Città d'arte e centri storici
Il centro storico come bene paesaggistico a valenza culturale
Sommario: 1. Il centro storico: problema definitorio. - 2. L'oggetto tutelato. - 3. Dalla tutela urbanistica a quella paesaggistica del centro storico. - 4. Il valore culturale.
The Old Town like Landscaped Asset with Cultural Value
The notion of the old town is not of univocal
determination from the legal point of view, but it is however suitable to
describe, according to a well-recognized regulatory trend, the built-up area
that invests historical and artistic character and of special landscape value.
So its discipline born and remains of town planning (mainly oriented to the
consolidation and renovation of the old town), although it is in evidence the "cultural"
component in a broadly sense, of material testimony thas has value of
civilitation. The old town does not become cultural heritage in the technical
sense, though within its scope to develop the so-called "cultural
activities", of interest also to the discipline of trade, and indeed with
the new art. 136, letter c), of the code of cultural heritage and landscape "old
towns and historical nucleus (units)", they have been included among the
complex of real estate (goods together) susceptible to landscape protection by
administrative declarative measure of significant public interest.
Keywords: Old Town; Cultural Heritage; Landascape Asset.
1. Il centro storico: problema definitorio
In genere, quando si affronta la trattazione di un tema giuridico, si avverte la necessità di principiare dalla definizione del concetto, atteso che, altrimenti, l'esposizione sembra poggiare su basi instabili.
Ma nel caso del centro storico si tratta di impresa particolarmente ardua; è stato autorevolmente scritto che "quello dei centri storici potrebbe dirsi un problema infinito perché non sembra si sia ancora trovato un elemento qualificatore attorno al quale il giurista possa coagulare un'ipotesi o, meglio, un concetto individuatore" [1].
Tale situazione ha molteplici spiegazioni, la principale delle quali sembra peraltro fondarsi sulla compenetrazione tra la dimensione oggettiva del tema, quale emerge nelle disposizioni normative che sono intervenute in argomento, e la percezione soggettiva del centro storico, che è poi l'unica che propriamente ne giustifica un autonomo inquadramento e, se del caso, una specifica disciplina, ovvero una specifica politica.
Provo a spiegarmi meglio; prendendo le mosse dalla legge-ponte (legge 6 agosto 1967, n. 765), il cui art. 17 ha introdotto l'art. 41-quinquies nel corpo della legge urbanistica fondamentale, si desume che il centro storico è un agglomerato urbano che riveste carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale; facendo un salto di quaranta anni, e guardando alla legge della Regione Umbria 10 luglio 2008, n. 12 (proprio sui centri storici), si osserva che, anche in tale caso, il riferimento è agli insediamenti urbani che rivestono carattere storico, artistico, culturale, ambientale e paesaggistico (art. 1, comma 1, lett. a).
L'ambito oggettivo è dunque chiaramente costituito dagli agglomerati urbani, ma la specificazione legislativa sembrerebbe poi evocare, in modo indistinto, la disciplina relativa ai beni culturali o paesaggistici, nonostante l'imprinting principalmente urbanistico della normativa.
Allo stesso tempo, peraltro, non appare coessenziale al centro storico la riferibilità allo stesso, sebbene probabile, di beni di interesse storico ed artistico, dichiarati, o meglio accertati quali tali, potendo lo stesso essere costituito, come evidenziato dalla circolare dell'allora Ministero dei Lavori Pubblici 28 ottobre 1967, n. 3210, da "isolati contenenti edifici costruiti in epoca anteriore al 1860, anche in assenza di monumenti od edifici di particolare valore artistico", come pure da "strutture urbane realizzate anche dopo il 1860 che nel loro complesso costituiscano documenti di un costume edilizio altamente qualificato".
