Sommario: 1. Premessa. - 2. La sentenza 272/2004: linee fondamentali. - 3. Ruolo e ancoraggio costituzionale dell'art. 115 del Codice. - 4. Le disposizioni dell'art. 115 costituenti vincolo per il legislatore regionale. - 5. La disciplina attuale dei servizi culturali degli enti locali con o senza rilevanza economica.
L'oggetto della presente nota è costituito dall'esame dei riflessi derivanti dalla pronuncia della Corte costituzionale 13-27 luglio 2004, n. 272, sulla disciplina della gestione dei servizi culturali di regioni e enti locali fissata nell'art. 115 del Codice dei beni culturali e del paesaggio. In particolare sarà valutato se la dichiarazione d'incostituzionalità, ivi contenuta, dell'art. 14, comma 2, del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, conv. nella legge 24 novembre 2003, n. 326, e dell'art. 113-bis del decreto legislativo 18 agosto 2002, n. 267 (Tuel), relativi ai servizi pubblici locali "privi di rilevanza economica", abbia determinato profili di illegittimità costituzionale nelle previsioni dell'art. 115 del Codice.
2. La sentenza 272/2004: linee fondamentali
Senza esaminare in dettaglio i contenuti della sentenza, sui quali ci si è soffermati in altro scritto [1], ma riassumendone i soli punti salienti, ricordo che, secondo il giudice costituzionale, in materia di servizi pubblici locali l'intervento legislativo dello Stato può trovare aggancio, per i servizi "di rilevanza economica", nella competenza in tema di "tutela della concorrenza" (art. 117, comma 2, lett. e), Cost.) e, per quelli "privi di rilevanza economica", nella competenza in tema di "determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali" (art. 117, comma 2, lett. m), Cost.). Inoltre per ambedue resta esclusa come titolo di legittimazione la competenza prevista a proposito delle "funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane" (art. 117, comma 2, lett. p), Cost.), non risultando i servizi pubblici locali a queste riconducibili.
Sulla base di tale impianto concettuale la Corte ha ritenuto che la disciplina statale dettata in ordine ai servizi "di rilevanza economica" (art. 14, comma 1, d.l. 269/2003 e art. 113 Tuel), salvo che per aspetti limitati, non fosse costituzionalmente illegittima, in quanto afferente alla "tutela della concorrenza", mentre ha 'sanzionato' di illegittimità costituzionale quella relativa ai servizi "privi di rilevanza economica" (art. 14, comma 2, d.l. 269/2003 e art. 113-bis Tuel), sia perché per tali servizi non appare invocabile la "tutela della concorrenza", non configurandosi per essi un mercato concorrenziale, sia perché la disciplina dettata non atteneva alla competenza in tema di "determinazione dei livelli essenziali" [2].
Le conseguenze della pronuncia sull'assetto dei servizi locali "privi di rileva economica" -che nel testo dell'art. 113-bis Tuel annoveravano anche i "servizi culturali e del tempo libero"- sono molteplici: caduta del principio di tipicità delle forme organizzative di tali servizi, scomparsa della necessità del contratto di servizio fra ente titolare e gestore, mancanza di un quadro di riferimento generale circa le modalità di affidamento. Si tratta peraltro di aspetti in sé di rilievo, ma non specificamente pertinenti l'argomento che si intende esaminare e che pertanto possono essere trascurati nei loro aspetti generali.
3. Ruolo e ancoraggio costituzionale dell'art. 115 del Codice
L'esame dei riflessi della sentenza 272/2004 sulla disciplina contenuta nell'art. 115 del Codice richiede preliminarmente che siano precisati il ruolo svolto da tale disposizione e il suo ancoraggio costituzionale.
