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I musei: servizi e risorse / Analisi

La nuova disciplina dei servizi aggiuntivi dei musei statali

di Giuseppe Piperata

Sommario: 1. Premessa. - 2. Le ragioni alla base dell'intervento di riforma. - 3. Il quadro legislativo generale in materia di servizi aggiuntivi nei luoghi di cultura. - 4. La nuova disciplina dei servizi aggiuntivi dei musei statali: il d.m. 29 gennaio 2008.

1. Premessa

Quella dei servizi aggiuntivi dei musei statali è la storia di un'intuizione che ha avuto notevoli difficoltà ad essere tradotta in un modello gestionale idoneo e normativamente predefinito, in grado di trovare l'esatto equilibrio tra contrapposte esigenze e di delineare i reciproci ruoli di differenti attori coinvolti nel settore di riferimento. Basta dar conto delle diverse revisioni del quadro legislativo di riferimento o dell'attuale livello di litigiosità tra amministrazioni museali e soggetti gestori o, ancora, dei modesti risultati economici conseguiti da alcune attività imprenditoriali intraprese per avere una conferma di quanto affermato.

Eppure, al momento della loro originaria previsione da parte del decreto legge 14 novembre 1992, n. 433, conv. in legge 14 gennaio 1993, n. 4 (c.d. legge Ronchey), i servizi aggiuntivi sono stati salutati come novità "rivoluzionarie nel panorama immoto dei beni culturali" [1]. In particolare, tali sistemi gestionali hanno rappresentato la conseguenza più evidente alla c.d. "scoperta del pubblico" da parte delle istituzioni museali, ossia l'apertura dei luoghi di cultura ad un pubblico più vasto, al quale offrire prestazioni aggiuntive alla tradizionale offerta culturale [2]. Inoltre, essi sono anche frutto dell'esigenza di introdurre nel sistema organizzativo dei beni culturali pubblici meccanismi gestionali idonei a generare flussi di risorse economiche, incentrati, in alcuni casi, su di iniziative di sfruttamento del patrimonio culturale, anche se compatibilmente alla fruizione pubblica e gratuita dei beni stessi.

Tuttavia, è sotto un altro aspetto che i servizi aggiuntivi sollecitano l'interesse degli esperti e degli operatori di settore: essi rappresentano un importantissimo settore dove è fondamentale il rapporto tra pubblico e privato rispetto alle varie funzioni e attività che hanno ad oggetto i beni culturali. Non è un caso, infatti, che ogni qual volta si affrontino questioni attinenti al rilievo da dare ai privati nelle attività riguardanti i beni culturali è scontato e quasi automatico il riferimento ai servizi aggiuntivi presso i musei. Temi come quello del c.d. museo impresa o della conciliabilità della logica del profitto con l'interesse pubblico sotteso alla gestione dei beni culturali, per ricordare soltanto alcuni di quelli che maggiormente accendono il dibattito in materia [3], trovano nei servizi aggiuntivi o un esempio da richiamare o un banco di prova sul quale testare possibili interventi di riforma.

Si capisce, allora, il perché negli ultimi anni più volte si è intervenuti a livello legislativo e normativo in materia, al fine di migliorare il sistema gestionale dei servizi aggiuntivi. Tuttavia, i diversi aggiustamenti introdotti non hanno eliminato le gravi disfunzioni che si sono registrate soprattutto a livello di musei statali; situazione, questa, che ha spinto il legislatore a correre ai ripari con l'art. 14, decreto legge 1° ottobre 2007, n. 159, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222, il quale stabilisce che l'affidamento dei servizi stessi debba avvenire in forma integrata rispetto sia alle varie tipologie indicate nel medesimo art. 117 che ai diversi istituti e luoghi della cultura, nei quali i servizi devono essere svolti, presenti nel territorio di rispettiva competenza, da parte delle direzioni regionali per i beni culturali e paesaggistici e degli istituti dotati di autonomia speciale del Ministero per i beni e le attività culturali. L'art. 14 citato, poi, rinvia ad un decreto ministeriale di natura non regolamentare la definizione puntuale della disciplina concreta della materia, disciplina che, da ultimo, è stata adottata con il d.m. 29 gennaio 2008, e di cui si darà ampio spazio nelle pagine che seguono [4].

2. Le ragioni alla base dell'intervento di riforma

Negli ultimi anni, in più occasioni sono stati segnalati i numerosi problemi gestionali che caratterizzano l'organizzazione dei servizi aggiuntivi presso i musei e gli altri luoghi di cultura italiani [5]. Le cause di tale situazione di crisi sono numerose e la letteratura si è già ampiamente soffermata al riguardo con analisi puntuali. Tra l'altro, nel 2006 presso il ministero per i Beni e le Attività culturali è stata costituita una Commissione per la definizione degli standard di valorizzazione dei beni culturali, presieduta da Massimo Montella, che a sua volta ha dato vita ad una apposita Sottocommissione diretta da Marco Cammelli e chiamata ad individuare le cause di criticità della gestione dei servizi aggiuntivi e le possibili soluzioni [6].

I fattori di criticità più rilevanti sono riconducibili non solo ad aspetti ordinamentali legati al regime giuridico di riferimento, ma soprattutto a dinamiche relazionali tra pubblico e privato che si sono affermate nella prassi.

Dal punto di vista giuridico, si pensi, ad esempio, all'estrema eterogeneità che caratterizza le attività prestazionali ricomprese nella nozione di servizi aggiuntivi o all'estrema rigidità di un regime giuridico pensato in maniera uniforme, ossia adattabile in teoria a qualsiasi tipologia di luogo di cultura. Si tratta di fattori che hanno anche determinato nella prassi diverse disfunzioni: gare per l'affidamento di concessioni andate deserte, frequenti inadempimenti contrattuali, bassa qualità delle prestazioni erogate, indiscriminati prolungamenti della durata delle concessioni.

La criticità più rilevante, però, registrata nella prassi riguarda l'opacità che in molti casi ha interessato i diversi ruoli che soggetti pubblici e imprenditori privati devono giocare nelle dinamiche di organizzazione dell'offerta culturale ed i rapporti concessori e negoziali che tra i due soggetti si instaurano in occasione dell'attivazione di servizi aggiunti presso i musei. Il fenomeno è molto complesso, anche perché presenta sullo sfondo ancora una volta la questione del rapporto tra pubblico e privato nella tutela, valorizzazione e gestione dei beni culturali.

Comunque, rimanendo al profilo più circoscritto che qui rileva, va ricordato che nella prassi in molti casi si sono registrati due fenomeni particolari. Innanzitutto, è stato notato un effetto di "pubblicizzazione delle imprese private", nel senso che ai concessionari incaricati della gestione dei servizi aggiuntivi, per il semplice fatto di svolgere attività strumentale all'offerta pubblica culturale, è stato in diverse occasioni imposto di assumere schemi comportamentali di valenza pubblicistica [7]. Inoltre, è stato denunciato anche uno stravolgimento della funzione dei servizi aggiuntivi, nel senso che spesso "per il loro tramite transitano esigenze di funzionamento minimo ed essenziale degli istituti pubblici" e "si verifica di frequente uno scambio perverso tra pezzi di vera e propria valorizzazione pubblicistica (come appunto editoria, iniziative o mostre) trasferite al privato, l'unico spesso a disporre delle relative risorse" [8].

