Consiglio superiore e Comitati tecnico-scientifici: un riordino politically incorrect?
di Girolamo SciulloSommario: 1. Generalità. - 2. Evoluzione normativa e modelli di riferimento. - 3. I contenuti del d.p.r. 12 gennaio 2007, n. 2. - 4. Il modello seguito e la possibile alternativa.
Nell'incessante processo di "reingegnerizzazione" del Mibac questa volta sono di scena il Consiglio superiore per i beni culturali e paesaggistici e i Comitati tecnico-scientifici. Fattore causale il decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, che con l'art. 29 ha impegnato le amministrazioni pubbliche a procedere, per "finalità di contenimento delle spese", al riordino degli organismi, specie collegiali, in esse presenti, sulla base di taluni criteri, tra i quali la "razionalizzazione delle competenze delle strutture che svolgono funzioni omogenee", la "diminuzione del numero dei componenti", la "riduzione dei compensi spettanti" agli stessi, "l'indicazione di un termine di durata, non superire a tre anni" e la "previsione di una relazione di fine mandato sugli obiettivi realizzati" (anche in vista della valutazione della "perdurante utilità dell'organismo" ai fini di "un'eventuale proroga della durata dello stesso" [1].
Dunque criteri che interessavano in pieno il Consiglio e i Comitati, ancorché da più parti si sia osservato, a cominciare dalla relazione ministeriale illustrativa dello schema del regolamento di riordino, che la finalità di contenimento della spesa fosse di fatto già conseguita dalla previsione del mero rimborso spese spettante ai componenti di detti organismi per la partecipazione alle sedute [2]. Dunque anche, si potrebbe pensare, un atto di riassetto a "binari tracciati", destinato a non suscitare eccessivo scalpore e da confinare fra gli interventi di routine.
Sennonché il riordino è stato utilizzato per procedere (almeno negli intendimenti) ad un "recupero del ruolo tradizionale del Consiglio superiore - e dei Comitati tecnico-scientifici - quale insostituibile momento di confronto e riflessione nel merito delle scelte non solo di tutela, ma anche (e forse ancora di più) di valorizzazione del patrimonio culturale" [3]. Il che ha spinto verso scelte di più ampio raggio, rese possibili dai larghi spazi affidati al potere regolamentare governativo dalla normativa primaria di riferimento (l'art. 4, comma 2, decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368, come mod. dall'art. 3 decreto legislativo 8 gennaio 2004, n. 3) [4]. Il che, però, spiega anche perché il testo deciso nella deliberazione preliminare del Consiglio dei ministri del 4 agosto 2006 sia stato oggetto di rilievi avanzati da un fronte ampio (di per sé disomogeneo, ma nella circostanza singolarmente coincidente nelle valutazioni), costituito dalla Sezione consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato [5], dal Servizio studi della Camera dei deputati [6], dalle Commissioni parlamentari di merito [7], da varie associazioni operanti in campo culturale [8] e da talune componenti (in particolare rappresentanze del personale e del mondo universitario) presenti in detti organi [9]. Osservazioni che, per le parti non accolte dal testo definitivo, sono state dopo il suo varo, avvenuto con il d.p.r. 12 gennaio 2007, n. 2, puntualmente riproposte [10].
2. Evoluzione normativa e modelli di riferimento
Prima di esaminare la disciplina del riordino può essere utile per una sua migliore comprensione, brevemente accennare all'evoluzione normativa che ha interessato i due organismi e ai modelli di riferimento a cui sono riconducibili gli assetti succedutisi nel tempo.
Come ricorda la Relazione illustrativa [11], l'origine del Consiglio si può far risalire alla legge 27 giugno 1907, n. 386, istitutiva del "Consiglio superiore delle antichità e belle arti" presso il ministero della Pubblica Istruzione, anche se non mancano presenze di corpi consultivi presso lo stesso ministero previste dalla precedente legislazione dello Stato unitario [12].
Trascurando le vicende intervenute nel periodo del Fascismo e dell'immediato secondo dopoguerra [13] e concentrando l'attenzione su quelle degli anni più recenti, può dirsi che quattro sono stati gli step normativi che hanno interessato i due organismi: il d.p.r. 3 dicembre 1975, n. 805, istitutivo del "Consiglio nazionale per i beni culturali e ambientali" e dei "Comitati di settore" (artt. 3 s. e 7 s.); il d.lg. 368/1998 (artt. 3 s.) e il d.p.r. 6 luglio 2001, n. 307 (artt. 9-11) disciplinanti il "Consiglio per i beni culturali e ambientali" e i "Comitati tecnico-scientifici"; ancora il d.lg. 368/1998 (artt. 3 s., ma con le modifiche introdotte dagli artt. 2 s. del d.lg. 3/2004) e il d.p.r. 8 giugno 2004, n. 173 (artt. 17 s.). A questi si può ora aggiungere quello più recente costituito dal d.lg. 368/1998 (nel testo appena ricordato) e dal d.p.r. 2/2007 (artt. 1 ss.) [14].