Insomma, siamo di fronte ad una locuzione giuridicamente polisemica, alla quale può attribuirsi un significato considerando il centro storico come un'entità unitaria, d'insieme, idonea a segnare la continuità nella storia di una comunità umana che in tale insediamento insiste; anche in questo caso torna utile, allo scopo di specificare la portata delle norme, la opinione, proposta in dottrina, che vede nel centro storico "un luogo abitato le cui caratteristiche sono segnate dal fatto di distinguersi dal resto dell'agglomerato urbano per avere caratteri di individualità storica tali da rappresentare un unicum, esemplare cioè di una particolarità che esprime una valenza culturale" [2].
L'individuazione di tale imprescindibile nucleo contenutistico risale, del resto, già alla dichiarazione XL degli atti della Commissione Franceschini, risalente alla metà degli anni '60 del Novecento, ove i centri storici urbani sono qualificati come "quelle strutture insediative urbane che costituiscono unità culturale o la parte originaria e autentica di insediamenti, e testimoniano i caratteri di una viva cultura urbana".
Nel centro storico convergono una pluralità di interessi meritevoli di tutela; lo si dice non già nella prospettiva dell'attribuzione della titolarità dei medesimi ai fini del procedimento di imputazione, ma in un'ottica descrittiva, propedeutica ad individuare i contenuti ed i mezzi della tutela.
Sembra corretto ammettere, anche se si tratta di questione tutt'altro che pacifica [3], che l'epicentro della tutela consista proprio nella conservazione della materialità degli "agglomerati urbani" (principalmente, come si desume dalla disamina delle varie leggi regionali, nella prospettiva del recupero e della riqualificazione), ma occorre poi tenere conto, anche in considerazione delle variabili dimensioni del centro storico, che vanno dal piccolo borgo alla città metropolitana, alla città d'arte, che può sussistere un problema di degrado, ovvero di traffico urbano, di inquinamento, od ancora di sicurezza ed ordine pubblico, tanto per rimanere nei limiti di una sommaria esemplificazione di fattori bene noti, e magari anche il cumulo congiunturale di questi elementi.
E' necessario, sia pure sommariamente, riguardando il contenuto di altre relazioni, ricordare che la prima forma di tutela del centro storico approntata dal legislatore è stata di tipo urbanistico, in sintonia con quanto emergente dalla Carta di Gubbio del 1960 e dalla dichiarazione XL della Commissione Franceschini; quest'ultima, in particolare, stabiliva che "i piani regolatori relativi ai Centri storici urbani dovranno avere riguardo ai centri medesimi nella loro interezza, e si ispireranno ai criteri di conservazione degli edifici nonché delle strutture viarie e delle caratteristiche costruttive di consolidamento e restauro, di risanamento interno igienico sanitario, in modo che, come risultato ultimo, i centri stessi costituiscano tessuti culturali non mortificati".
L'art. 17 della legge-ponte, al quinto comma, consentiva esclusivamente opere di consolidamento o di restauro, senza alterazione di volumi, imponendo alle aree libere un vincolo di inedificabilità sino all'approvazione del piano regolatore generale; ancora oggi (seppure il predetto art. 17 è stato abrogato per la grande parte, permanendo solamente la disposizione sui limiti inderogabili di densità edilizia, altezza, e distanza tra fabbricati) vige, nell'articolazione del territorio comunale per settori omogenei, l'attribuzione della "zona A" ai centri storici, prevista dal d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, declinata con diversa formulazione nei piani più moderni.
La consapevolezza della necessità di guardare al centro storico in un'ottica di gestione globale ha poi portato all'introduzione, con la legge n. 457 del 1978, dei "piani di recupero", e poi dei "programmi integrati di intervento" con la legge n. 179 del 1992, per poi passare, specie nella legislazione regionale, ai vari strumenti delle "politiche di sviluppo".
Nella descritta prospettiva legislativa il centro storico, seppure agglomerato urbano con valore culturale in senso lato, si connota come una zona urbanistica, che, in quanto tale, può anche non essere prevista dallo strumento di piano, ferma restando, comunque, la prevalenza della tutela, puntiforme, dei singoli beni culturali nel centro storico ricompresi, secondo la regola generale, attualmente inferibile dall'art. 45, comma 2, del codice dei beni culturali, dettata in tema di vincoli indiretti.
