Il riordino del ministero nel sistema dei beni culturali
(giornata di studio, 25 novembre 2004, Roma, Musei capitolini)
Sommario: 1. Generalità. - 2. I dati strutturali della nuova organizzazione periferica. - 3. Le funzioni delle direzioni regionali e delle altre strutture. - 4. Le relazioni funzionali fra le strutture centrali e quelle periferiche, e all'interno delle strutture periferiche. - 5. Continuità/discontinuità fra la soprintendenza regionale e la direzione regionale. - 6. Una "dequotazione" per i soprintendenti di settore? - 7. Un ministero decentrato? - 8. Conclusioni: una riorganizzazione "incompiuta".
La nuova organizzazione periferica, con l'introduzione delle direzioni regionali, rappresenta uno degli aspetti più rilevanti del riordino del Mbac operato dal decreto legislativo 8 gennaio 2004, n. 3, e dal d.p.r. 8 giugno 2004, n. 173. A stare al dibattito suscitato, si può aggiungere senz'altro anche quello più controverso. In proposito basterà ricordare che se taluni hanno rilevato come la creazione delle direzioni regionali, pensata nell'ottica dell'"interdisciplinarietà" [1], "può garantire alle soprintendenze territoriali un forte supporto nel loro lavoro tecnico-scientifico ... e ... liberarle da alcuni gravosi compiti amministrativi" [2], altri hanno senza esitazione parlato di "nuovi uffici di carattere meramente politico-burocratico" [3], di "moltiplicazione ... delle istanze decisionali" [4], di "sistema piramidale gerarchico" [5], e perciò di "grave defunzionalizzazione delle strutture" con "marginalizzazione" [6] o persino "liquidazione ... delle soprintendenze per i beni culturali" [7].
Alla "passione" che ormai suscitano tutti i temi che concernono i beni culturali va presumibilmente ricondotta anche l'inedita (salvo mio errore) decisione giurisprudenziale di sollevare, nei confronti della nuova disciplina organizzativa, questioni di legittimità costituzionale con riserva di "precisare" in separata (e successiva) ordinanza le disposizioni parametro e quelle denunciate [8]. Ad ogni modo l'ordinanza di precisazione [9], per ciò che concerne specificamente la nuova organizzazione periferica, non fa che riprendere, senza particolari approfondimenti, i rilievi critici appena richiamati.
La presente relazione si occuperà di tratteggiare anzitutto le novità salienti strutturali e funzionali intervenute nell'organizzazione periferica del ministero, per poi cercare di rispondere ai tre interrogativi intorno ai quali ruota, non sempre con chiara consapevolezza, il dibattito appena richiamato: quale continuità/discontinuità sussiste fra la nuova figura del direttore regionale e quella, che l'ha preceduta, del soprintendente regionale; se e com'è cambiato il ruolo dei soprintendenti di settore; quali i mutamenti sopraggiunti nel rapporto fra strutture centrali e strutture periferiche del ministero. Si tratta di interrogativi che concernono aspetti connessi, da considerare peraltro separatamente per meglio cogliere la logica del disegno di riorganizzazione, come pure per mettere in luce gli eventuali limiti realizzativi e prospettare i possibili interventi di completamento. Viceversa, esulerà dall'esame il ruolo che la nuova organizzazione periferica del ministero può giocare nel rapporto Stato-autonomie territoriale in materia dei beni culturali, profilo questo senz'altro centrale in una ricostruzione complessiva, ma al quale è dedicato uno specifico intervento.
2. I dati strutturali della nuova organizzazione periferica
Sotto il profilo strutturale, l'organizzazione periferica del ministero presenta come dati di novità l'istituzione nelle regioni a statuto ordinario, nel Friuli-Venezia Giulia e nella Sardegna delle "direzioni regionali per i beni culturali e paesaggistici" (art. 7, comma 1, del d.lg. 20 ottobre 1998, n. 368, come mod. dall'art. 5 del d.lg. 3/2004 - d'ora in avanti rispettivamente decreto 368 e decreto 3 - e art. 19, comma 1, d.p.r. 173/2004 - d'ora in avanti regolamento) nonché dei "comitati regionali di coordinamento" (art. 21 reg.).
La prima struttura, che sostituisce le "soprintendenze regionali per i beni e le attività culturali", è un'"articolazione territoriale, di livello dirigenziale generale, del dipartimento per i beni culturali e paesaggistici", e ha sede nel capoluogo di ciascuna regione (art. 7, comma 2, decreto 368 e art. 20, comma 1, reg.). La seconda, presieduta dal direttore regionale, è un "organo collegiale a competenza intersettoriale" e a geometria variabile quanto a composizione: i soli soprintendenti di settore oppure i responsabili di tutti gli uffici periferici operanti in ambito regionale (art. 21, commi 1 e 3, reg.).
Oltre a tali organi il regolamento menziona all'art. 19 le tradizionali strutture dell'amministrazione periferica del ministero, costituite dalle soprintendenze di settore - per i beni architettonici e per il paesaggio, per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico, per i beni archeologici e quelle archivistiche (comma 1, lett. b)-e), eventualmente "miste" (comma 2) - nonché dagli archivi di Stato, dalle biblioteche statali, dai musei e dagli altri istituti dotati di autonomia (annoveranti in particolare le soprintendenze c.d. autonome [10]) (comma 1, lett. f)-h)).
Non pienamente in linea con tali previsioni risulta quanto disposto dal decreto ministeriale 24 settembre 2004, che, ai sensi dell'art. 19, comma 3, reg., nell'all.to 2 individua gli uffici dirigenziali di livello non generale dell'amministrazione periferica del ministero: per un verso, vi annovera anche gli "istituti centrali" (del restauro, per il catalogo e la documentazione, l'opificio delle pietre dure, ecc.) e le biblioteche nazionali centrali che il d.p.r. 29 dicembre 2000, n. 441 menzionava separatamente dall'amministrazione periferica (art. 11), nonché le inedite "direzioni amministrative", articolazioni di molte (quindi non di tutte le) direzioni regionali; per altro verso, non vi ricomprende le soprintendenze c.d. autonome, che figurano come categoria distinta rispetto all'amministrazione centrale e a quella periferica. Ne discende che l'amministrazione periferica del ministero tende ad atteggiarsi come amministrazione "non ministeriale" piuttosto che come articolazione sul territorio delle strutture centrali.