Nella sua evoluzione la disciplina del Consiglio risulta riconducibile a due modelli, che peraltro hanno in comune la caratterizzazione di fondo dell'organo come struttura di supporto valutativo di più elevato livello a disposizione del ministero: il modello del "Parlamento (o Camera) della cultura" e quello dell'organo consultivo tradizionalmente inteso: il primo, connotato da una composizione allargata quanto a numero dei componenti, ampia per la pluralità degli interessi e delle competenze rappresentate, e in misura significativa non riconducibile alle scelte del ministro quanto ad individuazione dei membri; il secondo, viceversa, segnato da una composizione più ristretta quanto a numero e "estrazione" dei membri e da un raccordo maggiore con l'amministrazione ausiliata, traducentesi in una individuazione dei membri prevalentemente rimessa alla scelte del vertice della stessa amministrazione. In termini generali si può dire che mentre il primo modello è stato quello seguito inizialmente e con chiarezza, il passaggio al secondo è avvenuto progressivamente e senza l'abbandono completo dei tratti in precedenza riscontrabili.
Temi trasversali ai due modelli sono i rapporti funzionali e strutturali fra Consiglio e Comitati e la precisazione per entrambi (ma in particolare per il Consiglio) dell'organo referente idoneo ad attivarne l'attività consultiva.
Al primo modello chiaramente si ascrive la disciplina contenuta del d.p.r. 805/1975 (art. 4). Il Consiglio ha una composizione ampia (poco meno di cento membri), variegata nelle provenienze (sono previste rappresentanze di altri ministeri, delle regioni, dei professori universitari del ramo, del personale scientifico e burocratico del ministero, dei sindacati, delle province e dei comuni, e degli enti culturali nonché la presenza di esperti), con membri in prevalenza non scelti dal ministro (solo per otto componenti è sua la designazione). Riflette il modello anche la composizione dei Comitati (art. 5), del resto considerati come articolazioni del Consiglio [15].
Al secondo modello sono, viceversa, riconducibili i successivi step della disciplina. Per effetto del d.lg. 368/1998 (art. 4) e del d.p.r. 307/2001 (art. 10) il Consiglio subisce una drastica riduzione del numero dei componenti (a diciannove) e un "compattamento" della loro provenienza (oltre al ministro, che lo presiede, e ai Presidenti dei Comitati tecnico-scientifici, sono presenti personalità della cultura, per metà designate dalla Conferenza unificata, e rappresentanti del personale) mentre in proporzione cresce la quota dei componenti di scelta del ministro (almeno quattro [16]). A loro volta i Comitati conoscono una diminuzione nella composizione (da nove a otto membri) e nella provenienza (solo rappresentanze del personale tecnico-scientifico del ministero e dei professori universitari nonché esperti, uno dei quali designato dalla Conferenza unificata), mentre poco significativo è il numero dei componenti scelti dal ministro (una sola unità) (art. 4 d.lg. 368/1998 e art. 11 d.p.r. 307/2001).
La disciplina dettata da d.p.r. 173/2004 sulla base del d.lg. 368/1998 come modificato dal d.lg. 3/2004 rappresenta un'implementazione più marcata del secondo modello. I componenti del Consiglio scendono ulteriormente nel numero (a quattordici) - anche se si prevede la loro integrazione con tre rappresentati del personale nel caso di pareri su programmi nazionali per i beni culturali e paesaggistici e sui relativi piani di spesa - e aumenta in valore assoluto (almeno a cinque) e relativo la componente scelta dal ministro (personalità della cultura) (art. 17). A loro volta i Comitati, diminuiti nel numero (da sette a sei), vedono ridotta significativamente la consistenza numerica (a cinque membri), con la diminuzione delle rappresentanze del personale del ministero e dei professori universitari (a due membri ciascuna) e con la scomparsa dell'esperto designato dalla Conferenza unificata (art. 18) [17].
