Commissione incaricata di elaborare una proposta per
la definizione
dei livelli minimi uniformi di qualità della valorizzazione
(d.m. 1 dicembre 2006)
Sintesi dei lavori - ottobre 2007
(stralcio)
SOTTOCOMMISSIONE 4
PROGRAMMAZIONE E GESTIONE DELLE
ATTIVITA' DI VALORIZZAZIONE.
I "SERVIZI AGGIUNTIVI"
1. Dai servizi aggiuntivi ai servizi di accoglienza
I servizi aggiuntivi sono stati introdotti nell'ordinamento italiano dal d.l. 14 novembre 1992, n. 433, conv. in legge 14 gennaio 1993, n. 4 (c.d. legge Ronchey). Inizialmente, la categoria dei servizi aggiuntivi che potevano essere affidati a concessionari privati sulla base di contratti di durata quadriennale comprendeva il servizio editoriale e di vendita riguardante le riproduzioni di beni culturali e la realizzazione di cataloghi ed altro materiale informativo, i servizi riguardanti i beni librari e archivistici per la fornitura di riproduzioni e il recapito nell'ambito del prestito bibliotecario e i servizi di caffetteria, di ristorazione, di guardaroba e di vendita di altri beni correlati all'informazione museale.
Il nucleo originario dei servizi previsti dalla Legge Ronchey faceva riferimento ad attività offerte al pubblico a pagamento. Pertanto, la denominazione "servizi aggiuntivi" era del tutto appropriata, in quanto faceva riferimento a servizi, prima assenti negli istituti culturali pubblici, da offrire ai visitatori a pagamento per il tramite del concessionario.
Tale categoria è stata successivamente ampliata ad opera dell'art. 47-quater, d.l. 23 febbraio 1995, n. 41, conv. in legge 22 marzo 1995, n. 85, in modo da ricomprendere anche i servizi di accoglienza, di informazione, di guida e assistenza didattica e di fornitura di sussidi catalografici, audiovisivi ed informatici, di utilizzazione commerciale delle riproduzioni, di gestione dei punti vendita, dei centri di incontro e di ristoro, delle diapoteche, delle raccolte discografiche e biblioteche museali, dei servizi di pulizia, di vigilanza, di gestione dei biglietti di ingresso, dell'organizzazione delle mostre e delle altre iniziative promozionali, utili alla migliore valorizzazione del patrimonio culturale ed alla diffusione della conoscenza dello stesso. Il succedersi delle norme si è ripercosso in termini di incoerenze registrate dalla prassi. In particolare, il servizio editoriale è stato talora confuso con l'attività editoriale degli istituti, specialistica e divulgativa; il servizio di guardaroba è stato spesso "imposto" a titolo gratuito e ad esso in taluni casi si è aggiunto il servizio di accoglienza e di informazione, del pari gratuito; il servizio di visite guidate è stato concesso al privato di frequente senza tener conto delle discipline regionali in tema di guide autorizzate (oggi liberalizzate dalla legge Bersani); infine il servizio di biglietteria, già di per sé oggetto di complessa (e oscura) regolamentazione, ha visto addossato al privato l'onere della tesoreria e del conto giudiziale.
L'istituzione dei servizi aggiuntivi, sulla base del regime descritto (e successivamente confermato anche dal t.u. 29 ottobre 1999, n. 490), da parte delle istituzioni pubbliche culturali non è stata immediata. Infatti, solo in seguito all'emanazione del d.m. 24 marzo 1997, n. 139, contenente le norme sugli indirizzi, criteri e modalità di istituzione e gestione dei servizi aggiuntivi nei musei e negli altri istituti del Ministero si sono registrate le prime attivazioni, che negli anni successivi hanno avuto una crescita esponenziale.
Tuttavia, se i primi dieci anni di applicazione della legge hanno visto un processo di sviluppo dei servizi aggiuntivi nell'ambito delle istituzioni museali, recentemente si è assistito ad un'inversione di tendenza. Come sottolineato dalla Corte dei Conti (Indagine sulla gestione sui servizi d'assistenza culturale e d'ospitalità per il pubblico negli istituti e luoghi di cultura dello Stato, del. 12 dicembre 2005, n. 22) negli ultimi due anni la legge Ronchey "ha esaurito la sua spinta propulsiva".
Tale situazione, in parte, rappresenta - si potrebbe dire - un rallentamento fisiologico, considerato che i servizi in questione sono stati attivati nei principali siti culturali italiani, mentre per i luoghi di cultura di medie e piccole dimensioni non sempre le condizioni di gestione ne consentono l'attivazione; in parte, però, essa rappresenta anche la conseguenza di una scarsa redditività del settore e di un regime giuridico di riferimento che non rendono appetibile e contendibile il mercato per i privati. Non si spiegherebbe, altrimenti, il perché, come ricordato anche dalla Commissione cultura del Senato nel Documento conclusivo dell'indagine conoscitiva sui nuovi modelli organizzativi per la tutela e la valorizzazione dei beni culturali del 2006, alcuni privati gestori hanno preferito non rinnovare l'affidamento dei servizi aggiuntivi in scadenza nel 2004 e le difficoltà che attualmente contraddistinguono le gestioni ancora in corso.
Non sono mancati recentemente tentativi diretti a rilanciare l'istituto dei servizi aggiuntivi.
La riforma da ultimo apportata al settore con il d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42, si muove in questa direzione. Il nuovo testo dell'art. 117 del Codice Urbani, infatti, ancora i servizi aggiuntivi al sistema della valorizzazione dei beni culturali. L'intento è quello di rafforzare la reale funzione dell'istituto in questione e di consentirne un idoneo utilizzo con lo scopo di "promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e [di] assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso, al fine di promuovere lo sviluppo della cultura". In tale prospettiva, i servizi aggiuntivi rappresentano attività finalizzate non solo al miglioramento della fruizione del bene culturale ma anche a favorirne la maggiore conoscenza e, pertanto, divengono a pieno titolo strumenti importanti del sistema della valorizzazione, alla stregua delle altre iniziative di servizio pubblico a tale sistema riconducibili.
