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Sospensione di pubblici lavori a tutela di beni culturali
(in margine alla determinazione 19 maggio 2004, n. 9
dell'Autorità di vigilanza per i lavori pubblici)

di Carmen Vitale


Sommario: 1. La sospensione dei lavori disposta per l'esecuzione di indagini archeologiche nel sottosuolo. - 2. Le indagini archeologiche preventive. - 3. L'assenza di vincoli archeologici e i rinvenimenti archeologici "a cantiere aperto".



1. La sospensione dei lavori disposta per l'esecuzione di indagini archeologiche nel sottosuolo

Con la determinazione [1] del 19 maggio 2004, n. 9 l'Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici interviene sull'annosa questione della limitazione degli effetti negativi di ordine economico per l'appaltatore, conseguenti a sospensione di lavori richiesta dagli organi preposti alla tutela dei beni culturali.

La ricostruzione dell'istituto della sospensione disposta a seguito di rinvenimenti archeologici nel sottosuolo viene condotta dall'Autorità su due piani distinti ma in costante sovrapposizione: quello della tutela cautelare e preventiva dei beni culturali e quello della risarcibilità dei danni patiti dall'appaltatore per il protrarsi dei tempi di esecuzione dell'appalto.

Il tema non è di poco rilievo a giudicare dalla frequenza con la quale presupposti e conseguenze della sospensione dei lavori diventano oggetto di contenzioso [2].

Il tempo nell'esecuzione dell'appalto pubblico rappresenta, del resto, un valore assoluto per ciascuno dei contraenti coinvolti: per l'amministrazione, interessata alla regolare e tempestiva esecuzione dell'opera; per l'appaltatore, che a causa della dilatazione dei tempi di realizzazione dell'opera si vede costretto a lasciare inattivi organizzazione e mezzi per l'intera durata del blocco dell'attività produttiva del cantiere.

Proprio alla valorizzazione dell'essenzialità del tempo nell'esecuzione della prestazione contrattuale sembrano orientate le norme che si occupano di sospensione dei lavori pubblici [3], che, distinguendo le sospensioni legittime da quelle illegittime [4], a seconda che esse siano o meno conseguenza di fattori predeterminati dalla legge, ricollegano solo al verificarsi delle seconde la possibilità per l'appaltatore di usufruire di un termine suppletivo e di ottenere il risarcimento per i danni economici eventualmente subiti.

Se, dunque, è all'istituto della sospensione dei lavori e dei presupposti che possono legittimarne l'utilizzazione, che si rivolge l'attenzione dell'Autorità nella determinazione in commento, non di ordinaria ipotesi di sospensione si tratta, ma di sospensione disposta in esito a prescrizioni degli organi preposti alla tutela dei beni culturali per l'esecuzione di indagini archeologiche nel sottosuolo.

In questo senso, come si anticipava, l'opportunità di limitare le ricadute negative (anche ai fini di un'auspicabile riduzione del contenzioso che ne deriverebbe) conseguenti alla sospensione dei lavori, si interseca e in qualche modo si scontra con la più generale finalità di conservazione del patrimonio culturale.

Al tentativo di coordinare le due opposte esigenze richiamate sono dedicate, dunque, le riflessioni svolte dall'Autorità nella determinazione in esame.

 

2. Le indagini archeologiche preventive

Il tema viene analizzato dall'Autorità considerando preliminarmente la natura dell'area oggetto dell'opera da realizzare, per distinguere il caso in cui l'opera pubblica verrà realizzata su un'area sottoposta a vincolo archeologico e quello in cui, invece, i lavori debbano essere eseguiti su un'area non vincolata.

L'idea centrale che percorre la ricostruzione della prima delle ipotesi esaminate è che un'efficace azione di conoscenza preventiva dell'area potrebbe probabilmente limitare i rischi di sospensione dei lavori, con le conseguenti ricadute economiche cui si accennava.

Ad avviso dell'Autorità, lo studio preventivo dell'area oggetto dell'opera da realizzare costituisce, dunque, il percorso privilegiato verso la soluzione della questione considerata.