3. I contenuti del d.p.r. 12 gennaio 2007, n. 2
Il riordino operato dal recente d.p.r. 2/2007 può complessivamente qualificarsi come un ulteriore messa a punto della disciplina secondo gli schemi del secondo modello. Occorre però a questo punto procedere con un'analisi più di dettaglio.
Il d.p.r. 2/2007 si compone di tre articoli, i primi due sostituiscono gli artt. 17 e 18 del d.p.r. 173/2004, il terzo contiene la disciplina finale e transitoria. Le disposizioni, in particolare le novità introdotte, vanno esaminate, con riferimento alle funzioni, alla composizione, al funzionamento e al ruolo degli organismi disciplinati.
Il Consiglio vede arricchiti i compiti consultivi che, oltre ai già previsti programmi nazionali per i beni culturali e paesaggistici e ai relativi piani di spesa, nonché agli schemi di atti normativi e amministrativi generali e alle questioni demandate da leggi e regolamenti (nuovo art. 17, comma 2, lett. a), e) e f), concernono ora gli schemi di accordi internazionali in materia di beni culturali, i piani strategici di sviluppo culturale e i programmi di valorizzazione dei beni culturali nonché i piani paesaggistici elaborati congiuntamente con le Regioni (evidente è il riferimento a quanto disposto dagli artt. 112, comma 4, e 143, comma 3, del Codice dei beni culturali e del paesaggio di recente riscritti) (nuovo art. 17, comma 2, lett. b)-d)). Significativa è altresì la precisazione secondo la quale il Consiglio esprime pareri "su ogni altra questione di carattere generale concernente la materia dei beni culturali e paesaggistici, anche di interesse di altra amministrazione statale o regionale o di Stati esteri" (nuovo art. 17, comma 2, lett. f)). I pareri previsti, in taluni casi, sono di carattere obbligatorio (quelli menzionati alle lett. a) e b) del comma 2 cit.), in tutti però la loro espressione è indicata che avvenga "su richiesta del ministro" (nuovo art. 17, comma 2, alinea) [18]. Nuova è altresì l'assegnazione di compiti propositivi ("può inoltre avanzare proposte al ministro su ogni questione di carattere generale o di particolare rilievo afferente la materia dei beni culturali e paesaggistici anche per quel che concerne l'attività di indirizzo" (nuovo art. 17, comma 3).
Compiti propositivi sono attribuiti per la prima volta anche ai Comitati tecnico-scientifici, in relazione: alla definizione dei programmi nazionali per i beni culturali e paesaggistici e ai relativi piani di spesa, peraltro, a proposito dei sei tradizionali Comitati mantenuti in vita, limitatamente alla "materia di propria competenza", mentre tale precisazione non è formulata riguardo al neoistituito Comitato per l'economia della cultura (nuovo art. 18, comma 2, lett. a), e comma 3, lett. a)); nonché a "metodologie e criteri di intervento in materie di conservazione di beni culturali e paesaggistici" e a "questioni di carattere tecnico-economico concernenti gli interventi per i beni culturali", a proposito rispettivamente dei sei Comitati tradizionali e di quello di nuova istituzione (nuovo art. 18, comma 2, lett. b), e comma 3, lett. b)). Per il resto i Comitati si vedono confermati i compiti consultivi prima assolti con talune precisazioni: i Comitati non sono più chiamati ad esprimere pareri (in precedenza previsti come obbligatori) sui programmi nazionali per i beni culturali e paesaggistici né sui relativi piani spesa (ma, come si è detto, possono formulare proposte); in nessun caso i pareri previsti sono indicati come obbligatori (non lo sono più neanche quelli relativi ai ricorsi amministrativi ex artt. 16, 47, 69 e 128 del Codice) (cfr. nuovo art. 18, comma 2, lett. d)); infine, è stata introdotta una "caratterizzazione del tipo d'intervento", nel senso che le questioni affidate ai Comitati tradizionali - a livello consultivo, ma il dato può estendersi a quello propositivo- si connotano per un "carattere tecnico-scientifico", mentre le questioni rimesse al nuovo Comitato si qualificano per un "carattere tecnico-economico" (nuovo art. 18, comma 2, lett. e), e comma 3, lett. b)).
