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Il sostegno pubblico all'attività cinematografica

di Giovanna Endrici

Sommario: 1. Il cinema tra cultura e mercato. - 2. Il quadro comunitario. - 3. La riforma della disciplina in materia di attività cinematografiche. - 4. Il finanziamento all'impresa cinematografica. - 5. Uno scenario aperto.

1. Il cinema tra cultura e mercato

Nel suo collocarsi tra cultura e mercato l'industria cinematografica presenta caratteri peculiari, che giustificano l'intervento pubblico in funzione di sostegno. Infatti, nelle diverse fasi che connotano la filiera cinematografica (produzione, distribuzione, gestione) l'industria cinematografica non sempre - o raramente - presenta quei caratteri di redditività e autosufficienza che dovrebbero caratterizzare l'attività imprenditoriale, in vista del profitto; ma al contempo, l'essere il cinema un'espressione culturale porta a iscrivere il suo sviluppo nel novero degli obiettivi perseguiti dai poteri pubblici. L'azione di sostegno pubblico di conseguenza viene a svolgere una funzione correttiva rispetto ai meccanismi di mercato e suppletiva rispetto alle iniziative deboli [1].

Ciò vale nella tradizione dei diversi Stati ma anche a livello comunitario. L'"eccezione culturale", considerata nell'ottica europea, è una formula che mira a legittimare l'intervento regolativo e finanziario dei poteri pubblici nazionali per correggere le distorsioni internazionali provocate dal mercato; e che d'altro lato autorizza l'attribuzione dei poteri in materia culturale agli Stati membri, costituendo fattore di decentramento delle competenze [2]. Come si vedrà, la riconosciuta compatibilità con il Trattato degli aiuti destinati a promuovere la cultura, e l'interesse mostrato - in tempi relativamente recenti - dalla Comunità europea rispetto al settore cinematografico, portano le istituzioni comunitarie a stabilire criteri destinati a contemperare l'istanza culturale (che giustifica la deroga al generale principio di incompatibilità degli aiuti statali) con i principi in tema di concorrenza e di libertà di circolazione. Purché non si radicalizzi la contrapposizione tra cultura e mercato, si tratta di un contemperamento possibile: al punto che la diversità culturale può essere vista come una regola o istituzione che fa evolvere il mercato in una direzione efficiente e dunque come prerequisito per la realizzazione della libertà economica e per il libero scambio [3].

Tanto la Comunità, per quanto le compete, che gli Stati membri, nel definire le proprie politiche di sostegno, sono dunque chiamati a muoversi sul terreno del contemperamento tra logiche di mercato e obiettivi culturali. L'evoluzione storica riflette fasi diverse dello sviluppo dell'industria cinematografica e dell'attenzione ad essa dedicata dai poteri pubblici, quale si traduce nella complessa - e appunto mutevole - articolazione delle misure di sostegno, diretto e indiretto [4].

Da tempo, l'industria cinematografica versa in una situazione per molti versi critica: sia, sul fronte "esterno", per la egemonia del cinema americano, sia, più in generale, per effetto dell'evoluzione dell'intero comparto degli audiovisivi, non sempre ad essa favorevole, ma anche del dilagare di fenomeni, quali la c.d. pirateria, che contribuiscono a compromettere gli equilibri economici del settore. Sul fronte interno poi, sono lamentati molti aspetti problematici, solo in parte affrontati dal decreto di riforma. Tra questi, la debolezza dell'industria di produzione, le strozzature della distribuzione, gli squilibri derivanti dalle grandi trasformazioni avutesi nel settore dell'esercizio, con l'esplosione delle sale multiplex, le carenze del sistema promozionale. Ma si segnalano anche elementi distorsivi nell'applicazione della normativa di sostegno, quali l'eccessivo numero di film finanziati, superiore alla capacità di assorbimento del mercato, e il dato del finanziamento di un cospicuo numero di film destinati a non andare mai in sala.