Potrebbe osservarsi che si tratta di un dato di mera configurazione, opinabile, ma di sola portata classificatoria. Sennonché il d.m. presenta anche una nuova struttura dell'amministrazione periferica, con effetti rilevanti sul rapporto organizzativo fra le direzioni regionali e le altre entità periferiche. Al riguardo il regolamento non si esprime in termini chiari. Solo per inciso, e con riferimento alle soprintendenze di cui alle lett. b)-d), parla di "articolazioni degli uffici di cui alla lett. a) del comma 1" (art. 19, comma 2), ossia delle direzioni regionali. Si potrebbe, però, assegnare a tale espressione il significato di conferma di un carattere piuttosto che quello di perimetrazione di un ambito. Vari elementi, infatti, di ordine testuale e sistematico, spingerebbero a ritenere articolazioni delle direzioni regionali tutte le soprintendenze di settore, come pure gli archivi di Stato, le biblioteche statali nonché i musei e gli altri istituti dotati di autonomia.
Secondo l'art. 7, comma 4, del decreto 368 le direzioni regionali "si articolano negli uffici dirigenziali operanti in ambito regionale". A sua volta l'art. 19, comma 2, regolamento considera "uffici di livello dirigenziale non generale" gli organi periferici indicati al comma 1, ad eccezione delle direzioni regionali. Dunque dall'operare congiunto delle due previsioni si ricaverebbe la qualificazione di dette strutture come articolazioni delle direzioni regionali. Nello stesso senso deporrebbero, poi, altri dati testuali del regolamento che parlano delle "soprintendenze di settore e degli uffici ... compresi nella direzione regionale" (art. 20, comma 4, lett. a), e analogamente i commi 5 e 6). D'altro canto rimarrebbero oscure le ragioni della scelta di non ricondurre alle direzioni regionali le soprintendenze archivistiche, a differenza delle altre, e di limitare solo ad alcune strutture i previsti poteri di organizzazione delle risorse umane e strumentali "degli uffici dipendenti" (art. 20, comma 4, lett. bb)-cc), reg.). Da ultimo la diversa opzione organizzativa comporterebbe un collegamento di dipendenza funzionale fra le strutture periferiche non comprese nelle direzioni regionali e le strutture dell'amministrazione centrale, così come avveniva nella precedente disciplina (commi 1, degli artt. 14-16 d.p.r. 441/2000), ma di esso non vi è traccia alcuna. Pertanto dal regolamento si potrebbe desumere che l'amministrazione periferica - a parte i comitati di coordinamento, organismi collegiali da considerarsi annessi alle direzioni regionali, chiamate ad assicurarne le risorse umane e strumentali (art. 21, comma 4) - annoveri le direzioni regionali per i beni culturali e paesaggistici, uffici dirigenziali generali che si articolano negli uffici di livello dirigenziale non generale costituiti da tutte le altre strutture menzionate dall'art. 19 del regolamento.
Sennonché tale conclusione sarebbe smentita dal decreto ministeriale. Nell'all.to 2 le direzioni regionali comprendono esclusivamente le soprintendenze per i beni architettonici e il paesaggio, per il patrimonio storico ecc. e per i beni archeologici. Le soprintendenze archivistiche e gli archivi di Stato sono menzionati "sotto" la direzione generale degli archivi, mentre le biblioteche statali sono "riferite" alla direzione generale per i beni librari e i musei, e a loro volta gli "istituti centrali" sono "distribuiti" fra varie strutture di differenti dipartimenti [11]. In breve, dal decreto emerge una configurazione dell'amministrazione periferica non solo come "amministrazione non ministeriale", ma soprattutto come amministrazione di singole strutture centrali piuttosto che del ministero unitariamente inteso. Insomma, un dato di parcellizzazione organizzativa per linee verticali [12], alla quale in parte pongono rimedio la nuova figura delle direzioni regionali e, sul piano solo funzionale, quella dei comitati regionali di coordinamento.
Delle strutture in cui si articolano le direzioni regionali il direttore regionale "coordina e dirige le attività ..., esercitando le funzioni di cui all'art. 16 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165" e succ. mod. (art. 7, commi 5 e 4, decreto 368). Se si considera che le preesistenti soprintendenze regionali erano chiamate a svolgere una funzione di (mero) "coordinamento" (art. 13 d.p.r. 441/2000), appare chiaro l'indirizzo seguito nel riordino dell'amministrazione periferica: soppresse le soprintendenze regionali, talune (le più significative?) soprintendenze settoriali sono state ricondotte ad un "contenitore" più ampio pur esso periferico, secondo una linea che ha analogamente interessato le direzioni generali, anch'esse in precedenza coordinate dal segretario generale e ora inquadrate come articolazioni di entità più estese, i dipartimenti (art. 1 decreto 3 e artt. 3 ss. reg.).
Parallelamente sono state previste strutture di raccordo di carattere consultivo - i comitati regionali di coordinamento - coinvolgenti, nella loro composizione più ristretta, tutte (così parrebbe) le soprintendenze di settore, e, in quella più ampia, la globalità delle strutture periferiche operanti in ambito regionale (art. 21, comma 3, reg.).
Per le strutture periferiche non costituenti articolazioni delle direzioni regionali, come si è detto, il legame organizzativo non è precisato nel regolamento. Il decreto ministeriale lo "suggerisce" nell'all.to 2, nel senso che ciascuna di esse dovrebbe far capo, in quanto ufficio dirigenziale di livello non generale, alla struttura centrale di riferimento [13].
Giova indicare per accenni altre specificità del dato strutturale. Come elemento di flessibilità organizzativa, è stata prevista la possibilità che il direttore regionale sia altresì titolare di musei o di altri istituti dotati di autonomia nell'ambito della stessa regione (art. 7, comma 6, decreto 368 e art. 20, comma 3, reg.), come pure che egli ricopra anche altri uffici dirigenziali di livello non generale compresi nella direzione regionale (art. 23, comma 12, reg.). Peraltro l'unione personale di uffici, nel secondo caso, può avvenire solo in fase di prima applicazione e comunque per un periodo non superiore a due anni dalla data di entrata in vigore del regolamento, analogamente a quanto è previsto per l'unione sempre personale fra capo del dipartimento e responsabile di ufficio dirigenziale generale compreso nel dipartimento (art. 23, comma 11, reg.).
