“Il diritto dei beni culturali” – Papers Convegno OGIPaC (27 maggio 2021)
Blockchain e mercato delle opere di interesse artistico: piattaforme, nuovi beni e vecchie regole
Sommario: 1. Compravendita di opere d’arte e nuove tecnologie disruptive: la ricerca (ormai cronica) di fiducia nel mercato. - 2. L’ascesa di blockchain: dalle criptovalute al (maldestro) riconoscimento nel Decreto Semplificazioni. - 3. La validazione temporale tramite blockchain e le possibili conseguenze sui regimi giuridici in punto di rimedi contrattuali, tutela del proprietario e acquisto a non domino. - 4. Il problema del blockchain air gap: la ricerca di soluzioni tecnologiche, gli standard di affidabilità e il coinvolgimento di enti qualificati. - 5. Token non fungibili e certificati di autenticità/titolarità: verso la creazione di nuovi beni? - 6. Nuove formule di proprietà diffusa dei beni culturali: tokenizzazione e rischio di un’opera ‘acefala’.
Blockchain and art market: digital platforms, new assets and old rules
Technological innovation of the art market through blockchain expands despite the absence of a specific regulatory framework on what legal effect results from the application of such mechanisms. The services that are offered spontaneously in the market show different nuances of the phenomenon, from the certification of the provenance to the issuance of non-fungible tokens (NFT), even for the purpose of fragmenting ownership. For now, risks seem to outweigh benefits for legal certainty.
Keywords: Blockchain; Token; Art Market; New Technologies.
1. Compravendita di opere d’arte e nuove tecnologie disruptive: la ricerca (ormai cronica) di fiducia nel mercato
Anche nella materia dei beni di interesse artistico [1], ricevono crescente considerazione fenomeni tecnologici di portata innovativa [2] che propongono di risolvere alcune disfunzioni, migliorando il rapporto di fiducia tra gli operatori del mercato e - lungo una ipotetica linea programmatica - persino quello tra gli operatori e le istituzioni deputate alla salvaguardia del patrimonio culturale [3]. Tra questi si annoverano i progressi nel campo dell’IA, soprattutto ove associata all’attività di elaborazione di raccolte di ingenti quantità di dati (big data) [4], gli impieghi produttivi e commerciali di realtà virtuale e realtà aumentata, l’automatizzazione della fase esecutiva dei rapporti contrattuali (smart contract [5]) e gli impieghi - attuali o immaginifici [6] - dei registri digitali diffusi, in specie della tecnologia blockchain [7].
Facendo nostra la prospettiva privilegiata del diritto dei beni culturali e, ancor prima, del regime circolatorio delle opere d’arte, è possibile notare come il variegato fenomeno blockchain, nelle sue scalari applicazioni al settore, configuri una delle epifanie tecnologiche che reclamano ancora maggiore attenzione [8], malgrado sia già possibile identificare nella pratica una pluralità di differenti sfumature. Operare una prima classificazione pare iniziativa meritoria per preparare il terreno ad ogni più approfondita analisi successiva.
Se si assume che l’incertezza renda gli acquirenti più diffidenti, aumentando i costi necessari ad una verifica professionale (dove possibile), e finendo in ogni caso per determinare una riduzione del valore dell’asset artistico o culturale [9], può effettivamente convenirsi sull’opportunità di stabilire anche attraverso l’impiego delle nuove tecnologie meccanismi volti ad accrescere l’affidabilità di quanto dichiarato dalla parte venditrice [10].
Malgrado le peculiarità di questo settore, sul piano civilistico non esistono strumenti appositamente rivolti ad offrire alle parti di un contratto di compravendita di un’opera d’arte tutele reciproche maggiori di quelle previste per qualsivoglia vendita mobiliare. A ben vedere, dal versante pubblicistico, alcune disposizioni tracimano oltre il loro alveo originale, cioè quello della protezione di interessi pubblici (su tutti, all’integrità dei traffici di beni artistici), producendo effetti rilevanti anche nella ricostruzione del regime privatistico a garanzia della parte acquirente [11]. L’insufficienza di questi strumenti appare, tuttavia, difficile da confutare. I margini lasciati alla fantasia creatrice della pratica sociale sono, allora, assai ampi.
La ricerca delle soluzioni fondate su blockchain mira proprio a tracciare le vicende creative, proprietarie e - in senso lato - circolatorie del bene artistico. Questa tecnologia, quindi, riserva attenzione ad aspetti salienti dell’opera, i quali hanno anche un primario rilievo giuridico: in modo diretto, la sua titolarità, la sua detenzione e la presenza di altri diritti eventualmente spettanti sul bene; in modo indiretto, la sua origine e storia, la sua attribuzione (dunque la sua autenticità) e la sua collocazione. Le soluzioni che vengono moltiplicandosi nello spazio digitale mirano spesso ad integrarsi con aste on-line ed e-commerce, nonché con servizi di valutazione dell’autenticità, servizi assicurativi e di valorizzazione espositiva, andando a costituire portali noti come Art Blockchain Network (ABN).
Nell’attesa di una compiuta disciplina anche nazionale che presidi le nuove frontiere tecnologiche, il regolatore - soprattutto europeo - è già parso volenteroso di misurarsi con i quesiti, gli spazi di conflitto e i bisogni di tutela che questa rivoluzione può aprire [12]. Il tema della blockchain applicata al mercato dell’arte è, però, ancora appannaggio delle iniziative private spontanee e della minima riflessione teorica che ne è seguita [13].
Eppure, anche rispetto a questo settore, sembrano ipotizzabili notevoli margini di interesse. Oltre a poter costituire uno strumento di tutela della privativa connessa ad un’opera d’arte quale manifestazione dell’ingegno, blockchain può, come visto, interessare altresì il piano dei rimedi applicabili ai contratti che hanno ad oggetti opere di interesse artistico nonché quello della stessa circolazione del bene, ossia delle vicende che riguardano la titolarità dell’opera.
La presa d’atto di quanto offerto dalle diverse piattaforme (in punto di certificazione della proprietà ed estensione delle modalità e facoltà di trasferimento) costringe a misurarne l’efficacia secondo le categorie del diritto municipale, il quale - come spesso ricordato dalla dottrina [14] - non dispone davvero di un apparato rimediale speciale rivolto alla sola compravendita di beni mobili di interesse artistico [15] né annovera un particolare regime pubblicitario diverso dal possesso.
Sotto quest’ultimo aspetto, l’osservazione del fenomeno giustifica i maggiori interrogativi attorno ad un dilemma, ossia se il regime ordinario di circolazione della ricchezza e le regole speciali di matrice pubblicistica dettate per i beni culturali costituiscano un complesso regolatorio elastico e in evoluzione, quindi capace di assorbire le novità proposte dalla blockchain, oppure configurino una barriera impermeabile, destinata a rigettare ogni istanza di cambiamento nel nome della protezione degli interessi coinvolti.
2. L’ascesa di blockchain: dalle criptovalute al (maldestro) riconoscimento nel Decreto Semplificazioni
Il fenomeno blockchain è rappresento dall’impiego crescente di reti (all’un tempo network e decentralized storage) fondate su uno schema digitale crittografico che rende possibile il trasferimento digitale, la certificazione e - in misura minore - la conservazione di dati, valori, diritti e informazioni tra i partecipanti, senza appoggiarsi all’intervento di enti terzi certificatori, permettendo altresì una agevole e trasparente consultazione di quanto registrato [16].
Tale interesse è inizialmente sorto a proposito del suo più precoce esempio pratico di impiego, i.e. la nota criptovaluta Bitcoin, apparsa nel 2008 e basata sull’omonimo protocollo, e delle successive concorrenti rappresentazioni digitali di valore basate su crittografia [17].
A seguire, lo spettro delle riflessioni si è presto esteso all’indagine sulle prospettive di applicazione della medesima tecnologia alla base di Bitcoin, cioè blockchain, ad altri campi ove essa è sembrata mostrare margini di utilità [18], introducendo l’idea di piattaforme senza intermediari, e dunque non accentrate, finalizzate a consentire la conclusione, formalizzazione e gestione di rapporti di scambio in un ecosistema digitale.
Fermi restando tutti i legittimi interrogativi sulle modalità e sui limiti entro i quali tale tecnologia possa effettivamente riscrivere consolidate dinamiche sociali o istituzionali, il fenomeno è parso attecchire soprattutto dove una data comunità si trovi a fare i conti con una mancanza di fiducia reciproca e con l’assenza di intermediari centralizzati, dal momento che blockchain offre una diversa ratio collaborativa (decentralized trust o trust-by-computation) [19].
In realtà, le blockchain possono funzionare in modo diverso l’una dall’altra. In genere, non tutti i partecipanti al network esercitano lo stesso ruolo attivo nel meccanismo autorizzatorio. Tale compito è svolto da utenti qualificati – c.d. miners - i quali, conferendo alla rete il potere di calcolo dei loro dispositivi, forniscono al sistema il quantitativo di potere computazionale necessario alla soluzione dei calcoli funzionali alla conclusione di un nuovo blocco di operazioni che andrà ad arricchire la blockchain [20].
Come anticipato, una graduale presa di coscienza globale del rilievo assunto da questo fenomeno ha decretato l’ingresso a pieno titolo di blockchain tra le tecnologiche portanti nello sviluppo del mercato digitale in molti settori economici (finanza, commodities, mercato assicurativo, mercato dell’arte, etc.) anche nuovi (digital asset), in diversi servizi strumentali (mezzi di pagamento, certificazione delle filiere produttive, rapporti peer-to-peer, contabilità, etc.) nonché - da ultimo - nella sperimentazione di piattaforme pubbliche per la gestione o l’erogazione di servizi ai cittadini.