Sul versante più operativo, poi, si devono segnalare altri due provvedimenti ministeriali con i quali si è tentato di migliorare le condizioni economiche ed il contesto giuridico di riferimento, al fine di favorire un maggior ricorso all'istituto. Il primo provvedimento è il d.m. 28 settembre 2005, n. 122, con il quale è stata disciplinata la procedura di fissazione dei prezzi dei biglietti di ingresso nei luoghi d'arte, è stato aumentato l'aggio a favore dei privati e sono stati ampliati i tempi entro i quali riversare gli incassi allo Stato. Il secondo provvedimento, invece, è la circolare 5 ottobre 2005 con la quale sono stati introdotti i capitolati speciali per l'affidamento dei servizi da parte delle strutture periferiche del Ministero e che ha introdotto un favor per l'affidamento congiunto e la gestione integrata delle attività ad un unico concessionario.
Tuttavia, il cambio di prospettiva operato dalla riforma del 2004 e gli aggiustamenti previsti a livello ministeriale non sono da soli sufficienti a rilanciare l'istituto dei servizi aggiuntivi, comunque ancora soggetto ad un regime gestionale che, salvo alcune modifiche introdotte su aspetti marginali, è sostanzialmente quello originario.
2. I servizi di accoglienza oggi: elementi di criticità e possibili rimedi
Prima di proporre soluzioni o possibili rimedi, è opportuno procedere alla individuazione di alcuni profili di criticità che hanno determinato la situazione di difficoltà in cui versano i servizi aggiuntivi. Alcune criticità sono riconducibili alla particolare natura dei servizi e, soprattutto, al regime giuridico di riferimento, altre, invece, ad alcune difficoltà di sistema emerse a livello concreto.
Innanzitutto, bisogna registrare che la categoria in questione contiene attività eterogenee sul piano economico:
a) in alcuni casi, si tratta di attività con totale assunzione di rischi, e necessità di consistenti investimenti, da parte del privato (ad esempio, produzione editoriale, allestimento e gestione librerie);
b) in altri, invece, è presente una copertura costi per il personale impiegato e limitati investimenti (ad esempio, biglietteria, didattica, vendita, audioguide).
Allo stesso tempo, non si può non notare che sotto la locuzione servizi aggiuntivi possono essere ricondotte attività diverse dal punto di vista della qualificazione giuridica:
a) alcune sono attività economiche (v. una parte della produzione editoriale, merchandising, gestione librerie, ristorazione, ecc.), in sé libere e di per sé naturale oggetto di contratti tra p.a. e privato (specie dopo l'art. 1 comma 1-bis legge 241/1990, post modifiche 15/2005);
b) altre sono mere attività materiali di supporto (v. guardaroba, informazione, assistenza al pubblico + pulizia, vigilanza e biglietteria), in sé da appalto pubblico di servizi;
c) altre sono (o possono essere, a seconda del prevalere dell'obbiettivo cultural-istituzionale loro assegnato) necessariamente connesse alla funzione pubblica (rectius, servizio) di valorizzazione (v. didattica, organizzazione mostre, iniziative culturali): pertanto, oggetto di concessione.
Altro elemento di criticità è rappresentato, poi, dal carattere uniforme della disciplina, la quale non fa alcuna differenza tra tipologie di musei per dimensione, affluenza ecc., per frequentazione costante o periodica.
Rilevante è anche il dato che emerge dalla prassi e dal quale si nota che i servizi in questione sono tutto fuorché "aggiuntivi". Infatti, non solo, su di loro, o (più spesso) per il loro tramite, transitano esigenze di funzionamento minimo ed essenziale degli istituti pubblici, ma si ha un frequente scambio perverso tra pezzi di vera e propria valorizzazione pubblicistica (parti di editoria, iniziative o mostre) trasferite al privato, in quanto è l'unico a disporre le risorse, e pesanti restrizioni sul funzionamento concreto, che di fatto semi-pubblicizzano le imprese private.
Come evidenziato dagli Uffici del Ministero, i dati più critici che a livello di prassi possono essere riscontrati nel sistema relativo ai servizi culturali riguardano i frequenti inadempimenti contrattuali da parte dei concessionari, la mancanza di livelli qualitativi di riferimento, la tendenza ad aumentare la durata degli affidamenti e la conflittualità circa la programmazione della valorizzazione e della promozione. A ciò si aggiunga che non sono mancate anche contestazioni reciproche tra pubblico e privato sulle quali è stato avviato un apposito contenzioso.
E' anche da notare che, pur in presenza di serie difficoltà gestionali o vere e proprie inadempienze contrattuali da parte del concessionario, gli istituti museali hanno proseguito nel rapporto contrattuale con l'impresa privata, considerato che in alcuni siti, soprattutto di regioni meridionali, è possibile garantire l'apertura e la fruizione da parte dell'utenza solo attraverso i concessionari.
Infine, si deve registrare che questa confusione di attività eterogenee e di ruolo degli attori finisce per travolgere anche la (in sé giusta) ipotesi di "integrazione" di attività, con sotterranee compensazioni tra attività a profitto e in perdita, attività dovute e non dovute (ma richieste), decisioni prese e vincoli subiti, che al di là di ogni altra considerazione impediscono la comprensione di chi fa che cosa, la valutazione di costi e ricavi, le conseguenti responsabilità. Il che, almeno in alcuni casi, comporta il rischio di intrecciare inadempimenti riferibili a questi presunti "accordi informali" e situazioni, che certo non mancano, di vere e proprie trasgressioni degli obblighi assunti.
Se le cose stanno nei termini descritti, per recuperare un sistema accettabile, sono necessarie alcune operazioni che presentano una precisa individualità logica e operativa, e precisamente:
A) Quadro di riferimento a garanzia dell'unità del sistema
Occorre anzitutto prefigurare e porre in essere le condizioni di contesto (largamente pubblicistiche), incentrate sull'asse centro-direzioni regionali-soprintendenze di settore e sulla cooperazione con il sistema locale (regioni, enti locali, università), in grado di garantire l'unità e il funzionamento del sistema ovvero la sua complessiva tenuta, dunque:
1. funzione regolativa: definizione dei livelli minimi di valorizzazione (del servizio pubblico), definizione delle prestazioni minime essenziali dei servizi aggiuntivi (spesso confuse con i livelli minimi); accreditamento delle strutture, controllo/valutazione in rapporto ad aree territoriali e tipologie di attività;
2. funzione organizzativa: formazione e qualificazione del personale, integrazione tra siti e istituti;
3. funzione istituzionale: analisi del territorio (es. mappa dei rischi), programmazione, rapporto con regioni e enti locali, connessione con le politiche di settore;
4. strumenti di supporto (es. task force tecnico-giuridica al centro e presidi locali) e incentivi, flussi di informazioni ecc.;
5. introduzione di altre opzioni operative: ad es., apertura in via convenzionale, e dunque al di fuori dell'evidenza pubblica, all'apporto di altre amministrazioni pubbliche (v. Università) per attività o parti di esse (didattica, catalogazione, ecc.).