Anche il conferimento dell'incarico di direttore regionale e di quelli di dirigente degli uffici in cui si articolano le direzioni regionali presentano particolarità. Per il primo, l'art. 7, comma 3, del decreto 368 rinvia all'art. 19, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (conferimento con decreto del Presidente del Consiglio, su proposta del ministro competente, ai dirigenti di prima fascia del ruolo dei dirigenti del ministero o, in misura non superiore al 50 per cento della relativa dotazione, agli altri dirigenti appartenenti al medesimo ruolo ovvero a persone in possesso di specifiche qualità professionali [14]), aggiungendovi due specificità: il conferimento avviene, "sentito il capo del dipartimento per i beni culturali e paesaggistici" e "previa comunicazione al presidente della regione". La durata di tale incarico non può eccedere il termine di tre anni ai sensi del comma 6 del medesimo art. 19. Per il conferimento degli altri incarichi, l'art. 7, comma 5, del decreto 368 assegna ex art. 19, comma 5, del d.lg. 165/2001 il relativo potere al direttore regionale, ma prevedendo il parere del "direttore generale competente per materia". La durata di detti incarichi non può superare, secondo il comma 6 del medesimo art. 19, il termine di cinque anni.
3. Le funzioni delle direzioni regionali e delle altre strutture
La qualificazione delle direzioni regionali come strutture di livello dirigenziale generale risolve in apparenza un problema, ponendone però sicuramente un altro. In apparenza è in grado di definire il rapporto fra le direzioni regionali e le strutture di livello dirigenziale non generale, che ne costituiscono articolazioni, sulla base del quadro dei rapporti fra uffici delineato dal d.lg. 165/2001. Non a caso il già citato art. 7, comma 5, del decreto 368 rinvia esplicitamente alle disposizioni degli artt. 16 e 19, comma 5, del d.lg. 165/2001 per indicare i poteri dei direttori regionali. Tuttavia il reale atteggiarsi dei rapporti fra direzioni regionali e altre strutture periferiche in esse ricomprese si affida anche, e in misura preponderante, a norme specifiche, contenute sia nel regolamento sia nel Codice, sicché alla disciplina del d.lg. 165/2001 può assegnarsi un carattere solo residuale. Alle norme specifiche occorre in ogni caso riferirsi - essendo inidonee quelle del d.lg. 165/2001 - per risolvere anche il tema dei rapporti fra direzioni regionali e direzioni generali appartenenti al dipartimento per i beni culturali e paesaggistici, trattandosi di strutture di pari livello (dirigenziale generale) inquadrate nel medesimo plesso organizzativo.
Consideriamo pertanto le disposizioni specifiche, a partire da quelle concernenti le direzioni regionali, che sono contenute nell'art. 20, comma 4, regolamento. Oltre a fare riferimento genericamente alle funzioni delegate - da parte dei direttori generali e del capo del dipartimento per i beni culturali e paesaggistici ex art. 3, comma 6, e commi 3 degli artt. 7-9 regolamento - la disposizione menziona in via non esaustiva ("in particolare") una serie di compiti. Senza entrare nei dettagli può affermarsi che le attribuzioni previste sono ripartibili, secondo uno schema tipico elaborato per la dirigenza pubblica [15], nel concorso al policy making, poteri di amministrazione sul versante interno, poteri di organizzazione delle risorse strumentali e umane, poteri di amministrazione sul versante esterno e altri compiti.
Appartengono al primo gruppo le proposte d'interventi da inserirsi nei programmi annuali e pluriennali del ministero e nei relativi piani di spesa (lett. a), mentre nel secondo rientrano le attribuzioni menzionate nelle lett. o)-r) e t). Si tratta di compiti fondamentalmente di proposta, in prevalenza nei confronti dei direttori generali, cui è da aggiungere la convocazione, con fissazione dell'ordine del giorno, del comitato regionale di coordinamento (arg. art. 21, comma 3, reg.). Al terzo gruppo si ascrivono i compiti indicati nelle lett. bb)-dd) (organizzazione e gestione delle risorse strumentali, allocazione di quelle umane, cura delle relazioni sindacali e contrattazione a livello regionale), come pure, a tener conto delle disposizioni del d.lg. 165/2001, di quello previsto dall'art. 19, comma 5 (conferimento degli incarichi dirigenziali). Alle attribuzioni di amministrazione sul versante esterno sono invece da ricondurre i compiti indicati nelle lett. b)-n), z) e aa). Si tratta dei compiti più numerosi e, se si considerano anche quelli che andrebbero delegati dai direttori generali (commi 3 degli artt. 7-9 reg.), in taluni casi di sicuro rilievo. In particolare vanno menzionate la dichiarazione e la verifica dell'interesse culturale ex artt. 12 e 13 del Codice, la prescrizione di misure di tutela indiretta ex art. 45 del Codice, le scelte di affidamento dei servizi culturali ex art. 115 sempre del Codice, le funzioni di stazione appaltante per gli interventi conservativi realizzati con fondi dello Stato o a questo affidati in gestione. Infine, fra le attribuzioni non rientranti nei precedenti gruppi possono ricordarsi quelle indicate alle lett. u) e v) (promozione nelle scuole della diffusione della letteratura, vigilanza sulla realizzazione delle opere d'arte negli edifici pubblici) nonché, in una considerazione più ampia, anche quelle ad esempio menzionate nell'art. 16, lett. e), del d.lg. 165/2001 (vigilanza sui dirigenti degli uffici sottordinati e proposta di misure sanzionatorie).
Da ultimo è da dire che delle attribuzioni dei direttori regionali menzionate dal comma. 4, talune vanno di norma delegate (lett. c), g) e h)), mentre le altre sono delegabili ai soprintendenti di settore (art. 20, commi 5 e 6) [16].
Relativamente ai compiti delle altre strutture periferiche il regolamento manca di un'indicazione specifica, rinviando al riguardo a decreti ministeriali non regolamentari ex art. 17, comma 4-bis, lett. e), della l. 23 agosto 1988, n. 400, e, nel caso di "musei e altri istituti dotati di autonomia", a regolamenti governativi ex comma 1 della stessa disposizione (art. 19, commi 3 e 4). Il più volte citato d.m. 24 settembre 2004 tuttavia non si cura di definire detti compiti, salvo mantener fermo quanto disposto dai decreti istitutivi delle soprintendenze c.d. autonome (art. 3, comma 2).