In molti esempi, un’ibridizzazione delle piattaforme decentralizzate ha permesso la creazione di blockchain permissioned [21] o private [22], le quali consentono di restringere l’accesso dei potenziali utenti, richiedendone, ad esempio, l’identificazione, ovvero - più spesso - preselezionando i nodi deputati ad autorizzare le operazioni e, quindi, differenziando i ruoli all’interno della rete tra categorie di utenti titolati a concorrere nel procedimento di validazione e la restante generalità degli accessi, non in possesso delle medesime autorizzazioni.
Con crescente intensità, il dibattito pubblico ha concentrato le proprie attenzioni sulle implicazioni del fenomeno blockchain, in particolare nel settore delle criptovalute [23], segnalando - tra gli altri - i problemi relativi all’elevato consumo energetico derivante dal mining dei nuovi crypto asset e dalle operazioni di controllo, registrazione e approvazione che ogni transazione richiede [24].
La questione della sostenibilità, resa più pressante dalla circostanza che buona parte dei calcolatori coinvolti nella rete si colloca in paesi asiatici dove l’energia a basso costo è ancora prodotta attraverso un massiccio ricorso a combustibili fossili dall’alto impatto ambientale [25], ha aperto spazi per l’emergere di criptovalute alternative a Bitcoin, basate su protocolli più virtuosi, e spinto la seconda criptovaluta più diffusa (Ether) a considerare la transizione dal meccanismo di validazione delle transazioni proof of work al più efficiente protocollo di proof of stake [26].
Davanti alla fortuna di questa tecnologia, il legislatore ha inteso fornire anche nel nostro sistema un primo inquadramento giuridico della blockchain, attraverso l’introduzione di alcune significative (ma forse un po’ maldestre) definizioni quali quella - appunto - di “tecnologie basate su registri distribuiti” [27]. L’occasione si è concretizzata attraverso l’apposizione dell’articolo 8-ter (Misure di semplificazione per l’innovazione) al d.l. 14 dicembre 2018, n. 135 (Decreto Semplificazioni) in sede di conversione da parte della legge n. 12 del 2019.
Il comma terzo dell’articolo 8-ter ha disposto che la memorizzazione di un documento informatico per il tramite di queste tecnologie produce gli effetti giuridici della validazione temporale elettronica di cui all’art. 41, Reg. (UE) n. 910/2014, c.d. Regolamento eIDAS [28]. Lo strumento consiste nell’apposizione di una marca temporale, servizio di regola offerto da un Certificatore accreditato, che consente di associare data e ora certe e legalmente valide a un documento informatico, permettendo una validazione elettronica temporale del documento opponibile a terzi. Esso produce una presunzione legale relativa sulla data e l’ora di un certo dato digitale.
Dunque, dal riconoscimento delle tecnologie basate sui registri distribuiti deriva oggi l’ammissibilità dei dati in essi validati come prova in giudizio, senza tuttavia che la funzione possa rilevare in punto di veridicità di quanto contenuto nel dato registrato.
3. La validazione temporale tramite blockchain e le possibili conseguenze sui regimi giuridici in punto di rimedi contrattuali, tutela del proprietario e acquisto a non domino
L’epifania più elementare di blockchain applicata al mercato dell’arte consiste nell’offerta di questa tecnologia da parte di alcune piattaforme ad artisti, collezionisti, operatori professionali o altri stakeholder per uno scopo di pubblicità giuridica. Attraverso servizi di notarizzazione, si offre semplicemente di certificare alcuni dati relativi ad un’opera d’arte, i quali vanno a costituire la provenance del bene (titolarità, origine, storia, natura, autenticità, attribuzione, collocazione, etc.). La marcatura temporale proposta da questi portali (trasparente e tamper-proof) ha ad oggetto informazioni (o presunte tali) certamente necessarie a definire il bene ai fini della sua eventuale circolazione secondo gli strumenti ordinari. L’offerta di questo servizio si accompagna alla promessa di mettere l’interessato al riparo dalla contraffazione dell’opera, dalla sua circolazione illecita, nonché dall’esercizio non autorizzato degli eventuali diritti IP sulla stessa [29].
Si tratta di un meccanismo utile a consentire ad artisti, collezionisti e operatori professionali di precostituirsi, mediante marcatura temporale, una prova certa circa l’esistenza - in un dato momento - di un determinato set di informazioni registrate [30]. Può trattarsi della data di creazione del bene o di quella del suo acquisto ovvero della sussistenza di un diritto sul bene diverso dalla proprietà. In seguito, l’esistenza di quel record hic et nunc, potrà costituire fatto idoneo a fondare l’inferenza logico-presuntiva da cui desumere il fatto ignoto a beneficio dell’interessato (paternità dell’opera, titolarità, altro diritto, etc.) [31].
Il certificato così creato può persino andare incontro ad autonome vicende circolatorie mediante le stesse piattaforme: questa prospettiva solleva ulteriori problematiche (v. infra).
Nel mercato dell’arte questi strumenti possono rappresentare un valido ausilio a garanzia dell’attribuzione dell’opera, quindi della sua attendibile autenticità e della provenienza da chi ne possa legittimamente disporre [32]. Soprattutto nel campo dell’arte contemporanea (in specie, in quella prodotta da artisti viventi) ove l’opera venga registrata al momento della sua prima immissione sul mercato, una catena dei record certificati nella blockchain finirebbe per dare vita ad una sorta di registro mobiliare ufficioso, da cui ricavare tanto la riconducibilità alla mano di un determinato artista quanto l’intestazione ad un certo soggetto proprietario [33].
Come implicitamente anticipato supra, due sono i piani dove merita valutarsi l’impatto di questa tecnologia.
Per un verso, in relazione ai problemi di autenticità e corretta attribuzione dell’opera, l’esistenza di questi registri sembra contribuire a riscrivere il concetto di difformità del bene artistico compravenduto.
A mo’ di premessa, giova ricordare che a vizi diversi corrispondono ad oggi, nella giurisprudenza, rimedi diversi [34], ma da decenni è la figura della cessione di aliud pro alio ad occupare buona parte della scena: ad essa la Corte di Cassazione ricorre quando l’opera scambiata sia dichiarata nel contratto come realizzata da un determinato autore mentre si scopra, in seguito, che la paternità è piuttosto da attribuire ad altro artista [35].
Ebbene, guardando al ridotto margine applicativo che residua in favore del rimedio dell’annullabilità per errore o per dolo [36], l’esistenza di un registro blockchain, consultabile da parte di chiunque, prospetterebbe alcune deviazioni. Se, per un verso, tale registro contribuirebbe in modo decisivo a restringere in concreto gli spazi di possibile confusione, dall’altro lato, renderebbe in ogni caso conoscibile alla controparte (o, comunque, bilaterale) l’errore (a quel punto davvero implausibile) sulla natura dell’opera. Dove, viceversa, l’errore nasca dal medesimo dato certificato e non sia bilaterale, peraltro, non potrebbe neppure escludersi che la parte venditrice lo abbia indotto con dolo.
Veniamo ora all’influenza di un’eventuale notarizzazione blockchain sul fondamento del rimedio pretorio dell’aliud pro alio, cioè sulla garanzia esplicita o implicita di una certa attribuzione dell’opera: rafforzando una tendenza già in atto, la riferibilità del bene ad un certo artista o ad un certo periodo storico - uscendo dall’equivoco - diventerebbe circostanza consustanziale ad ogni transazione certificata.
A trarne beneficio sarebbe soprattutto il venditore, nella misura in cui graverebbe sul compratore l’onere di provare che l’attribuzione effettiva non coincide con quella registrata. Il venditore sarebbe agevolato nell’eccepire la propria buona fede, per aver confidato nella bontà della registrazione sulla base di una condotta diligente. Sicché i margini per la risoluzione del contratto e la responsabilità per gli eventuali danni causati verrebbero a coincidere con un sindacato negativo sulla corrispondenza tra quanto promesso e quanto registrato nella blockchain [37].
Un diverso livello è quello relativo alla proprietà sull’opera, tema portante nelle azioni di rivendica (di un bene oggetto di furto) svolte nei confronti del possessore [38], e situazione giuridica a rischio di subire un pesante sacrificio nelle ipotesi di acquisto a non domino.
Dinanzi all’insistita intransigenza della giurisprudenza, in effetti, l’impiego della validazione temporale in parola potrebbe, alla lunga, semplificare il gravoso onere probatorio in capo al preteso proprietario, privato del bene dall’azione criminosa, favorendo tanto la tracciabilità degli eventuali acquisti a monte, quanto la prova del titolo astrattamente idoneo e del possesso (proprio o del de cuius) ai fini dell’usucapione.
Venendo allo speculare tema degli acquisti a non domino, è ben noto che per beni mobili non registrati - quali le opere d’arte sono - la pubblicità si attua con il possesso. Introdurre la facoltà per l’interessato di realizzare e certificare una chain of custody, trasparente ed accessibile, significa acconsentire ad un meccanismo che può sia accompagnare che interferire con il regime giuridico del diritto comune.
Anche qui, pare difficile valutare l’apporto di blockchain in modo definitivo. La prima opzione corrisponderebbe alla tentazione di rendere applicabile l’art. 1156 cod. civ. e quindi inapplicabile la regola del possesso vale titolo alla stregua di veri e propri beni mobili registrati. L’ipotesi è tuttavia da escludere, trattandosi di una pubblicità spontanea che sfugge al controllo pubblico [39].
