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Editoriale

Memoria, identità, celebrazioni e altre novità nella recente legislazione in tema di diritto delle attività e del patrimonio culturale

di Giuseppe Piperata [*]

Il Direttore della Rivista ripercorre le principali novità che hanno segnato il diritto dei beni e delle attività culturali nell'anno 2024 per far emergere alcune tendenze e individuare alcuni scenari in evoluzione a cui prestare attenzione in futuro.

Parole chiave: patrimonio culturale; attività culturali; identità nazionale; diritto penale dei beni culturali; riforma del ministero

Memory, identity, celebrations and other innovations in recent legislation about activities and cultural heritage
The Director of Aedon recalls the main innovations that distinguishied the activities and cultural heritage law in 2024 to bring out some trends and identify some evolving scenarios to pay attention to in the future.

Keywords: cultural heritage; cultural activities; national identity; criminal law protection of cultural; reform of the ministry

L’anno che sta per concludersi, il 2024, ha apportato molte e significative innovazioni all’ordinamento del settore delle attività e dei patrimoni culturali, in particolare attraverso interventi legislativi e regolamentari di portata più o meno ampia, dei quali come Rivista abbiamo cercato di dar conto puntualmente con segnalazioni e commenti presenti nei numeri pubblicati. A chiusura di questa annata, riteniamo opportuno con questo Editoriale ritornare sinteticamente su quanto avvenuto non tanto per stilare una rassegna di ciò che è stato fatto, né per tentare un bilancio delle riforme realizzate, quanto piuttosto per fare emergere, dando anche conto di alcune novità dell’ultimo minuto, qualche tendenza di sistema e per individuare alcuni scenari in evoluzione sui quali prestare attenzione in futuro.

Una prima tendenza da cogliere è quella registrata già ad inizio anno, con l’entrata in vigore a gennaio della legge sul made in Italy (legge 27 dicembre 2023, n. 206), legge che - come giustamente segnalato da Girolamo Sciullo [1] - mette insieme identità e culturalità nella prospettiva di promozione, anche all’estero, dei processi produttivi italiani. Il rapporto tra economia, identità nazionale e patrimonio culturale è molto stretto: la produzione di eccellenza della nostra industria e del nostro artigianato e la crescita economica del sistema-Italia trovano nella cultura e, in particolare, nel patrimonio culturale un importantissimo fattore per il loro sviluppo. Non solo. Per il legislatore il patrimonio culturale, come anche la cultura in generale e la creatività, hanno una doppia valenza, in quanto operano, allo stesso tempo, come elementi costitutivi dell’identità italiana e come motori per il consolidamento e la crescita dell’economia nazionale. Il tema dell’identità è presente anche in altri interventi successivi - come vedremo - e intreccia alcune strategie riguardanti, in particolare, le attività culturali e il patrimonio immateriale.  

Gennaio è stato anche il mese nel quale è stata pubblicata la legge 22 gennaio 2024, n. 6. Con questa legge, il Parlamento italiano è ritornato sul sistema punitivo in materia di beni culturali e paesaggistici (dopo la legge 9 marzo 2022, n. 22) e ha modificato nuovamente il Codice penale, introducendo alcune fattispecie criminose in materia di distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito di beni culturali o paesaggistici. Un panorama sanzionatorio arricchito con la previsione, accanto a quelle penali, delle corrispondenti sanzioni amministrative, accompagnate anche dalla disciplina del relativo procedimento. Una conferma, quindi, di un indirizzo legislativo tendente al rafforzamento delle dinamiche di protezione del patrimonio culturale, anche in linea con gli impegni assunti in sede internazionale dal nostro Paese.  

Ma è dalle fonti regolamentari che, in questo anno, per il settore della cultura è arrivato il principale intervento di riforma. Il riferimento, ovviamente, è alla riorganizzazione del ministero della Cultura, la sesta dalla istituzione del ministero, quest’ultima disposta dal d.p.c.m. 15 marzo 2024, n. 57. Il decreto consegna un disegno organizzativo ministeriale nuovo, per alcuni aspetti di rottura rispetto all’impostazione organizzativa finora seguita, a cominciare dall’introduzione di un modello dipartimentale per la definizione della struttura interna degli apparati, scelta, secondo alcuni, di ritorno ad esperienze passate e, purtroppo, non felici [2]. Lorenzo Casini, in un suo commento a caldo [3], ha messo in evidenza le luci e le ombre dell’innovazione regolamentare. Ovviamente, si tratta di un cambiamento che dovrà passare prima dalla prova dei fatti per poter essere valutato in tutta la sua portata, cosa che richiederà tempi lunghi di adattamento e dinamiche di aggiustamento, tutte meritevoli di essere seguite con attenzione, con particolare riguardo a quei processi di espansione del campo di azione del ministero verso la valorizzazione e la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale.