Significative sono le novità anche sotto un profilo strutturale, ancorché non tutte evidenti ad una prima lettura del decreto. Il Consiglio continua ad essere costituito dai Presidenti dei Comitati e da otto personalità della cultura nominati dal ministro, tre delle quali designate dalla Conferenza unificata, ed è ancora integrato da tre rappresentanti del personale del ministero da questo eletti allorché si esprime sui programmi nazionali per i beni culturali e paesaggistici e sui relativi piani di spesa, come pure è mantenuta la nomina da parte del ministro del Presidente del Consiglio tra le personalità della cultura che compongono l'organo (nuovo art. 17, commi 4-6). Tuttavia occorrono tenere presenti alcuni elementi: è venuta meno la previsione contenuta nell'originario art. 17, comma 3, del d.p.r. 173/2004, secondo la quale alle riunioni del Consiglio potevano partecipare senza diritto di voto i Vicepresidenti dei Comitati; il numero di tali organismi e quindi dei relativi Presidenti è aumentato di un'unità (passando a sette); soprattutto, la quota dei membri di scelta del ministro - per effetto della nuova composizione dei Comitati e del criterio di individuazione dei relativi Presidenti (di cui subito si dirà) - è da pensare che finisca per essere nella realtà senz'altro più ampia della cifra di cinque componenti risultante dal nuovo art. 17, comma 4, lett. b).
Per i Comitati va anzitutto segnalata la novità, cui si è già fatto cenno, dell'istituzione - in considerazione della "valenza identitaria che il patrimonio culturale ha" e pertanto del costituire esso "veicolo e strumento di crescita, anche economica, e di sviluppo", così si legge nella Relazione di accompagnamento [19] - del "Comitato tecnico-scientifico per l'economia della cultura", che si aggiunge ai preesistenti sei Comitati, invariati anche nella denominazione (salvo quello "per l'architettura e l'arte contemporanee" ora divenuto "per la qualità architettonica e urbana e per l'arte contemporanea", cfr. nuovo art. 18, comma 1). In particolare mutano la loro composizione e le modalità di individuazione dei Presidenti. La composizione vede ora ridotte le rappresentanze del personale tecnico-scientifico del ministero e dei professori universitari dei settori disciplinari direttamente attinenti alla sfera di competenza del singolo Comitato (ciascuna da due ad una unità), mentre aumenta (da uno a due) il numero degli esperti scelti dal ministro (nuovo art. 18, comma 3). I presidenti continuano ad essere eletti a maggioranza dai Comitati tra i propri componenti, ma si prevede ora che, "nel caso in cui nessun candidato risulti eletto presidente al termine dello scrutinio, diviene presidente il componente del Comitato designato prioritariamente dal ministro" (nuovo art. 18, comma 6).
L'aumento del numero dei membri dei Comitati di scelta del ministro ha quindi una serie di effetti a catena: insieme alla diminuzione delle rappresentanze del personale del ministero e del mondo universitario, modifica gli equilibri all'interno dei Comitati (in breve i componenti scelti dal ministro da uno su cinque passano a due su quattro); unitamente al nuovo criterio di individuazione dei Presidenti, rende oltremodo probabile che tali cariche siano rivestite da membri scelti dal ministro; soprattutto, stante la sopra indicata composizione del Consiglio, anche gli equilibri presenti in tale organo sono destinati a mutare, perché, se non è scontato che il numero dei componenti di scelta del ministro passi dai precedenti cinque su quattordici/diciassette a dodici su quindici/diciotto [20], è facile pensare che il numero effettivo risulti certamente più alto rispetto al passato.
Quanto al funzionamento degli organismi meritano di essere segnalate come novità la determinazione di un termine per il rilascio dei pareri da parte del Consiglio (di norma trenta giorni, dieci in caso di urgenza) e la previsione, in applicazione di quanto stabilito dall'art. 29 del d.l. 223/2006, del termine di durata del Consiglio in tre anni nonché della presentazione prima della scadenza di una relazione sull'attività svolta ai fini della eventuale proroga dell'organo (nuovo art. 17, commi 5 e 7). Di rilievo è anche la limitazione ad una sola volta della possibilità di conferma dei componenti del Consiglio e dei Comitati (nuovo art. 17, comma 7, e nuovo art. 18, comma 6). Restano immutate altre previsioni presenti nella precedente disciplina, quali la possibile riunione in seduta congiunta del Consiglio e del Comitato per i problemi dello spettacolo (nuovo art. 17, comma 9) nonché dei (o di taluni) Comitati (nuovo art. 18, comma 7), e il regime delle incompatibilità per i componenti del Consiglio e dei Comitati (nuovo art. 17, comma 7, e nuovo art. 18, comma 6).