Più opportunamente, stante la fonte dei registri, il vantaggio che è possibile a buon diritto ricavare dalla loro esistenza sembra quello di garantire all’interprete un parametro obiettivo di riferimento nell’applicazione del combinato disposto degli artt. 1153 e 1147 cod. civ.
In altre parole, la possibilità di verificare sulla blockchain la presenza di informazioni certificate relative ad un determinato bene può costituire il paradigma attraverso cui giudicare se alla base dell’eventuale possesso conseguito dal terzo in buona fede vi sia o meno una grave colpevolezza, rimodulando dunque in chiave di verifica - lato sensu - pubblicitaria la diligenza pretesa [40].
Vero è che la buona fede di colui che ha acquistato da chi non era proprietario viene presunta ex art. 1147, comma 3, cod. civ., ma la giurisprudenza è parsa incline ad accantonare tale presunzione in presenza di elementi di fatto eloquenti [41], che nel caso del mercato degli oggetti d’arte sono vieppiù soggetti a massime di esperienza che impongono nella pratica massima cautela nell’acquisto, a fronte dei consistenti rischi. La validazione temporale offerta da blockchain si inscriverebbe in questo quadro, conducendo l’osservatore ad una constatazione: la diffusione di questo strumento ribalterebbe il rapporto tra regola ed eccezione, marchiando come non scusabile l’inconsapevolezza di chi, comprando un’opera d’arte, manchi di consultarne le risultanze informatiche, ove accessibili.
4. Il problema del blockchain air gap: la ricerca di soluzioni tecnologiche, gli standard di affidabilità e il coinvolgimento di enti qualificati
A questo punto, occorre porre attenzione critica al fatto che la blockchain cui taluni di questi portali si affidano appare essere privata: mancando indicazioni relative ad una effettiva distribuzione e decentralizzazione dei registri [42], sembra chiaro che il servizio reso non presenti all’utente quelle caratteristiche ordinanti dei sistemi blockchain permissionless (come i protocolli di consenso e gli incentivi economici), che pure sul piano tecnico dovrebbero costituire la vera giustificazione degli effetti giuridici della validazione temporale elettronica.
Diversamente opinando, verrebbe a consentirsi una notarizzazione per mezzo di sistemi posti nel controllo esclusivo dell’impresa proprietaria della piattaforma. Simili blockchain ripropongono i problemi di governance tipici della centralizzazione. Solo elevate garanzie sotto questo profilo autorizzerebbero l’interprete più accorto a ritenere certificante la relativa registrazione. Altrimenti, anche in presenza di una validazione temporale correttamente eseguita, si dovrebbe considerare la registrazione offerta dal provider priva di qualsivoglia forza probatoria verso i terzi estranei alla rete.
Vero è che lo stesso comma 3 dell’art. 8-ter del decreto semplificazioni di fine 2018 non menziona queste caratteristiche, finendo così per ricomprendere - almeno ad una interpretazione letterale - anche taluni sistemi permissioned, che null’altro sono se non database tradizionali non strettamente centralizzati.
Se molto del successo di queste iniziative si deve alle potenzialità che esse sprigionano nel campo della digital art, come si intuisce, maggiori perplessità sorgono con riguardo al mercato delle opere - per così dire - analogiche [43]. Ciò che viene notarizzato, infatti, continua ad equivalere ad una mera dichiarazione proveniente dal soggetto che l’ha resa, a poco valendo il controllo che possa svolgere la stessa piattaforma. Al proposito, tutte le discussioni menzionano l’episodio provocatorio di chi, registratosi su uno dei più noti portali (Verisart), tentò con successo di iscrivere sulla blockchain un record relativo alla sua paternità e titolarità della Gioconda [44].
Oggi, la stessa piattaforma - corsa medio tempore ai ripari con alcuni correttivi - distingue l’inserimento di dati nella blockchain da parte di utenti anonimi (e, dunque, non verificati) dalle richieste di certificazione provenienti da artisti e loro rappresentanti, i quali sono sottoposti ad una preventiva autenticazione.
Il nervo scoperto di questi strumenti è quello che viene definito il “blockchain air gap”, cioè lo iato tra il dato inserito nel registro e la realtà sottostante [45].
Tra le soluzioni avanzate, alcune proverebbero ad assicurare la relazione tra oggetto d’arte e il certificato blockchain attraverso l’emissione di: un QRcode da apporre sull’opera [46]; ovvero un Near Field Communication (NFC) tag [47].
Per quanto sofisticati possano divenire, tali strumenti subordinano pur sempre la costituzione del legame tra opera d’arte e registro all’apposizione fisica di un dispositivo sul bene [48], non garantendo l’inalterabilità del nesso tra una certa opera e un dato evento, pur correttamente inserito nel registro e dunque - di per sé - immutabile [49]. Resta, insomma, evidente la vulnerabilità del nesso originario tra la sequenza di dati iscritti e validati, da una parte, e il bene che ne dovrebbe costituire l’oggetto, dall’altra.
Un ulteriore aspetto da notare nel funzionamento di queste piattaforme - e si tratta di una peculiarità di blockchain - è la disintermediazione dovuta al fatto che l’utente liberamente confeziona il record destinato ad essere certificato nei blocchi dal concorso dei nodi, senza che particolari enti pubblici o privati, expertise di settore, pubblici ufficiali, intervengano ad asseverare quanto introdotto nel registro.
Attese però le problematiche ricordate supra, la sfida che alcune piattaforme si sono intestate è divenuta quella di trovare soluzioni che possano rafforzare il valore della certificazione attraverso il coinvolgimento di competenze e istituzioni private per asseverare la qualità del dato iscritto.
L’esempio più significativo è quello del portale Artory, il quale - oltre a collazionare la fotografia e la presunta provenance delle opere d’arte presenti nelle più importanti istituzioni museali nordamericane - offre ai propri clienti la registrazione su blockchain solo di opere le cui informazioni siano state verificate da un partner qualificato, quale ad esempio una casa d’aste o una galleria o un museo, enti cioè che assicurino uno standard elevato di ricerca su origine, attribuzione e circolazione del bene.
In disparte come questo proposito possa contraddire la stessa filosofia ispiratrice di blockchain (che intende prescindere dall’intervento di un terzo garante), merita concentrarsi sull’asserita intenzione della compagnia di avvalersi di un soggetto “terzo, neutrale e indipendente”, dotato del richiesto expertise. A questo precipuo riguardo, balzano agli occhi almeno due temi.
Il primo è che, ove si tratti di un’opera che ha già costituito oggetto di vicende circolatorie, nel momento in cui un record viene inserito ex novo nella blockchain, l’unico dato oggetto passibile di validazione è quello relativo all’ultimo atto dispositivo posto in essere ovvero all’ultima situazione di possesso dell’opera; gli altri dati sulla storia del bene, più significativi per l’eventuale rivendica, pur asseverati autorevolmente, restano acriticamente mutuati dalla loro fonte.
Per quanto riguarda il passato, insomma, blockchain non aggiunge nulla a ciò che sarebbe già oggetto dell’obbligo di disclosure da parte del venditore in sede di asta o di trattativa. Anche in Italia, peraltro, già sussiste l’obbligo - di cui all’art. 64 del Codice dei beni culturali - di consegnare il Certificato di Autenticità ovvero di rendere l’opportuna dichiarazione sostitutiva, sicché diventa ragionevole dubitare dell’efficacia di un meccanismo facoltativo (ancorché sospinto da incentivi reputazionali) che si sovrappone ad un dovere già in essere e dimostratosi non risolutivo [50].
Il secondo rilievo è che le case d’asta, le gallerie e le istituzioni museali non ricoprono soltanto il ruolo di certificatori di questi dati. Essi sono anche fornitori delle informazioni e, persino, in qualità di venditori, intermediari o acquirenti, parti direttamente interessate dalle transazioni [51].
Sembra semmai che l’intervento di questi partner fornisca soltanto il pretesto per assicurare l’anonimato del soggetto collezionista o altro acquirente o venditore, senza con ciò condannare l’informazione inserita e certificata ad una irrilevanza sul piano esterno.
5. Token non fungibili e certificati di autenticità/titolarità: verso la creazione di nuovi beni?
Nell’emettere certificati di autenticità (o attestanti altra caratteristica ugualmente inserita nella blockchain), un numero crescente di ABN si avvale della creazione di token non fungibili (NFT) [52], la cui circolazione è resa possibile, poi, in seno alla stessa piattaforma. Dalla mera funzione di notarizzazione del dato, si passa alla creazione di un bene (token) che incorpora informazioni univoche che possono risultare essenziali per la prova della effettiva titolarità dell’opera [53].
I fenomeni contraddistinti dall’introduzione di token nel mercato dell’arte possono in realtà essere molto diversi tra loro. Tutti suscitano interesse se osservati attraverso la lente dello studioso di diritto civile [54].
Già nel dibattito internazionale, si tende a operare alcune differenziazioni in base alla natura e alla funzione del token [55]: ci sono i c.d. naked (o native) blockchain asset, che sono generati da un protocollo autonomo, utilizzato anche per registrarne le transazioni, ma non corrispondono ad alcunché nel mondo reale; sono, invece, detti utility token quelli che attribuiscono al loro titolare la facoltà di accedere ad un servizio o contenuto che può essere, o meno, offerto nello stesso protocollo; infine, si rinvengono veri e propri crypto asset, i quali rappresentano sulla blockchain quello che è già considerato “valore” o “diritto” secondo l’ordinamento.