E proprio a questa categoria patrimoniale, così difficile da inquadrare e regolare, è dedicata l’ultima legge statale intervenuta in questo anno con riferimento all’ordinamento delle attività e del patrimonio culturale, la legge 7 ottobre 2024, n. 152. In realtà, il testo legislativo presenta un duplice oggetto: da un lato, contiene la disciplina delle manifestazioni di rievocazione storica e, dall’altro, una delega al governo per l’adozione di norme per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale. Le nuove disposizioni, inoltre, sembrano ruotare intorno a tre concetti che ne connotano e orientano il significato: identità, memoria, celebrazioni. Ciò emerge, per prima cosa, dalle norme sul patrimonio culturale immateriale, dove identità e storicità sono chiamate in causa per provare a identificarlo nei sui tratti caratteristici. Tale patrimonio, infatti, è indicato, attraverso una formulazione non proprio chiarissima, “come componente del valore identitario e storico per gli individui, le comunità locali e la comunità nazionale” (art. 10, comma 1). Nuovamente, come nel caso della legge sul made in Italy, i valori identitari e tradizionali vengono evocati per il loro forte legame con le attività e i patrimoni culturali, ma nella legge delega questi vengono declinati al plurale, come dimostra il fatto che tra i numerosi principi direttivi per l’intervento legislativo delegato sono previsti anche gli indirizzi a preservare e trasmettere le memorie collettive o individuali espressione “della pluralità delle identità culturali”, a promuovere “il dialogo tra le culture” e lo “scambio delle conoscenze, delle esperienze e delle pratiche con valore tradizionale e identitario” (art. 11, comma 2, lett. c), e) e f).

Sempre nello stesso articolo anche i riferimenti alla memoria e alla ritualità storico-culturale sono evidenti, dato che un altro criterio direttivo proposto orienta la legislazione delegata verso l’obiettivo di “razionalizzare e semplificare le normative nazionali relative all’organizzazione di eventi connessi al patrimonio culturale immateriale, quali rievocazioni storiche, festività, rituali e pratiche sociali” (art. 11, comma 2, lett. o). Alle rievocazioni storiche, tuttavia, è dedicata soprattutto la prima parte della legge n. 152/2024. Si tratta di “manifestazioni finalizzate a salvaguardare e valorizzare la memoria storica di un territorio”: spetta allo Stato valorizzarle, anche attraverso sostegni finanziari, agli “enti di rievocazione storica” realizzarle. Curioso notare la marginalizzazione che la legge in questione riserva agli enti locali, anche se tali eventi rappresentano momenti celebrativi dove la memoria storica intreccia l’identità territoriale in un rituale tradizionale che spesso viene sentito e inteso come patrimonio culturale immateriale di una circoscritta comunità locale. In ogni caso, il nuovo testo legislativo preferisce non lasciare alla spontaneità organizzativa delle singole comunità tali manifestazioni, riconducendole ad un sistema procedimentalizzato fin dal momento iniziale della individuazione delle manifestazioni stesse e degli enti di riferimento attraverso dinamiche di registrazione ed elenchi, sottoponendole ad un controllo affidato ad un comitato di chiara matrice statale e promuovendone la sopravvivenza attraverso uno specifico percorso di finanziamento imputato ad un apposito fondo nazionale. Pare riproporsi anche in questo caso una dinamica già ipotizzata dalla legge sul made in Italy, nella quale vengono individuate filiere, attività e enti esponenziali, verso le quali convogliare appositi fondi di finanziamento per la promozione e la valorizzazione degli stessi.