E' in questa situazione di fatto che maturano le condizioni di un intervento legislativo d'urgenza in materia da parte del Governo, realizzato con l'art. 14 del d.l. n. 159/2007, solo per i musei nella disponibilità dello Stato, con l'obiettivo perseguito di assicurare efficienza ed efficacia nella gestione ed erogazione dei servizi aggiuntivi, nonché una maggiore razionalizzazione delle risorse disponibili.

3. Il quadro legislativo generale in materia di servizi aggiuntivi nei luoghi di cultura

Come già anticipato, i servizi aggiuntivi sono stati introdotti nell'ordinamento italiano dalla legge n. 4/1993, meglio nota come legge Ronchey. Tale legge, in origine, ricomprendeva nella categoria dei servizi aggiuntivi museali alcune attività, quali il servizio editoriale e di vendita riguardante le riproduzioni di beni culturali e la realizzazione di cataloghi ed altro materiale informativo, i servizi riguardanti i beni librari e archivistici per la fornitura di riproduzioni e il recapito nell'ambito del prestito bibliotecario e i servizi di caffetteria, di ristorazione, di guardaroba. Il regime gestionale previsto era quello concessorio, basato sull'affidamento con gara di un contratto di durata quadriennale avente ad oggetto il servizio.

Nella sua versione originaria la legge Ronchey prendeva in considerazione come servizi aggiuntivi una pluralità di attività, che avevano come comune denominatore il fatto di essere tutte offerte al pubblico e dietro corrispettivo. Ciò, del resto, giustificava anche la qualificazione di servizi aggiuntivi data all'istituto in questione, considerato che si trattava (e, comunque, ancora si tratta) di prestazioni a pagamenti fornite da un concessionario all'interno di un luogo di cultura e aggiuntive rispetto all'offerta culturale istituzionalmente garantita.

Successivamente, la categoria dei servizi aggiuntivi è stata ampliata dall'art. 47-quater, decreto legislativo 23 febbraio 1995, n. 41, conv. in legge 22 marzo 1995, n. 85, con l'obiettivo di estendere la disciplina concessoria anche ad altre prestazioni di accoglienza, mentre l'emanazione del d.m. 24 marzo 1997, n. 139, contenente le norme sugli indirizzi, criteri e modalità di istituzione e gestione dei servizi aggiuntivi nei musei e negli altri istituti del ministero, ha permesso l'attivazione delle prime gestioni.

Anche il c.d. Codice Urbani (decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42) ha rivisto la disciplina dei servizi aggiuntivi [9]. Innanzitutto, la riforma da ultimo apportata al settore dei beni culturali con il d.lg. 42/2004, ha ancorato i servizi aggiuntivi al sistema della valorizzazione dei beni culturali. L'intento è quello di rafforzare la reale funzione dell'istituto in questione e di consentirne un idoneo utilizzo con lo scopo di "promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e [di] assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso, al fine di promuovere lo sviluppo della cultura".

La nuova collocazione data ai servizi aggiuntivi nel Codice dei beni culturali si riflette anche sulla disciplina che ad essi è riservata dalla disposizione citata. L'art. 117 del Codice rappresenta sostanzialmente una norma di rinvio. Infatti, la disciplina della gestione delle attività in questione non viene dettata appositamente, ma l'art. 117 preferisce mutuare in toto le formule gestionali che l'art. 115 detta a proposito delle attività di valorizzazione dei beni culturali ad iniziativa pubblica. Anche le regole per incassare e ripartire i canoni di concessione dei servizi vengono riprese da un altro articolo del Codice, il 110, pensato per le gestioni indirette delle attività di valorizzazione. Alcune precisazioni con riferimento all'aspetto gestionale dei servizi aggiuntivi si rendono necessarie.

Innanzitutto, bisogna ricordare che la scelta tra gestione diretta o indiretta del servizio aggiuntivo è affidata dall'art. 115 ad una valutazione comparativa, avendo come parametri i livelli di economicità ed efficacia visti rispetto agli obiettivi perseguiti. Si tenga, comunque, presente che la scelta tra l'una o l'altra formula gestionale operata con riferimento ad una singola attività di servizio aggiuntivo non vincola l'amministrazione procedente rispetto alle altre, ben potendosi avere servizi gestiti in forma diretta ed altri per il quali appare più conveniente l'affidamento all'esterno. Tuttavia, nel momento in cui si sceglie la forma della gestione indiretta diviene necessario procedere all'affidamento della concessione a terzi privati selezionati mediante procedure di evidenza pubblica, non potendosi ammettere affidamenti diretti, come del resto ricordato anche dalla giurisprudenza amministrativa [10].

Nell'organizzazione dei servizi aggiuntivi un altro aspetto da tener presente è rappresentato dalla possibilità di gestire le attività di assistenza culturale e di ospitalità in forma integrata con i servizi di pulizia, vigilanza e biglietteria, prevista dal comma 3 dell'articolo in commento. La gestione integrata è un'opzione organizzativa che può risultare molto vantaggiosa per le amministrazioni pubbliche interessate, in quanto, come già illustrato [11], consente di semplificare notevolmente i rapporti contrattuali, di concentrare in un unico polo di imputazione le responsabilità e, pertanto, di governare con maggiore facilità un processo di esternalizzazione che altrimenti presenterebbe una molteplicità di dinamiche.

Se si esclude il comma 3 sulla gestione integrata delle attività e i commi di mero rinvio ad altre disposizioni del Codice, l'art. 117 si presenta sostanzialmente come norma contenente l'elencazione delle possibili tipologie dei servizi aggiuntivi. Tali servizi, infatti, vengono, in prima battuta, individuati nei servizi di assistenza culturale e di ospitalità per il pubblico (comma 1) e, successivamente, specificati facendo riferimento alle più tipiche attività finalizzate a migliorare la fruizione e la promozione del bene culturale (comma 2). L'elencazione ha una mera valenza esemplificativa, ben potendo le amministrazioni interessate ricondurre all'art. 117 qualsiasi altra iniziativa di servizio di ausilio ai compiti principali di fruizione e valorizzazione e con l'obiettivo di favorire la maggiore conoscenza e il godimento del bene da parte dei fruitori.