In un quadro segnato da molte difficoltà, non mancano peraltro elementi positivi. Si pensi, in particolare, alle ricadute favorevoli dell'evoluzione digitale, che consente consistenti tagli ai costi di produzione e apre nuove prospettive sul piano dell'accessibilità ai prodotti cinematografici [5]. Un ulteriore elemento incoraggiante, negli anni più recenti, è costituito dalla tendenza ad una maggiore industrializzazione, riferita all'integrazione verticale, al rafforzamento patrimoniale nonché ad una nuova attenzione al settore da parte del mondo della finanza e dell'industria [6].

Gli obiettivi della riforma di cui qui ci si occupa consistono in una razionalizzazione e riordino dell'esistente sulla base dei criteri direttivi fissati dalla legge delega [7], secondo una ratio indubbiamente orientata a valorizzare gli elementi di mercato. Anche in considerazione dei limiti dell'esperienza precedente, la maggiore attenzione alla ratio economica costituisce un criterio ampiamente condiviso. Tuttavia, si affaccia comunque la preoccupazione - ricorrente quando il mercato fa ingresso in campi prevalentemente affidati a criteri di tipo culturale - che la commistione tra valenza di mercato e valenza culturale del film, come disciplinati dal decreto, portino a privilegiare prodotti commerciali con grande successo di pubblico (e dunque meno bisognosi di aiuti esterni) rispetto a prodotti di qualità di interesse culturale, per i quali il mercato può giocare a sfavore [8].

2. Il quadro comunitario

Nell'ultimo decennio, le istituzioni comunitarie hanno mostrato crescente interesse per il settore cinematografico, sia per quanto riguarda la fissazione dei criteri di ammissibilità degli aiuti statali, che in termini di sostegno diretto alla cinematografia europea: al fine di contrastare la posizione egemonica di quella americana ma anche per la valenza squisitamente culturale dell'opera cinematografica, che si suppone possa costituire un importante veicolo di costruzione e rafforzamento dell'identità europea.

La cultura entra espressamente nell'orizzonte delle politiche comunitarie con il Trattato di Maastricht (art. 151 Tce), mentre in materia di aiuti è l'art. 87, comma 3 a prevedere la compatibilità con il Trattato degli aiuti destinati a promuovere la cultura e la conservazione del patrimonio, in quanto non alterino le condizioni degli scambi e della concorrenza nella Comunità in misura contraria al comune interesse.

La politica comunitaria in materia di cinema prende avvio in occasione di una denuncia alla Commissione riferita alle esclusioni cui dava luogo il regime francese di aiuti alla produzione cinematografica, nel 1997. Oltre a fare emergere una questione, della c.d. territorializzazione, che tuttora costituisce un profilo rilevante ai fini dell'ammissibilità ai benefici, porta la Commissione ad effettuare un'indagine con tutti gli Stati membri, da cui risulta che la maggior parte delle norme di sostegno al settore audiovisivo non era stata notificata. Nella decisione del giugno 1998 sul sistema francese di aiuti automatici alla produzione cinematografica vengono enunciati i criteri - di cui subito si dirà - che verranno ripresi in successive comunicazioni.

L'interessamento delle istituzioni comunitarie al settore cinematografico porta poi all'adozione di una risoluzione del Consiglio (12 febbraio 2001) sugli aiuti nazionali ai settori del cinema e degli audiovisivi, nella quale si sottolinea come gli aiuti nazionali a tali settori costituiscano uno dei mezzi principali per garantire la diversità culturale, e come tale obiettivo giustifichi la natura specifica degli aiuti a tali settori. Di conseguenza, ribadisce che gli Stati membri possono fondatamente attuare politiche nazionali di sostegno a favore della creazione di prodotti cinematografici e audiovisivi e invita la Commissione a presentare al Consiglio un resoconto sulle proprie riflessioni. La comunicazione della Commissione del 26 settembre 2001 [9] stabilisce una serie di criteri che dovrebbero consentire di raggiungere un equilibrio tra gli obiettivi di creazione culturale, lo sviluppo della produzione audiovisiva comunitaria e il rispetto della normativa sugli aiuti di Stato.