Le soprintendenze di settore, in ragione della loro importanza, richiedono ragguagli maggiori. Diversamente da quanto avveniva con l'art. 14 del precedente regolamento di organizzazione (d.p.r. 441/2000), tali strutture non trovano nel nuovo regolamento un elenco delle loro attribuzioni. Nondimeno, oltre alle indicazioni che già derivano dall'art. 17 del d.lg. 165/2001 - trattandosi di uffici di livello dirigenziale non generale -, riferimenti significativi ai loro compiti si rinvengono già nello stesso regolamento, in occasione della precisazione delle attribuzioni delle direzioni regionali o di strutture dell'amministrazione centrale (commi 2, lett. b), degli artt. 7-9 e 11; commi 2, lett. d), degli artt. 7 e 8; art. 20, comma 4, lett. a), l), n)-q) e z)). Soprattutto occorre tener conto che il Codice menziona direttamente in capo ai soprintendenti di settore una serie nutrita di compiti (cfr. artt. 14, 15, 19, 21, 26, 28, 30, 33, 37, 46, 49, 50, 52, 62, 63, 90, 104, 106, 107, 123, 127 e 137 nonché art. 12, comma 10, in comb. disp. con l'art. 27, comma 10, decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, conv. nella legge 24 novembre 2003, n. 326).
Si tratta anche in questo caso di attribuzioni rientranti in più categorie ideali, in particolare in quella dell'amministrazione sul versante esterno (ad es. ispezioni, sospensioni di lavori e adozione di misure cautelari, cfr. artt. 19, 26 e 28 Codice) e in quella dell'amministrazione sul versante interno: compiti di proposta (ad es. per la dichiarazione di interesse ex art. 13 Codice, cfr. commi 2, lett. b), degli artt. 7-9 e 11 reg.), istruttori (ad es. circa l'affidamento dei servizi culturali ex art. 115 Codice, cfr. art. 20, comma 4, lett. z), reg.), consultivi (ad es. circa l'esercizio della prelazione ex art. 60 Codice, cfr. art. 20, comma 4, lett. o), reg.) oppure con carattere misto (istruttorio e consultivo, in tema di verifica dell'interesse ex art. 12 Codice, cfr. art. 27, comma 10, d.l. 269/2003).
Può essere di un qualche interesse rilevare che l'invito formulato nel parere interlocutorio reso dal Consiglio di Stato di verificare la coerenza fra le norme del regolamento che ripartivano le funzioni fra i diversi uffici e le norme sostanziali che disciplinavano i relativi poteri [17], è stato seguito salvo che in taluni casi, nei quali compiti previsti dal Codice in capo ai soprintendenti di settore sono stati assegnati dal regolamento ai direttori generali o a quelli regionali (cfr. art. 21, comma 4, Codice e art. 20, comma 4, lett. c), reg., in tema di autorizzazione di lavori sui beni culturali, e art. 62, comma 1, Codice e art. 20, comma 4, lett. n), in tema di comunicazione agli enti territoriali minori della denuncia di un atto soggetto a prelazione).
4. Le relazioni funzionali fra le strutture centrali e quelle periferiche, e all'interno delle strutture periferiche
Nel precedente regolamento di organizzazione le relazioni funzionali fra le strutture centrali e quelle periferiche presentavano profili di complessità derivanti dal fatto che le soprintendenze regionali "afferivano" al segretariato generale, mentre le altre strutture periferiche che esse erano chiamate a coordinare (art. 13, comma 1) "dipendevano" dalle competenti direzioni generali (art. 1, comma 4, e commi 1 degli artt. 14-16). Con l'istituzione dei dipartimenti a livello centrale e delle direzioni regionali a livello periferico il quadro risulta semmai più complesso, dovendosi distinguere il plesso organizzativo direzioni regionali/strutture afferenti dagli altri uffici periferici e tener conto di relazioni anche di tipo orizzontale. Riguardo al primo ambito sono individuabili tre tipi di relazioni funzionali.
a) Anzitutto è rilevabile un fascio di relazioni fra direzioni regionali e vertici dei dipartimenti. Il capo del dipartimento per i beni culturali e paesaggistici, e quello per i beni archivistici e librari elaborano il programma annuale e pluriennale degli interventi sulla base (o anche sulla base) delle proposte dei direttori regionali (art. 3, comma 4, lett. g), e art. 4. comma 3, lett. d), reg.). A sua volta il capo del dipartimento per la ricerca, l'innovazione e l'organizzazione provvede all'allocazione delle risorse a livello interdipartimentale anche su proposta dei direttori regionali (art. 5, comma 3, lett. d), reg.). Infine è previsto che il capo del dipartimento per i beni culturali e paesaggistici deleghi di norma ai direttori regionali la formulazione della proposta al ministro circa l'esercizio dei poteri sostitutivi per l'approvazione dei piani paesistici ex artt. 143 e 156 Codice (art. 3, commi 4, lett. f), e 6 reg.). Il conferimento della delega, com'è noto, può comportare in capo al delegante poteri di indirizzo, controllo ecc. circa il suo esercizio.
b) In secondo luogo, si riscontra la serie, più significativa, di relazioni fra direzioni regionali e direzioni generali. I direttori generali per i beni archeologici, per i beni architettonici e paesaggistici e per il patrimonio storico, artistico e etnoantropologico elaborano programmi concernenti studi, ricerche ecc. in tema di catalogazione e inventariazione dei beni culturali di competenza, su proposta dei direttori regionali (art. 7, comma 2, lett. l), art. 8, comma 2, lett. h), e art. 9, comma 2, lett. g), reg.), ed esprimono pareri sui programmi annuali e pluriennali d'intervento proposti dai direttori regionali (commi 2, lett. a), degli artt. 7-9 reg.) nonché sul conferimento degli incarichi dirigenziali da parte di questi (art. 7, comma 5, decreto 368). A sua volta il direttore generale per gli affari generali, il bilancio, le risorse umane e la formazione rileva il fabbisogno finanziario del ministero avvalendosi dei dati forniti anche dalle direzioni regionali (art. 13, comma 2, lett. b), reg.), emana indirizzi ai direttori regionali ai fini dell'applicazione dei contratti collettivi e la stipula di accordi decentrati (art. 13, comma 1, reg.), opera il monitoraggio dei flussi finanziari e svolge attività di assistenza tecnica nelle materie giuridico-contabili anche nei confronti degli uffici periferici (art. 13, comma 2, lett. d), reg.). I direttori generali, poi, secondo i settori di competenza, assumono i provvedimenti in tema di acquisizione coattiva a titolo di prelazione, di sanzioni ripristinatorie e pecuniarie e in tema di adozione in via sostitutiva della dichiarazione di interesse pubblico per i beni paesaggistici, su proposta dei direttori regionali (art. 20, comma 4, lett. o), p), r), reg.). Soprattutto i direttori generali per i beni archeologici, per i beni architettonici e paesaggistici e per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico è previsto che di norma deleghino ai direttori regionali l'adozione degli atti di dichiarazione e di verifica dell'interesse culturale ex artt. 12 e 13 del Codice e degli atti contenenti prescrizioni di tutela indiretta ex art. 45 del Codice (comma 3, degli artt. 7-9 reg.). Come emerge dalla delega conferita il 5 agosto 2004 [18] dal direttore generale per i beni architettonici e paesaggistici, il delegante si riserva poteri di direttiva, controllo, avocazione, sostituzione e annullamento in ordine all'esercizio delle funzioni delegate (art. 2).