In altri termini, viene osservato come la sottoposizione dell'area a vincolo archeologico ridimensioni l'incidenza di rinvenimenti successivi sulla regolare esecuzione dei lavori di realizzazione dell'opera. L'individuazione di vincoli di natura archeologica sull'area interessata dai lavori impone, infatti, che l'esecuzione dell'opera avvenga in conformità all'autorizzazione del soprintendente competente (art. 21, decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42).

In questo modo, l'area vincolata diventa oggetto di valutazione preventiva da parte della soprintendenza che preciserà alla stazione appaltante, di norma in sede di conferenza di servizi (art. 25 d.lg. 42/2004), le condizioni per la realizzazione dell'opera e le eventuali prescrizioni per la realizzazione del progetto, nel rispetto dei principi vigenti in materia di conservazione del patrimonio culturale.

In proposito, va peraltro precisato il ruolo di quelle disposizioni in materia di lavori pubblici che, oltre a prevedere nella fase di programmazione delle opere (art. 14, legge 11 febbraio 1994, n. 109) la realizzazione di studi di fattibilità contenenti l'analisi dello stato di fatto dell'intervento nelle sue componenti storico - artistiche, architettoniche e paesaggistiche, richiedono a livello di progettazione preliminare il compimento da parte della stazione appaltante di indagini geologiche, idrogeologiche e archeologiche preliminari (art. 18, decreto del presidente della repubblica 21 dicembre 1999, n. 554) e accertamenti che possano evidenziare eventuali vincoli di natura storica, artistica, archeologica e paesaggistica, i cui esiti verranno esposti nella relazione illustrativa del progetto preliminare (art. 19, d.p.r. 554/99).

La competenza all'individuazione dei beni da tutelare rimane, infatti, attribuita in ogni caso alle soprintendenze archeologiche competenti per territorio. Non può, pertanto, immaginarsi un sistema di indagini preventive, disposte da parte del responsabile del procedimento, nominato dalla stazione appaltante, senza un determinante contributo professionale da parte degli organi preposti alla tutela del patrimonio culturale.

La responsabilità delle singole amministrazioni per la fase della progettazione preliminare andrà, semmai, misurata sulla loro capacità di fornire alle soprintendenze ogni elemento utile allo svolgimento di un'efficace azione di conoscenza preventiva dell'area.

La sintetica ricostruzione della disciplina relativa alla fase preliminare alla realizzazione di opere pubbliche su aree sottoposte a vincoli archeologici consente di osservare quanto segue. Tutte le volte che l'opera da realizzare insiste su un'area vincolata l'ipotesi di sospensione dei lavori a causa di rinvenimenti archeologici a cantiere aperto diventa, come sottolineato dall'Autorità nella determinazione che qui si commenta, circostanza non imprevedibile ma imprevista.

Lo studio dell'area nella fase preliminare alla realizzazione dei lavori assicura, infatti, almeno astrattamente, una conoscenza preventiva dello stato dei luoghi, tale da impedire, o comunque, limitare il rischio di rinvenimenti archeologici durante la fase esecutiva dell'appalto.

Astrattamente, si diceva, se, come sembra, il grado di attendibilità delle indagini non è conseguenza immediata della disposizione legislativa che ne prevede lo svolgimento, ma delle modalità con cui si procede alle indagini.

E' proprio questo il punto: valutare l'adeguatezza degli strumenti che il legislatore mette a disposizione delle amministrazioni e delle soprintendenze per la realizzazione di un'approfondita attività conoscitiva delle caratteristiche dell'area interessata dall'opera pubblica.

In termini generali, l'Autorità osserva come la prima condizione di efficacia del sistema delle indagini archeologiche preventive sia la realizzazione di un circuito funzionale di collaborazione e circolazione delle informazioni tra soprintendenza e stazione appaltante.

Altra cosa è, poi, riconoscere le modalità più idonee allo svolgimento delle indagini, tenendo presenti l'esigenza di contenimento di tempi e risorse, da una parte e la centralità del contributo tecnico - professionale delle soprintendenze per l'effettività del sistema di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, dall'altra.

La soluzione, proposta dal ministero per i Beni e le Attività culturali (nell'audizione disposta dall'Autorità in data 21 aprile 2004) per tentare di coniugare economicità e tempestività nella procedura, competenza e professionalità nella scelta dell'approccio metodologico più idoneo, consisterebbe nel garantire una partecipazione istituzionalizzata di tecnici delle soprintendenze alla fase di progettazione dell'opera da realizzare, anticipando così alla fase preliminare le attività conoscitive degli organi competenti [5].