Sul versante più operativo, poi, negli anni scorsi sono stati emanati due provvedimenti ministeriali con i quali si è tentato di migliorare le condizioni economiche ed il contesto giuridico di riferimento, al fine di favorire un maggior ricorso all'istituto. Il primo provvedimento è il d.m. 28 settembre 2005, n. 122, con il quale è stata disciplinata la procedura di fissazione dei prezzi dei biglietti di ingresso nei luoghi d'arte, è stato aumentato l'aggio a favore dei privati e sono stati ampliati i tempi entro i quali riversare gli incassi allo Stato. Il secondo provvedimento, invece, è la circolare 5 ottobre 2005 con la quale sono stati introdotti i capitolati speciali per l'affidamento dei servizi da parte delle strutture periferiche del ministero e che ha introdotto un favor per l'affidamento congiunto e la gestione integrata delle attività ad un unico concessionario.

Tuttavia, il cambio di prospettiva operato dalla riforma del 2004 e gli aggiustamenti previsti a livello ministeriale non hanno corretto le molte disfunzioni che erano state registrate nel settore dei servizi aggiuntivi. Anzi, soprattutto a livello di musei statali si sono verificati altri casi di disfunzione del sistema, accompagnati anche da un aumento di conflittualità con i concessionari.

Il legislatore ha provato a correre ai ripari con l'art. 14 d.l. 159/2007. L'obiettivo perseguito è quello di assicurare efficienza ed efficacia nella gestione ed erogazione dei servizi aggiuntivi, nonché una maggiore razionalizzazione delle risorse disponibili. Lo strumento, invece, utilizzato a tal fine è quello dell'integrazione sia tra attività che tra istituti, provando nuovamente a proporre una soluzione già avanzata con la circolare citata del 2005, ma poco seguita nella prassi.

La circolare 5 ottobre 2005, n. 131, come si ricorderà, esprimeva un netto favore per le gestioni integrate e dava delle precise indicazioni operative a proposito dei nuovi bandi di gara per l'aggiudicazione integrata dei servizi aggiuntivi. In particolare, il ministero non escludeva in termini assoluti la possibilità di frammentare ed affidare a terzi in maniera separata i singoli servizi di assistenza e di ospitalità organizzati dagli istituti e dai luoghi di cultura, ma, allo stesso tempo, non faceva mistero del suo disfavore per tale soluzione, suggerendo di considerarla come extrema ratio, alla quale ricorrere solo in caso di infruttuoso esperimento della gara per l'affidamento integrato dell'insieme delle attività di servizio.

La disposizione in questione, inoltre, affida ad un decreto di natura non regolamentare del ministro per i Beni e le Attività culturali il compito di dettare la disciplina attuativa, precisando, però, che ciò dovrà avvenire nel rispetto delle norme dell'ordinamento comunitario e dei principi posti dall'art. 14, tenendo conto della specificità delle prestazioni richieste nonché delle esperienze e dei titoli professionali occorrenti, garantendo la naturale scadenza dei rapporti concessori in corso e prevedendo che, in prima applicazione, l'affidamento integrato dei servizi avvenga, se necessario, anche con termini iniziali differenziati.

Infine, la disposizione in commento si preoccupa anche della fase transitoria, facendo salvi tutti i rapporti concessori in atto e, con una previsione che ha suscitato alcune critiche [12], ha prorogato ex lege le concessioni scadute fino alla definizione delle nuove gare da aggiudicarsi con le nuove regole.

4. La nuova disciplina dei servizi aggiuntivi dei musei statali: il d.m. 29 gennaio 2008

Come si è detto più volte, in attuazione dell'art. 14 d.l. 159/2007, il ministero per i Beni e le Attività culturali ha adottato il d.m. 29 gennaio 2008, contenente la disciplina sulle modalità di affidamento a privati e di gestione integrata dei servizi aggiuntivi presso istituti e luoghi di cultura statali.

E' necessario notare che il decreto in questione recupera e sviluppa alcune idee e proposte che erano emerse all'interno della Sottocommissione ministeriale chiamata, come si è detto, ad occuparsi del tema dei servizi di accoglienza e di ospitalità nei musei. In tale sede erano stati avanzati nuovi principi e strumenti per dare maggiore efficienza al settore dei servizi museali, tra cui ridefinizione dei ruoli tra i diversi attori istituzionali ed economici, differenziazioni delle attività e conseguente differenziazione dei regimi, flessibilità nelle soluzioni organizzative concrete, rafforzamento del ruolo regolativo pubblico a fronte di garanzie gestorie al privato in caso di esternalizzazione, ricorso a modelli di cooperazione, apertura a possibili sperimentazioni.

Tuttavia, solo in parte le soluzioni prospettate dalla Sottocommissione sono state riprese dal decreto; e ciò perché, mentre la prima si è occupata in generale del problema dei servizi aggiuntivi in tutti gli istituti ed i luoghi d'arte, sia statali che regionali e locali, tenendo come parametro di riferimento l'art. 117 del Codice Urbani, il secondo, invece, ha ad oggetto solo l'assistenza e l'ospitalità nei musei statali, dovendo dare attuazione all'art. 14 del d.l. 159/2007.

Venendo ai contenuti del decreto, l'analisi del nuovo regime giuridico dei servizi aggiuntivi nei musei statali può essere condotta separatamente con riferimento alle finalità, all'oggetto e ai principi, agli attori, ai modelli di organizzazione, alle procedure di affidamento e al rapporto concessorio.

a) Finalità

Come si è detto sopra, obiettivo del decreto è risollevare le sorti dei servizi aggiuntivi nei musei statali, garantendo maggiore efficienza del settore, ma anche una razionalizzazione delle risorse di cui necessita.

Si tratta di un obiettivo pensato avendo in mente il pubblico come attore e come interesse, ma che non è insensibile al ruolo sempre maggiore che il privato sta assumendo nella gestione dei servizi aggiuntivi e alla valenza tipicamente commerciale, di prestazioni erogate dietro corrispettivo, di tali attività.

Pertanto, in tale prospettiva, il decreto si muove affinché anche al privato venga riconosciuto un ruolo adeguato nelle dinamiche di organizzazione e gestione delle attività qui considerate. Infatti, alla base dell'intervento normativo ministeriale vi è l'idea secondo la quale, pur non abdicando al suo ruolo di governo e di regolazione delle dinamiche in questione, il pubblico sfrutta tutti quei meccanismi giuridici o quelle aperture consentite dall'ordinamento, al fine di permettere al privato di partecipare attivamente alla definizione dell'intervento di valorizzazione e anche di poter godere di un contesto negoziale idoneo a garantire la sua naturale aspirazione al guadagno.

Del resto, il decreto non nasconde tali intenzioni, visto che nelle premesse parla del settore dei servizi aggiuntivi come di un "comparto economico", rispetto al quale l'obiettivo non è solo quello di migliorarne la qualità nella prospettiva di una maggiore fruizione da parte dell'utenza e valorizzazione del bene, ma anche di introdurre nuove misure organizzative e di gestione idonee a renderlo più efficiente e competitivo.

b) Oggetto e principi

Il decreto, lo si è detto più volte, ha ad oggetto la disciplina dell'organizzazione dei servizi aggiuntivi negli istituti e luoghi della cultura del ministero per i Beni e le Attività culturali e tende a realizzare il principio della gestione integrata dei servizi aggiuntivi rispetto sia alle varie tipologie indicate dalla legge che ai diversi istituti e luoghi della cultura, nei quali i servizi devono essere svolti.