Si tratta dei seguenti criteri:

1) gli aiuti riguardano un prodotto culturale, e spetta agli Stati garantire che il contenuto della produzione sovvenzionata sia tale;

2) si ammette la territorializzazione in termini di spesa sino ad un massimo dell'80 % dei costi di produzione, così da lasciare il produttore libero di spendere almeno il 20 % del bilancio del film in altri Stati membri;

3) in linea di massima l'intensità degli aiuti deve essere limitata al 50 % del bilancio di produzione, onde stimolare le normali iniziative commerciali proprie di un economia di mercato. Le eccezioni sono generalmente riconducibili alla categoria dei "film difficili e con risorse finanziarie modeste".

Alla comunicazione della Commissione del 26 settembre 2001 fa seguito un'ulteriore comunicazione presentata dalla stessa al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, in data 16 marzo 2004 [10], con cui intende garantire certezza giuridica al settore, stabilendo le norme da applicare sino al 30 giugno 2007.

I criteri utilizzati dalla Commissione per valutare la compatibilità con il Trattato CE del sistema di aiuti alla produzione cinematografica e televisiva si basano essenzialmente su due principi, che riprendono quelli già fissati nel 2001: il rispetto del criterio generale di legalità e dei criteri specifici di compatibilità per gli aiuti alla produzione cinematografica e televisiva. Dichiaratamente, le preoccupazioni della Commissione non riguardano il volume degli aiuti, considerati compatibili con il Trattato perché finalizzati a sostenere la cultura, ma le clausole di "territorializzazione" di alcuni sistemi di aiuti, in quanto possono costituire un ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori, dei beni e dei servizi all'interno della Comunità nonché frammentare il mercato interno e impedirne lo sviluppo. Tali clausole possono essere fissate a certe condizioni e nei limiti fissati dalla comunicazione. La Commissione si dichiara pertanto disponibile a considerare la possibilità che siano erogati aiuti più ingenti purché siano rispettate le condizioni di legalità previste dal Trattato e ridotte le barriere alle libertà di circolazione.

Per quanto in particolare riguarda la conservazione, il restauro e lo sfruttamento del patrimonio cinematografico, a seguito della comunicazione della Commissione del marzo 2004 è stata recentemente emanata una raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 novembre 2005, relativa al patrimonio cinematografico e alla competitività delle attività industriali correlate [11]. Essa mira in particolare a promuovere un migliore sfruttamento del potenziale industriale e culturale del patrimonio cinematografico europeo, incoraggiando politiche di innovazione, ricerca e sviluppo tecnologico nel settore della conservazione e restauro delle opere cinematografiche.

Come accennato, a livello comunitario sono inoltre previsti programmi destinati a sostenere il cinema europeo, nel quadro della più ampia politica audiovisiva. Così il programma Media, il cui obiettivo è fornire un sostegno finanziario per aumentare la produzione europea di film e programmi televisivi di qualità, nonché per rendere più competitiva internazionalmente l'industria europea [12].

3. La riforma della disciplina in materia di attività cinematografiche

Il decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 28 dispone una disciplina organica delle attività cinematografiche, che sostituisce quella - più volte modificata e integrata - del 1965 [13]. Quasi quarant'anni di distanza separano dunque i due interventi, e collocano il secondo per molti versi in una scia di continuità, per altri di profondo rinnovamento rispetto al quadro normativo che si è venuto nel tempo consolidando sulla trama della legge degli anni '60 [14].

Impugnato per contrasto con il riformato Titolo V della Costituzione, che affida alla potestà legislativa concorrente la promozione e organizzazione di attività culturali, il d.lg. 28/2004 è stato oggetto di una articolata pronuncia della Corte, di carattere additivo. Con sentenza n. 285/2005 essa infatti sancisce che una serie di funzioni statali concernenti le attività cinematografiche previste dal d.lg. 28/2005 debbano avvenire "nel rispetto delle attribuzioni costituzionalmente spettanti alle regioni" e dunque attraverso i moduli della concertazione. Una serie di decreti attuativi [15], alcuni dei quali modificati alla luce della sentenza della Corte, rendono ora la riforma operativa.