Guardando al settore artistico, non pare così scontato sussumere entro queste categorie i fenomeni di tokenizzazione dell’opera d’arte.
Il servizio che ha avuto più fortuna è quello sagomato sulle peculiarità del mercato dell’arte digitale [56], dove blockchain si mostra - in effetti - come una risposta adeguata alla ricerca di ontologica legittimazione che contraddistingue questa forma di arte [57]. Associando un’opera digitale a un NFT diviene possibile la certificazione della sua originalità e autenticità; quindi, generando un fenomeno di “scarsità digitale” [58], diventa possibile affermare la proprietà dell’opera, tracciarne la storia (dalla firma dell’artista all’ultimo collezionista che la detiene) e consentirne lo scambio su diversi decentralized marketplace.
Questi ABN [59], concedendo la possibilità di conservare e scambiare NFT, istituiscono forme di interazione disintermediata tra artisti e collezionisti, che favoriscono lo scambio di opere d’arte digitali dietro a corrispettivi in criptovalute, permettendo all’artista (nonché alla piattaforma medesima) di ricevere automaticamente, tramite smart contract, una percentuale anche delle successive rivendite.
Dunque, il più innovativo campo di applicazione di blockchain all’arte è il peculiare fenomeno della crypto art [60]. Un movimento artistico in cui l’autore crea opere d’arte (immagini fisse o animate, spesso in collaborazione stretta con la tecnologia [61]) destinate ad essere diffuse tramite blockchain e il sistema peer-to-peer InterPlaneraty File System (IPFS).
Come detto, la tecnologia blockchain consente di realizzare ‘edizioni limitate’ di opere d’arte digitale. Non è facile però comprendere cosa giustifichi un valore di scambio del NFT così emesso, in particolare laddove l’opera resti liberamente fruibile. Permane - insomma - incertezza su cosa significhi possedere un’opera di questo tipo [62].
Alcuni tentativi di teorizzare la crypto art riferiscono la specialità di tali opere proprio al fatto che il relativo token unico sia detenuto in modo esclusivo dall’acquirente mentre esse restano visibili a tutti nonché infinitamente riproducibili. L’auspicio - al più - sembra quello di poter limitare la simultanea fruizione dell’opera d’arte, in modo da favorire lo sviluppo del prestito secondo tecniche espositive parimenti tecnologiche. Nella lunga era della riproducibilità tecnica dell’opera d’arte, la crypto art esorcizza, insomma, il dilemma dello ius excludendi alios dei contenuti digitali (facendosene quasi beffa), pur serbando il suo racconto diverse aporie logiche.
La sua caratteristica più intrigante, allora, resta il fatto che - attraverso il token - il bene appare costituito non soltanto dall’immagine ma altresì dai relativi dati e metadati certificati nella stessa blockchain (autore, quotazione iniziale e finale, vicende circolatorie, etc.). Difficile constatare se il protocollo si limiti o meno a rappresentare quanto già è riconosciuto dall’ordinamento. Per molti versi, questi registri sembrerebbero creare valore ex novo. Eppure, la consistenza del token suggerisce forse di ricercare un antecedente logico-giuridico, cioè una situazione giuridica incorporata, che tuttavia pare potersi trovare solo allontanandosi dalle prerogative proprietarie, nelle pieghe del nostro sistema, in una zona grigia tra il diritto morale e il copyright.
6. Nuove formule di proprietà diffusa dei beni culturali: tokenizzazione e rischio di un’opera ‘acefala’
Di diversa natura, ancorché per molti aspetti contigue, sono le ipotesi di creazione di nuove formule proprietarie diffuse, connesse ad un bene artistico materiale (o analogico, che dir si voglia) e fondate su tecnologia blockchain. Esse si basano, in specie, sulla c.d. tokenizzazione di un asset culturale, cioè sulla scomposizione della titolarità sul bene in micro-quote scambiabili sullo stesso portale, in un fenomeno che - come pare ovvio - si associa a forme di differenziazione delle facoltà attribuite ai comproprietari [63]: restano esclusi dalla circolazione sia il possesso materiale dell’opera, perché essa resta nella custodita di uno dei titolari, sia la facoltà di godimento [64].
Lo scopo è quello di consentire ad una pluralità di investitori di acquistare, detenere e scambiare tali quote, il cui valore dovrebbe essere garantito e sostenuto dalla facilità e trasparenza con cui esse possono essere compravendute e conservate sulla piattaforma [65].
Solitamente il bene si trova già nella disponibilità del gestore piattaforma, che mantiene anche la custodia. Sono possibili, però, anche iniziative che sperimentano questa tecnologia al fine di promuovere operazioni di crowdsource money, nella prospettiva cioè dell’acquisto congiunto di un’opera d’arte presso terzi. Ciò può avvenire nel perseguimento di uno scopo egoistico, speculativo, ovvero altruistico, ossia in funzione di una più estesa fruizione del patrimonio culturale, in ossequio ad un principio di accesso democratico all’arte.
Detto che l’attività descritta mostra non poche somiglianze con l’equity crowdfunding [66], un ulteriore aspetto merita di essere segnalato. Per quanto questi portali siano concepiti e operino in uno spazio giuridico che evidentemente mal tollera i confini statuali [67] e, dunque, i limiti e le forme del diritto municipale, il loro funzionamento realizza un’ipotesi assai particolare di comunione. La partecipazione si acquista e si esercita secondo meccanismi simili a quelli che si riscontrano nelle operazioni di cartolarizzazione o nel funzionamento di società di investimento: esiste, in effetti, anche in questa circostanza un veicolo che favorisce la circolazione [68] (i token che incorporano informazioni riferite alla proprietà dell’opera su blockchain) ma i diritti dei comproprietari sembrerebbero insistere sul bene e non sul veicolo, e ciò è dimostrato dal fatto che il flottante non è costituito da quote sociali bensì da titoli che provano la spettanza di una frazione del diritto di proprietà [69].
Si tratta di formule di accesso proprietario all’arte sulle quali le autorità nazionali non hanno ancora avuto occasione di esprimersi direttamente, per quanto consta. Al loro sviluppo non sembra accompagnarsi - per ora - l’assunzione di alcun accorgimento in merito all’osservanza dei regimi nazionali di tutela, ove applicabili. Nella prospettiva del diritto italiano, molti caveat sarebbero da rivolgere ai responsabili delle piattaforme perché strutturino l’impiego di queste tecnologie in modo tale da non eludere le disposizioni protettive.
Ove si applicasse la legga italiana, i soggetti (anche solo temporaneamente) titolari di beni di interesse culturale ai sensi degli artt. 10 e ss. del Codice dei beni culturali, sarebbero tutti chiamati a consentire all’autorità di esercitare i compiti di vigilanza e i poteri di ispezione a norma degli artt. 18 e 19, di protezione ai sensi degli artt. 20 e ss., di conservazione ex artt. 29 e ss. In forza dell’art. 30, comma 3, privati proprietari, possessori o detentori di beni culturali sono tenuti a garantirne la conservazione e, a norma dell’art. 32, detti interventi conservativi possono addirittura essere imposti dal ministero.
Insomma, configurandosi un insieme di precetti, qualificabili per un verso come obblighi sussumibili entro la categoria delle obbligazioni propter rem, per altro come oneri connessi comunque all’esercizio del diritto sul bene, resterebbe centrale per l’autorità di controllo poter identificare in ogni momento chi siano i soggetti proprietari, destinatari dei provvedimenti di tutela.
Perplessità ancora maggiori sorgono intorno alla facoltà di trasferire in modo tanto immediato (e senza particolari formalità) porzioni di un bene culturale tokenizzato, secondo un procedimento che - qualora riguardasse, appunto, un bene sottoposto al diritto italiano - rischia di porsi in radicale contrasto con gli artt. 59, comma 1, e ss. del Codice dei beni culturali [70].
Note
[1] La trattazione si servirà spesso (indiscriminatamente) di espressioni come “opere d’arte” o “oggetti d’arte” ovvero - ancora - “beni di interesse artistico”. Le considerazioni qui svolte riguardano, infatti, in generale tutti i beni mobili che sono suscettibili di ricevere nella prassi di mercato una qualificazione in questi termini, a prescindere dunque dalla sussistenza di un eventuale interesse culturale (presunto o dichiarato dall’autorità preposta) ai sensi della normativa di tutela. Dove, poi, sorgano motivi specifici di possibile frizione tra gli strumenti tecnologici e il regime speciale dettato per il patrimonio culturale, il riferimento sarà ristretto conseguentemente alla nozione tecnico-giuridica di “bene culturale”, come scolpita dal Codice dei beni culturali.
[2] È possibile apprezzare alcuni spunti sulle interessanti relazioni tra settore dell’arte e novità tecnologiche nella panoramica offerta da M. Sterpi, L’impatto delle nuove tecnologie sulla creazione, distribuzione e vendita delle opere d’arte, in L’opera d’arte nel mercato. Principî e regole, (a cura di) G. Liberati Buccianti, Torino, 2019, pag. 214 ss.
[3] Alcune delle novità che giungono a lambire il mercato dell’arte riproducono in questo settore intuizioni maturate altrove. L’espansione a macchia d’olio è un processo comune alle tecnologie che ambiscono ad affermarsi come disruptive innovation. Questo fortunato sintagma compare per la prima volta nel campo degli studi di economia dell’innovazione di J.L. Bower, C.M. Christensen, Disruptive technologies: Catching the wave, in Harvard Business Review, Vol. 73, No. 1, 1995, pagg. 43-54.