Quanto al primo aspetto, va ricordato che, anteriormente all'entrata in vigore del Codice, lo statuto giuridico dei servizi culturali rientranti nell'ambito di applicazione dell'art. 115 - e cioè verosimilmente quelli relativi a beni che per le loro caratteristiche richiedono una gestione stabile e organizzata, in breve i servizi concernenti gli "istituti e i luoghi della cultura" di cui all'art. 101 dello stesso Codice - era dettato, per i servizi culturali dello Stato, dall'art. 10 del decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368 e, per quelli di comuni e province, si ricavava dalle disposizioni concernenti i servizi pubblici locali, contenute - anzitutto, ma non esclusivamente come si noterà - dall'art. 113-bis del Tuel. Per i servizi culturali delle regioni ordinarie, a considerare la gestione di detti servizi come aspetto della valorizzazione dei beni culturali - posizione questa che il Codice avrebbe successivamente assunto - e quindi oggetto ai sensi dell'art. 117, comma 3, Cost. di competenza regionale concorrente, la disciplina di quadro statale - in assenza dell'esplicita formulazione di principi fondamentali - andava desunta dalle disposizioni dettate in tema di servizi pubblici locali.
In questa fase temporale si colloca la sentenza 20 gennaio 2004, n. 26, che considerò le disposizioni contenute nell'art. 35 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (con la rubrica "Norme in tema di servizi pubblici locali" innovative dell'art. 113 e introduttive dell'art. 113-bis del Tuel) come connotate dal "carattere di 'principio'" e distinte da quelle dettate dall'art. 33 della stessa legge relative ai servizi culturali dello Stato [3].
L'art. 115 del Codice, che, come chiaramente risulta dal suo tenore letterale, considera i servizi culturali tanto dello Stato quanto delle regioni e degli enti locali, è 'subentrato' in entrambe le discipline appena richiamate, ponendosi rispetto a quella relativa ai servizi pubblici locali, contenuta nel Tuel, in evidente rapporto di specialità [4].
Quello che preme sottolineare è soprattutto il fatto che la gestione dei servizi culturali è considerata dal Codice come aspetto o profilo della valorizzazione - l'art. 115 è inserito nel capo II (Principi della valorizzazione dei beni culturali) del Titolo II della parte seconda (Fruizione e valorizzazione) - funzione questa ripartita fra lo Stato e le regioni, orizzontalmente, secondo il criterio dell'appartenenza del bene e, verticalmente, secondo lo schema della legislazione concorrente (cfr. commi 1 e 2 degli artt. 102 e 112).
Tutto questo consente di pervenire ad una prima conclusione circa i riflessi della sentenza 272/2004 sulla disciplina codicistica dei servizi culturali: è da escludere che possa ipotizzarsi per l'art. 115 la stessa 'vicenda' occorsa all'art. 113-bis Tuel. Sia perché regolamenta i servizi culturali anche dello Stato, sia perché trova fondamento in una competenza riconosciuta dalla Costituzione al legislatore statale (art. 117, comma 3), l'art. 115 del Codice non è 'travolto' (neppure potenzialmente) dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 113-bis Tuel. Detto in altre parole, se è vero che sulla base della pronuncia 272/2004 lo Stato non ha titolo, in linea di massima, per intervenire in tema di servizi pubblici locali e regionali "privi di rilevanza economica", è altrettanto vero che per i servizi pubblici culturali locali e regionali disciplinati dall'art. 115 il titolo del suo intervento è rappresentato dalla competenza costituzionale in tema di valorizzazione di beni culturali.
4. Le disposizioni dell'art. 115 costituenti vincolo per il legislatore regionale
Ciò non significa, peraltro, che la pronuncia 272/2004 non produca effetti di sorta sull'art. 115 del Codice, ma questi si apprezzano in relazione alla struttura della disposizione e al suo rapporto con la disciplina generale in tema di servizi pubblici locali.
Va precisato che in ogni caso da tali effetti sono esclusi i contenuti normativi che concernono i servizi culturali statali: in quanto espressione di una competenza 'esclusiva' dello Stato in tema di beni culturali di cui ha la disponibilità (cfr. sentenza 26/2004), essi sono evidentemente sottratti alla portata della sentenza.
Al contrario, per quei contenuti che valgono per i servizi culturali delle regioni e degli enti locali, il titolo di legittimazione costituito dalla competenza in tema di valorizzazione offre una copertura alla normativa statale di principio, lasciando scoperta quella di dettaglio ancorché di carattere transitorio e cedevole [5].