Come già avveniva sulla base della previgente normativa, tutta la filiera dell'attività cinematografica - produzione, distribuzione ed esercizio delle sale - è oggetto di sostegno pubblico, secondo modalità tese a razionalizzare e semplificare le procedure, sulla base dei criteri fissati dalla legge delega. A tal fine si prevede, tra l'altro, l'istituzione di un'unica commissione di valutazione, e si riduce la discrezionalità nell'ammissione ai finanziamenti attraverso un sistema di reference, applicato sia ai produttori che al progetto filmico. Il sistema di finanziamento viene infatti ancorato a parametri oggettivi, destinati a circoscrivere la discrezionalità della commissione e con ciò anche la vulnerabilità della stessa a pressioni esterne. Nella decisione di ammissione ai benefici si uniscono pertanto criteri di carattere discrezionale con indicatori automatici.

Il reference system - per come è configurato - è peraltro oggetto di valutazioni perplesse o decisamente critiche [16] perché tenderebbe a privilegiare le imprese già affermate, tradendo in tal modo la "missione culturale" del finanziamento pubblico, che consiste nel sostenere le iniziative deboli ma culturalmente meritevoli. L'oggettività dei parametri, infatti, se da un lato rappresenta una garanzia, dall'altro rischia di tradursi in rigidità, dato che vi sono aspetti del cinema che sfuggono a tale semplificazione [17].

Si persegue, inoltre, l'obiettivo di una maggiore responsabilizzazione del produttore, ma al contempo una sua valorizzazione e riqualificazione [18], abbassando la quota di finanziamento coperta da garanzia. Anche la fase istruttoria di ammissione ai benefici tende a valorizzare la figura dei maggiori responsabili dell'iniziativa, prevedendo l'audizione del regista e del produttore, chiamati a illustrare ai commissari le caratteristiche e le finalità culturali dei loro progetti [19].

Al fine di reperire risorse aggiuntive rispetto a quelle disponibili da parte pubblica, si è introdotto il c.d. product placement, che consiste nella possibilità di utilizzare marchi commerciali - coerenti con il contesto narrativo - all'interno del film, ottenendo in cambio introiti di tipo pubblicitario. Tale misura si sostituisce a quella opposta, previgente, del divieto, rivelatasi nei fatti inutile, o addirittura controproducente, dato che comunque lo spettatore italiano è esposto ai messaggi dei film di importazione (soprattutto americani), messaggi che riguardano prevalentemente prodotti non nazionali. Attraverso la regolazione del product placement, invece, si intende perseguire il duplice obiettivo di sostenere commercialmente i prodotti italiani e di introdurre un ulteriore canale di finanziamento dell'industria cinematografica.

Le novità sul piano organizzativo consistono nell'istituzione di un'unica commissione per la cinematografia, divisa in due sottocommissioni (per il riconoscimento dell'interesse culturale; per la promozione e per i film d'essai), a loro volta divise in apposite sezioni. Essa è chiamata al riconoscimento dell'interesse culturale e alla definizione della quota massima di finanziamento assegnabile, così superando il precedente sistema imperniato su una doppia valutazione (affidata rispettivamente alla commissione consultiva per il cinema e alla commissione per il credito cinematografico).

Viene inoltre istituita una Consulta territoriale per le attività cinematografiche, composta anche da rappresentanti delle autonomie e titolare di compiti consultivi e propositivi, tra cui in particolare l'elaborazione di un piano triennale contenente l'individuazione di aree geografiche per la realizzazione delle opere individuate dallo stesso decreto legislativo e di aree privilegiate di investimento relativamente alle industrie tecniche. Tra i contenuti del programma vi è altresì l'individuazione degli obiettivi per la promozione - attraverso contributi - di attività cinematografiche che non rientrano nel ciclo propriamente imprenditoriale (quali il sostegno a iniziative, manifestazioni, progetti, la concessione di premi ecc.) (art. 19).

L'istituzione di tale organismo appare peraltro una risposta debole alle esigenze del decentramento, in quanto risolve il ruolo delle autonomie in una loro presenza solo consultiva-propositiva all'interno di un organo statale, e figura come espressione di un disegno volto a ricondurre allo Stato le competenze amministrative e normative in materia di attività cinematografiche [20]. Disegno solo temperato dall'intervento della Corte costituzionale, che come accennato ha annullato una serie di disposizioni in quanto non prevedevano la necessaria concertazione con le regioni.