B) Distinzione fra le attività di settore
In secondo luogo occorre rispettare e, anzi, evidenziare le differenze che sul piano logico, giuridico ed economico caratterizzano le attività di settore. Ciò significa, in primo luogo, recuperare il concetto di economicità e conseguente autonomia della gestione. Per farlo, sembra indispensabile distinguere all'interno dell'art. 117:
1. le attività di valorizzazione relativamente libere, cioé semplicemente sottoposte ad una regolazione di cornice e comunque economicamente sostenibili;
2. le attività di mero supporto al funzionamento ordinario;
3. le attività di stretta valorizzazione, a forte tipizzazione pubblicistica.
Da tale distinzione consegue, a livello di regime giuridico, che le prime due categorie costituiscono normali contratti (attivi i primi, passivi i secondi) della p.a. La terza categoria, invece, va scissa in due momenti:
a) una parte necessariamente regolativa della p.a., perché l'espletamento del servizio presuppone la previa valutazione comparativa tra gestione diretta e indiretta, funzioni di indirizzo e controllo, la concessione, un contratto di servizio;
b) una parte meramente gestionale.
Naturalmente, vi sono atti regolativi necessari per le funzioni pubbliche ma utili anche per le altre che possono essere comuni a tutte le attività. Se però muoviamo dalla distinzione che si è detta, allora si potrebbero immaginare prescrizioni a durezza variabile: insuperabili, per l'esercizio di funzioni pubbliche; cedevoli, dunque superabili quando se ne dia riconoscibile ragione, per le altre attività.
Tali atti sono:
a) un piano strategico triennale (missione museo, target perseguito, obbiettivi quali-quantitativi perseguiti, ecc.);
b) carta dei servizi: definizione di standard di qualità da garantire, statuto degli utenti, rimedi all'inadempienza ecc.;
c) capitolati e contratti di servizio tipo;
d) strumenti di controllo;
e) verifica risultati.
Si aggiunga, poi, che la gestione deve essere economicamente sostenibile e, dunque, garantita nella sua autonomia organizzativa e funzionale. Pertanto, gli unici condizionamenti accettabili possono essere, in partenza, la richiesta di utilizzare personale con un minimo di qualificazione (come in alcuni bandi già avviene) e, successivamente in itinere, la possibilità (prevista e definita nelle sue modalità e implicazioni) di "innesti" dovuti a campagne nazionali, manifestazioni straordinarie, interdipendenze qualificate con altri, innovazioni tecnologiche.
Infine, la funzione regolativa potrà arrivare ad indicare anche alcune specifiche dei prodotti, che saranno etero-definiti dal pubblico, ma per il resto, i prodotti dovranno essere autodeterminati dal privato.
Si tenga presente che potrebbe essere opportuno affiancare alla funzione regolativa interventi da parte dei soggetti pubblici di governo del settore diretti a migliorare le condizioni di erogazione dei servizi. Ad esempio, si potrebbe immaginare la possibilità che il Ministero definisca forme di finanziamento di investimenti infrastrutturali idonei a migliorare i servizi di assistenza.
C) Differenziazione dei regimi
Conseguente alla messa a fuoco delle diversità che caratterizzano le attività di settore è l'intervento che riguarda la differenziazione dei regimi. Ciò deve avvenire lungo quattro direttrici:
a) quella delle tipologie di attività (contratti, appalti, concessioni), operando tra l'altro una significativa riduzione dell'area affidata alla concessione;
b) quella relativa alle dimensioni dei musei, robustamente promuovendo (con incentivi e qualche prescrizione) integrazioni funzionali;
c) quella relativa al tempo in cui avviene la prestazione (es.: eliminando il servizio di biglietteria per certi istituti in determinate stagioni di scarsa affluenza);
d) quella riguardante un'area dura, e prescrittiva per le parti, di reciproci diritti ed obblighi e quella cedevole, e dispositiva, nella quale si possono motivatamente introdurre modifiche.
Altri aspetti da tenere in considerazione sono i soggetti esterni, che operano nel settore al di fuori di rapporti concessori e, pertanto, del tutto liberi, per i quali si deve prendere in considerazione la possibilità di dettare un minimo di "statuto" in modo da evitare il dualismo tra aree iper-regolate (concessionari) e aree del tutto extra-regolazione (gli altri); la cooperazione istituzionale ex art. 112.4 e ss., anche con riferimento alle potenzialità legate al coinvolgimento dei privati che partecipano agli "appositi soggetti giuridici" per la cooperazione istituzionale ai sensi dei commi 6 e 8 del 112, e all'ipotesi degli accordi per servizi strumentali alla valorizzazione e fruizione, o per uffici comuni), ex 112.9.
Dovrà essere, poi, valorizzata anche una maggiore integrazione di attività, che potrà essere sia a base territoriale (tra le diverse attività di un istituto o tra più istituti e relativo contesto), sia a base funzionale (ad es. per tipologie di attività).
Differenziazione, cooperazione, integrazione sono linee di intervento che possono essere sviluppate se accompagnate da alcuni elementi di contesto, che sono:
1. dare trasparenza agli accordi tra p.a. e privato, in modo che sia chiaro il regime, il sinallagma, le reciproche responsabilità. E' il risultato atteso dalle innovazioni prima richiamate;
2. sperimentare, per aree o attività o istituti circoscritti, le innovazioni che si vanno ad introdurre.