La giurisprudenza più attenta, cogliendo il peculiare carattere dei centri storici, ha coniato la categoria dei "beni culturali urbanistici", allo scopo di sottolineare la loro finalizzazione "a conservare e tramandare nella loro integrità interi complessi urbanistici-architettonici, in quanto prodotti irripetibili di un ciclo economico e sociale ormai chiuso" [4]; si è dunque evidenziato che nella tutela dei centri storici assume valore non già il singolo manufatto architettonico, ma la completezza dell'insieme, ed in particolare "l'assetto viario preesistente, le altezze, i caratteri figurativi degli edifici, e soprattutto le sapienti "gerarchie" di volumi e di altezza tra edifici religiosi, civili e di comune fruizione abitativa, che costituiscono la vera insuperata essenza dell'urbanistica degli "antichi"".
Ma, sempre seguendo tale giurisprudenza, si comprende come alla nozione di "bene culturale urbanistico" non si applichi lo statuto proprio dei beni culturali, e, con riguardo allo stesso, la locuzione "edificio storico" assume il significato, proprio del linguaggio comune, di "edificio risalente nel tempo".
Quella di "bene culturale urbanistico" è dunque un'espressione enfatica, in cui l'attributo "culturale" vale solamente ad orientare le modalità di tutela urbanistica, ma non anche ad attrarre il centro storico nell'ambito dei beni culturali in senso stretto, e cioè, secondo quanto recita l'art. 2, comma 2, del d.lg. n. 42 del 2004, tra le "cose immobili e mobili che, ai sensi degli articoli 10 e 11, presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà".
Benché, dunque, il centro storico, conservando le antiche memorie, monumento in senso etimologico (monēre), concorra a rappresentare l'identità di un popolo nel tempo, non rientra tra i beni culturali stricto sensu, ostandovi il principio di tipicità, declinato dal già ricordato art. 2, comma 2, in forza del quale "qualsivoglia testimonianza avente valore di civiltà diventa valore culturale in senso giuridico solo se tale è considerabile sulla base di una qualificazione, ossia di una fissazione di fattispecie, operata dal legislatore" [5].
3. Dalla tutela urbanistica a quella paesaggistica del centro storico
Occorre considerare come un differente e coevo indirizzo giurisprudenziale abbia affermato la riconducibilità dei centri storici tra i beni paesaggistici, ed in particolare tra i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto estetico e tradizionale, e dunque tra le c.d. bellezze d'insieme contemplate dall'attuale art. 136, lett. c), del codice dei beni culturali, ed, in precedenza dall'art. 139 del d.lg. n. 490 del 1999 [6]. Si è parlato, a questo proposito, di "beni ambientali urbanistici", nella dichiarata prospettiva di una dequotazione della distinzione tra valore culturale e valore paesaggistico.
Tale soluzione ermeneutica è stata poi fatta propria dal legislatore con la novella al codice, contenuta nel d.lg. n. 63 del 2008, che, modificando l'art. 136, lett. c), ha espressamente incluso, tra i complessi di immobili il cui notevole interesse pubblico può essere dichiarato attraverso il procedimento di cui agli artt. 138-141, "i centri ed i nuclei storici".
I centri storici, dunque, pur non rientrando tra le aree tutelate per legge ai sensi dell'art. 142 del d.lg. n. 42 del 2004, vengono inclusi tra quelle categorie di beni suscettibili di tutela paesaggistica mediante dichiarazione di notevole interesse pubblico, di competenza regionale, ed, in via sostitutiva, anche ministeriale.
Tale inquadramento, dal punto di vista sistematico, appare compatibile con la nozione di paesaggio desumibile dall'art. 2, comma 3, e dall'art. 131 del d.lg. n. 42 del 2004, quale "territorio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni". Si tratta di una nozione che ha superato la visione estetico-crociana del "bello di natura", prevalente nella legge Bottai, e che, attraverso il recepimento della convenzione europea sul paesaggio siglata a Firenze il 20 ottobre del 2000 (e ratificata con legge 9 gennaio 2006, n. 14), fa del paesaggio il prodotto degli agenti naturali e del fattore antropico.