4. Il finanziamento pubblico all'impresa cinematografica

L'impresa cinematografica considerata dalla normativa è quella di produzione, di distribuzione, di esportazione, di esercizio e di industria tecnica avente sede legale e domicilio fiscale in Italia. Ad essa è equiparata, a condizioni di reciprocità, l'impresa di altro paese membro della Ue che abbia una filiale, agenzia o succursale in Italia, che qui svolga prevalentemente la sua attività (art. 3).

Il riconoscimento della nazionalità italiana costituisce presupposto necessario dell'ammissione ai benefici previsti dalla legge, e si basa sulla esistenza di un certo numero di requisiti tra quelli espressamente previsti, che attengono alle componenti artistiche e tecniche del film da prendere in considerazione; rispetto ai requisiti soggettivi, i cittadini della Ue sono equiparati a quelli italiani. Possono inoltre essere riconosciuti nazionali i lungometraggi e i cortometraggi realizzati in coproduzione con imprese estere, in base a speciali accordi internazionali di reciprocità e con i requisiti previsti dallo stesso decreto legislativo (art. 6). Alcuni dei requisiti dell'elenco relativo al riconoscimento della nazionalità italiana costituiscono poi il presupposto del riconoscimento dell'interesse culturale del film (art. 7). Valutazione, quest'ultima, affidata all'apposita sottocommissione della commissione per la cinematografia.

Riguardo alle imprese di produzione, si prevede la loro iscrizione ad appositi elenchi distinti in due categorie di classificazione, sulla base di indicatori riferiti alla qualità dei film realizzati, alla stabilità dell'attività, anche in riferimento alla restituzione dei finanziamenti ottenuti, e alla capacità commerciale dimostrata (art. 3 comma 2). La appartenenza alle diverse categorie comporta una differenziazione della quota di finanziamento assegnabile.

Come accennato, la valutazione dell'opera è poi determinata da una serie di parametri automatici di reference del progetto filmico, destinati a incidere sulla valutazione complessiva in misura non superiore al 50 %. La parte residua, relativa alla qualità artistica e tecnica dell'opera, è rimessa alla valutazione discrezionale della commissione.

Tutta la filiera produttiva è oggetto di misure di sostegno, ovviamente diverse in ragione delle specifiche caratteristiche ed esigenze di ciascuna fase. Esse gravano su di un apposito Fondo - per la produzione, la distribuzione, l'esercizio e le industrie tecniche - che sostituisce una serie di fondi preesistenti e ne assorbe le relative risorse finanziarie (art. 12). Non è peraltro specificato come, una volta esaurite le risorse disponibili, il fondo verrà rifinanziato.

Sono previsti finanziamenti alla produzione, di durata triennale, in percentuale differenziata a seconda della tipologia del film: per i lungometraggi riconosciuti di interesse culturale la misura non può superare il 50% del costo del film mentre per le opere prime e seconde tale misura è elevata al 90 %. Appare evidente la diversa ratio che sostiene i due parametri (peraltro allineati alle indicazioni comunitarie): tesa a valorizzare l'autonoma capacità del produttore nella prima ipotesi e a sostenere gli esordienti nella seconda.

L'erogazione del finanziamento è subordinata all'effettivo reperimento, entro un anno dalla delibera di ammissione, delle risorse necessarie alla copertura del restante costo di produzione del film. L'impegno cui sono chiamati i produttori, di reperire sul mercato la quota restante di finanziamento, costituisce una misura da un lato considerata positivamente, come stimolo al rafforzamento dell'imprenditorialità degli operatori, dall'altro da più parti criticata perché tenderebbe nei fatti a favorire le imprese in grado di coprire i costi vendendo alla grande distribuzione i diritti TV [21].