Pur se condivisibile, l'opzione per un sistema di analisi preventiva delle problematiche connesse alla realizzazione dell'opera andrebbe precisata in alcuni punti centrali.

Ancora una volta, l'adeguatezza delle risorse finanziarie diventa misura della praticabilità di soluzioni teoricamente valide. Riconoscere l'utilità di forme di collaborazione tra stazione appaltante e soprintendenza anticipate alla fase preliminare non risolve, infatti, e forse rende anche più urgente la questione del reperimento delle risorse necessarie.

In altri termini, non sembra trascurabile l'incidenza della maggiore o minore capacità delle diverse amministrazioni di dotarsi dei finanziamenti necessari allo svolgimento delle indagini sul grado di attendibilità delle stesse e, dunque, sull'efficacia del metodo della conoscenza preventiva dell'area. Anche rispetto al tema dei finanziamenti, tuttavia, l'anticipazione delle indagini potrebbe produrre effetti positivi, nella misura in cui riuscisse a consentire di valutare preventivamente non solo la fattibilità dell'opera ma anche la necessità di finanziamenti aggiuntivi per la sua realizzazione.

In sintesi, non è il merito della soluzione proposta dall'Autorità di creare o rafforzare un sistema di studio preventivo dell'area interessata dall'opera pubblica a suscitare perplessità, quanto le modalità con cui tale sistema dovrebbe essere realizzato.

In riferimento al tema delle indagini preventive deve solo aggiungersi che l'art. 28 del Codice, nel disciplinare misure cautelari e preventive per ostacolare la realizzazione di interventi in contrasto con il sistema delle autorizzazioni, contenuto nel Capo III sulla protezione e conservazione del patrimonio culturale, al comma 4 attribuisce al soprintendente la possibilità di richiedere l'esecuzione di saggi archeologici preventivi, in caso di realizzazione di opere pubbliche ricadenti in aree di interesse archeologico, anche se non ancora sottoposte al relativo vincolo.

L'ipotesi in questione sembra collocarsi in posizione intermedia rispetto a quella dello svolgimento di indagini preventive su area vincolata e a quella della sospensione dovuta a rinvenimenti archeologici imprevisti su area non sottoposta a vincoli.

L'area oggetto della realizzazione dell'opera non è vincolata. Il procedimento finalizzato alla verifica e conseguente dichiarazione dell'interesse culturale ai sensi degli artt. 12 e 13 del Codice non si è ancora concluso; d'altra parte, l'area è qualificata d'interesse archeologico e, pertanto, verosimilmente esposta al rischio di rinvenimenti archeologici. Ciò comporta la possibilità che il soprintendente disponga la sospensione dei lavori, per la realizzazione delle indagini archeologiche preventive, con imputazione al committente dei costi derivanti dalle operazioni necessarie ad accertare presuntivamente l'esistenza di reperti archeologici.

La disposizione richiamata rappresenta, dunque, uno degli strumenti di armonizzazione del sistema di realizzazione delle opere pubbliche con quello della tutela archeologica, ma lascia inalterate le questioni cui già si accennava circa l'effettività del sistema della conoscenza preventiva dell'area [6].

In proposito, ci si potrebbe ad esempio domandare in che misura la generale previsione secondo cui gli oneri economici derivanti dallo svolgimento di saggi archeologici preventivi gravano sul committente dell'opera, possa garantire l'adeguatezza degli stessi.

 

3. L'assenza di vincoli archeologici e i rinvenimenti archeologici "a cantiere aperto"

Se, dunque, l'esistenza di vincoli archeologici sull'area interessata dai lavori pubblici e l'esecuzione di accertamenti preventivi in qualche modo anticipano alla fase della progettazione dell'opera le possibili interferenze tra l'esecuzione dell'appalto e la tutela dei beni archeologici eventualmente presenti, l'assenza dei suddetti vincoli rimanda ad un momento successivo la considerazione delle problematiche del caso. Va, peraltro, precisato che è questa l'ipotesi in cui la necessità di limitare gli effetti negativi della sospensione per l'appaltatore acquista maggior peso, se, come si è visto, la presenza di vincoli archeologici sull'area interessata è in grado di ridurre in modo significativo il rischio di sospensioni dei lavori e conseguentemente di danni economici per l'appaltatore.