Tuttavia, a ben guardare l'impostazione del decreto sull'ambito di applicazione e sui principi da rispettare non è poi così scontata e richiede alcune necessarie precisazioni.

Innanzitutto, bisogna segnalare che il d.m., pur essendo finalizzato a regolare i servizi aggiuntivi dei musei statali, si occupa anche dei servizi museali di istituti e luoghi di cultura di altre amministrazioni non statali. Infatti, il ministero si preoccupa anche di avanzare l'auspicio che alla disciplina dei servizi museali per i musei dello Stato faccia presto seguito una nuova fase di regolazione che coinvolga anche i servizi integrati che interessano i musei e gli altri istituti non statali. Non solo. Al riguardo, particolarmente significativo è quanto previsto all'art. 3, comma 6, dove si stabilisce che la disciplina contenuta nel provvedimento ministeriale può trovare applicazione anche nei confronti di musei delle regioni e degli enti locali se coinvolti in una gestione integrata. In pratica, il decreto ammette la possibilità di estendere la gestione integrata dei servizi anche a musei non statali, ma prevedendo come conseguenza anche l'estensione del regime giuridico pensato per i musei dello Stato. A tal fine, lo strumento immaginato dalla disposizione per veicolare tale estensione è l'accordo di cooperazione istituzionale, stipulato tra amministrazione statale e amministrazioni regionali e locali ai sensi dell'art. 112, commi 4 e 6, d.lg. 42/2004.

In secondo luogo, sempre analizzando più da vicino i contenuti del d.m. del gennaio 2008, si può notare che il ministero non ha tradotto il principio organizzativo contenuto nell'art. 14 del d.l. 159/2007 come obbligo di realizzare per ogni Direzione regionale l'integrazione tra tutti i servizi e tutti gli istituti di riferimento. Viceversa, emerge in maniera chiara la volontà del regolatore di immaginare la gestione globale ed integrata dei servizi come alternativa alla gestione diretta da parte delle stesse amministrazioni museali ed in presenza di condizioni organizzative, gestionali ed economiche che ne consentano l'attivazione.

Sotto tale aspetto, il decreto ministeriale sembra subire l'influenza di quel principio di differenziazione organizzativa che la Sottocommissione ricordata aveva prospettato come punto essenziale di riforma del settore. In tale prospettiva, infatti, non esistono modelli predefiniti ed idonei ad essere utilizzati in qualsiasi contesto museale. Spetta alle amministrazioni, volta per volta e a seconda delle circostanze concrete, decidere se preferire la gestione diretta a quella indiretta, se integrare orizzontalmente o verticalmente i servizi, se agganciare ai servizi di accoglienza anche quelle attività strumentali che, altrimenti, dovrebbero essere affidate secondo il regime degli appalti (ad esempio, biglietteria), se comporre i differenti modelli organizzativi che al riguardo vengono forniti, se eventualmente provare la via della sperimentazione.

Inoltre, la scelta ministeriale sembra imposta anche da una lettura non superficiale delle fonti legislative di riferimento, ossia l'art. 117 del Codice dei beni culturali e l'art. 14 d.l. 159/2007, dalle quali non sembra emergere un obbligo di affidamento in forma integrata dei servizi aggiuntivi nei musei statali.

In particolare, l'art. 117 del Codice affida la gestione dei servizi aggiuntivi ai modelli previsti dall'art. 115 dello stesso Codice, mentre prevede espressamente l'integrazione, ma come mera eventualità, solo a proposito della gestione dei servizi aggiuntivi con quelli di pulizia, biglietteria e vigilanza. A sua volta, l'art. 115 del Codice ammette sia la gestione diretta che la gestione indiretta. Inoltre, il comma 4 del medesimo articolo collega la scelta della gestione indiretta alla finalità di assicurare un miglior livello di valorizzazione e fissa gli altri criteri che devono orientare la scelta. Pertanto, l'unica conclusione interpretativa che può essere colta dal dettato legislativo ricordato, è che le amministrazioni museali discrezionalmente (alla luce dei criteri e delle finalità fissati dagli artt. 115-117) scelgono se gestire direttamente o indirettamente i servizi aggiuntivi e, sempre discrezionalmente, valutano la possibilità di integrarli con i servizi di pulizia, vigilanza, biglietteria.

L'art. 117 cit. viene, poi, richiamato dall'art. 14 d.l. 159/2007.

Tale ultimo articolo si apre finalizzando l'affidamento in forma integrata dei servizi aggiuntivi alla necessità "di assicurare efficienza ed efficacia nell'erogazione degli stessi". Infatti, proprio l'efficienza e non la mera previsione di un obbligo di gestione integrata dei servizi aggiuntivi è lo scopo che la disposizione si propone di realizzare. Con la conseguenza che la gestione integrata è una scelta che l'amministrazione museale non deve, ma può fare in ragione del fatto che si giustifica solo se idonea ad "assicurare efficienza ed efficacia nell'erogazione degli stessi".

Se così non fosse, e si preferisse un'interpretazione contraria a quella appena proposta, allora dovremmo giungere alla conclusione secondo la quale l'art. 14 d.l. 159/2007 ha abrogato l'art. 117 del Codice Urbani. Infatti, non sarebbe coerente avere due disposizioni legislative, una che, richiamando l'art. 115 del Codice, riconosce in capo all'amministrazione museale un potere discrezionale di scelta tra gestione diretta/indiretta e gestione integrata/gestione singola, l'altra che, invece, obbliga gli stessi soggetti ad erogare i servizi aggiuntivi necessariamente in forma integrata attraverso affidamento all'esterno.

In altri termini, appare logico affermare che l'art. 14 d.l. 159/2007, introduce non un obbligo, ma una mera preferenza per la gestione in forma integrata dei servizi aggiuntivi, a condizione che ciò assicuri "efficienza ed efficacia nell'erogazione degli stessi". Ferma restando la necessità di raggiungere tale obiettivo, le amministrazioni museali conservano il loro potere discrezionale di scelta tra una gestione in proprio ed una gestione esternalizzata dei servizi aggiuntivi. Ciò, del resto, anche alla luce del fatto che ben potrebbe verificarsi in concreto che una gestione diretta e frazionata rappresenti, in presenza di determinate condizioni, il modo più appropriato per assicurare efficienza ed efficacia nell'erogazione dei servizi aggiuntivi.