3. Linee di intervento
Le linee di intervento operativo che si prospettano si concretano, innanzitutto, in un "monitoraggio" diretto a verificare la situazione in cui si trovano i rapporti tra amministrazioni culturali e privati a proposito della gestione dei servizi aggiuntivi. Alla verifica deve seguire, da un lato, una "moratoria" concernente l'indizione delle gare per i servizi di assistenza culturale e di ospitalità i cui rapporti di concessione siano già scaduti (e non ancora riaffidati) o vengano prossimamente a scadenza e, dall'altro, l'emanazione di un atto di indirizzo ministeriale contenente nuovi indirizzi e criteri per la gestione di detti servizi.
E' opportuno subito chiarire che tale atto si porrebbe in un rapporto di continuità/innovazione rispetto alla circolare ministeriale 5 ottobre 2005, n. 131. Da un lato, infatti, andrebbero ribaditi, o semmai specificati e aggiornati, principi già presenti in essa, quali quelli dell'integrazione verticale (fra i beni) e verticale (fra i servizi), il ruolo "di perno" affidato alle Direzioni regionali e la possibilità di affidare ai concessionari la realizzazione di mostre ed eventi culturali oltre che di attività promozionali. Dall'altro, però andrebbero sviluppate, sulla base delle ormai chiare diversità sostanziali riscontrabili all'interno dei servizi aggiuntivi, le opportune differenziazioni di regime giuridico, corredandole al contempo dalle necessarie garanzie di tenuta complessiva del sistema.
A) Monitoraggio
E', in primo luogo, necessario procedere ad aggiornare i dati disponibili concernenti lo stato attuale delle gestioni relative ai servizi aggiuntivi. In particolare, bisogna verificare il numero di servizi attivati nei siti culturali, le durata dei rapporti, i rapporti scaduti e in scadenza, le concessioni rinnovabili per esplicita previsione e, soprattutto, eventuali procedure di affidamento avviate da parte di alcune amministrazioni.
Tale verifica appare fondamentale per poter esattamente capire l'impatto sulla situazione attuale delle misure di riorganizzazione che si intende proporre.
B) Moratoria
Si tratta di una misura, come è evidente, strettamente collegata all'emanazione e all'implementazione dell'atto di indirizzo ministeriale ed è volta ad assicurare che le future scelte gestionali relative ai servizi di accoglienza siano coerenti con gli indirizzi e i criteri che verranno definiti da tale atto.
Sulla scorta dell'orientamento del giudice amministrativo (ad es., Tar Lazio, Sez. I-bis, 13 febbraio 2006, n. 106) si ritiene che la misura, ove abbia a riferimento un contenuto arco temporale (fino a tutto il 2007), possa assumere la veste di un decreto ministeriale di proroga dei rapporti concessori scaduti o in scadenza, motivato con l'esigenza di garantire la continuità dei servizi in essere, fino all'affidamento degli stessi sulla base dei nuovi criteri adottati. Per più ampie indicazioni si fa rinvio all'appunto del 20 giugno 2007.
Qualora, invece, si ritenga che l'arco temporale debba essere più esteso, appare necessario il ricorso ad apposita disposizione normativa transitoria, da inserire nel Codice (d.lg. 42/2004) tramite decreto legislativo ex art. 10, comma 4, legge 6 luglio 2002, n. 137.
C) Atto di indirizzo ministeriale
L'atto di indirizzo ministeriale, sostituendosi alla circolare 131/2005, è destinato a fornire per le strutture centrali e periferiche il nuovo quadro di riferimento generale in materia di servizi di ospitalità.
Esso potrebbe articolarsi (almeno) nei seguenti snodi: criteri generali per lo svolgimento dei servizi di assistenza culturale, modelli di cooperazione istituzionale, modelli di esternalizzazione.
Criteri generali per lo svolgimento dei servizi di assistenza culturale
Fra i criteri che devono presiedere allo svolgimento dei servizi di assistenza culturale andrebbero menzionati quelli di:
- differenziazione fra l'attività di regolazione e quella di gestione, al fine di garantire l'autonomia organizzativa del soggetto che provvede alla gestione;
- differenziazione fra il ruolo da assegnare alle Direzioni regionali (come stazione appaltante e sede di coordinamento generale) e quello da riservare alle Soprintendenze di settore e alle Direzione degli istituti (scelta dei modelli di svolgimento dei servizi, "gestione" dei rapporti concessori e della strumentazione autorizzatoria);
- autonomia degli istituti culturali come precondizione per la gestione diretta dei servizi;
- potenziamento organizzativo delle Direzioni regionali per lo svolgimento dei compiti assegnati;
- adeguatezza del soggetto gestore onde assicurare il rispetto degli standard minimi di valorizzazione;
- flessibilità nell'organizzazione dei servizi, in ragione delle caratteristiche degli istituti,
- dei tipi di servizi e dell'integrazione orizzontale (fra istituti) e/o verticale (fra servizi) che si intende realizzare. In tale prospettiva si potrebbe arrivare anche ad introdurre misure specifiche o derogatorie (come ad esempio, l'eliminazione dell'aggio per i servizi di biglietteria in determinati siti);
- fissazione di indici di "massa critica minima", al di sotto dei quali l'integrazione dei servizi di assistenza rappresenta un preciso vincolo;
- indicazione di "griglia di orientamento" ai fini della scelta fra la gestione diretta, la integrazione funzionale e la esternalizzazione dei servizi;
- inserimento di "clausole di flessibilità" nei rapporti concessori o di appalto in grado di tener conto dell'andamento dei servizi (ad es. in tema di aggi);
- individuazione di un organismo che a livello nazionale, in rappresentanza anche di altre istanze pubbliche (ed eventualmente anche private) monitori l'evoluzione del settore ed elabori ed eroghi incentivi in modo da favorire le migliori prassi (v. amplius sub IV);
- integrazione funzionale tra istituti e, di conseguenza, tra servizi.
Modelli di cooperazione istituzionale
Sono da richiamare all'attenzione dei responsabili degli istituti della cultura le disposizioni del nuovo art. 112, comma 9, del Codice, che prevedono la possibilità per le amministrazioni pubbliche di stipulare accordi per organizzare servizi strumentali comuni (ad es. "carte musei") o per istituire uffici comuni (ad es. biglietteria).
Considerata la peculiarità del settore, il percorso cooperativo può rappresentare lo strumento privilegiato per la definizione delle politiche e degli interventi necessari di governo.
In particolare sono auspicabili momenti di cooperazione tra Ministero e livelli autonomistici regionali e locali (comprese le università).
