult. cit., pag. 304.
[28] M. Immordino, A. Contieri, op. ult. cit., pag. 308.
[29] M. Immordino, A. Contieri, op. ult. cit., pag. 370.
[30] C. Barbati, Lo spettacolo: il difficile percorso delle riforme (dalla Costituzione del 1948 al “nuovo” Titolo V e “ritorno”), cit., passim.
[31] P. Forte, Fondazioni, privatizzazione, concorrenza nella lirica: un cammino ancora in corso, in Aedon, 2009, 1.
[32] Anche in questo caso, la deviazione dal regime codicistico è talmente rilevante che si è proposto di ricorrere alla categoria delle fondazioni di diritto pubblico, secondo un’ipotesi già conosciuta nella dottrina tedesca: in questo senso, A. Bardusco, Fondazione di diritto pubblico, in Dig. disc. pubbl., VI, Torino, 1991, pag. 390 ss.
[33] F. Manganaro, Le amministrazioni pubbliche in forma privatistica, cit., pag. 59.
[34] M. Immordino, A. Contieri, op. ult. cit., pag. 370.