Al massimo si potrebbe affermare che l'art. 14 d.l. 159 introduce un obbligo di gestione in forma integrata dei servizi aggiuntivi nel momento in cui l'amministrazione museale scelga di esternalizzare gli stessi. In tale prospettiva interpretativa, l'ente potrebbe decidere di gestire in proprio o meno i servizi in questione, ma nel caso in cui optasse per questa seconda eventualità, per effetto dell'art. 14 d.l. n. 159/2007, dovrebbe realizzare un affidamento in forma integrata di tutte le attività indicate dall'art. 117 Codice.

c) Attori

Per servizi aggiuntivi il decreto intende "i servizi di assistenza culturale, di accoglienza e di ospitalità per il pubblico, nonché ogni altro servizio strumentale alla migliore valorizzazione e fruizione degli istituti e dei luoghi della cultura" (art. 1, comma 1, lett. d)). Nei processi organizzativi relativi a tali servizi che seguono una logica di esternalizzazione e di integrazione giocano un ruolo fondamentale due attori necessari: le istituzioni pubbliche di riferimento e l'impresa privata partner.

Alle prime il decreto ministeriale affida compiti di regolazione e controllo con riferimento all'organizzazione dei servizi aggiuntivi nei musei. Vediamole nei dettagli.

In attuazione di quanto previsto nell'art. 14 del d.l. 159/2007, sono le direzioni regionali a svolgere la parte più importante in materia. Infatti, la direzione regionale, per prima cosa, è chiamata a individuare i servizi aggiuntivi da attivare in forma integrata in ambito regionale, dopo aver sentito i soprintendenti e i capi degli istituti aventi sede nella regione, i quali si riuniscono appositamente in conferenza (art. 4, comma 1).

Successivamente, spetta sempre alla direzione regionale il compito delicato di definire gli ambiti ottimali della gestione integrata dei servizi aggiuntivi. Nel far questo, l'amministrazione dovrà rispettare alcuni criteri previsti dal decreto, i quali hanno la finalità di evitare eccessive differenziazioni (a) rispetto degli indirizzi organizzativi e dimensionali definiti con appositi atti ministeriali), razionalizzare l'offerta (b) massimo livello possibile di integrazione; c) superamento della frammentazione delle gestioni non economicamente sostenibili; d) conseguimento di adeguate dimensioni gestionali, anche alla luce, tra gli altri elementi, del numero dei visitatori, del tempo della prestazione e degli investimenti richiesti ai concessionari), consentire l'estensione dell'integrazione anche a musei non statali (e) possibile cooperazione con altre istituzioni museali regionali e locali), e, infine, immaginare anche strumenti incentivanti della formula integrata e globale di gestione (f) possibile ricorso a forme di sostegno dirette a favorire l'avvio delle gestioni integrate, messe a disposizione dal ministero nell'ambito delle compatibilità economiche e finanziarie e previamente asseverate dai competenti organi centrali) (art. 4, comma 2).

Infine, la direzione regionale è chiamata ad assumere anche il compito di stazione appaltante per la gara che dovrà portare alla selezione del gestore dei servizi aggiuntivi da organizzare in forma integrata (art. 5, comma 1).

Il quadro delle competenze appena descritto non è definito in maniera rigida, in quanto il provvedimento ministeriale prevede alcune situazioni particolari in cui le competenze ricordate vengono affidate ad altri soggetti.

Così negli istituti dotati di autonomia speciale i servizi aggiuntivi sono individuati e organizzati dai rispettivi capi di istituto, i quali possono esercitare gli stessi poteri e competenze riconosciuti ai direttori regionali (art. 4, comma 1).

Inoltre, viene previsto anche un meccanismo di "sussidiarietà rovesciata" che legittima l'intervento del ministero in una logica di ausilio rispetto alle articolazioni regionali. In pratica, l'intervento ministeriale è previsto in due casi: attraverso il Segretario generale, quando, su proposta dei competenti direttori generali e regionali, risulti necessario attivare servizi aggiuntivi in forma integrata in ambito interregionale; attraverso la Direzione generale per il bilancio e la programmazione economica, la promozione, la qualità e la standardizzazione delle procedure, la quale è chiamata a svolgere una attività di costante monitoraggio sulle gestioni e a fornire supporto tecnico-giuridico alle strutture periferiche (art. 4, commi 3 e 4).

Per quanto riguarda, poi, la funzione di controllo, il decreto "spalma" tale compito su tutti gli attori istituzionali coinvolti nella dinamica dei servizi aggiuntivi dei musei statali. Infatti, l'art. 7, comma 1, stabilisce che "i singoli capi di istituto, i Direttori regionali o la Direzione generale per il bilancio e la programmazione economica, la promozione, la qualità e la standardizzazione delle procedure possono, in ogni momento, procedere o disporre esami, ispezioni, verifiche, accessi o quanto altro utile al fine di accertare il livello di qualità dei servizi erogati e la buona conduzione del servizio da parte del concessionario, senza pretesa alcuna di rimborso o risarcimento da parte del concessionario stesso".

In via ordinaria e non occasionale, invece, il decreto prevede la possibilità di costituire per ogni gestione integrata dei servizi aggiuntivi una commissione, alla quale parteciperanno il direttore regionale, i capi di istituto interessati e anche, in veste consultiva, il concessionario. Alla commissione, che si riunirà almeno ogni sei mesi, oltre ai compiti di vigilanza sulla qualità e sul corretto svolgimento del rapporto concessorio, spetta, in particolare, il compito di approvazione di eventuali progetti migliorativi del servizio (art. 7, comma 2).

L'ultima disposizione ricordata permette di sottolineare anche lo specifico ed innovativo ruolo che il decreto riconosce all'impresa privata concessionaria. Il privato, infatti, non è visto solo come l'esecutore di un progetto tecnico per il quale si è impegnato contrattualmente in cambio di una controprestazione in denaro, ma anche come partner delle istituzioni culturali, ossia come attore della dinamica organizzativa dei servizi museali che collabora e coopera per garantirne la qualità e l'efficienza. In particolare, tale ruolo collaborativo emerge dalla possibilità data dal decreto al concessionario di proporre annualmente progetti migliorativi dei servizi prestati, un meccanismo che permette degli aggiustamenti in corsa che flessibilizzano notevolmente e positivamente il rapporto concessorio tra le parti. Ma emerge anche dalla possibilità data dal decreto di sperimentare il dialogo competitivo per la selezione del concessionario, in modo da coinvolgere i privati già al momento della definizione del progetto di gestione integrata, in casi di particolare complessità (art. 5, comma 5).

Del resto, non poteva essere diversamente. I servizi aggiuntivi per il particolare contesto in cui vengono gestiti non sono mere prestazioni erogate al pubblico da un concessionario autorizzato, ma rappresentano attività che comunque contribuiscono alla valorizzazione dei beni rispetto ai quali si trovano in rapporto di strumentalità. Inoltre, l'efficienza e la razionalizzazione del sistema integrato dei servizi aggiuntivi, di cui è responsabile il concessionario, dipende anche dalla forza attrattiva che l'offerta culturale proposta dall'istituzione museale ha sul pubblico, con la conseguenza che, pur evitando quelle situazioni di pericolosa confusione di ruoli di cui si è detto, appare necessario immaginare forme di collaborazione tra i due attori del settore dei servizi aggiuntivi negli istituti di cultura.