Inoltre, potrebbe essere utile anche avviare forme di cooperazione di tipo finanziario, che potranno riguardare anche soggetti privati (ad esempio, non profit) che in alcune zone del Paese hanno dimostrato grande interesse per il settore.
Modelli di esternalizzazione dei servizi
I modelli di seguito indicati rappresentano schemi utilizzabili per l'organizzazione dei servizi una volta operata la scelta della loro esternalizzazione.
Da sottolineare è il fatto che la riduzione dell'area affidata alla concessione limita quest'ultima ai modelli 1) e 2), lasciando il 3) e il 4) a forme di regolazione più leggere affidate ad atti autorizzatori di mero accertamento della sussistenza dei requisiti richiesti oppure a strumenti contrattuali di diritto privato.
Il modello 1), per il suo carattere di globalità, risulta alternativo rispetto agli altri, mentre i modelli 2-4) possono trovare applicazione congiunta oppure essere impiegati singolarmente (ossia con riguardo solo a taluni servizi).
1) Modello (Global service)
Il suo ambito comprende la generalità dei servizi di accoglienza. All'interno di macroriferimenti formulati dall'Amministrazione, comprensivi anche dei requisiti di specializzazione da richiedersi ai privati concorrenti, i servizi vengono affidati (affidamento di pubblico servizio) all'operatore privato (singolo o in ATI) che presenti (secondo le modalità dell'appalto-concorso) il progetto integrato di gestione valutato come più idoneo dalla stessa Amministrazione. Il progetto deve annoverare la costituzione di un organismo misto (Amministrazione/Affidatario) che puntualizzi durante lo svolgersi del rapporto concessorio talune qualificanti scelte (in particolare quelle relative alla definizione delle mostre volte alla valorizzazione i beni culturali presenti nell'istituto), con forme più accentuate nell'ipotesi di soprintendenze autonome. Inoltre, in alcuni casi si potrebbe, qualora fossero presenti adeguate condizioni organizzative e gestionali, realizzare anche una doppia offerta del pubblico e del privato all'interno del medesimo sito di quei servizi aggiuntivi che presentano una più spiccata valenza di iniziative di valorizzazione (si pensi, ad esempio, all'editoria o alla organizzazione di mostre o eventi culturali).
La gara si modella sullo schema del "dialogo competitivo", quale disciplinato dal Codice dei contratti (art. 58 d.lg. 12 aprile 2006, n. 163).
2) Servizi ad alta densità regolativa
Il suo ambito comprende in forma integrata le mostre, le manifestazioni culturali e le iniziative promozionali volte alla valorizzazione dei beni culturali presenti nell'istituto (per altri tipi di mostre v. il modello 4) nonché la connessa produzione editoriale e vendita.
Lo schema giuridico di riferimento è quello stesso delineato nel precedente modello.
3) Servizi strumentali
L'ambito è relativo ai servizi di pulizia, vigilanza, biglietteria, accoglienza, informazione ecc. (art. 117, comma 2, lett. e)), eventualmente considerati in forma integrata.
Lo schema giuridico di riferimento è quello dell'appalto pubblico di servizi.
4) Altri servizi
L'ambito è dato in particolare dai servizi di bookshop, caffetteria, ristorazione e organizzazione di mostre o di eventi culturali non connessi ai beni presenti nell'istituto.
Lo schema organizzativo varia in relazione alle opzioni organizzative e alle caratteristiche degli istituti. Può assumere la forma della mera locazione di locali (con scelta del contraente previa comunque gara) con conseguente attribuzione dell'organizzazione del servizio alla piena disponibilità del privato oppure la forma dell'affidamento di pubblico servizio. Anche in questo secondo caso il rapporto concessorio si caratterizzerà per una "bassa intensità regolativa".
5) Indicazioni conclusive a proposito dei modelli di esternalizzazione
I modelli appena indicati sub 1-4 rispondono a due diversi "sistemi":
a) "sistema dualistico". Risulta caratterizzato dalla una divisione per materie fra il pubblico e il privato, nel senso che il privato gestisce in autonomia i servizi suscettibili di gestione economicamente positiva, fornendo al contempo al pubblico i proventi e le risorse necessarie per le attività che restano di competenza di quest'ultimo (modelli c3-4)
b) "sistema integrato". Si connota per una divisione per funzioni fra il pubblico e il privato, nel senso che, per la generalità dei servizi (modello c1) oppure per i soli servizi ad alta intensità regolativa (modello c2), al pubblico spettano la regolazione, l'indirizzo e il controllo, mentre al privato compete la gestione. In tale sistema peraltro, per taluni aspetti particolarmente significativi, si delineano anche forme di codecisione.
4. Proposte operative
Le linee di intervento operativo appena indicate richiedono che siano delineati anche gli aspetti organizzativi idonei ad assicurarne la migliore implementazione come pure che non si trascurino i problemi posti dal passaggio dalla situazione attuale a quella a regime.
A) Circa il primo profilo, si ritiene che il sistema dell'offerta al pubblico dei servizi di accoglienza possa poggiare su tre livelli:
1. livello nazionale, nel quale vengono definite le regole generali. Per gli istituti statali esso coincide con le strutture centrali del Ministero, con le quali concorrono, nell'auspicabile prospettiva dell'estensione di tali regole a tutti gli istituti pubblici, le autonomie territoriali per il tramite della Conferenza unificata;
2. livello regionale, per la rilevazione della domanda e dell'offerta dei servizi. A tale livello sono preposte le Direzioni regionali del Ministero, che si rapporteranno sia alle soprintendenze di settore e alle direzioni degli istituti statali sia agli enti territoriali, per la definizione su scala regionale di bacini di servizi in un'ottica nei quali sia più agevole l'integrazione reciproca;
3. livello locale, affidato alle soprintendenze di settore e alle direzioni degli istituti, per la vigilanza o, a seconda dei casi, la gestione dei servizi attivati. Peraltro un sistema così complesso, differenziato e territorialmente e funzionalmente articolato ha assoluta necessità di essere assistito da unità di supporto tecnico, anche di modeste dimensioni, specializzate in campo giuridico, organizzativo e finanziario, con funzioni di consulenze rapide e dunque facilmente accessibili da ogni punto del sistema.