[4] Si v. sul punto i contributi che compongono il recente volume R. Cavallo Perin (a cura di), L’amministrazione pubblica con i big data: da Torino un dibattito sull’intelligenza artificiale, Quaderni del Dipartimento di Giurisprudenza dell’università di Torino, 2021, passim.
[5] Il lemma si deve a N. Szabo, Smart contracts: formalizing and securing relationships on public networks, in First Monday, 2(9), 1997, riferito a contratti che combinano protocolli informatici con interfaccia utente per dare esecuzione ad un accordo. Con l’introduzione della tecnologia blockchain il loro utilizzo è divenuto più facile e, dunque, la categoria degli smart contract ha prodotto nuovi interessi (pratici e di studio). Cfr. V. Buterin, A Next-Generation Smart Contract and Decentralized Application Platform, Ethereum white paper, 3 (37), 2014; P. Cuccuru, Blockchain e automazione contrattuale. Riflessioni sugli smart contract, in Nuova giur. civ. comm., 2017, pag. 111 ss.; D. Di Sabato, Gli smart contracts: robot che gestiscono il rischio contrattuale, in Contr. impr., 2017, pag. 378 ss.; R. De Caria, The Legal Meaning of Smart Contracts, in Eur. Rev. Priv. Law, 2019, pag. 731 ss.
Secondo una facile equazione, alcune analisi collocano il fenomeno entro la categoria dei c.d. “contratti intelligenti” (si veda L. Parola, P. Merati, G. Gavotti, Blockchain e smart contract: questioni giuridiche aperte, in Contr., 2018, pag. 681 ss., spec. 683. Più corretta sembra, però, la qualificazione di E. Rulli, Giustizia predittiva, intelligenza artificiale e modelli probabilistici. Chi ha paura degli algoritmi?, in An. giur. econ., 2018, pag. 543, secondo cui gli smart contract sarebbero piuttosto semplici modalità di esecuzione automatica del contratto, applicabili ad una varietà di tipi contrattuali. A questa opzione aderisce anche A. Di Martino, L’amministrazione per algoritmi ed i pericoli del cambiamento in atto, in Dir. econ., 2020, 3, pag. 601.
[6] Nonostante le decantate potenzialità di blockchain, quasi “mystical and near-unlimited”, un profondo scetticismo sulla possibilità che tale tecnologia si affermi (tantopiù in modo disruptive) è espresso da E. Schuster, Cloud Crypto Land, in Modern Law Rev., 83(1), 2020, passim, che - prendendo anche in esame i settori non-currency - argomenta sottolineando i molti ostacoli giuridici e pratici che sussistono in tutti gli attuali ordinamenti.
[7] Per avere contezza del dibattito internazionale sulla definizione di blockchain si veda K.F. Low, E. Mik, Pause the Blockchain Legal Revolution, in Intern. Comp. Law Quart., 2020(69), pag. 135 ss.
Nella dottrina italiana, ex multis, si v. F, Delfini, “Blockchain”, “Smart Contracts” e innovazione tecnologica: l’informatica e il diritto dei contratti, in Riv. dir. priv., 2019, 2, pagg. 167-178. Sulla evoluzione di blockchain e, in specie, sull’approdo all’utilizzo della tecnologia nel settore pubblico si veda G. Gallone, Blockchain, procedimenti amministrativi e prevenzione della corruzione, in Dir. econ., 2019, 3, pag. 187 ss., spec. 192 ss.
Sempre nell’ambito delle politiche pubbliche si colloca l’interessante meccanismo di verifica diffusa (“dispersed verification”) nella raccolta dei dati ambientali illustrato da: Allena, Blockchain Technology for Environmental Compliance: Towards A “Choral” Approach, in Environmental Law Review, 50(4), 2020, spec. pag. 19 ss. e 30 ss., secondo cui esso sarebbe capace di generare livelli più elevati di adesione agli standard ambientali e di superare la giustapposizione tra i due principali approcci di intervento nella materia (command-and-control e strumenti market-based), grazie al coinvolgimento collaborativo delle autorità di regolazione e dei cittadini nel monitoraggio. L’assunzione principale è che investire nella trasparenza dei dati ambientali, ove essi siano certificati, porta ad una più tempestiva risposta e ad un maggiore rispetto da parte delle imprese che realizzano le emissioni.
[8] Lo dimostra l’attenzione già riservata al tema su questa rivista da G. Magri, La Blockchain può rendere più sicuro il mercato dell’arte?, in Aedon, 2019, 2, nonché l’accurato ritratto offerto da G. Frezza, Blockchain, autenticazioni e arte contemporanea, in Dir. fam. pers., 2020, pag. 489 ss.
[9] Sulle evidenze mutuabili dalla scienza economica in punto integrità del mercato dell’arte quale bene pubblico e incidenza sul prezzo di mercato, si veda A. Barenghi, Considerazioni sulla tutela dell’opera d’arte nel mercato, in Riv. dir. comm., 2019, 3, pag. 433 ss.
[10] Il tema che maggiormente occupa gli autori è quello dell’attribuzione dell’opera d’arte, cui - in effetti - può conseguire il problema della autenticità del bene compravenduto. Trasmette la misura dell’attenzione massima verso questo profilo A. Donati, Autenticità, authenticité, authenticity dell’opera d’arte. Diritto, mercato, prassi virtuose, in Riv. dir. civ., 2015, 4, pagg. 987-1025.
[11] È il caso, su tutti, dell’art. 64, Codice dei beni culturali, che obbliga alla consegna della documentazione attestante l’autenticità o almeno la probabile attribuzione e la provenienza di un’opera, ovvero - in assenza di tale documentazione - al rilascio di una dichiarazione sostitutiva (su copia fotografica del bene) recante tutte le informazioni disponibili in merito ai medesimi aspetti. Giova rammentare che, diversamente da quanto accade per le altre disposizioni contenute nel Codice, questa si rivolge alla compravendita di qualunque oggetto d’arte, a prescindere dalla sussistenza di un interesse culturale a norma degli artt. 10 e ss.
[12] L’UE promuove politiche per consentire e accelerare l’innovazione in un quadro giuridico coerente con i valori europei. Proprio migliorare la sicurezza nelle supply chain globali rappresenta uno degli scopi per cui questo sostegno è realizzato e il mercato delle opere d’arte non sembra estraneo - pur con gli opportuni distinguo - alla tematica del bisogno di certificare in modo più sicuro le catene di fornitura. Il settore pubblico europeo, nell’ambito della European Blockchain Partnership, sta giocando un ruolo pionieristico nel dare vita ad una infrastruttura blockchain - la European Blockchain Services Infrastructure (EBSI) - destinata ad ospitare i servizi pubblici ma pronta, nel tempo, ad assicurare l’interoperabilità con le piattaforme del settore privato.
[13] Ben maggiore è già lo spazio che ha ottenuto il contiguo campo della IP, dove diversi osservatori hanno intrapreso analisi teoriche o empiriche per fornire un supporto alle iniziative private e pubbliche volte a servirsi di blockchain per una più efficiente gestione distribuita dei diritti di proprietà industriale e del diritto d’autore (nelle tre fasi in cui logicamente e cronologicamente si articola il “ciclo di vita” del diritto d’autore: la sua attribuzione; la circolazione del diritto di sfruttamento economico; la cessione dell’opera all’utente finale).
Per rimanere nel solo dibattito nazionale, si v.no C. Sandei, Blockchain e sistema autorale: analisi di una relazione complessa per una proposta metodologica, in Nuove leggi civ. comm., 2021, 1, pag. 194 ss.; V. Moscon, Tecnologie blockchain e gestione digitale del diritto d’autore e connessi, in Dir. ind., 2020, pag. 137 ss. Il caso più noto, con riferimento agli intellectual asset, è il servizio offerto da WIPO PROOF, un’infrastruttura per la generazione di token (con validità indefinita e conservati dalla piattaforma per un periodo di 5 anni) riportanti data e ora di un file digitale. Il portale è nato per iniziativa dell’Agenzia specializzata dell’Onu che persegue il rafforzamento della tutela della proprietà intellettuale su scala globale.
[14] G. De Cristofaro, La tutela degli acquirenti di opere d’arte contemporanea non autentiche tra codice civile, codice del consumo e codice dei beni culturali, in L’opera d’arte nel mercato, cit., pagg. 61-100, spec. 63, ora anche in Riv. dir. priv., 2020, 1, pagg. 29-66.
[15] In disparte ogni ulteriore criticità sollevata dall’applicazione delle nuove tecnologie, già di per sé il settore dei beni di interesse artistico pare attraversato da una sensibile vivacità dialettica in punto di adattamento delle disposizioni sulla vendita, in specie di quelle sulla vendita di cose mobili, e ivi quelle riguardanti la garanzia per vizi materiali e la responsabilità della parte venditrice per mancanza di qualità essenziali o promesse.
[16] Sulla ‘navigabilità’ dentro la rete come pilastro di questa tecnologia si veda G. Gallone, Blockchain, procedimenti amministrativi e prevenzione della corruzione, cit., pag. 193.
[17] La cifra del sistema Bitcoin è data dalla decentralizzazione delle funzioni amministrative e di supervisione, le quali vengono affidate agli utenti medesimi, che monitorano ed autorizzano ogni scambio, elaborando autonomamente le operazioni attraverso un meccanismo di consenso diffuso.
Per una acuta disamina dal punto di vista gius-privatistico, si veda G. Donadio, Dalla “nota di banco” all’informazione via Blockchain: profili civilistici e problemi applicativi della criptovaluta, in Giust. civ., 2020, 1, pag. 173 ss.