Sono proprio questi i principali fattori che hanno determinato quel fenomeno che oggi più che mai caratterizza i processi di gestione dei servizi museali e che è stato definito della "valorizzazione contesa" [13]. Si tratta di un fenomeno molto ampio, che ha alla base anche lo scontro tra differenti approcci ideologici o, con dire meno impegnato, tra differenti visioni sull'uso che può essere fatto dei beni culturali e delle attività che al loro interno possono essere intraprese: da un lato, vi è l'idea tradizionale che vede i beni culturali compatibili solo con attività di tutela e di valorizzazione esclusivamente orientate alla realizzazione di interessi pubblici e, pertanto, rigorosamente riservate all'intervento delle istituzioni museali e dei loro corpi tecnici; dall'altro, si contrappone l'idea che propone anche l'intervento dei privati, considerato che tutela e valorizzazione dei beni culturali possono tranquillamente conciliarsi con altre attività di sfruttamento economico su tali beni e con logiche di mero profitto.

Forse, come spesso succede, la risposta al problema sta in una soluzione intermedia, nella ricerca di un giusto punto di equilibrio tra ruolo essenziale delle amministrazioni pubbliche e possibile intervento dei privati. Soprattutto, per le ragioni legate allo stato in cui si trova il patrimonio culturale italiano, alla riduzione delle risorse pubbliche e alla scarsa disponibilità da parte delle pubbliche amministrazioni di tecnologie e know how, appare, oggi, difficile immaginare che le politiche in materia di beni culturali possano essere portate avanti escludendo qualsiasi coinvolgimento dei privati, intesi ora come finanziatori ora come imprese del settore. Ciò, però, non significa abdicazione del pubblico dal suo ruolo necessario nel campo dei beni culturali, in quanto, come ricordato, sarebbe inaccettabile per lo Stato rinunciare alle proprie funzioni e prerogative in materia [14].

Il provvedimento ministeriale del 2008 dimostra piena consapevolezza di quanto appena precisato; e, infatti, riserva al pubblico un forte ruolo di definizione e progettazione dell'offerta culturale, di organizzazione e regolazione dei servizi aggiuntivi, di controllo e vigilanza sulle attività svolte dai concessionari all'interno dei luoghi di cultura. Allo stesso tempo, il decreto prevede anche la possibilità di attivare forme di collaborazione con il privato, già a partire dai momenti iniziali di progettazione delle iniziative di valorizzazione tramite l'attivazione di servizi museali.

d) Modelli di organizzazione

Dal punto di vista organizzativo, il decreto del 29 gennaio 2008 prevede due modelli gestionali principali ed alcune dinamiche organizzative opzionali.

I due modelli principali sono la gestione diretta o, in alternativa, la gestione integrata delle attività di servizio museale. La scelta tra l'uno e l'altro modello è affidata dal decreto alla valutazione discrezionale delle istituzioni coinvolte, anche se condizionata dal fatto che potranno gestire in proprio i servizi se disporranno dei mezzi economici, finanziari e del personale necessari all'espletamento degli stessi (art. 3, comma 3).

L'esternalizzazione dei servizi aggiuntivi, invece, come ricordato, impone la gestione integrata delle attività da assegnare tramite concessione ad un'impresa scelta con procedura concorsuale. Per il decreto l'integrazione si estende alle istituzioni individuate dalla Direzione regionale e abbraccia tutte le attività che rientrano nella categoria dei servizi aggiuntivi (art. 3, comma 4).

Il decreto fa riferimento anche a quattro possibili opzioni organizzative, che possono intervenire in circostanze espressamente previste dalla normativa.

La più importante è quella che fa riferimento alla preferenza espressa dal decreto verso l'estensione dell'integrazione gestionale anche ai servizi di pulizia, di vigilanza, di custodia e di biglietteria (art. 3, comma 5). Si tratta di appalti di servizio che al di fuori dell'integrazione gestionale possono essere affidati dalle istituzioni interessate secondo le regole previste per tali attività dal decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, o da altre discipline speciali. Si conferma, in buona sostanza, quanto già previsto dall'art. 117 del Codice Urbani, anche se, ad aggiunta di quanto stabilito in quella sede, il regolamento introduce una indicazione di preferenza verso le gestioni integrate estese anche alle attività di biglietteria, custodia, pulizia e vigilanza.

La seconda opzione, di cui si è già parlato, riguarda la possibilità di estendere l'integrazione gestionale dei servizi aggiuntivi pensati per i musei statali anche ad istituzioni museali regionali o locali presenti nel medesimo territorio, tramite appositi accordi di cooperazione istituzionale.

La terza opzione organizzativa prevista dal decreto riguarda le attività libere di assistenza al pubblico (ad esempio, l'attività di guida turistica) che possono essere rese nei luoghi di cultura da soggetti diversi dai concessionari, anche in concorrenza con questi. Con riferimento a tale eventualità, il decreto attribuisce alle istituzioni museali il compito di regolare l'esercizio delle diverse attività in modo da non creare conflittualità o disservizi (art. 3, comma 7).

L'ultima dinamica gestionale immaginata dal decreto come eventuale è quella estrema che si verifica nel caso in cui la gara indetta per l'affidamento della concessione della gestione integrata vada deserta. Al verificarsi di tale ipotesi i singoli istituti per i quali la gestione integrata era stata progettata ritornano sovrani e possono singolarmente organizzare i propri servizi, affidandoli anche uno per uno, anche se è preferibile, comunque, un'integrazione minima tra le varie attività (art. 5, comma 7).

e) Procedure di affidamento e rapporto concessorio

L'organizzazione esternalizzata e globale dei servizi aggiuntivi nei musei statali da parte delle direzioni regionali del ministero è la modalità gestionale disciplinata dal decreto del 29 gennaio 2008. Di tale formula gestionale si è detto quasi tutto; rimane solo da aggiungere qualche considerazione a proposito delle procedure di affidamento della concessione e delle caratteristiche del rapporto che si instaura.

Con riferimento alla procedura di affidamento, il decreto presenta alcuni profili di novità, in quanto prevede di arrivare alla selezione del concessionario attraverso tre possibili strade a seconda del riflesso che il progetto di gestione dei servizi aggiuntivi ha sulla valorizzazione dei musei interessati e del maggiore coinvolgimento del privato anche a partire dalla progettazione dell'iniziativa.

In via ordinaria il concessionario viene selezionato "mediante procedura aperta, basata sul criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, nel rispetto delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163" (art. 5, comma 4). Fondamentale, al riguardo, è anche la elaborazione del bando e degli altri documenti di gara, all'interno dei quali è possibile precisare i requisiti di capacità tecnico-professionali e le esperienze da possedere per poter partecipare alla procedura, anche a garanzia dell'affidabilità e serietà del futuro concessionario (art. 5, comma 2).