Il centro storico, dunque, è parte della forma del paese, è anch'esso "modo di essere del territorio nella sua percezione visibile", per usare la nota definizione di paesaggio elaborata in dottrina [7].
Ma, al contempo, come si è già in precedenza avuto occasione di osservare con riguardo alla tutela urbanistica, anche quella paesaggistica è eventuale, in quanto l'attivazione del complesso procedimento previsto dagli artt. 138 e seguenti del d.lg. n. 42 del 2004 è rimessa ad una valutazione tecnica, ma al contempo espressione di discrezionalità amministrativa, traducendosi in una scelta di politica culturale e paesaggistica, che potrebbe anche non maturare.
Ciò, almeno, sino a quando non prenderà corpo la pianificazione paesaggistica (che, in Umbria, è in corso di elaborazione), la quale, in relazione ai contenuti necessari ed alle finalità enucleati dagli artt. 135 e 143 del codice, dovrebbe ricomprendere tutte le tipologie di beni paesaggistici per ambito regionale; inoltre le previsioni di detti piani sono (saranno) cogenti per gli strumenti urbanistici degli enti locali e prevalenti sulle disposizioni eventualmente difformi contenuti negli stessi strumenti urbanistici (art. 145, comma 4).
A questo punto, in conclusione delle considerazioni che precedono, non può omettersi un riferimento al fatto che il centro storico è comunque testimonianza avente valore di civiltà.
Mi riferisco non solo al proposto inquadramento dei centri storici tra i "beni culturali urbanistici", il cui significato ho cercato in precedenza di porre in luce, ma anche ai casi in cui nel centro storico siano presenti, inglobati beni immobili assoggettati a vincolo diretto; si pensi, principalmente, agli edifici storici di interesse particolarmente importante tutelati ai sensi dell'art. 10, comma 3, lett. d), del d.lg. n. 42 del 2004, alle "ville, parchi, giardini" che abbiano interesse artistico o storico, di cui al comma 4, lett. f), od, ancora, alle "pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi aperti urbani di interesse artistico o storico", cui fa riferimento sempre il comma 4, sub lett. g).
Vi è un aspetto ulteriore, che è poi quello, dibattuto, delle "attività culturali" che insistono nei centri storici, e che testimoniano significativamente la storia della città.
Le "attività culturali" si riferiscono ad attività tradizionali non materiali, per lo più artigianali, che, nei centri storici, laddove sono resistite all'usura del tempo ed al mutare dei costumi e delle esigenze, si svolgono principalmente nelle botteghe. E' stato sottolineato che, dal punto di vista dell'individuazione del valore culturale di un agglomerato urbano, le attività tradizionali assumono un ruolo fondamentale; ed infatti "il ruolo identitario del centro storico si individua anche, e (forse) soprattutto, proprio per le attività tradizionali che vi si svolgono, le quali rappresentano certamente il più rilevante indizio di vitalità del luogo e la cui conservazione impedisce che esso diventi una sorta di museo a cielo aperto" [8].
Anche in tale caso, è necessario ricordare che siamo al di fuori della nozione di bene culturale in senso stretto, in quanto la giurisprudenza costituzionale, chiamata a valutare la legittimità della legge n. 1089 del 1939, ha ritenuto che il vincolo non può riguardare l'attività culturale in sè e per sé, e cioè considerata separatamente dal bene, atteso che il valore culturale è ravvisabile solamente nel collegamento del loro uso e della loro utilizzazione pregressi con accadimenti della storia, della civiltà [9].