Un cenno alla disciplina finale e transitoria dettata dall'art. 3 del decreto. E' previsto che entro quindici giorni dall'entrata in vigore del decreto si provveda alla ricostituzione del Consiglio e dei Comitati (comma 1). Fino al completamento di dette operazioni "sono prorogati i componenti elettivi del Consiglio superiore che ne integrano la composizione ai sensi dell'art. 17, comma 6", ossia i tre rappresentanti del personale del ministero, "nonché il componente elettivo di ciascun Comitato tecnico-scientifico che nella precedente tornata elettorale abbia conseguito il maggior numero di voti ed il componente di ciascun Comitato tecnico-scientifico designato dal Consiglio universitario nazionale più anziano nel ruolo di appartenenza" (comma 2). Tale disposizione lascia intendere che, sempre in via transitoria, restino in carica anche gli altri componenti dei due organismi e che pertanto fra il Consiglio e i Comitati preesistenti al decreto e quelli ricostituiti sulla base di esso non vi sia soluzione di continuità operativa.
L'esame condotto sui profili funzionali e strutturali consente di considerare il ruolo del Consiglio e dei Comitati e il modello di riferimento tenuto presente in sede di riordino.
Iniziamo dal primo. Per il Consiglio il nuovo art. 17, comma 1, parla di "organo consultivo del ministero... a carattere tecnico-scientifico" e dizione equivalente è impiegata dal nuovo art. 18, comma 1, per i Comitati, definiti "organi consultivi", mentre la caratura tecnico-scientifica è resa palese nella loro stessa denominazione. Eppure tali formulazioni, che si collegano a quanto indicato dall'art. 4 del d.lg. 368/1998 e succ. mod., non sono più adeguate a definire il complessivo ruolo dei due organismi e comunque a evidenziarne la specifica caratterizzazione. Per un verso, esse vanno arricchite tenendo conto della funzione propositiva, accanto a quella consultiva, ormai assegnata ad entrambi gli organi. Per altro verso, richiedono di essere puntualizzate con tratti desumibili dai singoli compiti affidati. In effetti, come si legge nella Relazione illustrativa [21], i "piani di intervento dei due organi... sono stati... razionalizzati nell'intento di evitare duplicazioni".
Le questioni delle quali il Consiglio è chiamato ad occuparsi in via consultiva (o può occuparsi in via propositiva) trovano ora la loro cifra d'identificazione nell'essere esse "di carattere generale o di particolare rilievo" (nuovo art. 17, comma 2, lett. f), e comma 3), dato questo che connota anche quelle indicate in dettaglio dal comma 2, lett. a)-e) [22]. Esse inoltre, come risulta dal comma 3 della medesima disposizione, possono concernere l'attività di indirizzo, ma non necessariamente trovano in questa un tratto qualificante.
Viceversa, per le questioni di spettanza dei Comitati la cifra identificativa è altra. Per i sei Comitati tradizionali si tratta di questioni "di carattere tecnico-scientifico", ma "per la materia di loro competenza" (e cioè il settore dei beni di cui si occupano), mentre per il nuovo Comitato si tratta di questioni "di carattere tecnico-economico concernenti gli interventi per i beni culturali" (nuovo art. 18, comma 2, lett. a) ed e), e comma 3, lett. b)). Ne deriva che mentre per gli uni le questioni affidate attengono "naturalmente" all'attività di gestione, per l'altro il collegamento anche con l'attività di indirizzo non può escludersi.
In sintesi, si può affermare che il ruolo complessivo del Consiglio e dei Comitati consiste ormai in un supporto di natura tecnico-scientifica (latamente intesa) esprimentesi in una funzione di consultiva e in una funzione propositiva a favore del ministero, considerato nell'insieme delle attività che esso esprime (tanto di indirizzo che di gestione). Quanto alla connotazione specifica dei due organi, può dirsi che, per il Consiglio, essa risiede nella "generalità del carattere" (ossia in riferimento alla generalità dei beni che compongono il patrimonio culturale) o nella "particolare rilevanza" delle questioni di competenza, mentre, per i sei Comitati tradizionali, sta nella "settorialità" (nel senso di riferirsi a specifiche categorie di beni) e nella "normalità" (nel senso di presentare una rilevanza ordinaria) delle questioni assegnate, mentre in una posizione in qualche misura intermedia si colloca il nuovo Comitato, risultando le questioni ad esso rimesse 'trasversali' (senza cioè limitazione di ambiti per categorie di beni), ma pur sempre "parziali" (perché di solo carattere tecnico-economico).