c) In terzo luogo permangono delle relazioni funzionali dirette fra direzioni generali e strutture periferiche afferenti alle direzioni regionali. Il nuovo assetto avrebbe imposto che dette relazioni fossero "filtrate" - o come un tempo si diceva avvenissero "per via gerarchica" - per il tramite delle direzioni regionali (come del resto è espressamente previsto in tema di esercizio della prelazione e di irrogazione delle sanzioni normate dal Codice (art. 20, comma 4, lett. o) e p), reg.). Talora, viceversa, è stabilito il contrario. Al riguardo sono da richiamare le ipotesi poco sopra ricordate della dichiarazione e della verifica dell'interesse culturale nonché delle prescrizioni di tutela indiretta. Prima della delega - e al momento essa risulta conferita dal solo direttore per i beni archeologici e paesaggistici - e comunque in caso di sua revoca le relazioni intercorrono direttamente fra direzioni generali e soprintendenti di settore (cfr. comma 2, lett. b)-d), degli artt. 7 e 8; comma 2, lett. b) e c), dell'art. 9 reg. e art. 27, comma 10, d.l. 269/2003). Non occorre sottolineare l'importanza di tali ipotesi.
Per le strutture periferiche non afferenti alle direzioni regionali le relazioni di tipo verticale corrono soltanto con le strutture centrali di riferimento. Così, mentre il capo del dipartimento per i beni culturali e paesaggistici elabora il programma annuale e pluriennale degli interventi nei settori di competenza, sentiti i direttori generali e "sulla base delle proposte dei direttori regionali", il capo del dipartimento per i beni archivistici e librari assolve lo stesso compito, sempre sentiti i direttori generali, ma "sulla base delle proposte degli organi periferici" (art. 3, comma 4, lett. g), e art. 4, comma 3, lett. d), reg.) [19]. Mentre a proposito delle direzioni generali per i beni archeologici, per i beni architettonici e paesaggistici e per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico si prevede che la dichiarazione di interesse culturale ex art. 13 del Codice sia delegata di norma ai "direttori regionali", nel caso della direzione generale per gli archivi - facente parte del dipartimento per i beni archivistici e librari - l'analoga funzione va delegata di norma ai "soprintendenti archivistici" (commi 3 degli artt. 7, 8, 9 e 11 reg.). Ancora, la medesima direzione generale è chiamata ad elaborare programmi concernenti studi, ricerche ecc. in tema di catalogazione e inventariazione dei beni culturali a prescindere dalla proposta delle direzioni regionali, proposta viceversa richiesta quando ad esercitare lo stesso compito siano le altre tre direzioni generali sopra menzionate (art. 11, comma 2, lett. g), art. 7, comma 2, lett. l), art. 8, comma 2, lett. h), art. 9, comma 2, lett. g) reg.).
Oltre a quelle fra strutture centrali e strutture periferiche il nuovo regolamento delinea relazioni funzionali, di tipo orizzontale, all'interno dell'amministrazione periferica. Ciò costituisce un rilevante dato di novità. S'intende alludere alle relazioni intercorrenti fra gli uffici periferici e i comitati regionali di coordinamento, organismi consultivi destinati ad entrare in funzione allorché la materia dei beni culturali varchi la soglia della "intersettorialità". In particolare essi sono chiamati ad operare in tema di dichiarazione - ma si potrebbe aggiungere anche di verifica - dell'interesse culturale o di quello paesaggistico e in tema di prescrizioni di tutela indiretta allorché siano coinvolti, come recita l'art. 21, comma 2, lett. a), reg., "beni o aree suscettibili di tutela intersettoriale". Sul piano teorico, i comitati evidenziano l'acquisita consapevolezza della possibile valenza interdisciplinare dei beni culturali. Su quello dell'organizzazione, rappresentano una risposta al tema dell'esercizio della discrezionalità tecnica spettante all'autorità preposta alla tutela dei beni culturali. Si tratta di una risposta che attiene al farsi della decisione e richiama l'analoga soluzione fornita dal regolamento, in tema di ricorsi amministrativi o a proposito dell'adozione di provvedimenti di tutela di particolare rilevanza, con la previsione del parere dei comitati tecnico-scientifici (art. 18, comma 2, lett. c) e d)). In ambedue i casi la "riserva" della decisione viene temperata da un meccanismo di tipo collegiale, ma nel primo, a differenza che nel secondo, tutto interno all'amministrazione (artt. 21, comma 3, e 18, comma 3).
5. Continuità/discontinuità fra la soprintendenza regionale e la direzione regionale
I dati fin qui considerati consentono di rispondere agli interrogativi che sono alla base del dibattito sviluppatosi sulla nuova organizzazione periferica. Cominciamo dagli elementi di continuità/discontinuità riscontrabili fra la struttura della direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici e quella della soprintendenza regionale per i beni e le attività culturali che l'ha preceduta.
Fra i primi si segnala il consolidamento della dimensione regionale/intersettoriale come scala dell'amministrazione periferica del ministero. La soprintendenza regionale segnò un punto di svolta con l'abbandono di una logica solo locale/settoriale costituita dalle soprintendenze territoriali. La direzione regionale ne rappresenta il definitivo (beninteso nei limiti in cui l'espressione è utilizzabile nei fatti di organizzazione) affermarsi, in una logica di ribadita presenza dell'amministrazione statale sul territorio, che va letta in funzione dei compiti di tutela e di valorizzazione conservati allo Stato dal Codice.