[18] M. Giaccaglia, Considerazioni su “Blockchain” e “smart contracts” (oltre le criptovalute), in Contr. impr., 2019, 3, pagg. 941-970.
[19] Le assunzioni - anche assiologiche - sottese a questa “fuga dall’autorità” sono ben esaminate da M. Atzori, Blockchain technology and decentralized governance: is the State still necessary?, in Journal of Governance and Regulation, 6(1), 2017, pag. 45 ss. Interessanti sono gli spunti di G. Gallone, Blockchain, procedimenti amministrativi e prevenzione della corruzione, cit., 200, che riassume il concetto sotteso al pactum tra partecipanti ad una rete ricorrendo all’espressione “dont’ trust, verify”.
[20] L’intero processo di verifica delle operazioni è chiamato mining per alludere a questa opera di estrazione, nei confronti della quale sono previste forme di incentivo economico, perlopiù attraverso l’assegnazione automatica di criptovalute. Di “wasteful by design” parla chi ha notato come il meccanismo presupponga una dispendiosa attività di calcolo da parte dei miner ‘sconfitti’ nel processo di creazione del nuovo blocco, la quale si rivela infine inutile. Così E. Schuster, Cloud Crypto Land, cit., pag. 7.
[21] Sono tali le reti soggette ad un’autorità centrale cui spetta di determinare chi possa farne parte della rete ovvero quale ruolo un utente possa ricoprire al suo interno, nonché quale regime di visibilità dei dati registrati si applichi.
[22] Si tratta di blockchain (di regola permissioned) non visibili controllate da un’organizzazione, che ne è proprietaria. Rinunciando a decentralizzazione, sicurezza e immutabilità, esse garantiscono una archiviazione più agevole dei dati, una maggiore velocità di esecuzione e soprattutto una sensibile riduzione dei costi di creazione dei blocchi. E. Schuster, Cloud Crypto Land, cit., pag. 19 ss., le chiama “Blockchains in Name Only”.
[23] Le preoccupazioni per un sistema bancario parallelo (c.d. shadow banking), il quale emette entità dematerializzate, prive di un valore intrinseco, adespote e acefale, sono ben sviluppate in G. Befani, Contributo allo studio sulle criptovalute come oggetto di rapporti giuridici, in Dir. econ., 2019, 3, pag. 381 ss., cui si rinvia anche per le riflessioni in tema di qualificazione giuridica della criptovaluta.
[24] Secondo il Cambridge Center for Alternative Finance (CCAF), citato da N. Carter, How Much Energy Does Bitcoin Actually Consume?, in Harv. Bus. Rev., 5 maggio 2021, la sola criptovaluta Bitcoin consumerebbe circa 110 TWh ogni anno, cioè il 0.55% del consumo globale di energia elettrica, un valore superiore a quello registrato dalla Svezia. Le più recenti stime del Bitcoin Energy Consumption Index spingono questo valore addirittura a 118 TWh.
[25] Le mining farms si sono storicamente localizzate per la maggior parte in Cina, nelle provincie dello Xinjiang, del Sichuan, della Mongolia Interna e dello Yunnan, dove il costo dell’elettricità è più ridotto. A causa della crescente ostilità del governo cinese, sarebbe nondimeno in corso una progressiva migrazione di miner verso altre zone del mondo, tra cui gli stessi USA (Texas) e il Kazakistan. Cfr. N. Carter, Go West, Bitcoin! Unpacking the Great Hashrate Migration, in www.coindesk.com, giugno 2021.
[26] Cfr. F. Saleh, Blockchain without Waste: Proof-of-Stake, in The Review of Financial Studies, 2021, pagg. 1156-1190.
[27] Sull’intervento normativo si v.no L. D’Agostino, R. Piselli, La definizione di tecnologia a registro distribuito e di smart contract nella legge di conversione del “decreto semplificazioni”. Un primo commento critico, in Blockchain e autonomia privata. Fondamenti Giuridici, (a cura di) A. Nuzzo, Luiss University Press, 2019, pag. 15 ss.; C. Bomprezzi, Commento in materia di Blockchain e Smart contract alla luce del nuovo Decreto Semplificazioni, in Dir. merc. tecn., 2019, pagg. 1-7; F. Sarzana di S. Ippolito, Blockchain e smart contract nel nuovo decreto semplificazioni, in Dir. Internet, 2019, pagg. 17-23, questi ultimi due, in particolare, sul rischio di erronea sovrapposizione - da parte del legislatore - tra distributed ledger technology e blockchain.
[28] Sul dubbio che quella menzionata dalla disposizione sia validazione temporale elettronica semplice o qualificata, si veda F. Faini, Blockchain e diritto: la “catena del valore” tra documenti informatici, smart contracts e data protection, in Resp. civ. prev., 2020, 1, pag. 297, spec. 304 ss., la quale pare propendere per la seconda ipotesi.
[29] Appartengono a questo insieme alcune iniziative sia italiane (per es. Art.Certo) che straniere (per es. Verisart, Codex, Blockchain Art Collective, etc.) che operano a valere su blockchain. Sono piattaforme specializzate nel rilascio di certificati di autenticità, certificati di titolarità o altri certificati relativi a metadati riferiti all’opera d’arte: esse registrano e validano qualsiasi informazione i collezionisti desiderino immagazzinare, fotografie, valutazioni, risultati di vendita del passato e altri documenti, mantenendo l’anonimato sulle informazioni personali dei partecipanti. Molte di esse operano a valere su blockchain pubbliche, già note per la circolazione delle criptovalute. Talvolta, sono associate ad altri servizi. Codex si coordina con un consorzio di operatori che vendono attraverso la piattaforma per aste on line liveauctioneers.com. Altre iniziative (v. Blockchain Art Collective) offrono servizi per il tracciamento dell’opera in transito e assistenza per la valorizzazione. L’elevato numero di alternative offerte dal mercato ha ispirato la nascita del consorzio Startrail (https:/startrail.io), per garantire l’aggiornamento dei dati certificati e l’interoperabilità tra le diverse piattaforme.
[30] Altrimenti, a norma dell’art. 2704 cod. civ. (che indica sia una serie di ipotesi specifiche, sia una clausola generale) l’attribuzione della cosiddetta “data certa” (e cioè della prova con validità erga omnes della formazione di un documento in un certo arco temporale o, comunque, della sua esistenza anteriormente ad un dato evento, deriva principalmente dal riscontro di un’attestazione fatta da un soggetto terzo ed imparziale depositario di pubbliche funzioni (ad es. notaio, ufficiale giudiziario, ufficio del registro, ecc.). Questa attestazione è di regola espressa al momento della formazione del documento stesso (ad es. nell’atto pubblico notarile), oppure deriva dalla successivamente conservazione, registrazione o semplice riproduzione di un documento in un pubblico registro (ad es. tenuto dall’Agenzia delle Entrate) o in atti pubblici. In assenza di una attestazione di carattere pubblicistico, una “data certa” efficace nei confronti dei terzi può derivare anche dalla presenza di “un altro fatto che stabilisca in modo egualmente certo l’anteriorità della formazione del documento”, tra cui la citata disposizione enuncia, a titolo esemplificativo, un evento oggettivamente successivo alla formazione e sottoscrizione del documento, ossia il “giorno della morte o della sopravvenuta impossibilità fisica di colui o di uno di coloro che l’hanno sottoscritta”.
[31] Resta fermo che tale meccanismo non costituisce prova nei confronti dei terzi rispetto all’attendibilità di quanto oggetto di registrazione. Né la blockchain può prevalere sulle forme di pubblicità già previste dall’ordinamento, seppure ad altro scopo (ad es. con il sistema vincolistico a scopo di tutela). Giova, inoltre, evocare la possibilità astratta che le risultanze di una blockchain si ponga in contrasto con la rappresentazione della realtà emergente da altre blockchain di pari tenore e valore.
[32] Infatti, più di qualcuno si è interrogato sul possibile ruolo di blockchain nel contrasto al traffico illecito di dell’arte antica. D. Fincham, Assessing the Viability of Blockchain to Impact the Antiquities Trade, in Cardozo Arts & Entertainment Law Journal, 37(3), 2019, pagg. 605-628; T. Moskowitz, The Illicit Antiquities Trade as a Funding Source for Terrorism: Is Blockchain the Solution?, in Cardozo Arts & Entertainment Law Journal, 37(1), 2019, pagg. 193-227.
[33] Notano, tuttavia, acutamente J. Bookout, L. Cimbol, S.L. Collins, D.L. Newman, A brief introduction to digital art & blockchain, in Cardozo Arts & Entertainment Law Journal, 37(3), 2019, pagg. 553-559, spec. 558, che “(1) such a registry would only work if it were comprehensive, and (2) blockchain’s rigorous verification requirements would be difficult to implement in an industry that prizes anonymity”.
[34] Per apprezzare la più completa disamina sulla evoluzione delle tendenze dottrinarie e - soprattutto - giurisprudenziali in tema di ripercussioni giuridiche della incerta o controversa paternità di un’opera d’arte compravenduta occorre guardare a M. Farneti, Quali rimedi contrattuali in caso di vendita di opere d’arte di paternità controversa, pt. I, in Nuova giur. civ. comm., 2011, pag. 429 ss. e pt. II, ivi, 479 ss. Riassume efficacemente A. Barenghi, Considerazioni sulla tutela dell’opera d’arte nel mercato, cit., pagg. 455-456, ove scrive che “il discrimine tra la tutela invalidatoria, sotto il profilo dell’errore (con conseguenti problemi in tema di prova della riconoscibilità dell’errore), e la tutela contrattuale per inadempimento è dato dalla sussistenza di una garanzia, esplicita o implicita, sull’attribuzione dell’opera oggetto di cessione che segna appunto lo spartiacque tra l’annullabilità per errore e la disciplina dell’inadempimento (mentre quando alla garanzia si aggiunge la malafede, la fattispecie può configurarsi altresì nei termini del dolo). [...] La vendita dell’opera d’arte, stipulata nel comune errore della sua autenticità, conduce alla risoluzione della vendita secondo il regime ordinario dell’inadempimento per aliud pro alio”.