4. Il modello seguito e la possibile alternativa
Circa il modello di riferimento seguito dal riordino, appare chiaro che si tratta del secondo fra quelli sopra delineati. La riduzione del numero dei componenti i Comitati e soprattutto l'incremento della quota di membri scelti dal ministro nei medesimi Comitati e, indirettamente, nel Consiglio rappresentano segni inequivoci in tal senso. La stessa razionalizzazione degli ambiti funzionali dei due organi come pure la nuova disciplina del funzionamento (la previsione di un termine per l'emissione dei pareri e la riduzione di quelli obbligatori) sono elementi che depongono per un riordino strutturato in chiave di miglior raccordo fra attività del ministero e organi di supporto tecnico, piuttosto che nella conservazione o nel ripristino di un'arena per l'elaborazione della politica culturale del Mibac.
Nella stesura inizialmente adottata dal Consiglio dei ministri il riordino presentava tratti più marcati nell'accennata direzione. Si prevedeva che la rappresentanza del personale nel Consiglio fosse di due sole unità (per di più fornite di qualifica non inferiore a quella di dirigente), che i Presidenti dei Comitati fossero scelti dal ministro e conseguentemente la quota dei componenti del Consiglio di sua investitura sostanziale crescesse in misura certa (undici su quattordici/sedici). Si è già fatto cenno al fatto che nei confronti di tale stesura si fossero manifestate critiche sostanzialmente coincidenti pur provenendo da un ampio e differenziato arco di osservatori e che queste siano state in parte ribadite dopo l'approvazione definitiva.
Di questa, che ben può considerarsi, communis opinio sul riordino vale la pena ricordare alcune espressioni: dalla mera sottolineatura della nuova quota di componenti del Consiglio di scelta ministeriale [23] al rilievo che "il vigente sistema, secondo cui il Presidente e il Vicepresidente sono eletti dai componenti del Comitato, appare più coerente con la natura indipendenza di un organo di questo tipo" [24], dall'auspicio che le rappresentanze del personale fossero riportate a tre unità, con il riconoscimento dell'elettorato attivo a tutti i dipendenti, e che venisse ripristinata l'elezione dei Presidenti da parte dei Comitati di appartenenza [25], fino a giudizi più recisi, ad esempio di "allarmante perdita di rappresentanza democratica sia del personale tecnico-scientifico sia dei docenti universitari" [26], di intervento "gravemente peggiorativo per la rappresentanza e l'indipendenza degli organi consultivi" [27], di "svuotamento e commissariamento politico" degli stessi organi [28] e, in particolare per il Consiglio, di perdita "di ogni indipendenza di giudizio" a seguito della nomina politica dei suoi componenti stabili [29] o, più sinteticamente, di "Consiglio del principe" [30].
In merito ai rilievi siano consentite due considerazioni. In nessuno è stata evidenziata (né tanto meno messa in discussione) la possibilità di conferma, sia pure per una sola volta, dei componenti del Consiglio e dei Comitati (nuovi artt. 17, comma 7, e 18, comma 6) [31]. L'enfasi posta sull'indipendenza di tali organi avrebbe potuto (o dovuto) suggerirlo, essendo chiaro che la prospettiva di conferma nell'incarico (quale che sia il nominante) è (o può essere) fattore anche solo oggettivo di condizionamento del nominato.
In termini più generali è, poi, da rilevarsi che i giudizi sopra riportati riflettono a ben vedere un modello di Consiglio (e di Comitati) presente nella disciplina del d.p.r. 805/1975. In una considerazione del primo organo come "Parlamento della cultura" essi trovano piena consistenza: l'aumento significativo della quota di membri affidati alla scelta del ministro e la diminuzione delle rappresentanze del mondo universitario e del personale del ministero (con il restringimento dell'elettorato passivo) costituiscono tutti elementi di indubbia distonia.