I cortometraggi di interesse culturale possono infine godere di mutui fino al 100 % del costo del film. Tali mutui sono assistiti da garanzie sul Fondo di cui sopra: ciò che invece non avviene per i lungometraggi per i quali non sia stato richiesto e riconosciuto l'interesse culturale, che possono tuttavia accedere a mutui in misura non superiore al 70 % del costo del film. Per i film riconosciuti di interesse culturale la mancata restituzione del finanziamento, dopo 3 anni, comporta l'acquisizione, da parte dello Stato, dei diritti di utilizzazione e sfruttamento del film, per la parte del finanziamento non ammortizzata.

Sono previsti finanziamenti per lo sviluppo di sceneggiature originali, di particolare rilievo culturale o sociale, al fine di sostenere autori esordienti. Viene altresì modificato il sistema di attribuzione dei premi di qualità, che gravano sul Fondo unico per lo spettacolo e vengono assegnati da una giuria composta da cinque membri, eminenti personalità della cultura.

Le imprese di produzione possono inoltre accedere a contributi, calcolati in percentuale sulla misura degli incassi realizzati dai film proiettati nelle sale per la durata massima di 18 mesi dalla prima proiezione e destinati prioritariamente all'ammortamento dei mutui contratti per la produzione del film. Per il residuo, il contributo entra nel patrimonio dell'impresa anche al fine del rivestimento (art. 10).

Questo tipo di incentivo, già vigente nella preesistente disciplina, senza tuttavia vincolo di destinazione, secondo gli operatori culturali del settore sembra destinato ad accentuare la tendenza negativa che vede prevalere gli interessi economici particolaristici sulle esigenze socio-culturali [22]. In particolare si lamenta il fatto che si vada così a finanziare film di cassetta piuttosto che investire in una promozione più mirata dal punto di vista culturale.

Il finanziamento alla distribuzione si configura sia come contributo automatico con obbligo di reinvestimento nella distribuzione, sia sotto forma di contributi collegati alla effettiva distribuzione del film finanziato (erogati in misura proporzionale al numero di ingressi realizzati). Anche le imprese di esportazione figurano come beneficiarie di contributi, sulla base di meccanismi automatici commisurati all'attività di produzione dell'anno precedente.

Riguardo all'attività di esercizio, infine, sono previsti contributi in conto interessi, sui contratti di mutuo e locazione finanziaria, per varie finalità, quali la realizzazione di nuove sale o il ripristino di sale inattive, la ristrutturazione e l'adeguamento strutturale e tecnologico delle sale esistenti, il rinnovo delle apparecchiature e degli impianti e servizi accessori alle sale cinematografiche. L'impegno a programmare una quota percentuale di film italiani o di paesi comunitari comporta un'ulteriore riduzione dell'interesse a carico del beneficiario, a cui si aggiungono, nel caso di cinema ubicati in centri minori, contributi in conto capitale.

5. Uno scenario aperto

Lo scenario in cui si colloca il cinema, e l'industria cinematografica in particolare, appare caratterizzato da forti difficoltà, cui già si è fatto cenno, ma anche da una situazione evolutiva non priva di segni positivi.

Quanto alla disciplina introdotta dal d.lg. 28/2004, andrà valutata nei fatti la sua capacità di contemperare logica di mercato e istanza culturale, senza che la seconda sia sacrificata alla prima. Certamente vi sono misure che paiono sbilanciare a favore del mercato e degli operatori già affermati il delicato equilibrio su cui gioca il ruolo promozionale pubblico. Sotto questo profilo la normativa non è neutra, ma sicuramente suscettibile di sviluppi fattuali diversi. Benché ridotta, rimane però la discrezionalità degli organi preposti all'ammissione ai benefici previsti dalla legge, e rimane la discrezionalità nella scelta dei commissari, che compete per due terzi al ministro e per un terzo alla Conferenza Stato-regioni [23]. Il versante attuativo sembra insomma decisivo nel connotare la riforma.

Peraltro, la normativa di riordino si presenta come organica per quanto riguarda il sostegno finanziario al ciclo cinematografico, ma incompleta rispetto alle complessive esigenze del settore. E' vero che queste non erano nell'orizzonte della legge delega, ma ciò non toglie che si tratti di esigenze pressanti: a partire da quella, cui già si è accennato, di una ridefinizione normativa del rapporto con la televisione [24]. Inoltre, muovendo sul terreno tradizionale dei contributi finanziari, la riforma ignora la leva fiscale quale possibile ulteriore strumento per incentivare l'afflusso di capitali privati all'industria cinematografica. Si tratta di uno strumento ripetutamente evocato, sia dalle proposte di riforma avanzate dall'opposizione [25], che nella stessa amministrazione dello spettacolo [26].