Ma ciò non significa che difetti qualsivoglia protezione "diretta" di queste "attività culturali", potendosi la stessa rinvenire nella disciplina del commercio; si pensi all'art. 4 del d.l. n. 832 del 1986, che consentiva ai Comuni di valutare la compatibilità di talune attività commerciali con le esigenze di tutela delle tradizioni locali, ovvero all'art. 6, lett. d, del d.lg. n. 114 del 1998 che impone alle Regioni, nella programmazione della rete distributiva, di perseguire, tra l'altro, l'obiettivo di "salvaguardare e riqualificare i centri storici anche attraverso il mantenimento delle caratteristiche morfologiche degli insediamenti e il rispetto dei vincoli relativi alla tutela del patrimonio artistico ed ambientale".
Il centro storico non rientra dunque nell'accezione ristretta di bene culturale, ma è comunque testimonianza materiale avente valore di civiltà. Come si è visto, può essere tutelato attraverso gli strumenti urbanistici, ovvero alla stregua di bene paesaggistico vincolato con provvedimento amministrativo, od ancora, seppure in linea marginale, mediante la disciplina del commercio.
Utilizzando la locuzione con un nucleo semantico più ampio, il centro storico è anche un bene a valenza culturale.
Ciò non esclude, e lo si osserva anche in considerazione del grande numero di leggi regionali (potremmo dire, di prima e di seconda generazione) che sono intervenute negli anni sui centri storici, l'esercizio della competenza legislativa concorrente (ex art. 117, comma 3, della Costituzione) della Regione in tema di valorizzazione dei beni culturali ed ambientali; la giurisprudenza costituzionale ha infatti ritenuto che le leggi regionali possano valorizzare anche beni culturali non tipicamente previsti dal t.u. del 1999, ed oggi dal codice [10].
Si è, anzi, rilevato in dottrina che "quando ci si trova di fronte beni culturali extracodicistici, la Consulta accoglie una nozione ampia di valorizzazione, tale quasi da ricomprendere la tutela, in quanto il legislatore statale si disinteressa di questi beni, lasciando sostanzialmente libere le Regioni" [11].
A ciò si aggiunge la competenza, quale materia di legislazione concorrente, per l'inerenza dei centri storici al "governo del territorio", ed al commercio che, seppure connesso alla tutela della concorrenza, non è incluso dall'art. 117, comma 1, della Carta fondamentale tra le materie di legislazione esclusiva.
Note
[1] Così F. Benvenuti, Introduzione, in La tutela dei centri storici, (a cura di) G. Caia, G. Ghetti, Torino, 1997.
[2] Ancora, F. Benvenuti, op. ult. cit.
[3] Si vedano le osservazioni problematiche di F.G. Scoca, D. D'Orsogna, Centri storici, problema irrisolto, in La tutela dei centri storici, cit., pagg. 40-41.
[4] Cfr. in termini Cons. giust. amm. sic., 22 marzo 2006, n. 107.
[5] Così G. Sciullo, I beni, in Diritto e gestione dei beni culturali, (a cura di) C. Barbati, M. Cammelli, G. Sciullo, Bologna, 2011, pag. 23.
[6] In tale senso Cons. St., sez. VI, 21 giugno 2006, n. 3733.
[7] Così A, Predieri, Paesaggio, in Enc. dir., vol. XXXI, Milano, 1981, pag. 507.
[8] C. Videtta, I centri storici al crocevia tra disciplina dei beni culturali, disciplina del paesaggio e urbanistica: profili critici, in Aedon, 2012, 3.
[9] Cfr. Corte cost., 9 marzo 1990, n. 118, con riguardo al decreto di vincolo dell'"Antico Caffè Genovese" di Cagliari, ma anche Cons. Stato, Sez. VI, 28 agosto 2006, n. 5004, concernente la "bottega di arredamento Canetoli" di Bologna.
[10] Cfr. Corte cost., 16 giugno 2005, n. 232, concernente la l.r. Veneto 23 aprile 2004, n. 11 sui centri storici con cui gli stessi, qualificati come beni culturali, venivano sottoposti a vincoli di carattere urbanistico.
[11] A. Bartolini, Beni culturali (dir. amm.), in Enc. dir., Annali, VI, 2013, pag. 122.