Si tratta però - e qui iniziano i dati di discontinuità - di una scala regionale rafforzata sul piano strutturale e funzionale. La soprintendenza regionale esprimeva, come si è ricordato, una funzione di coordinamento delle altre strutture periferiche. La direzione regionale va decisamente oltre, sia pure solo con riguardo a talune soprintendenze di settore, essendo stata "ambientata" nello schema - tipico dell'organizzazione statale ex d.lg. 165/2001 - costituito da "uffici dirigenziali generali-uffici dirigenziali". E' noto che questo schema presenta difficoltà di lettura, presentando elementi tanto della relazione di direzione quanto di quella di gerarchia [20]. In effetti, il Consiglio di Stato, nel già ricordato parere e sulla scia della nota ministeriale di trasmissione, parla a proposito delle direzioni regionali di strutture "gerarchicamente sovraordinate alle esistenti soprintendenze di settore" [21]. Per un'idonea qualificazione, che non s'intende in questa sede approfondire, non andrebbe in ogni caso trascurato il fatto che le attribuzioni delle soprintendenze di settore sono in larga misura già puntualmente assegnate da atti normativi e quindi si atteggiano come competenze "riservate" o "esclusive", sicché non sembra ricorrere lo schema della fungibilità di compiti proprio della gerarchia né pertanto, rispetto all'esercizio di dette competenze, un rapporto gerarchico in senso stretto [22].
La diversa cifra organizzativa si riflette sul piano delle attribuzioni. In termini riassuntivi si potrebbe dire che il direttore regionale "fa più cose" del soprintendente regionale, ma l'affermazione risulterebbe generica e atecnica. E' più indicativo (e corretto) distinguere utilizzando la partizione delle funzioni sopra impiegata. Ne discende il seguente quadro.
Risultano invariati i compiti di concorso al policy making (art. 20, comma 4, lett. a), reg. e art. 13, comma 2, lett. a), d.p.r. 441/2000). Crescono in una certa misura quelli di amministrazione sul versante interno, risolventisi fondamentalmente in proposte (artt. 20, comma 4, lett. o)-r), t), e 21, comma 3, reg. e art. 13, comma 2 lett. c), d), h), d.p.r. 441/2000). Aumentano significativamente i compiti di amministrazione sul versante esterno (art. 20, comma 4, lett. b)-n), z), aa), reg. e art 13, comma 2, lett. b) ed e)). Va peraltro rilevato che la dichiarazione di interesse ora ex art. 13 Codice, mentre nel precedente regolamento figurava come competenza propria del soprintendente regionale (art. 13, comma 2, lett. b)), nel nuovo figura solo come competenza delegata dal direttore generale (commi 3 degli artt. 7-9) [23]. Soprattutto emergono compiti di organizzazione e gestione delle risorse umane e strumentali assegnate alle strutture di riferimento, solo accennati nel precedente assetto (cfr. artt. 20, comma 4, lett. bb)-dd)) reg. e 7, comma 5, decreto 368, e art. 13, comma 2, lett. g), d.p.r. 441/2000).
Se poi, sulla base della diversa caratura (amministrativa-gestionale o tecnica) delle attribuzioni di spettanza, si volesse caratterizzare a grandi linee le due figure, si potrebbe affermare che quella del direttore regionale si connota, rispetto a quella del soprintendente regionale, per un ampliamento quantitativo dei compiti tecnici - anche se non va trascurato che già al soprintendente competevano per via diretta o di delega [24] la dichiarazione di interesse e le prescrizioni di tutela indiretta - nonché per l'acquisizione di importanti compiti amministrativi (specie come stazione appaltante) e di organizzazione-gestione delle risorse umane e strumentali assegnate alle strutture di riferimento (a partire dal conferimento degli incarichi dirigenziali).
Proprio la presenza di rilevanti attribuzioni di ordine amministrativo e organizzativo-gestionale in capo ai direttori regionali (insieme, indirettamente, al sostanziale mantenimento in capo ai soprintendenti di settore dei loro compiti tradizionali, come subito si dirà) sta alla base del fatto che nel nuovo regolamento non compaia più per il conferimento del relativo incarico il requisito dell'appartenenza alle "professionalità tecnico-scientifiche dell'area dei beni culturali", viceversa previsto nel precedente regolamento (art. 13, comma 2) per la nomina dei soprintendenti regionali. Il dato di discontinuità sul piano funzionale si riflette su quello organizzativo, supportandolo.
6. Una "dequotazione" per i soprintendenti di settore?
Come ricordato all'inizio, il ruolo dei soprintendenti di settori nella nuova amministrazione periferica è il tema che ha catalizzato maggiormente l'attenzione, e i rilievi, degli osservatori. Ai fini di una valutazione il più possibile oggettiva pare opportuno tenere separate le competenze dal ruolo dei soprintendenti e all'interno delle prime distinguere fra compiti tecnico-scientifici e compiti amministrativi-gestionali.
Se si considerano le previsioni del precedente regolamento (art. 14) e quelle del Codice dei beni culturali - sopra ricordate - che delineano le attribuzioni dei soprintendenti e le si correla alle previsioni del nuovo regolamento disciplinanti direttamente le sole attribuzioni degli organi centrali e delle soprintendenze regionali, può constatarsi che non si è prodotta un'elisione dei compiti tecnico-scientifici, tradizionale bagaglio o "prerogativa" dei soprintendenti di settore. Al più si potrebbe parlare di talune "limature" (ad es. in tema di approvazione degli interventi sui beni culturali (cfr. art. 21, comma 4, Codice e art. 20, comma 4, lett. c), reg.), peraltro bilanciate dalla possibile ampia delega di funzioni da parte del direttore regionale, delega talora tendenzialmente vincolata (art. 20, commi 5 e 6 reg.). Viceversa, riguardo ai compiti amministrativo-gestionali, l'assegnazione delle funzioni di stazione appaltante come pure dell'"organizzazione e gestione delle risorse strumentali degli uffici dipendenti" alle direzioni regionali (art. 20, comma 4, lett. aa), bb) - previsione quest'ultima peraltro che per risultare in linea con quanto disposto dall'art. 17, comma 1, lett. e), d.lg. 165/2001 dovrebbe intendersi solo come assegnazione di tali risorse agli uffici dipendenti - ha un'indubbia incidenza sulle preesistenti attribuzioni dei soprintendenti.
Tuttavia è innegabile che la figura del soprintendente esca in qualche modo "diversa" da come era in passato, in qualche misura ridimensionata nel ruolo e mutata nello "stile" operativo. Tutto ciò non discende però da una sottrazione di compiti a favore in particolare dei direttori regionali, ma da due fattori di natura diversa.
Anzitutto il consolidarsi di un centro di riferimento dell'amministrazione a livello regionale, generale quanto a competenze, riduce oggettivamente il ruolo d'interlocuzione, per di più solo settoriale, delle soprintendenze, così come la sostituzione di un organo centrale (direzioni generali) con un organo periferico (direttore regionale) con il quale relazionarsi, che è posto in posizione di sovraordinazione, che alloca risorse umane e strumentali, che cura le relazioni sindacali e la contrattazione collettiva, che, soprattutto, provvede all'affidamento degli incarichi dirigenziali, costituisce un obiettivo fattore di condizionamento, d'intensità sconosciuta nel passato.