Nel caso in cui la Direzione regionale non sia in grado da sola di definire il progetto di organizzazione in forma integrata dei servizi aggiuntivi o oggettivamente il progetto che si intende costruire presenta profili di particolare complessità, il decreto prevede la possibilità di avvalersi del c.d. dialogo competitivo, così come disciplinato dall'art. 58 d.lg. 163/2006. Tuttavia, il decreto condiziona tale eventualità al rilascio di un positivo parere da parte della Direzione generale per il bilancio e la programmazione economica, la promozione, la qualità e la standardizzazione delle procedure del ministero dei beni e le attività culturali (art. 5, comma 5).

Infine, in casi particolari si prevede anche la possibilità di ricorrere al sistema del project financing, così come disciplinato dal Codice dei contratti pubblici (art. 5, comma 6). Anche in questo caso la scelta non è affidata all'autonoma responsabilità dell'amministrazione periferica, ma richiede un'esplicita autorizzazione da parte della Direzione ministeriale già competente per il rilascio del parere nel caso del dialogo competitivo e di altri poteri di intervento. La ratio di tale scelta è evidente e consiste non tanto nel tentativo di ridurre l'autonomia delle strutture regionali del ministero, quanto nell'esigenza di rafforzare il momento della valutazione sull'esistenza delle condizioni che autorizzano il ricorso a tale eventualità.

A proposito delle particolari esigenze che possono rendere opportuno il coinvolgimento del privato già come promotore, il decreto individua a titolo esemplificativo alcune situazioni: "particolari esigenze che comportino, a titolo esemplificativo, l'apertura al pubblico di nuovi luoghi di cultura ovvero interventi complessi, quali ristrutturazioni, restauri, adeguamenti funzionali, riallestimenti, inseriti nella programmazione triennale o negli altri strumenti di programmazione del ministero".

Sotto tale aspetto, il decreto fa proprie alcune proposte avanzate dalle imprese di settore, che avevano suggerito di prevedere il project financing come strumento di maggiore coinvolgimento del privato nella gestione dei servizi aggiuntivi [15]. Tra l'altro, il provvedimento ministeriale recupera anche esperienze maturate nella prassi, la quale aveva già registrato casi di sperimentazione dell'istituto in questione con riferimento ai servizi aggiuntivi, anche se accolti in maniera poco favorevole dalla giurisprudenza [16].

Si tenga, inoltre, presente che l'autorizzazione del ministero ad avviare un project financig per la progettazione integrata di servizi aggiuntivi determina anche la possibilità di dare al rapporto concessorio una durata superiore rispetto a quella ordinaria (art. 6, comma 1).

Infatti, è necessario sottolineare che il decreto in commento stabilisce che la concessione di gestione integrata dei servizi aggiuntivi ha durata quadriennale, salvo la possibilità di rinnovarla per altri quattro anni, nel rispetto della procedura prevista dall'art. 57 d.lg. 163/2006 e previa verifica dell'avvenuto adempimento del concessionario a tutti gli oneri derivanti dalla concessione scaduta (art. 6, comma 1). Sotto tale profilo, il decreto si muove in contro tendenza rispetto alla circolare del 2005, la quale fissava in 9 anni la durata delle concessioni della gestione integrata dei servizi museali. Tuttavia, il recente provvedimento ministeriale appare più flessibile, in quanto non solo ammette il rinnovo, ma prevede la possibilità di aumentare la durata in particolari situazioni (quelle che legittimano il ricorso al project financing). Inoltre, la previsione del rinnovo consente di coprire anche una lacuna nella disciplina dell'istituto, in quanto, mentre la legge Ronchey del 1993 ed il successivo t.u. del 1999 prevedevano esplicitamente il possibile rinnovo delle concessioni dei servizi aggiuntivi, il nuovo Codice contenuto nel d.lg. 42/2004 e l'art. 14 d.l. 159/2007 non hanno previsto nulla al riguardo.

Non sono mancate le critiche alla scelta di abbassare la durata della concessione con riferimento alla gestione integrata dei servizi aggiuntivi nei musei statali; critiche avanzate in ragione del fatto che solo tempi più lunghi potrebbero spingere i privati a maggiori investimenti nel settore e favorirebbero una maggiore efficienza ed apertura del mercato di riferimento [17]. Alcune di queste critiche, però, non sembrano cogliere nel segno. Innanzitutto, è giusto ricordare che il decreto prevede espressamente che proprio "particolari esigenze" che determinano interventi complessi e, quindi, richiedono grandi investimenti da parte del privato giustificano il ricorso ad una procedura alternativa di scelta del concessionario, alla quale si accompagna anche la possibilità di ampliare la durata della concessione affidata. Inoltre, la riduzione della durata delle concessioni sembra pensata proprio per migliorare l'efficienza del mercato dei servizi aggiuntivi e rompere quelle situazioni di oligopolio denunciate proprio dai concessionari che si sono dimostrati più critici nei confronti del decreto. Basti, infatti, ricordare che, come anni addietro segnalato dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato, l'istituto concessorio si pone in una relazione di scarsa compatibilità con le logiche concorrenziali, con la conseguenza che, lì dove non risulti possibile farne a meno, ridurne la durata e ridurre la discrezionalità delle amministrazioni aggiudicatrici sono gli unici accorgimenti che consentono di rendere meno chiusi alle dinamiche concorrenziali i mercati di riferimento [18].

A ben vedere, è quanto fatto dal decreto in commento. Anche sotto tale aspetto, infatti, il provvedimento ministeriale si sforza di cercare un punto di equilibrio tra le aspirazioni del privato a governare più che possibile i processi di valorizzazione sottesi alle iniziative di gestione integrata dei servizi aggiuntivi e il necessario ed irrinunciabile ruolo del pubblico nella programmazione e regolazione dell'offerta culturale.

E' stato recentemente ricordato che nei servizi aggiuntivi la collaborazione tra pubblico e privato è necessaria, ma non può essere considerata un punto di partenza, ossia aprioristicamente un obiettivo al raggiungimento del quale piegare tutto l'impianto ordinamentale di riferimento. Il rapporto con il privato è , più che altro, un punto di arrivo, il risultato cioé di una dinamica organizzativa che valorizza altri attori e altri interessi a condizione che venga salvaguardato il ruolo del pubblico [19]. L'impressione, forte, è che il decreto 29 gennaio 2008 si muove in questa direzione.

Note

[1] Così R. Cappelli, 10 anni di Legge Ronchey, dalla parte del privato, in Rapporto sull'economia della cultura in Italia 1990-2000, a cura di C. Bodo e C. Spada, Bologna, Il Mulino, 2004, 311.

[2] Il fenomeno della c.d. "scoperta del pubblico" è descritto da K. Schubert, Museo. Storia di un'idea, Milano, Il Saggiatore, 2004, 80.