L'eventualità che, in seguito a rinvenimenti imprevisti, si rendano necessarie indagini archeologiche in fase di esecuzione dell'appalto si pone all'attenzione dell'Autorità sotto due diversi punti di vista. In primo luogo, occorrerà valutare la risarcibilità dei danni eventualmente patiti dall'appaltatore in seguito alla sospensione dei lavori [7]. Come si anticipava, la normativa generale sui lavori pubblici conosce sospensioni legittime e sospensioni illegittime e ammette solo le seconde come presupposto per il risarcimento di maggiori oneri per l'appaltatore.

La sospensione disposta da organi preposti alla tutela per lo svolgimento di indagini archeologiche a seguito di ritrovamenti imprevisti, sembrerebbe sostanzialmente evocare quelle circostanze speciali che impediscono in via temporanea l'esecuzione a regola d'arte dei lavori, descritte dall'art. 133 del d.p.r. 554/1999. In questo senso depone, del resto, la precisazione contenuta nel capitolato generale d'appalto di lavori pubblici (art. 24, comma 1, decreto ministeriale 19 aprile 2000, n. 145), secondo cui tra le circostanze speciali rientrerebbero anche le situazioni che determinano la necessità di procedere ad una variante in corso d'opera ai sensi della disciplina generale (art. 25 della legge quadro sui lavori pubblici), qualora dipendano da fatti non prevedibili al momento della conclusione del contratto. L'art. 133 sopra richiamato prevede, peraltro, una clausola generale di sospensione per ragioni di pubblico interesse o necessità, che interviene in via residuale nelle ipotesi non tipizzate.

Se così fosse, se cioè, nel caso considerato, si verificasse un'ipotesi di sospensione legittima, non vi sarebbe spazio per compensi o indennizzi per l'appaltatore, tranne che nel caso in cui la o le sospensioni avessero una durata superiore ad un quarto della durata complessiva prevista per l'esecuzione dei lavori stessi, o comunque superiore ai sei mesi. In tal caso, il comma 4 dell'art. 24 del capitolato generale d'appalto di lavori pubblici attribuisce, infatti, all'appaltatore la facoltà di richiedere lo scioglimento del contratto senza indennità e, qualora la stazione appaltante si opponesse allo scioglimento, l'appaltatore avrebbe comunque diritto alla rifusione dei maggiori oneri derivanti dal prolungamento della sospensione oltre i termini suddetti.

Il verificarsi di un'ipotesi di sospensione legittima, apparentemente lineare sia nei presupposti che nelle conseguenze, ripropone, invece, la questione della prevedibilità dell'evento. Se la legittimità della sospensione si misura sull'imprevedibilità della circostanza che la determina, sembra potersi concludere che non ogni rinvenimento archeologico intervenuto in sede di esecuzione dei lavori dovrebbe determinare la sospensione legittima degli stessi, ma solo quello che, alla luce delle risultanze dell'attività conoscitiva svolta preventivamente, si rivelasse, con un discreto margine di attendibilità, imprevedibile.

Quello che si vuol dire è che, probabilmente, nell'intenzione del legislatore lo strumento della sospensione dei lavori non dovrebbe costituire il mezzo per colmare carenze o inesattezze relative alla fase di progettazione dell'opera, quanto piuttosto il rimedio estremo nelle ipotesi in cui la corretta e regolare esecuzione delle opere pubbliche risultasse impedita da eventi eccezionali e incontrollabili.

Diversamente da quelle legittime, le sospensioni illegittime (disposte dalla stazione appaltante per cause diverse da quelle indicate dalla legge) conferiscono, invece, all'appaltatore il diritto al risarcimento del danno, calcolato tenendo conto dei pregiudizi effettivamente subiti. In particolare, a norma dell'art. 25 del capitolato: a) le spese generali infruttifere sono calcolate secondo percentuali predefinite e misurate in rapporto alla durata della sospensione, b) la lesione dell'utile è coincidente con la ritardata percezione dell'utile dell'impresa, c) il mancato ammortamento e le retribuzioni inutilmente corrisposte sono riferiti rispettivamente ai macchinari esistenti in cantiere e alla consistenza della mano d'opera accertati dal direttore dei lavori.