Se molti profili di sofferenza settoriale sono per così dire "cronici" e possono essere affrontati in via di regolazione e sostegno pubblico, mettendo a regime misure già individuate o collaudate in altre esperienze, ve ne sono altri che richiedono dinamismo e capacità innovativa degli stessi soggetti regolatori. Si tratta di inseguire, e se necessario correggere la rapidità evolutiva del settore audiovisivo, di regolare mercati che nel mentre si delineano aprono nuove potenzialità ma anche nuove sfide all'industria cinematografica.

Sul piano istituzionale, si intravedono scenari che, secondo tendenze più generali, tendono a valorizzare i livelli sovra e infranazionali, mentre a livello statale risulta decrescente l'impegno nei confronti del Fondo unico per lo spettacolo. Si è visto come è solo nell'ultimo decennio che la Comunità europea si è occupata dell'industria cinematografica, mostrando progressivo interesse e ampiezza del campo d'azione. E d'altro canto, ancorché frenate dal ridotto spazio che viene loro concretamente riconosciuto in materia e dalle ristrettezze finanziarie, anche le regioni tendono a sviluppare iniziative autonome e in cooperazione con enti omologhi. Nascono fondi regionali [27], con una portata di intervento che va al di là della competenza regionale sul versante della programmazione delle sale, e si sviluppano forme di cooperazione a livello europeo [28].

Si tratta di tendenze indicative della redistribuzione multilivello dell'azione dei poteri pubblici, destinata a incrociare - con esiti ancora non prevedibili - le dinamiche impresse dalla rapida evoluzione del digitale e i cambiamenti del mercato cinematografico.

 

Note

[1] Sulla funzione correttiva dell'intervento pubblico, v. C. Barbati, Istituzioni e spettacolo, Padova, 1996, 64.

[2] S. Foà e W. Santagata, Eccezione culturale e diversità culturale. Il potere culturale delle organizzazioni centralizzate e decentralizzate, in Aedon 2/2004, 1.

[3] Eadem, 6.

[4] Sulla ratio e sulle diverse modalità dell'intervento pubblico, v. C. Barbati, op. cit. Con riferimento alle riforme più recenti, v. G. Gardini, Le regole dell'informazione. Principi giuridici, strumenti, casi, Milano, 2005, 154 ss.

[5] S. Salvemini, Il cinema impresa possibile, in sito web www.nextonline.it

[6] Intervista a S. Salvemini, Europa per noi, inseguire e imparare, in sito web www.caffeeuropa.it

[7] Legge 6 luglio 2002, n. 137, art. 10. co. 1, lettera b) e co. 2 lettera e). Si prevede in particolare di: razionalizzare gli organismi consultivi e le relative funzioni, anche mediante soppressione, accorpamento e riduzione del numero e dei componenti; snellire le procedure di liquidazione dei contributi e ridefinire le modalità di costituzione e funzionamento degli organismi che intervengono nelle procedure di individuazione dei soggetti legittimati a ricevere contributi e di quantificazione degli stessi; adeguare l'assetto organizzativo degli organismi e degli enti di settore; rivedere il sistema dei controlli sull'impiego delle risorse assegnate e sugli effetti prodotti dagli interventi.

[8] P. Caretti, Diritto dell'informazione e della comunicazione, Bologna, 2005, 262.

[9] N. 534, pubbl. in Guce 43 del 16 febbraio 2002.

[10] Come Proposta di raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al patrimonio cinematografico e alla competitività delle attività industriali correlate.

[11] Guce n. 263 del 9 dicembre 2005.

[12] I precedenti programmi Media hanno riguardato i periodi 1990-1995 e 1996-2000. La generazione attuale va dal 2001 al 2006 ed è suddivisa in due sottoprogrammi Media plus e Media formazione. La commissione ha proposto di continuare i due sottoprogrammi, con il nome di media 2007, per il periodo 2007-2013. V. www.europa.eu.int/pol/av.