[35] Al proposito, non possono che condividersi le considerazioni di G. De Cristofaro, La tutela degli acquirenti, cit., 64 ss., spec. 66, secondo cui - trattandosi di una ipotesi assai eccentrica di inattuazione del programma contrattuale contestuale alla conclusione del contratto - non sarebbe sufficiente il rinvio puro e sempre (che la giurisprudenza opera) alla risoluzione per inadempimento e alla responsabilità contrattuale.
[36] Il venditore non può che confidare nella disciplina dell’annullabilità del contratto per errore quando una falsa o inesatta rappresentazione della realtà materiale lo abbia penalizzato, portandolo a cedere un’opera per un prezzo irrisorio. Su questo preciso punto si veda M. Farneti, Quali rimedi contrattuali in caso di vendita di opere d’arte di paternità controversa, cit., pag. 432 ss., mentre, sui casi di errore della parte acquirente, pag. 436 ss.
[37] Nondimeno, è interessante notare che la prova di aver incolpevolmente ignorato la non autenticità di un’opera non dovrebbe impedire l’accoglimento anche della domanda di risoluzione del contratto proposta dall’acquirente (in quanto il bene difetta realmente delle caratteristiche che servivano a renderlo idoneo alla destinazione su cui le parti hanno convenuto) bensì solo di quella al risarcimento dei danni. In questi termini G. De Cristofaro, La tutela degli acquirenti, cit., 68, che si ispira espressamente a Luminoso, La compravendita, 9a ed., Torino, 2018, pag. 318.
[38] La Corte di Cassazione non usa alcuna indulgenza verso colui che asserisca di essere proprietario di un bene rubato e giunto presso un terzo, bensì lo costringe - sulla base di ragioni formalmente inoppugnabili - alla probatio diabolica. Così recentissimamente è stato ribadito in Corta Cass. 4 febbraio 2021, n. 2612, in Italgiure, ma l’orientamento non è nuovo, ritrovandosi almeno anche in Corta Cass. 20 gennaio 2017, n. 1593, in Italgiure.
[39] Deve essere di conseguenza scartata anche la possibilità che, nell’ipotesi di doppia alienazione, il bene artistico di cui sia validato prioritariamente l’acquisto sulla blockchain possa - per ciò solo - sfuggire all’art. 1155 in favore dell’applicazione dell’art. 2644 cod. civ.
[40] Il recitativo della giurisprudenza di legittimità (ex multis: Corta Cass. 19 settembre 1999, n. 9782, in Mass. Giur. It., 1999; Corte Cass. 20 gennaio 2017, n. 1593, cit.) è che la colpa grave (la quale rende irrilevante la buona fede al momento dell’acquisto) sia configurabile quando l’ignoranza dell’acquirente sia dipesa dall’omesso impiego di quel minimo di diligenza, proprio anche delle persone scarsamente avvedute, che avrebbe permesso di percepire l’idoneità dell’acquisto a determinare la lesione dell’altrui diritto.
[41] La prova della malafede o della colpa grave del possessore può essere data anche mediante presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, e tali da prevalere sull’indicata presunzione legale (così, tra le tante, Corte Cass. 16 maggio 1997, n. 4328, in Mass. Giur. It., 1997).
[42] Evidenzia bene questo paradosso E. Schuster, Cloud Crypto Land, cit., pag. 3 e 19 ss. che “although it is possible to minimise or even eradicate the waste and computational overhead of blockchain solutions by, essentially, re-centralising the ledger, resulting systems so closely resemble traditional, widely available databases that there is little reason to expect significant benefits from their adoption compared to the status quo”.
[43] Lo spazio di debolezza è ben messo in luce da D. Wierbicki, A.A. Rottermund, The newest technological trend in the art market, in Trusts & Estates Special Report, 2019, April, A15-A17.
[44] T. Eden, How I became Leonardo da Vinci of the blockchain, 2018, https://shkspr.mobi; sull’episodio anche W. Woo, ‘Leonardo da Vinci’ puts Mona Lisa painting on the blockchain, 2018, https://bitcoinist.com. Ne riferisce D. Whitaker, Art and Blockchain. A Primer, History, and Taxonomy of Blockchain Use Cases in the Arts, Artivate: a journal of entrepreneurship in the arts, 2019, vol. 8(2), pag. 21 ss.
[45] D. Whitaker, op. ult. cit., pag. 34, intesta la sfida a tutti gli operatori che offrono questo servizio, ricordando come essi siano impegnati a sperimentare a tutto tondo “ from physical tagging to DNA analysis to the ways in which the physical surface of an artwork can be recognizably photographed in the manner of a fingerprint”.
[46] Finanche nella sua versione più evoluta (c.d. Sixtrue), in cui l’univocità della identificazione è meglio garantita dalla creazione di un codice più sofisticato, cioè di un segno generato in fase di stampa in modo assolutamente casuale che non è riproducibile neppure dallo stampatore stesso.
[47] Ad es. https://blockchainartcollective.com/howitworks.
[48] È interessate il richiamo che fa G. Frezza, Blockchain, autenticazioni e arte contemporanea, cit., pag. 500, all’impiego sperimentale di una tecnologia che sarebbe capace di realizzare una scansione dell’opera e, quindi, di registrare una sorta di ‘biometria’ dell’oggetto attraverso l’individuazione di punti e regioni con caratteristiche salienti.
[49] Nemmeno può obliterarsi che vi possono ben essere circostanze in cui l’operazione di installazione del codice non risulti compatibile con la natura dell’opera ovvero con le sue insopprimibili esigenze di conservazione.
[50] Sottolinea A. Barenghi, Considerazioni sulla tutela dell’opera d’arte nel mercato, cit., pagg. 442-443 e 453 che nella prassi giurisprudenziale (es. Trib. Vicenza, 16 febbraio 2016, n. 313) “l’art. 64, richiedendo una dichiarazione ad un soggetto qualificato, che cura la compravendita o comunque il posizionamento dell’opera nel mercato, non costituisce una regola intesa solo a tutelare l’interesse del singolo acquirente, quanto invece rivolta al pubblico interesse, consistente nella tutela del patrimonio artistico e della correttezza commerciale, nell’interesse all’integrità del mercato dell’arte”.
G. De Cristofaro, La tutela degli acquirenti, cit., pag. 90 ss., ne sottolinea condivisibilmente i riverberi privatistici, apprezzando come questi doveri (dalla genesi pubblicistica) specifichino altresì gli obblighi precontrattuali di cui all’art. 1337 cod. civ. nonché le obbligazioni di consegna documentale poste dall’art. 1477 cod. civ. in capo al venditore.
[51] Basti a questo proposito rammentare che il principale partner di Artory è la casa d’aste Christie’s, con cui ha collaborato nel registrare su blockchain ognuno dei 90 pezzi della collezione Barney A. Ebsworth aggiudicati per un controvalore superiore ai 300 milioni di dollari, ricostruendo in favore dell’aggiudicatario e dei suoi aventi causa la provenienza dei singoli lotti, nonché incorporando nel certificato digitale il prezzo finale e la data nella quale il trasferimento è avvenuto.
[52] Si tratta di una scritturazione informatica a favore di un determinato utente-partecipante alla rete, che si distingue da una criptovaluta - e ciò è decisivo a determinarne la natura - per non essere implicato nel funzionamento della blockchain nella quale è registrato, custodito e scambiato; siccome sul piano funzionale il token è uno strumento che consente al soggetto che lo detiene di esercitare una serie di diritti nei confronti di chi lo ha emesso, i quali possono dipendere o dal protocollo della blockchain di riferimento oppure da uno smart contract programmato per interagire con lo specifico token, diversi sono gli usi a cui esso può essere preposto dalle piattaforme ed è ciò a rendere ciascun token diverso dagli altri. I token non fungibili di cui si servono le piattaforme attive nel mercato dell’arte sono basati sullo standard ERC-721 oppure sullo standard ERC-1155, quest’ultimo in grado di inviare una pluralità di token in una singola transazione a uno o più destinatari, generando quindi una “serie limitata” o parcellizzando la stessa opera. I NFT si associano ad un singolo bene o ad una sua determinata frazione e sono di regola scambiati su ethereum.
[53] È difficile dire cosa sia giuridicamente un NFT secondo il sistema interno. Mutuando anche a proposito dei token non fungibili le considerazioni di G. Befani, Contributo allo studio sulle criptovalute come oggetto di rapporti giuridici, cit., pag. 393 ss., rese a proposito delle criptovalute (dove, pur tra molti dubbio, l’A. arriva a concludere che si tratti di beni mobili ai sensi dell’art. 810 cod. civ.) occorre riconoscere che: i) essi non sono strumenti finanziari perché tecnicamente non immobilizzano ricchezza, bensì si rivolgono ad attività reali (opere d’arte), rispetto alle quali hanno la sola utilità di favorirne lo scambio sul mercato; ii) essi non sono titoli di credito perché manca il rapporto di provvista e - di per sé - non incorporano alcun diritto.