Il fatto è, però, che quel modello, così come si è cercato sopra di evidenziare, è stato abbandonato a partire dal d.lg. 368/1998 ed è subentrata una disciplina riconducibile ad un modello diverso, che ha ricondotto Consiglio e Comitati sotto gli schemi propri di organi consultivi (o in senso lato di supporto) in cui è preminente l'esigenza di un raccordo con l'amministrazione ausiliata. In questa nuova ottica, in particolare, l'esigenza fatta valere da parte di esponenti del mondo accademico di avere 'riservata' una presenza nei Comitati risulta priva di consistenza giuridica. Ma lo stesso sembra doversi dire a proposito della presenza dei rappresentanti del personale del ministero negli stessi Comitati. Si riscontra al riguardo una sovrapposizione sotto un profilo soggettivo fra amministrazione attiva e amministrazione consultiva, un gioco di ruoli del personale del ministero, un'amministrazione che in definitiva vuole "consigliare se stessa". Se la funzione consultiva ha senso nell'esigenza di fornire all'amministrazione apporti valutativi in grado di meglio orientarne o giustificarne le scelte, appare evidente che questi non possano che provenire dall'esterno, di quelli interni già avendo l'amministrazione la disponibilità e beneficiando (si deve presumere) degli apporti. Detto in altre parole, quali risorse di professionalità tecnico-scientifica del personale del ministero, che non siano già messe in campo nella ordinaria attività di istituto, hanno bisogno del canale degli organi consultivi per manifestarsi?
Se tali considerazioni hanno un qualche fondamento, è possibile allora concludere che quello operato dal d.p.r. 2/2007, seppure meno incisivo rispetto all'originaria stesura, rappresenta un corretto riordino politically incorrect.
E tuttavia, per altri profili, lo stesso riordino non può non considerarsi come un'opportunità mancata.
E' da notare che le premesse c'erano tutte: l'intendimento dichiarato di un recupero del Consiglio quale "insostituibile momento di confronto e di riflessione sul merito tecnico delle scelte non solo di tutela, ma anche (e forse più) di valorizzazione", talune importanti questioni affidate al Consiglio, come "i programmi nazionali per i beni culturali e paesaggistici e [i] relativi piani di spesa", i "piani strategici di sviluppo culturale e [i] programmi di valorizzazione dei beni culturali", i "piani paesaggistici elaborati congiuntamente con le regioni". Sulla base di tali premesse, e alla luce delle previsioni del nuovo Titolo V e del Codice Urbani, si trattava di strutturare il Consiglio essenzialmente come alta sede di confronto e di concertazione tecnico-scientifica fra lo Stato e le autonomie territoriali (preliminare e preparatoria rispetto a quella prettamente politica della Conferenza Stato-regioni o unificata), in particolare sui temi della valorizzazione (cui si riportano prevalentemente le questioni menzionate), ma con competenza anche su quelli della tutela per gli aspetti in cui è previsto il concorso con lo Stato delle autonomie territoriali (si pensi, ad esempio, ai temi della catalogazione, della conservazione, delle figure professionali nel campo del restauro [32]). In breve si sarebbe potuto modellare un Consiglio connotato da una nuova "nazionalità", al passo con l'evoluzione dell'ordinamento.
Separato sul piano della composizione e delle funzioni dai Comitati (organi consultivi da conservarsi per gli aspetti della tutela di esclusiva attribuzione statale), il Consiglio avrebbe potuto rappresentare il luogo in cui la concertazione istituzionale a più riprese affermata dal Codice, ma già presente in Costituzione (art. 118, comma 3), trovava un significativo sbocco strutturale.
Da più parti [33] si è rilevato che per tale concertazione né nel Codice né nella riorganizzazione del ministero operata nel 2004 venivano disegnate le sedi. Il riordino degli organi consultivi poteva (doveva?) essere un'opportunità da cogliere per rispondere ad un'esigenza sistemica propria di un federalismo/autonomismo entrato nella maturità.
Note
[1] Cfr. commi 1 e 2-bis.
[2] Cfr. p. 3 della Relazione, riportata nel Dossier indicato alla successiva nt. 6. Il che, peraltro, a rigore costituisce pur sempre una spesa a carico dell'amministrazione.
[3] Cfr. Relazione, pp. 2-3.
[4] Tale disposizione si limita, infatti, a prevedere che "La composizione, i compiti e le incompatibilità dei membri degli organi consultivi sono stabiliti ai sensi dell'articolo 11, comma 1", che rinvia all'art. 14, comma 4-bis, della legge 23 agosto 1988, n. 400.
[5] Adunanza del 9 ottobre 2006, n. 3829/2006.
[6] Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione "Organizzazione del ministero per i beni e le attività culturali Schema di regolamento n. 36".
[7] Camera dei deputati - Commissione VII, Parere emesso nella seduta del 6 dicembre 2006 e Senato della Repubblica - Commissione VII, Parere emesso nella seduta del 12 dicembre 2006.