Nella legge n. 152, ancora una volta, si mette in evidenza come, promuovendo le tradizioni identitarie attraverso la celebrazione di eventi rievocativi, si può contribuire a curare la memoria storica di un territorio e tutelare il patrimonio culturale materiale e immateriale corrispondente. Del resto, il legislatore sembra intenzionato ad insistere su tale strategia. Giusto per fare qualche esempio, solo nel 2024 sono state istituite le giornate nazionali dell’agricoltura (legge 28 febbraio 2024, n. 24), dell’Unità nazionale e delle Forze armate (legge 1° marzo 2024, n. 27), dell’ascolto dei minori (legge 4 luglio 2024, n. 104). In dicembre del 2023, la citata legge n. 206 aveva istituito a sua volta la giornata nazionale del made in Italy. È stata, poi, modificata la legge 30 marzo 2004, n. 92, in materia di iniziative per la promozione della conoscenza della tragedia delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata nelle giovani generazioni (legge 21 febbraio 2024, n. 16) ed è stato istituito il Museo del Ricordo in Roma (legge 23 ottobre 2024, n. 165).  È lo Stato, insomma, che rivendica il suo ruolo nel definire quelle che sono le memorie nazionali e le modalità di conservazione e di celebrazione delle stesse. Un compito, come giustamente segnalato, molto delicato e che se esercitato attraverso il ricorso al potere legislativo deve tenere in conto che formalizzare il ricordo con le cc.dd. leggi memoriali implica sempre “enunciare un punto di vista ufficiale sul passato stabilizzandolo, per così dire, sul piano normativo”, con il rischio di invadere il campo della storiografia o della libertà di manifestazione del pensiero o di altre libertà legittimate a contribuire nella ricostruzione del passato anche al di fuori dell’ufficialità del momento [4].

Anche per quest’ultima riforma legislativa sarà necessario prendere tempo prima di esprimere un giudizio definitivo al riguardo. Del resto, in parte, la legge n. 152 del 2024 è una legge delega che dovrà portare al decreto delegato nei primi mesi del 2025, anno che - è facile prevedere - sarà cruciale per la definizione di questa e di altre politiche legislativa di riforma riguardanti l’ordinamento delle attività e del patrimonio culturali. Sullo sfondo, tra l’altro, rimane anche tutto il processo di attuazione del PNRR, piano che sulla cultura ha destinato circa 4,2 miliardi di euro, in gran parte ancora in attesa di essere spesi. Fondi preziosi, che non possono essere sprecati, per un settore, come quello culturale, sempre con meno risorse a disposizione e sempre considerato con poca generosità dai programmi di finanza e di investimento pubblici [5]. In tale prospettiva, bene ha fatto il neo ministro Alessandro Giuli a protestare per l’annunciato taglio drastico, rispetto al passato, dei finanziamenti destinati per il prossimo anno al settore culturale e gravanti sul Fondo sociale europeo per il periodo 2021-2027.

Ma il 2025 sarà un anno cruciale per capire anche quale sarà lo scenario di ripensamento dell’impianto generale del diritto del patrimonio culturale. Il Codice Urbani del 2004, infatti, ha compiuto vent’anni. In un recente convegno organizzato da Aedon e dalla Fondazione Cesifin-Alberto Predieri a Firenze nello scorso novembre (e di cui verranno pubblicate le relazioni sui prossimi numeri della Rivista), è emerso un giudizio condiviso e pienamente positivo sull’esperienza codicistica. Ma è emerso anche che il Codice dimostra tutti i suoi anni e alcuni suoi quadri regolativi andrebbero rivisti alla luce dell’evoluzione e delle trasformazioni che il settore culturale sta vivendo, in primis per effetto delle due rivoluzioni, ecologica e digitale. Intanto, come dimostrano anche alcune iniziative legislative sopra richiamate, le recenti innovazioni al sistema ordinamentale del patrimonio culturale sono state realizzate dal di fuori dell’impianto codicistico. Legittimo chiedersi se si tratti di un caso o dell’inizio di un processo di decodificazione. A breve lo sapremo. Il 2025 è alle porte!    

Note

[*] Giuseppe Piperata, professore ordinario di Diritto amministrativo presso l’Università Iuav di Venezia, Santa Croce 191, Venezia, giuseppe.piperata@iuav.it.

[1] G. Sciullo, Cultura e patrimonio culturale nella legge sul made in Italy: una prima lettura, in Aedon, 2024, 1, pag. 1 ss.

[2] In questi termini G. Cosenza, La riforma del Ministero della cultura. Punti di forza e di debolezza, in Ec. cult., 2024, pag. 159 ss.

[3] L. Casini, Le metamorfosi del ministero della Cultura e le incongruenze dell’organizzazione amministrativa, in Aedon, 2024, 2, pag. 105 ss.

[4] A. Mastromarino, Stato e memoria, Milano, Franco Angeli, 2018, pag. 135 ss.

[5] I finanziamenti inadeguati alla cultura rappresentano una “questione (...) antica, quel tanto che serve a renderla strutturale, un miserevole filo rosso che attraversa i decenni”. Così F. Erbani, Lo stato dell’arte. Reportage tra vizi, virtù e gestione politica dei beni culturali, San Cesario di Lecce, Manni, 2024, pag. 35 s.



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