Le problematiche sottese al tema del risarcimento del danno subito dall'appaltatore sono dunque di tipo diverso. Da una parte, andrà accertata l'esistenza di un diritto al risarcimento del danno attraverso la verifica della legittimità della sospensione alla luce dei parametri legali; dall'altra, andranno considerate le singole voci di risarcimento attraverso la ricostruzione dell'intervallo temporale intercorso tra la sospensione e la ripresa dei lavori.

In proposito, il comma 4 dell'art. 133 del d.p.r. 554/1999 prevede che nel verbale di sospensione vengano indicati lo stato di avanzamento dei lavori, le opere la cui esecuzione rimane interrotta, le cautele adottate affinché alla ripresa le stesse possano essere continuate ed ultimate senza eccessivi oneri e la consistenza della forza lavoro e dei mezzi d'opera esistenti in cantiere al momento della sospensione.

Nel corso della sospensione, prosegue l'art. 133, il direttore dei lavori dispone visite al cantiere ad intervalli di tempo non superiori a novanta giorni, accertando le condizioni delle opere e la consistenza della mano d'opera e dei macchinari eventualmente presenti e dando, ove occorra, le necessarie disposizioni al fine di contenere macchinari e mano d'opera nella misura strettamente necessaria per evitare danni alle opere già eseguite e facilitare la ripresa dei lavori. In tal modo, si cerca di evitare che la legittima pretesa dell'appaltatore al risarcimento dei danni subiti possa degenerare nell'avanzamento di pretese ingiuste nei confronti del committente.

In questo senso, sembra doversi interpretare anche la disposizione di chiusura dell'art. 25 del capitolato, che ammette la risarcibilità di voci di danno ulteriori (rispetto a quelle elencate nell'articolo stesso), solo se documentate e strettamente connesse alla sospensione dei lavori.

La tutela della posizione economica dell'appaltatore nelle ipotesi di illegittima sospensione dei lavori pubblici viene, dunque, disciplinata nei suoi diversi momenti: l'ammissibilità della pretesa secondo gli standards normativi e il quantum del risarcimento determinato valutando il danno effettivamente subito.

Il secondo profilo d'interesse della sospensione dei lavori, cui si accennava, illustrato dall'Autorità nella determinazione 9/2004, riguarda le conseguenze in tema di variazione del progetto dell'opera.

Com'è noto, la disciplina generale delle varianti in corso d'opera contenuto all'art. 25 legge 109/1994 ne circoscrive l'ammissibilità entro i ristretti confini della predeterminazione legislativa.

Sulle ragioni di una simile impostazione del problema non occorre soffermarsi, se, come sembra, la limitazione dello ius variandi dell'amministrazione, consente di escludere aggiunte o varianti, tali da snaturare l'originaria connotazione dell'opera, che finirebbero per svilire il principio di rigidità - garanzia, tratto caratterizzante della disciplina generale dei lavori pubblici, anche nella parte in cui impone la corrispondenza tra l'opera progettata e quella in concreto realizzata.

Si diceva della disciplina delle varianti in corso d'opera. L'art. 25 prevede espressamente la possibilità di varianti per la presenza di eventi inerenti la natura e la specificità dei beni sui quali si interviene verificatisi in corso d'opera o di rinvenimenti imprevisti o non prevedibili nella fase progettuale. In altri termini, l'esigenza di garanzia cui la disciplina in tema di varianti sembra corrispondere va contemperata con il bisogno di flessibilità che pure attraversa la normativa in tema di realizzazione di opere pubbliche, in particolare, quando questa entra in contatto con le finalità di tutela del patrimonio culturale.

Non sembra esservi dubbio, allora, che nell'eventualità di imprevisti rinvenimenti archeologici possa procedersi alla realizzazione di varianti in corso d'opera, con conseguente incremento di lavorazioni affidate all'appaltatore. Non solo i lavori che si rendono necessari a seguito di varianti, ma anche le operazioni di scavo archeologico [8], analogamente realizzate, di norma, dallo stesso appaltatore, per poter utilizzare manodopera già presente sul cantiere, costituiscono, dunque, affidamenti aggiuntivi, sottratti, stante il loro non significativo importo complessivo, a procedure concorsuali.