In secondo luogo, la previsione dei nuovi organismi costituiti dai comitati regionali di coordinamento, con il compito di esprimere pareri - detto in termini generali - tutte le volte in cui una questione di beni culturali presenti il carattere della intersettorialità, è destinata a ripercuotersi sul tradizionale operare "in solitudine" dei soprintendenti. Lo stile operativo delineato dal riordino se non si spinge fino alla collegialità delle decisioni, inclina sicuramente verso la corresponsabilizzazione delle scelte.
A voler riassumere queste osservazioni, si può dire che i soprintendenti di settore non vedono alterato la loro funzione di "garanti" del patrimonio culturale, sempre gelosamente rivendicato. E' però mutato il contesto relazionale in cui sono chiamati a muoversi, con la necessità indotta di un nuovo stile operativo.
Quanto appena affermato vale ovviamente appieno per i responsabili delle soprintendenze costituenti articolazioni delle direzioni regionali. Per i soprintendenti archivistici, che vedono mantenuto il loro legame organizzativo-funzionale con la direzione generale di riferimento, i mutamenti sono meno incisivi, risolvendosi in quelli comportati dalla interrelazione con i comitati regionali di coordinamento.
L'ultima questione concerne la possibilità di considerare in uno schema di decentramento la nuova organizzazione del ministero. Che vi sia stato un potenziamento delle attribuzioni delle strutture periferiche - più esattamente delle direzioni regionali - operato tendenzialmente "a scapito" delle strutture centrali, appare difficilmente confutabile, dal momento che l'assegnazione di funzioni e di compiti alle direzioni regionali non è avvenuta come si è detto [25], salvo che in alcuni casi, per "sottrazione" di competenze alle soprintendenze di settore. Che questa operazione, con riferimento alle attribuzioni di amministrazione sul versante esterno e a quelle di gestione delle risorse umane e strumentali [26], sia inquadrabile nello schema di un vero e proprio decentramento, pare altrettanto indubbio, giacché in questi casi alle direzioni regionali è stato assegnato un ruolo per lo più decisorio. E tuttavia sarebbe inesatto ritenere che la nuova organizzazione, insieme al rafforzamento dell'amministrazione periferica, abbia realizzato un compiuto decentramento nell'organizzazione del ministero.
Continuano, infatti, a permanere in capo agli organi centrali - in particolare alle direzioni generali - delle funzioni e dei compiti che non trovano ragione in esigenze sistemiche o comunque di gestione unitaria. Tali esigenze supportano, ad esempio, il mantenimento in capo al vertice del dipartimento e ai direttori generali del potere di esprimere la volontà dell'amministrazione nelle conferenze di servizi per interventi ex art. 25 Codice, nell'ordine, di carattere intersettoriale e sovraregionale, e di carattere sovraregionale (cfr. art. 3, comma 4, lett. d), e artt. 7, comma 2, lett. e), e 8, comma 2, lett. f), reg.), come pure, in capo ai direttori generali, del potere di assumere i provvedimenti in tema di acquisizione coattiva a titolo di prelazione, acquisto all'esportazione ed espropriazione ex artt. 60, 70, 95-98 Codice (cfr. artt. 7, comma 2, lett. r), e commi 2, lett. m), degli artt. 8 e 9, reg.) nonché, a favore del vertice del dipartimento, del potere di elaborare il programma annuale e pluriennale degli interventi (art. 3, comma 4, lett. g), reg.).
Dette esigenze, invece, non si ravvisano in altri casi, quali ad esempio la demolizione o la rimozione definita ex art. 21 Codice (artt. 7, comma 2, lett. o), 8, comma 2, lett. e), 9, comma 2, lett. d), reg.), il prestito di beni archeologici per mostre e provvedimenti connessi ex art. 48 Codice (artt. 7, comma 2, lett. g), h), m), e 9, comma 2, lett. e), f), h), reg.), il pagamento del premio di rinvenimento ex art. 92 Codice (art. 7, comma 2, lett. p), reg.), l'irrogazione delle sanzioni ripristinatore e pecuniarie previste dal Codice (artt. 7, comma 2, lett. q), 8, comma 2, lett. l), e 9, comma 2, lett. l), reg.).
Del resto, dell'avvertita opportunità di decentrare la funzione, ma anche dell'esitazione a spogliare di essa completamente le strutture centrale, costituiscono segno evidente i casi, più volte indicati, di delega tendenzialmente vincolata, in tema di verifica e dichiarazione di interesse e di prescrizioni di tutela indiretta ex artt. 12, 13 e 45 Codice (cfr. commi 3 degli artt. 7-9 reg.), delega che quando esercitata conserva in capo alla struttura centrale poteri di direttiva, controllo, ecc.
8. Conclusioni: una riorganizzazione "incompiuta"
L'istituzione delle direzioni regionali da parte del decreto 3 - si legge nella nota ministeriale di richiesta di parere sullo schema di regolamento [27] - perseguiva lo scopo "di ottimizzare il rapporto tra le varie strutture e di creare un efficiente punto di riferimento per i rapporti con le istituzioni regionali". C'è da chiedersi se, dopo l'emanazione del regolamento e del decreto ministeriale, l'obiettivo sia stato conseguito. Le considerazioni fin qui svolte spingono per una risposta tendenzialmente affermativa. Le direzioni regionali creano un fulcro di collegamento unitario fra strutture periferiche, senza incidere significativamente sulle loro competenze tecniche, ma spostando sul territorio compiti finora svolti dal centro.
La riorganizzazione operata, come si è detto, presenta però dei limiti. Anzitutto quello, poco sopra considerato, costituito dal fatto che non tutto quanto poteva essere conferito dalle strutture centrali è stato attribuito alle direzioni regionali: un decentramento pertanto non pieno o non all'altezza delle possibilità. Ma questo è pur sempre un limite di ordine per così dire quantitativo, sanabile in una prospettiva di "manutenzione" del riordino.