[8] Ad es. l'Associazione "R. Bianchi Bandinelli", l'Associazione Italiana Biblioteche (AIB) e l'Associazione Nazionale Archivistica Italiana (ANAI), firmatarie di appelli al ministro per i beni e le attività culturali e al Presidente della Repubblica, reperibili in www.bianchibandinelli.it e www.patrimoniosos.it. Cfr. anche Il Giornale dell'Arte, ottobre 2006, n. 258, p. 4.
[9] In Indipendente e L'Unità rispettivamente del 3 e 5 gennaio 2007.
[10] In Indipendente del 30 gennaio e del 1° febbraio 2007. Delle vicende del Consiglio e della sua presidenza ha dato conto R. Chiaberge nella rubrica Contrappunto de Il Sole-24 Ore del 4 febbraio 2007.
[11] Cfr. Relazione, cit., p. 1.
[12] Cfr. P.G. Ponticelli, Consiglio superiore delle antichità e belle arti, in Nov.mo Dig. It., vol. IV, Utet, Torino 1959, p. 204.
[13] Cfr. ancora P.G. Ponticelli, Consiglio, cit., pp. 204 s.
[14] Il d.p.r. 2/2007 agli artt. 1 s. sostituisce gli artt. 17 s. del d.p.r. 173/2004.
[15] Cfr. T. Alibrandi, P. Ferri, I beni culturali e ambientali, Milano 2001, p. 140, anche per la posizione della giurisprudenza.
[16] Ossia non si tiene conto del fatto che ad essere eletti come Presidenti dei Comitati - e a diventare quindi componenti del Consiglio - potevano essere gli esperti di designazione del ministro (cfr. art. 11 del d.p.r. 307/2001.
[17] Sull'evoluzione normativa che ha interessato la composizione (e le funzioni) del Consiglio e dei Comitati a partire dal d.p.r. 805/1975 cfr. l'ampia trattazione di C. Barbati, I soggetti, in Il diritto dei beni culturali, a cura di C. Barbati, M. Cammelli, G. Sciullo, Il Mulino, Bologna 2006, pp. 1377 ss.
[18] Su tale specificazione cfr. in senso critico Cons. Stato, cit., e il Servizio studi della Camera, cit., p. 6.
[19] A p. 3.
[20] Con diciassette e diciotto si conteggiano i tre rappresentanti del personale del ministero che già integravano il Consiglio nel caso di pareri su programmi nazionali ecc., ai sensi dell'originario art. 17, comma 1, comma 4. Con dodici si indica la somma del numero delle personalità della cultura scelte dal ministro (cinque) e di quello dei Presidenti dei Comitati (sette). Il Servizio studi della Camera indicava per la "quota del ministro" un passaggio da "8 (su 17) a 14 (su 16)" membri. Pur tenendo conto che il calcolo si basava su elementi non confermati dal testo definitivo del decreto, deve rilevarsi che l'indicazione non risultava attendibile, poiché conteggiava nella "quota del ministro" le otto personalità della cultura da questi "nominate", delle quali però tre erano (e restano) "su designazione" della Conferenza unificata, come tali non ascrivibili sul piano sostanziale ad una sua scelta.
[21] A p. 3.
[22] La lett. f) del comma 2 del nuovo art. 17 parla di "ogni altra" questione di carattere generale o di particolare rilievo, sicché risulta evidente che tali tratti sono considerati propri anche delle questioni enumerate nelle precedenti lettere.
[23] Servizio studi, Dossier, cit., p. 9.
[24] Cons. Stato, sez. cons. per gli atti normativi, 3829/2006, cit.
[25] Camera dei deputati - Commissione VII, Parere, cit. e Senato della Repubblica - Commissione VII, Parere, cit.
[26] Così l'appello rivolto al Presidente della Repubblica da varie Associazioni il 18 gennaio 2007, in www.patrimoniosos.it.
[27] Così l'appello rivolto al ministro per i Beni e le Attività culturali da varie Associazioni il 4 settembre 2006, in www.bianchibandinelli.it.
[28] Ibidem.
[29] Ibidem.
[30] Italia Oggi del 18/11/2006, riportato in www.patrimoniosos.it.
[31] Possibilità peraltro già presente negli originari artt. 17, comma 6, e 18, comma 5.
[32] Cfr. gli artt. 17 e 29, commi 5, 7 e 10 s., del Codice.
[33] Ad es. M. Cammelli, Introduzione, e C. Barbati, I soggetti, in Il diritto dei beni culturali, cit., rispettivamente p. XXI e p. 161 s.; G. Sciullo, Le politiche per i beni culturali, in il Mulino, 2005, n. 2, p. 294.