[54] Ci sono esempi davvero peculiari di ibridazione tra arte analogica e arte digitale che rendono pressoché impossibile immaginare l’applicazione di regole tradizionali sulla circolazione dei beni. Nel 2020, Christie’s ha battuto all’asta un’opera realizzata da Benjamin Gentilli (AKA Robert Alice) nell’ambito di un progetto artistico composto da un corpus di 40 pannelli circolari, dove sono incise (suddivise) le cifre del codice originale della criptovaluta Bitcoin. Oltre a ricevere un dipinto, l’acquirente anonimo dell’opera Block 21 ha ricevuto l’accesso a un NFT unico, emesso da Async, attraverso cui è possibile fruire della componente digitale dell’opera, visibile solo durante le ore diurne all’interno del fuso orario in cui si trova il suo titolare.
[55] Le espressioni sono riprese da E. Schuster, Cloud Crypto Land, cit., pag. 9 ss.
[56] Il mercato dell’arte digitale è un settore in crescita ma le norme e gli standard per la raccolta di arte digitale risultano ancora nebulosi, sicché permane incertezza su cosa significhi possedere un’opera digitale, così come restano prive di una considerazione comune le questioni relative alla l’attribuzione, all’autenticità e alla provenienza. Interessante, al proposito, notare la proposta di Async (async.art), che permette di registrare su blockchain non soltanto l’opera digitale nel suo complesso ma altresì ogni layer di cui essa si compone.
[57] Sul punto anche M. Zeilinger, Digital Art as ‘Monetised Graphics’: Enforcing Intellectual Property on the Blockchain, in Philosophy and Technology, 31(1), 2018, pagg. 15-41; M. McConagh, G. McMullen, G. Parry, D. Holtzman, T. McConaghy, Visibility and Digital Art: Blockchain as an Ownership Layer on the Internet”, in Strategic Change: Briefings in Entrepreneurial Finance, 2017, 26(5), pagg. 461-470.
[58] R. O’Dwyer, Limited edition: Producing artificial scarcity for digital art on the blockchain and its implications for cultural industries, in Convergence: The International Journal of Research into New Media, 2020, Vol. 26(4) 874-894. Più discutibile pare, viceversa, la provocazione che si spinge fino a implicare la distruzione dell’esemplare analogico dell’opera pur di elevare il NFT a feticcio. A questo riguardo, A. Shaw, ‘Art enthusiasts’ burn a Banksy print then sell it as an NFT, in www.theartnewspaper.com, marzo 2021e Id., Basquiat drawing to be auctioned as an NFT - and winning bidder will be given the option to destroy the original, in www.theartnewspaper.com, aprile 2021.
[59] Per avere contezza di qualche esempio, basta navigare su SuperRare, Pixura, KnownOrigin, Markersplace, ValueofValues, Nifty Gateway, OpenSea. Sul loro funzionamento, è utile il richiamo a M. Franceschet, G. Colavizza, C. Braidotti, Blockchain art: le nuove frontiere del mercato dell’arte, 2021, in www.singola.net.
[60] Per un tentativo di categorizzare questo movimento si veda J. Bailey, What Is CryptoArt?, 2018, in www.artnome.com.
[61] Si v.no - tra i molti esempi ormai noti - le grafiche di Autoglyphs, che nascono attraverso un meccanismo completamente autonomo on-chain, sulla blockchain di ethereum (www.larvalabs.com/autoglyphs).
[62] Questo aspetto non è bastato a frenare l’espansione del fenomeno. Le prime provocazioni, rappresentate da CryptoPunks (si v. www.larvalabs.com/cryptopunks) e CryptoKitties (si v. www.cryptokitties.co), risalgono entrambe del 2017. Il loro relativo successo è dovuto alla nascita di un “cryptocollezionismo” internazionale, che ha aperto la strada alla costituzione di ecosistemi dedicati alla raccolta e allo scambio di eccentrici contenuti digitali (ad es. Rarible e Open Sea). Altri esempi curiosi sono Rare Pepe, CurioCards e Dada.nyc.
Il fenomeno è uscito presto dalla sua nicchia. Alcuni esemplari di CryptoPunks sono stati venduti nel 2020 tramite la casa d’asta internazionale Christie’s. Ancora più recentemente, la stessa Christie’s ha per la prima volta offerto alla vendita un’opera costituita da una serie di immagini realizzate da un celebre graphic designer (Mike Winkelmann AKA Beeple), arrivando a raccogliere Ether per un controvalore pari a quasi 70 milioni di dollari. L’opera Everydays: the first 5000 days è stata acquistata da un noto (ancorché anonimo) cripto-investitore e fondatore di Metapurse, il più grande fondo di NFT al mondo.
[63] Fra tutti gli esempi, non possono non menzionarsi Maecenas e Artfintech. La prima piattaforma ha realizzato quello che ad oggi è il più noto caso di frazionamento della proprietà sopra un’opera d’arte. La 14 Small Electric Chairs di Andy Warhol, la cui proprietà appartiene per il 51% ad uno degli azionisti di Maecenas tanto che l’operazione di tokenizzazione ha riguardato il 49% della proprietà. Per avere contezza del più noto - ad oggi - caso di frazionamento di un’opera d’arte si veda G. Adam, Interested in a square inch of a Warhol? Fractional ownership hits the art market, in www.theartnewspaper.com, ottobre 2018.
[64] Nell’operazione di collocamento delle quote dell’opera di Warhol, il gestore del portale (nonché comproprietario) ha svolto, nello stesso tempo, anche il ruolo di emittente. D’altro canto, nell’equity crowdfunding, è prevista la facoltà del gestore di una piattaforma di condurre sul proprio portale offerte aventi ad oggetto strumenti finanziari di propria emissione. Tale possibilità è disciplinata dal comma 1-bis dell’art. 13 Reg. Consob sulla raccolta di capitali tramite portali on-line (delib. n. 18592 del 26 giugno 2013 e s.m.), che prevede l’obbligo del gestore-emittente di adottare misure idonee per l’efficace gestione del conflitto. Cfr. P. Cuzzola, La disciplina italiana dell’equity crowdfunding: varianti tipologiche, responsabilità e valore dell’informazione tra problema e sistema, in Dir. econ., 2020, 3, pag. 505.
[65] Nel FinTech, il valore dei portali è, appunto, quello di promuovere una crescita esponenziale del rapporto di “prossimità” tra coloro che si propongono di raccogliere capitale di rischio sulla base di un’idea innovativa o un progetto e coloro che sono alla ricerca di un impiego per i loro risparmi, dando vita ad un mercato dove in precedenza non vi era. Cfr. A. Laudonio, La folla e l’impresa: prime riflessioni sul crowdfunding, in Orizz. dir. comm., 2014, 2, pag. 13.
[66] Per certi versi, tali piattaforme sembrano integrare anche le caratteristiche che la dottrina ha usato per definire il fenomeno del crowdfunding: “l’importo spesso non elevato dei contributi reperiti a fronte della presenza di una moltitudine di sostenitori di un’iniziativa o di un progetto; la presenza di una piattaforma on line quale luogo in cui si sviluppano richieste e adesioni ai progetti di raccolta e che elimina la necessità di intermediari”. Così P. Cuzzola, La disciplina italiana dell’equity crowdfunding, cit., pag. 490 ss., cui si rinvia per l’analisi della regolamentazione italiana, sulla quale però già si registrava l’accurata ricostruzione di G.A. Policaro, Equity crowdfunding e s.r.l. aperte. Un cambio di paradigma nel nostro ordinamento, in Dir. econ., 2019, 3, pag. 243 ss.
[67] Da ciò l’idea di una lex cryptographica, sul modello della lex mercatoria. Cfr. A. Wright, P. De Filippi, Decentralized Blockchain Technology and the Rise of Lex Cryptographia, disponibile su papers.ssrn.com, 2015, passim.
[68] Resta il rischio di una parziale illiquidità, in quanto un “mercato secondario” (cui rivolgersi per scambiare gli strumenti dopo averli sottoscritti) esiste, ma potrebbe essere confinato entro il perimetro della medesima piattaforma dove è avvenuta l’offerta iniziale. Sul processo volto a far acquisire maggiore liquidità agli strumenti FinTech si v.no N. De Luca, S.L. Furnari, A. Gentile, Equity crowdfunding, in Digesto, VIII Agg., Disc. priv., sez. comm., Torino, 2017, pag. 162. Sui riflessi di questo aspetto in punto di qualificazione del bene come strumento finanziario si veda P. Cuzzola, La disciplina italiana dell’equity crowdfunding, cit., pag. 502, spec. nt. 56.
[69] Dal punto di vista della blockchain, non corre alcuna differenza tra l’ipotesi in cui sia cartolarizzato direttamente un bene e quella in cui sia creata una società veicolo (special purpose vehicle, SPV) che detiene il bene, e si preveda la circolazione di azioni o altri titoli emessi da questa, che economicamente equivalgono al bene sottostante. Lo chiarisce bene anche E. Schuster, Cloud Crypto Land, cit., pag. 11.
[70] Come ricorda da ultimo G.F. Basini, La prelazione artistica, in L’opera d’arte nel mercato, cit., pag. 158 ss., spec. 170 s., dottrina e giurisprudenza sono ormai orientati a considerare applicabile la disciplina in tema di prelazione anche al trasferimento di una quota del bene culturale, potendosi ammettere in astratto la comproprietà pubblico-privata del bene e dovendosi prevenire l’elusione del vincolo.