Al livello nazionale spettano altresì i compiti di monitoraggio complessivo e soprattutto l'elaborazione e la gestione degli incentivi e dei disincentivi in grado di favorire l'incremento qualitativo dell'offerta dei servizi. Al riguardo si può pensare, a favore delle migliori prassi, ad incentivi sia finanziari (ad es. una frazione del finanziamento ordinario alle soprintendenze e agli istituti da assegnarsi in funzione premiale), sia regolativi (ampliamento degli spazi di autonomia organizzativa e contabile), sia consistenti in priorità nell'assegnazione di unità di personale.
Quanto ai disincentivi, a garanzia dell'effettiva realizzazione degli elementi regolativi e programmatori cui è affidata l'unità del sistema, la cui mancanza ha inciso in modo rilevante sull'esperienza passata, a parte le valutazioni inerenti lo status dei dirigenti in caso di perdurante inerzia da parte degli organi ministeriali si possono immaginare per alcuni ambiti (quali ad es. la mappatura dei sistemi territoriali) interventi di altri soggetti pubblici (come regioni o comuni metropolitani) destinati a valere fino a quando l'omissione non venga superata. Un profilo da esplorare, e certamente rilevante per la buona riuscita del sistema, che tuttavia a disciplina vigente richiederebbe un intervento legislativo per abilitare la modifica, sia pure per ipotesi particolari e un tempo determinato, del quadro normativo delle competenze.
B) Per la gestione della fase transitoria richiesta dalla messa a regime dei nuovi indirizzi operativi appare opportuna la costituzione a livello centrale di un nucleo "di missione", che, da un lato, definisca la scaletta degli adempimenti a tal fine necessari con la relativa scansione temporale e, dall'altro, orienti la predisposizione dei bandi di affidamento dei servizi che verranno emanati trascorso il periodo di moratoria. Ciò nell'obiettivo di assicurare che i nuovi bandi si ispirino "da subito", seppure in misura progressiva, agli obiettivi operativi in corso di elaborazione: Il che potrà conseguirsi anche valorizzando le previsioni della circolare 131/2005 che risultino adeguate.
Allegato
Appunto sulla "moratoria"
1. La Sottocommissione 4° "Programmazione e gestione delle attività di valorizzazione: forme convenzionali e modelli operativi", nell'ambito dei lavori finalizzati all'elaborazione di un Rapporto sui servizi aggiuntivi, ha proposto una "moratoria" con riferimento all'indizione delle nuove gare per i servizi di assistenza culturale e di ospitalità i cui rapporti di concessione siano già scaduti o vengano prossimamente a scadenza.
Tale "moratoria" consisterebbe in concreto nella proroga delle concessioni in essere o nell'affidamento in via temporanea di quelle scadute per un periodo di tempo limitato, disposta con un apposito decreto ministeriale. Attualmente, il settore presenta 22 contratti in scadenza nel 2007 e 22 contratti già scaduti (dati del Mbac Direzione generale per l'Innovazione tecnologica e la promozione, maggio 2007).
L'obiettivo che si intende raggiungere con l'adozione di una "moratoria" è quello di assicurare che le future scelte gestionali relative ai servizi di accoglienza siano coerenti con i nuovi indirizzi e criteri che verranno definiti con un apposito atto ministeriale, anche alla luce di alcune soluzioni procedimentali e organizzative presentate dalla Sottocommissione.
Con riferimento a tale proposta, è stato richiesto di approfondire gli aspetti giuridici e di indicare gli elementi in base ai quali supportare la legittimità dell'introduzione di una simile misura operativa.
A tal fine bisogna, innanzitutto, premettere che in altre occasioni e sempre con riferimento al settore dei servizi aggiuntivi il Ministero per i beni e le attività culturali (MBAC) ha previsto la proroga dei rapporti concessori per far fronte ad alcune esigenze organizzative.
A titolo di esempio, si può ricordare che:
a) per far fronte alla particolare situazione caratterizzante la gestione dei servizi aggiuntivi nei musei della Puglia, la Direzione generale per i beni archeologici, con nota 28 gennaio 2005, ha invitato il Soprintendente, "nelle more dell'imminente emanazione della circolare esplicativa", a sospendere la gara in corso e "a prorogare la precedente gestione";
b) successivamente, con nota n. 7838 del 17 marzo 2005 l'Ufficio legislativo del MBAC ha emanato un atto interpretativo e di indirizzo inteso ad assicurare la continuità dei servizi in scadenza sulla base dell'art. 6 legge n. 537/1993;
c) la stessa circolare 5 ottobre 2005, n. 131, infine, conteneva l'invito per le amministrazioni interessate a utilizzare la proroga dei rapporti concessori, entro i termini indicati dall'art. 23, della legge n. 62/2005, in modo da portare le scadenze ad un termine comune e consentire, così, l'avvio delle nuove gare secondo gli indirizzi contenuti nella stessa circolare.
2. Bisogna ricordare che gli istituti utilizzati dalla pubblica amministrazione per realizzare l'effetto di prolungamento di un rapporto contrattuale scaduto o in scadenza sono il rinnovo e la proroga. Si tratta di due istituti considerati spesso nella prassi uguali, ma che invece presentano numerosi profili di differenza.
La giurisprudenza amministrativa, infatti, ha chiarito che "la proroga del termine finale di un appalto pubblico differisce dal rinnovo contrattuale, in quanto la prima determina il solo effetto della dilazione del termine di scadenza del rapporto (il quale resta regolato dalla sua fonte originaria) e non richiede una motivazione "particolarmente pregnante" (in quanto normalmente preordinata alla prosecuzione del servizio durante il tempo necessario per selezionare il nuovo contraente); mentre il rinnovo, anche se in forma tacita, comporta una nuova negoziazione con il medesimo soggetto (ossia un rinnovato esercizio dell'autonomia negoziale) con conseguente obbligo di dare contezza della valutazione comparativa effettuata e dell'interesse pubblico a mantenere il medesimo contraente"(Cons. Stato, sez. V, 31 dicembre 2003, n. 9302 e sez. VI, 22 marzo 2002, n. 1767; Tar Lazio, Roma, sez. I-bis, 13 febbraio 2006, n. 1064; Id., 31 marzo 2005, n. 2367; Tar Puglia, Lecce, sez. II, 26 aprile 2006, n. 2182).