Altro è da dirsi, invece, per l'altro limite, di carattere qualitativo o strutturale, rappresentato dalla non afferenza di tutte le strutture periferiche alle direzioni regionali. Queste finiscono per rappresentare sui territori regionali non il ministero, ma talune sue articolazioni (ancorché di rilievo). Il perché le soprintendenze archivistiche, gli archivi di Stato, le biblioteche statali, i musei e gli istituti dotati di autonomia non siano stati ricondotti alle direzioni regionali non si rinviene di certo nelle finalità sottese alla costituzione di tali organi: così "amputate", le direzioni regionali non sono in grado di perseguire appieno l'ottimizzazione dei rapporti fra gli uffici periferici né rappresentano un davvero efficiente/efficace (perché non unitario) punto di riferimento con le autonomie territoriali. Si potrebbe pensare che l'ostacolo sia stato costituito dalla qualificazione di detti organismi, nel nuovo art. 7, comma 5, del decreto 368, come "articolazioni territoriali ... del dipartimento per i beni culturali e paesaggistici", sicché ne dovevano restare fuori quegli uffici funzionalmente collegati ad altro dipartimento (quello per i beni archivistici e librari). Sennonché il rilievo trascurerebbe il ben noto distinguo fra collocazione strutturale e dipendenza funzionale, che avrebbe consentito di risolvere agevolmente la questione. In realtà, si fa strada l'idea che la soluzione scelta sia il frutto di resistenze di strutture centrali a cooperare, in una logica di geloso presidio del proprio settore. L'amministrazione periferica come immagine riflessa dell'amministrazione centrale: questo è quanto il riordino non è riuscito ad innovare, almeno completamente. Alla fine l'impressione è quella del dejà vu [28], con la variante (o l'aggravante) che in questo caso le resistenze sono venute, non da differenti amministrazioni dello Stato, ma da settori della stessa amministrazione. Ed allora, purtroppo, la "lezione dei fatti" non lascia molte speranze a futuri cambiamenti.
[1] Così il ministro Urbani intervistato da A. Cherchi, Soprintendenti in collegio, in Il Sole-24 Ore, 26 settembre 2004, n. 266, 42.[2] I direttori regionali del ministero per i Beni e le Attività culturali, Le direzioni regionali aiutano la tutela, ivi, 12 settembre 2004, n. 252, 39.
[3] D. Gasperotto, Soprintendenti a rischio, ivi, 5 settembre 2004, n. 245, 38.
[4] S. Settis, Bravo Urbani, ma ora riforma la tua riforma, ivi, 29 agosto 2004, n. 238, 29.
[5] L. Elia, Lettera per il ricorso di Italia Nostra al Tar Marche, in www.italianostra.org.
[6] S. Settis, op. loc. cit.
[7] B. Zanardi, Soprintendenti del nostro stivale, ivi, 12 settembre 2004, n. 252, 39.
[8] Tar Marche, ordinanza 26/27 agosto 2004, n. 452, in chiara violazione dell'art. 23, commi 1-3, della l. 11 marzo 1953, n. 87, in www.giustizia-amministrativa.it.
[9] Tar Marche, ordinanza (26/27 agosto) 15 ottobre 2004, n. 136, in www.giustizia-amministrativa.it.
[10] Cfr. combinato disposto degli artt. 19, comma 4, reg. e 8 decreto 368, nonché degli artt. 20, comma 3, reg. e 7, comma 6, decreto 368.
[11] Come si è detto, le soprintendenze c.d. autonome formano un gruppo a sé stante.
[12] Addirittura al dipartimento per i beni culturali e paesaggistici fanno capo, oltre al complesso direzioni generali/soprintendenze di settore indicate nel testo, anche altre strutture periferiche (ad es. le soprintendenze al museo Pigorini e alla galleria d'arte moderna e contemporanea, con sede in Roma) avulse da detto complesso.
[13] Ciò è confermato dal fatto che il conferimento degli incarichi dirigenziali di talune strutture è esplicitamente assegnato alla competenza di direttori generali (cfr. art. 2 d.m.).
[14] Qualità queste individuate dal comma 6 del medesimo art. 16. Va ricordato che, secondo Corte conti, sez. contr. atti gov. e amm. Stato, 7 ottobre 2004, n. 11/2004/P, in www.patrimoniosos.it, "i dirigenti della amministrazione dello Stato risultano esclusi dall'applicazione del comma 6 del decreto legislativo n. 165/2001, essendo riguardati esclusivamente dai precedenti commi da 1 a 5".
[15] Cfr., ad es., C. D'Orta, Artt. 16 e 17, in La riforma dell'organizzazione dei rapporti di lavoro e del processo nelle pubbliche amministrazioni, a cura di A. Corpaci, M. Rusciano e L. Zoppoli, in Le nuove leggi civ. comm., 1999, 1149 ss.
[16] Da informazioni assunte in via informale risulta che almeno in certe realtà (ad es. il Veneto) la delega sia stata esercitata (in particolare con riguardo ai compiti indicati nelle lett. c), h), aa).
[17] Cfr. Cons. Stato, sez. cons. per gli atti normativi, 8 marzo 2004, n. 2490, parere interlocutorio, punto 2.3 del considerato.
[18] In Gazzetta Ufficiale 31 agosto 2004, n. 204.
[19] Cfr. anche i commi 2, lett. a), degli artt. 7, 8, 9 e 11 reg.
[20] Cfr., ad es., C. D'Orta, Artt. 16 e 17, cit., 1157 ss. e ora V. Talamo, Le funzioni, le competenze, i poteri e le attribuzioni della dirigenza pubblica, in Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, a cura di F. Carinci e L. Zoppoli, vol. II, Torino, 2004, 1137 ss.
[21] Cfr. parere n. 2490/2004, cit., parere definitivo, punto 1 del considerato.
[22] Come già segnalava a suo tempo un'attenta dottrina cfr. V. Bachelet, Profili giuridici della organizzazione amministrativa, Milano, 1965, 63 ss. e 66 ss.
[23] Analoga osservazione può essere formulata a proposito della verifica dell'interesse ex art. 12 del Codice, nel d.l. 269/2003 affidata alla competenza delle soprintendenze regionali (art. 27, commi 8 e 10), nel Codice demandata ai "competenti organi del Ministero" (art. 12, comma 1) e nel regolamento assegnata ai direttori generali, salvo delega ai direttori regionali (commi 2, lett. c), degli artt. 7-9 e 11, e commi 3 degli artt. 7 - 9).
[24] Cfr. i decreti 8 giugno 2001, in Gazzetta Ufficiale 10 settembre 2001.
[25] Cfr. il precedente par. 6.
[26] Cfr. supra par. 3.
[27] Cfr. parere n. 2490/2004, cit., parere definitivo, premessa.
[28] Il riferimento d'obbligo è a M. Cammelli, Amministrazione periferica o amministrazione territoriale dello Stato?, in Dir. pubbl., 1999, 765 ss.