Che l'art. 115 abbia il carattere della normativa anche di dettaglio [6], risulta agevolmente ove si consideri che esso tra l'altro fissa forme di gestione e presupposti per il loro utilizzo, modalità di affidamento (con gara o in forma diretta), vincolo del contratto di servizio e contenuti di questo, conferimento dei beni oggetto dei servizi culturali. La questione che si presenta è allora quella dell'esatta perimetrazione delle norme-principio. Al riguardo proprio la pronuncia 272/2004 assume rilievo, perché, negando di massima la sussistenza di un titolo d'intervento per la legislazione statale in tema di servizi pubblici locali "privi di rilevanza economica", spinge l'interprete a valutare come principi soltanto i disposti normativi dell'art. 115 che si colleghino ai caratteri e alle esigenze propri dei beni culturali, si potrebbe dire, che considerino i servizi pubblici culturali regionali e locali non tanto o comunque non solo come servizi pubblici, ma piuttosto come servizi culturali, servizi pubblici segnati dalla specificità dei beni cui essi fanno riferimento.
Sulla base di questo criterio - di cui non si disconosce la difficoltà applicativa, ma che tiene conto dei dati costituzionali come interpretati dalla Corte - sembra di poter indicare le seguenti norme-principio:
- possibilità della gestione in forma diretta o in forma indiretta (comma 1);
- nel caso di gestione in forma diretta, necessità che la struttura preposta sia dotata di autonomia scientifica, organizzativa ecc. (comma 2);
- possibilità che la gestione in forma indiretta si atteggi secondo il modello dell'esternalizzazione (ricorso ad un operatore esterno all'ente cui i beni pertengono) o della collaborazione pubblico/pubblico o pubblico/privato (comma 3);
- ancor prima, possibilità che il servizio culturale sia organizzato anche come servizio "di rilevanza economica" (come risulta dalla previsione fra le forme di gestione dell'azienda e della società di capitali). Tale possibilità da ritenersi sussistente già prima della sentenza 272/2004 [7], riceve ora un indiretto supporto dalla pronuncia e comunque trova fondamento nell'autonomia di organizzazione attribuita agli enti locali dagli artt. 114, comma 2, e 117, comma 6, Cost.
Viceversa, altre previsioni, specie quelle che indicano i tipi e i presupposti di utilizzo di singole figure gestorie, sembrano sfornite del carattere 'di principio' perché non risultano connesse a elementi specifici dei beni culturali. In particolare questo è da dirsi per l'esclusione della concessione a terzi nel caso di servizi locali, esclusione questa che, non essendo prevista nel caso dei servizi statali e regionali, evidentemente deve ritenersi slegata dai caratteri dei beni culturali e dalle esigenze della loro valorizzazione.
Alle norme-principio appena indicate devono però aggiungersi, come disposizioni che trovano applicazione anche nel caso di servizi di regioni e di enti locali, quella che consente l'affidamento diretto del servizio a società di capitali costituite o partecipate in misura prevalente dall'amministrazione pubblica cui pertengono i beni culturali e quella che, invece, richiede la procedura dell'evidenza pubblica per la scelta del terzo concessionario (commi 3 e 5). Si tratta di previsioni che, a prescindere dal carattere di principio o di dettaglio presentato, trovano copertura nella competenza statale in tema di tutela della concorrenza, nella misura in cui si riferiscono a servizi culturali organizzati come servizi "di rilevanza economica".
5. La disciplina attuale dei servizi culturali degli enti locali con o senza rilevanza economica
Qualora si condivida il quadro ricostruttivo appena delineato - e in assenza di disposizioni di legge regionale, che comunque dovranno tener conto dell'autonomia organizzativa costituzionalmente garantita a comuni e province - l'assetto dei servizi culturali degli enti locali si profila nei seguenti termini. Anzitutto l'ente potrà configurare il servizio come servizio "privo di rilevanza economica" oppure come servizio "di rilevanza economica". Nel primo caso la scelta della forma di gestione potrà cadere fra quelle che, sulla base delle norme del Tuel o del codice civile, risultano idonee ad essere utilizzate allo svolgimento di un servizio con tale carattere (si pensi in particolare all'istituzione, al consorzio, all'associazione, alla fondazione, alla fondazione di partecipazione).