L'istituto del rinnovo, poi, trova nel dato legislativo, a differenza dell'istituto della proroga, un netto disfavore: l'art. 23 legge n. 62/2005, prima, e, oggi, l'art. 57, ult. comma, del nuovo Codice dei contratti pubblici (d.lg. n. 163/2006), vietano il rinnovo tacito dei rapporti negoziali con la pubblica amministrazione e sanciscono la nullità dei contratti rinnovati in violazione di tale divieto. A ciò si aggiunga che, mentre la c.d. Legge Ronchey del 1993 e il successivo T.U. del 1999 prevedevano esplicitamente il possibile rinnovo delle concessioni dei servizi aggiuntivi, il nuovo Codice contenuto nel d.lg. n. 42/2004 non dice nulla al riguardo.
Tuttavia, il regime richiamato non introduce un divieto generalizzato ed assoluto al rinnovo dei contratti della pubblica amministrazione, ma si limita a escludere dal sistema la possibilità di procedere tacitamente alla prosecuzione di un rapporto negoziale. In tale prospettiva, quindi, il divieto non riguarda i rinnovi programmati e trasparenti, cioé quelli già previsti al momento della procedura di evidenza pubblica per l'aggiudicazione del contratto, in quanto la loro legittimità si ricava dal fatto che, come precisato dal giudice amministrativo, così facendo, "a tutti i partecipanti alla gara è reso noto che un determinato contratto è esposto a prolungamento della sua durata e, quindi, tutti possono tenerne conto ai fini della partecipazione alla gara e della formulazione delle proprie offerte" (Cons. Stato, sez. V, 11 maggio 2004, n. 2961, e anche Tar Lazio, Roma, sez. I-bis, 12 dicembre 2005, n. 13407, Id., 8 marzo 2006, n. 1786).
Del resto, anche lo stesso Codice dei contratti lascia intendere la legittimità di un ricorso al rinnovo programmato da parte delle pubbliche amministrazioni nell'ambito di un rapporto negoziale. Altrimenti, infatti, non si spiegherebbe quanto previsto dall'art. 29 del Codice stesso, ai sensi del quale "il calcolo del valore stimato degli appalti pubblici e delle concessioni di lavori o servizi pubblici... tiene conto dell'importo massimo stimato, ivi compresa qualsiasi forma di opzione o rinnovo del contratto".
Alla luce di quanto appena detto, sembra corretto sostenere che le amministrazioni del settore potrebbero perseguire l'effetto di prolungamento delle concessioni di servizi aggiuntivi in scadenza attraverso il rinnovo del rapporto, a condizione che tale eventualità sia stata prevista nei documenti della gara che ha aggiudicato la concessione da rinnovare.
Tuttavia, tale soluzione non sembra la misura più idonea a realizzare l'obiettivo di temporaneo prolungamento dell'affidamento che si intende perseguire con riferimento alla vicenda presa in considerazione. Il rinnovo, infatti, implica una nuova negoziazione tra le medesime parti per l'instaurazione di un nuovo rapporto giuridico e deve tener conto di quanto previsto in occasione della prima procedura di gara esperita. In altri termini, tale opzione presenta una rigidità ed un livello di formalizzazione che mal si concilia con l'esigenza di disporre una breve "moratoria", temporalmente sufficiente a consentire l'adozione dei nuovi indirizzi organizzativi e gestionali per il settore.
3. Diversa dal rinnovo è la proroga, istituto finalizzato non a sostituire l'originario contratto con uno nuovo, ma solo a consentirne la prosecuzione dell'esecuzione alle stesse condizioni per un determinato periodo di tempo (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 2961/2004, cit.).
Il d.lg. n. 163/2006, in generale con riferimento ai contratti delle pubbliche amministrazioni, e il d.lg. n. 42/2004, a proposito degli affidamenti dei servizi aggiuntivi, non dispongono alcunché in materia di proroga dei contratti e delle concessioni in essere.
Il silenzio del legislatore, tuttavia, non può essere letto come un divieto di prorogare l'esecuzione dei contratti in scadenza. Anzi. Come chiarito dalla giurisprudenza amministrativa, è del tutto legittimo "l'istituto della proroga dei contratti in corso, che si sostanzia nella facoltà (in termini civilistici in un diritto potestativo) di richiedere un prolungamento della prestazione al contraente privato, e che abilita l'Ente pubblico alla mera prosecuzione dei contratti alle stesse condizioni e per i periodi indicati in specifiche clausole contrattuali da attivare con atti formali" (Cons. Stato, sez. V, n. 2961/2004, cit.).
Pertanto, "l'esercizio della proroga in questione - peraltro connotata da valenza temporalmente astretta - corrisponde a facoltà legittimamente esercitabile dall'Amministrazione, previo svolgimento di apprezzamento avente ampia latitudine discrezionale. Né tale scelta deve essere assistita da apparato motivazionale particolarmente pregnante, in quanto normalmente preordinata al soddisfacimento del pubblico interesse insito nella garanzia della prosecuzione dello svolgimento del servizio (in capo al precedente affidatario) nelle more dello svolgimento delle procedure necessarie per l'individuazione del contraente al quale affidare - previa stipula di nuovo rapporto negoziale - l'attività stessa" (Tar Lazio, Roma, sez. I-bis, n. 1064/2006, cit.).
La sfera di ampia discrezionalità in capo all'amministrazione, la possibilità di prolungare per un breve periodo di tempo l'esecuzione del rapporto in corso, la conferma delle condizioni contrattuali originarie, la richiesta di una motivazione non troppo pregnante: sono tutti elementi che spingono a ritenere la proroga come l'istituto che più di ogni altro potrebbe consentire alle amministrazione interessate di realizzare quella "moratoria" nei rapporti in essere che si intende introdurre.
4. Una volta accertata la facoltà delle amministrazioni pubbliche di disporre la proroga dei rapporti contrattuali in essere, appare necessario, poi, approfondire la questione del ricorso a tale istituto con particolare riferimento agli affidamenti dei servizi aggiuntivi. Come ricordato, la situazione del settore appare oggi particolarmente complessa e caratterizzata da situazioni disomogenee. Infatti alcuni rapporti sono scaduti, mentre altri sono in scadenza e, in alcuni casi, sono state già avviate procedure ad evidenza pubblica per la selezione di un nuovo gestore.