A questo proposito, può osservarsi che oltre alle note problematiche sottese al rispetto del principio della gara per l'aggiudicazione dell'appalto pubblico [9], le circostanze da ultimo richiamate richiederebbero probabilmente una comparazione tra l'utile percepito dall'appaltatore per gli affidamenti aggiuntivi, ottenuti a seguito di rinvenimenti archeologici imprevisti e i danni eventualmente subiti a causa della dilatazione dei tempi di esecuzione dell'appalto.

Per le ragioni che si sono dette, l'istituto della sospensione dei lavori disposta a causa di rinvenimenti archeologici imprevisti può rappresentare un ulteriore strumento di tutela del patrimonio culturale e allo stesso tempo essere fonte di oneri e, in qualche caso, di utili per l'appaltatore.

Per concludere. Le due diverse ipotesi considerate presentano problematiche differenti. Nei casi in cui l'opera pubblica debba essere realizzata su un'area sottoposta a vincolo l'eventualità di rinvenimenti archeologici appartiene alla fase della progettazione dell'opera e dello studio preventivo dell'area, con la conseguenza che punto centrale sarà la verifica del grado di adeguatezza e reale utilità delle indagini svolte. Nei casi in cui la realizzazione dell'opera debba avvenire su un'area non vincolata, occorrerà invece assicurare una più efficace tutela della posizione economica dell'appaltatore valutando, secondo i criteri richiamati, la sussistenza di un danno da risarcire, prima, e la consistenza del danno risarcibile, poi.

 



Note

[1] Sulla natura delle determinazioni dell'Autorità di vigilanza per i lavori pubblici, L. Ieva, La natura giuridica delle determinazioni dell'Autorità di vigilanza sui lavori pubblici, Urb e app., 2003, 223 e Tar Lazio, sez. III, 10 luglio 2002, n. 6241, I contratti dello Stato e degli enti pubblici, 2003, 62.

[2] Di recente in argomento la sentenza della prima sezione civile della Corte di Cassazione 22 luglio 2004, n. 13643 (in Giustamm. it). In generale sulla sospensione dei lavori nelle ipotesi di ritrovamenti di beni culturali, Tar Campania, sez. II, Salerno, 16 settembre 2004, n. 1823.

[3] In proposito si vedano in particolare il d.p.r. 21 dicembre 1999, n. 554 (Regolamento di attuazione della legge quadro in materia di lavori pubblici, ai sensi dell'art. 3 della legge 11 febbraio 1994, n. 109) e il d.m. 19 aprile 2000, n. 145 (Regolamento recante il capitolato generale d'appalto dei lavori pubblici ai sensi dell'art. 3, comma 5, della legge 11 febbraio 1994, n. 109 e successive modificazioni).

[4] Sul tema, A. Cianflone - G. Giovannini, L'appalto di opere pubbliche, Milano, 2003, XI ed., 853 - 865 e S. Buscema, A. Buscema, I contratti della pubblica amministrazione, in G. Santaniello (diretto da), Trattato di diritto amministrativo, Padova, 1994, II ed., 453.

[5] Alla stessa idea sembra ispirarsi peraltro il comma 5 dell'art. 6 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 30 (Modificazioni alla disciplina degli appalti di lavori pubblici concernenti i beni culturali).

[6] Per un commento della disposizione citata, A. Roccella, in M. Cammelli (a cura di), Il codice dei beni culturali e del paesaggio, Bologna, 2004, 173 - 179.

[7] Non esclude l'Autorità, nelle ipotesi più gravi, il recesso dal contratto da parte dell'amministrazione ai sensi dell'art. 122 del d.p.r. 554/1999.

[8] Anche l'esecuzione di scavi archeologici, in virtù del riferimento operato dall'art. 7 del d.lg. 30/2004 è soggetta a quanto previsto dalla nuova disciplina sugli appalti di lavori pubblici concernenti beni culturali, relativamente all'individuazione del contraente e all'affidamento dei lavori. Sul tema si veda G. Santi, Verso la istituzione di un sistema autonomo degli affidamenti dei "lavori" nel settore dei beni culturali (Decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 30), in Aedon, 2/2004.

[9] Sul tema di recente Corte di Giustizia, sez. II, 14 settembre 2004, Commissione delle Comunità europee contro Repubblica italiana, Causa, C 385/02



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