[13] Legge 4 novembre 1965, n. 1213, Nuovo ordinamento dei provvedimenti a favore della cinematografia.

[14] Per una presentazione di insieme della nuova normativa v. la pubblicazione, a cura dell'Ufficio stampa del ministero per i Beni e le Attività culturali, Per il cinema.

[15] Tutti riportati nella parte Documentazione di questo numero della Rivista.

[16] Nelle osservazioni sullo schema del decreto legislativo, il Sindacato nazionale dei critici cinematografici rileva come l'abbassamento del finanziamento statale dal 70 al 50 % e il sistema di reference rischia di ridurre notevolmente i film finanziati e di favorire i produttori più forti a scapito di quelli indipendenti, con probabili ricadute negative anche sulla qualità dei film realizzati e con sicuri impedimenti realizzativi per i film più sperimentali, più aperti alla ricerca espressiva e al nuovo. V. www.sncci.it.

[17] Il cinema è un'industria, dialogo con Barbara Corsi, in www.ilmediario.it.

[18] Costituiva infatti un'anomalia del sistema italiano il fatto che l'imprenditore cinematografico, e in particolare il produttore che non ha barriere di scala all'ingresso, fosse fino a poco tempo fa "un personaggio che, vendendo anticipatamente i diritti del suo prodotto, riusciva a essere imprenditore senza tirare fuori neanche una lira": v. S. Salvemini, Europa per noi, inseguire e imparare, in www.caffeeuropa.it.

[19] Sui lavori della commissione nel primo anno di applicazione della nuova normativa v. ministero per i Beni e le Attività culturali, Relazione attività anno 2005 della commissione per la cinematografia. Sottocommissione di cui all'art. 8, lett. a) della "legge cinema", in sito web www.beniculturali.it.

[20] C. Barbati, voce Spettacolo, datt., 6 (di prossima pubblicazione in Dizionario di diritto pubblico, a cura di S. Cassese, Milano, 2006).

[21] V. Ciak:si incassa. Il cinema garantito, puntata della trasmissione televisiva Report, del 4 aprile 2004, www.report.rai.it.

[22] Osservazioni del SNCCI, cit., p. 2.

[23] Art. 8, comma 3, come modificato dalla legge 3 febbraio 2006, n. 27 (art. 5 bis), a seguito della pronuncia della Corte costituzionale di cui si è detto nel testo. Il testo originario attribuiva la scelta dei membri interamente al ministro, acquisito il parere della Conferenza Stato-regioni.

[24] Il cinema negli ultimi anni ha visto crollare il sostegno riconducibile ai c.d. "diritti di antenna", a causa di scelte di palinsesto delle televisioni che hanno ridotto la programmazione di prodotti cinematografici: S. Salvemini, Europa per noi, cit., 5. L'A. auspica un recupero normativo che obblighi le televisioni generaliste ad aumentare la loro quota di produzione cinematografica (come già avveniva nella legge Mammì e poi in quella Maccanico).

[25] Insieme al finanziamento diretto, prevede strumenti di promozione mediante agevolazioni fiscali la proposta di legge n. 3657, Nuove disposizioni per la promozione del cinema italiano, di iniziativa dei deputati Melandri e altri.

[26] G. Blandini, Direttore generale per il cinema del Mibac, ritiene auspicabile un provvedimento che contempli anche la defiscalizzazione degli investimenti nel cinema: v. Intervista di C. Borghi, La fabbrica dei sogni. L'istituzione del c.d. tax shelter è oggetto di una proposta di legge elaborata dal Mbac: v. Irer, Politiche cinematografiche: un confronto "I quattro motori per l'Europa". Contributo per un ripensamento delle politiche cinematografiche in Lombardia, marzo-aprile 2005, 14.

[27] Cfr., a proposito della Lombardia, Politiche cinematografiche, cit.

[28] Fondi e finanziamenti per la produzione, dossier 16 marzo 2005, in sito web www.cineuropa.org.

 



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