Alla luce di ciò, appare necessario articolare l'analisi, con l'obiettivo di verificare quale rimedio possa essere utilizzato in concreto al fine di ottenere una "moratoria" nel settore in questione. Le ipotesi da prendere in considerazione in maniera separata sono due: le concessioni in scadenza e le concessioni scadute già ribandite.
4.1. Con riferimento al primo caso non vi sono particolari problemi. Le amministrazioni interessate, infatti, potrebbero prorogare le concessioni in corso, ponendo alla base di tale scelta la motivazione secondo la quale appare opportuno attendere l'emanazione delle nuove linee guida di tipo organizzativo e gestionale sugli affidamenti dei servizi aggiuntivi, prima di procedere all'avvio di una nuova gara.
Come si è visto, il fatto che il rapporto tra privato e pubblica amministrazione sia ancora in essere legittima la seconda ad avvalersi, in presenza di un valido motivo, della facoltà di prorogare l'esecuzione del rapporto stesso sia pure per una durata temporalmente limitata.
La proroga dei rapporti in essere, poi, potrebbe essere disposta anche nel caso in cui fosse stata avviata una procedura di selezione di un nuovo concessionario, previo annullamento in autotutela della gara bandita. La giurisprudenza amministrativa, infatti, proprio con riferimento ad un caso analogo a quello in questa sede considerato e relativo alla revoca di una procedura già avviata al fine di attenersi ad un nuovo regime organizzativo sopravvenuto, ha sottolineato che "é fuori di dubbio la sussistenza dello jus poenitendi dell'amministrazione consistente nella revoca della precedente gara e nella contestuale proroga dell'affidamento del servizio all'originario contraente" (Tar Campania, Napoli, sez. I, 8 settembre 2003, n. 11338, ma anche Cons. Stato, sez. IV, 25 settembre 2002, n. 4895, e sez. V, 20 settembre 2001, n. 4966).
L'esercizio di tale jus poenitendi si basa sull'esigenza di tutelare nuove esigenze di interesse pubblico sopravvenute, in quanto "l'Amministrazione può disporre la revoca della selezione anche qualora sopraggiungano circostanze che rivelino il mutamento dell'interesse pubblico all'espletamento della gara" (Tar Lazio Roma, sez. II-ter, 16 dicembre 2004, n. 16254). Pertanto, appare necessario accompagnare l'esercizio del diritto con una forte, puntuale ed adeguata motivazione, con la quale dar conto delle ragioni che hanno determinato tale scelta (Tar Friuli-Venezia Giulia, 14 novembre 1994, n. 407, Tar Lazio, sez. I-bis, 7 luglio 2003, n. 5991, e Cons. Stato, sez. VI, 5 gennaio 1990, n. 28); ragioni che nel caso che a noi interessa potrebbero essere rappresentate dalla sopravvenienza di un atto ministeriale che invita a disporre una moratoria dei rapporti in essere in previsione dell'introduzione di un nuovo regime procedimentale e gestionale di riferimento per il settore.
4.2. Più complessa appare, invece, l'ipotesi relativa alle concessioni scadute e già ribandite. In questo caso, infatti, non solo il rapporto non è più in essere, ma le amministrazioni hanno avviato una procedura ad evidenza pubblica secondo le regole oggi in vigore, finalizzata alla selezione di un nuovo soggetto privato gestore.
Tuttavia, come visto al punto precedente, l'avvio di una nuova gara per l'affidamento dei servizi aggiuntivi non rappresenta un ostacolo insormontabile, che impedisce alla stazione appaltante di rivedere le scelte procedurali e negoziali seguite.
In presenza di situazioni che modificano l'interesse pubblico alla gara bandita, infatti, questa può essere revocata, e l'amministrazione sarebbe così libera di aspettare le nuove regole prima di bandire nuovamente la gara.
Se, però, nel frattempo fosse necessario assicurare i servizi aggiuntivi all'interno dei luoghi di cultura, l'amministrazione interessata non potrebbe, come nel caso visto sopra, ricorrere alla proroga del rapporto precedente. Osta a tale soluzione il fatto che, come da sempre affermato dalla giurisprudenza, la proroga, a differenza del rinnovo, deve necessariamente intervenire prima della scadenza del termine di efficacia del rapporto che si intende prorogare (Tar Puglia, Lecce, sez. I, 2 dicembre 2004, n. 8392).
La soluzione, quindi, che pare perseguibile è quella di far seguire all'annullamento della gara l'affidamento temporaneo del servizio mediante trattativa privata per ragioni di urgenza, sulla base di quanto previsto dall'art. 57, comma 2, lett. c), d.lg. n. 163/2006.
Al riguardo, bisogna ricordare che la giurisprudenza amministrativa ha in più occasioni ritenuto legittimo il comportamento di alcune pubbliche amministrazioni che hanno revocato, in situazioni di urgenza e per ragioni oggettive non imputabili alla stessa stazione appaltante, le gare bandite e, contestualmente, hanno riattivato precedenti rapporti concessori in via di trattativa diretta, in modo da garantire la continuità del servizio e dando ampiamente conto delle ragioni eccezionali che hanno portato all'affidamento diretto (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 7 aprile 2006, n. 1893, sez. V, 9 maggio 2006, n. 2559, Tar Campania, Napoli, sez. I, 12 marzo 2007, n. 1781).
5. Alla luce di quanto detto sopra, sembra corretto affermare che, previa adozione di apposito atto ministeriale di indirizzo:
a) con riferimento alle concessioni in scadenza, ma non ancora ribandite, le amministrazioni possono prorogare l'esecuzione delle concessioni giusto il tempo necessario per far adottare le nuove misure procedurali ed organizzative in tema di servizi aggiuntivi, in modo da bandire le gare con le nuove regole;
b) con riferimento alle concessioni in scadenza, ma già ribandite, le amministrazioni possono annullare la procedura avviata e prorogare le concessioni in essere;
c) con riferimento alle concessioni scadute e già ribandite, le amministrazioni possono annullare la procedura avviata e, nel caso fosse necessario, affidare in via d'urgenza a trattativa privata il servizio.