Con questo numero, il 3/2005, Aedon estende la propria attenzione al di là dei beni culturali propriamente detti e apre il discorso anche al paesaggio. Si dirà che era una cosa doverosa, visto che il Codice all'art. 2 comma 1 afferma solennemente che "il patrimonio culturale è costituito dai beni culturali e dai beni paesaggistici" e che a questi ultimi è dedicata la Parte III del provvedimento, dagli artt. 131 ss.
Questo conta, naturalmente, ma le ragioni sono più ampie e sono legate al fatto della crescente e marcata importanza che i beni paesaggistici hanno da tempo assunto, sottolineando in tal modo la propria autonomia (per certi aspetti in rapporto da genus a species) rispetto al complesso cui fa riferimento la qualifica di beni ambientali. Un processo a sua volta espressione dell'affermarsi di una concezione del paesaggio che muovendo dal dato originario della legge del 1922, ove la natura rileva in quanto bellezza e per questo usufruisce almeno in parte della protezione riservata all'arte, è ormai approdato a sponde assai più lontane. All'esito, a questo punto non più peculiare e limitato ma comune e generalizzato, che fa del paesaggio la "componente essenziale del contesto di vita delle popolazioni, espressione della diversità del loro comune patrimonio culturale e naturale e fondamento della loro identità", come recita la Convenzione europea sul paesaggio (2000).
Se questo avviene in tutta Europa, in Italia il paesaggio ha ulteriori ragioni di essere avvicinato ai beni culturali e di confluire nella categoria più ampia che comprende entrambi, quella di patrimonio culturale. La generalità appena sottolineata del rilievo del paesaggio non cancella infatti che continui anche a costituire quinta necessaria e indivisibile della maggior parte dei beni culturali del nostro paese. E, d'altra parte, proprio nel numero precedente della Rivista (Aedon, 2/2005) l'intervento di Elisa Del Mastro ha ricordato la stretta connessione tra tutela del paesaggio rurale e trasformazione del sistema produttivo nel settore agricolo.
Dunque, le ragioni di aprire l'obbiettivo della Rivista su questi aspetti ci sono tutte. E non mancano, anche qui, le ragioni di preoccupazione che furono segnalate fin nei primi commenti del Codice dei beni culturali e del paesaggio. Tra le tante, ad esempio, il tema della appropriatezza della definizione, perché c'è da chiedersi seriamente se sia compatibile con quanto fin qui osservato il riferimento, riproposto dall'art. 131, comma 1, al paesaggio come "parte omogenea di territorio", perché generalizzazione e omogeneità non sono evidentemente la stessa cosa. O il profilo, su cui si è concentrata l'attenzione dei primi commenti (e anche delle prime pronunce giurisdizionali) sui raccordi tra pianificazione paesaggistica e i restanti strumenti di pianificazione.
Su questi punti si sono registrati passi avanti, come lo sforzo di innestare il ruolo delle soprintendenze prima, nella fase di formazione del piano, invece che dopo in quella operativa dell'adozione del singolo atto, con i conflitti e gli inconvenienti che ne sono derivati. Ma è giusto riconoscere che il punto di equilibrio non è stato ancora trovato e stenta ancora ad esserlo. Ne è un esempio la recente sentenza della Corte costituzionale (388/2005) in materia di protezione dei tratturi in Puglia, che cerca di dare una risposta al tema riconoscendo in via interpretativa al parere della soprintendenza relativo ad opere costruite sulle aree tutelate una portata "vincolante" che nella normativa esaminata è assente.
E' solo un esempio, ma sufficiente a dimostrare che, per quanto ci si provi, il riparto tra funzioni dello Stato e delle regioni non può essere affidato alla distinzione per "materia", ma a quello del "ruolo" e all'innesto procedimentale. Il che conferma la necessità di disciplinare compiutamente quest'ultimo, come avviene nell'ambiente e nel paesaggio (Via, ma anche infrastrutture o telecomunicazioni), e soprattutto di fare in modo che non ci sia mai (di diritto o di fatto) un potere di veto da nessuna delle due parti, il che è possibile con una disciplina che premi la controproposta e sanzioni sempre, e comunque, l'inerzia da qualunque parte venga.
Ragioni ulteriori, dunque, per tenere sotto osservazione anche il settore del paesaggio sia come interventi (saggi) e documentazione, sia come Osservatorio della giurisprudenza: è quanto ci proponiamo di fare con il nuovo anno, a partire dal numero 1/2006.