[3] Si v., ad esempio, S. Settis, Italia S.p.A. L'assalto al patrimonio culturale, Torino, Einaudi, 2002, spec. 78 ss., ma, con specifico riferimento ai servizi aggiuntivi, R. Cappelli, Politiche e poietiche per l'arte, Milano, Electa, 2002, spec. 20 ss.

[4] Per una riflessione molto più ampia sul regime giuridico dei servizi aggiuntivi delle istituzioni museali italiane e per un'analisi della recente riforma, sia consentito rinviare a G. Piperata, Pubblico e privato nel nuovo regime giuridico dei servizi aggiuntivi dei musei statali, in corso di pubblicazione nel volume collettaneo a cura di M. Cammelli, R. Cappelli, M. Montella, Privati sì, privati no. Le trasformazioni della cultura tra seconda e terza repubblica, Electa, Milano, di cui il presente scritto costituisce una sintesi.

[5] Si v., ad esempio, le numerose indagini condotte sui servizi aggiuntivi nei musei: Corte dei conti, Indagine sulla gestione sui servizi d'assistenza culturale e d'ospitalità per il pubblico negli istituti e luoghi di cultura dello Stato, del. 12 dicembre 2005, n. 22, Commissione cultura del Senato nel Documento conclusivo dell'indagine conoscitiva sui nuovi modelli organizzativi per la tutela e la valorizzazione dei beni culturali del 2006, e già prima L. Solima, A Bollo, I musei e le imprese. Indagine sui servizi di accoglienza nei musei statali italiani, Napoli, Electa Napoli, 2002. Prezioso è anche il bilancio dell'applicazione della legge Ronchey che traccia R. Cappelli, Politiche e poietiche per l'arte, cit., 98 ss. Alcuni dati più aggiornati sulla situazione dei servizi aggiuntivi e sulle problematiche organizzative che li riguardano si trovano in A.L. Tarasco, La redditività del patrimonio culturale, Torino, Giappichelli, 2006, 199 ss.

[6] Il Rapporto elaborato dalla Commissione in questione è pubblicato in questa Rivista.

[7] Cfr. R. Cappelli, Politiche e poietiche per l'arte, cit., 104 ss.

[8] Così M. Cammelli, Pubblico e privato nei beni culturali: condizioni di partenza e punti di arrivo, in Aedon, 2/2007.

[9] Sono numerosi i commenti dedicati alla disciplina in questione: P. Carpentieri, Commento agli artt. 115-117, in Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, Commento coordinato a cura di R. Tamiozzo, Milano, Giuffré, 2005, 506 ss., P. Michiara, Considerazioni sulla partecipazione dei privati alla gestione dei beni culturali di appartenenza pubblica, in I beni pubblici: tutela, valorizzazione e gestione, a cura di A. Police, Milano, Giuffré, 2008, 393 ss., M. Monteduro, L'affidamento a terzi dei "servizi aggiuntivi" negli istituti e luoghi della cultura di appartenenza pubblica, in Riv. trim. appal., 2006, 427 ss., G. Piperata, Art. 117, in Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M. Cammelli, Bologna, Il Mulino, nuova ed., 2007, 469 ss., A.L. Tarasco, Commento all'art. 117, in Commentario al Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di G. Leone, Padova, Cedam, 2006, 737 ss., e D. Vaiano, Commento all'art. 114, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di G. Trotta, G. Caia e N. Aicardi, in Le nuove leggi civili commentate, 2005, 1457 ss.

[10] Al riguardo, cfr. Tar Lazio, Roma, sez. II, 28 settembre 2005, n. 7590.

[11] Il riferimento è ad A.L. Tarasco, Commento all'art. 117, in Commentario al Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di G. Leone, Padova, Cedam, 2006, 738 ss.

[12] Cfr., a proposito, G. Arezzo di Trafiletti, Servizi aggiuntivi e beni culturali: prime osservazioni sull'art. 14 del decreto legge 1 ottobre 2007, n. 159, in www.lexitalia.it, il quale, oltre ad avanzare dei dubbi sulla bontà della gestione integrata, sottolinea come sia giuridicamente difficile ipotizzare una proroga di un rapporto i cui effetti siano scaduti.

[13] La definizione è di R. Cappelli, Politiche e poietiche per l'arte, cit., 140.

[14] In questi termini S. Settis, Battaglie senza eroi. I beni culturali tra istituzioni e profitto, cit., 63.

[15] Cfr., al riguardo, quanto proposto in Confindustria, in coll. con Confcultura, La valorizzazione della cultura fra Stato e mercato, Roma, Editore Sipi, 2008, 59 s.

[16] La vicenda è singolare e merita di essere richiamata. Una impresa privata era stata scelta, da parte di una amministrazione pubblica, come promotore di un progetto di riqualificazione di un'area monumentale di un comune, che sarebbe stata riutilizzata per oltre la metà per la realizzazione e gestione di una sede museale e per il rimanente per realizzare, sempre in un ottica di valorizzazione del bene, strutture alberghiere, uffici ed esercizi commerciali. Il giudice amministrativo ha sindacato negativamente la vicenda, in quanto ha affermato che "per gli "istituti e luoghi della cultura" di appartenenza pubblica, che costituiscono una categoria a sé stante nell'ambito dei "beni culturali", non è consentita l'attribuzione in uso a terzi soggetti per lo svolgimento di attività che, ferma restando l'accessibilità da parte della generalità degli individui, abbiano il solo limite (in negativo) della non compromissione dell'integrità del bene e dei valori storico-artistici di cui lo stesso è espressione, in quanto l'esplicita previsione dei c.d. "servizi aggiuntivi" (art. 117 d.lg. 42/2004), escludendo implicitamente ogni altra modalità di impiego, identifica in modo tassativo le ulteriori attività compatibili con la natura del bene e conferma ancora una volta la necessità di un uso che, per la parte principale, si caratterizzi per essere preordinato a finalità di interesse pubblico, per essere coerente con il valore culturale oggetto di tutela e per essere strumentale al pieno godimento di quest'ultimo da parte della collettività, in modo da preservare l'identità storico-artistica del bene e renderne partecipe la comunità attraverso la concreta adibizione ad una funzione che rispecchi la natura del bene, in ciò realizzandosi - come prescritto dalle legge (art. 101, comma 3, d.lg. 42/2004) - la destinazione alla "pubblica fruizione" e l'espletamento di un "servizio pubblico": cfr. Tar Emilia-Romagna, Bologna, sez. I, 4 dicembre 2007, n. 618, in Giust. amm., n. 12/2007.

[17] Cfr. A. Cherchi, Cambia la cornice sui servizi aggiuntivi, in Il Sole 24 Ore del 25 febbraio 2008, ma anche Confindustria, in coll. con Confcultura, La valorizzazione della cultura fra Stato e mercato, cit., 52 ss.

[18] Cfr. Concessioni e concorrenza, a cura di M. D'Alberti, Roma, IPZS, 1998.

[19] Cfr. quanto affermato da M. Cammelli, Pubblico e privato nei beni culturali: condizioni di partenza e punti di arrivo, cit.

 

 



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