Nel secondo caso (servizio "di rilevanza economica") la scelta della forma gestoria dovrà tener conto di quanto disposto dall'art. 113, comma 5, del Tuel (non toccato dalla pronuncia della Corte) come integrato e derogato dall'art. 115, comma 3, del Codice. Al riguardo occorre osservare che l'integrazione è resa necessaria dal carattere di specialità presentato dalla disciplina codicistica rispetto a quella generale del Testo unico e che la prevalenza della prima sulla seconda - nonostante la diversa previsione dell'art. 113, comma 1, del Tuel - deriva dalla circostanza che la normativa del Codice è successiva nel tempo. Ne discende che come soggetti gestori può farsi ricorso a:
a) società di capitali con partecipazione totalitaria o prevalente dell'amministrazione pubblica cui i beni culturali pertengono;
b) 'terzi', ossia soggetti totalmente estranei a detta amministrazione oppure società di capitali cui questa partecipi in misura non prevalente.
Quale che sia la configurazione del servizio prescelta (con o senza rilevanza economica), un aspetto cruciale è rappresentato dalle modalità di conferimento della gestione, ossia se esso possa avvenire in forma diretta oppure richieda il previo svolgimento di una gara.
Nel caso di servizio "di rilevanza economica", di nuovo la disciplina dell'art. 113, comma 5, del Tuel è integrata/derogata da quella dell'art. 115, commi 3 e 5, del Codice. Nell'ipotesi indicata sub a) (società di capitali con partecipazione totalitaria o prevalente), il conferimento potrà avvenire in via diretta, quando sulla società sia esercitato dall'amministrazione cui i beni pertengono un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e la società realizzi la parte più importante della propria attività con tale amministrazione (comb. disp. art. 115, comma 3, lett. a), Codice e art. 113-bis, comma 5, lett. c) Tuel) [8], mentre, nell'ipotesi indicata sub b) ('terzi'), come pure per la scelta del partner privato (per una società a capitale misto), risulta necessario procedere alla gara (comb. disp. art. 115, comma 3, lett. b), Codice e art. 113-bis, comma 5, lett. a) e b), Tuel).
Viceversa, nel caso di servizio "privo di rilevanza economica", il quadro di riferimento, sempre in assenza di indicazioni legislative regionali, è costituito direttamente dall'ordinamento comunitario e dagli orientamenti del giudice amministrativo, anche se al riguardo si sconta un tasso non lieve di incertezza.
Fermo restando che laddove ricorrano i requisiti della gestione in house non dovrebbero comunque sussistere ostacoli al conferimento diretto della gestione, nelle altre ipotesi, come pure per la scelta dell'eventuale partner privato, non dovrebbero del pari trovare applicazione le norme sulla concorrenza, dal momento che queste, secondo la Commissione, presiedono nell'ambito dei servizi di interesse generale solo a quelli di natura economica (ossia implicanti l'offerta di beni o servizi su un dato mercato) [9]. E tuttavia si afferma, da parte della stessa Commissione, che valgano per tutti i tipi di servizi taluni principi quale quello di non discriminazione [10]], che nella lettura ricevuta dalla giurisprudenza comunitaria [11] comporta un "obbligo di trasparenza", consistente in particolare nel vincolo di "garantire, in favore di ogni potenziale offerente, un adeguato livello di pubblicità". D'altro canto, sempre al di fuori del campo della gestione in house, il conferimento del servizio "privo di rilevanza economica" e la scelta del partner privato restano esposti all'applicazione del generale principio di concorsualità, spesso richiamato dal giudice amministrativo in ossequio ad esigenze di imparzialità e trasparenza [12].
[1] Stato, regioni e servizi pubblici locali nella pronuncia n. 272/04 della Consulta, in Lexitalia.it, 2004, n. 7-8.
[2] Punti 3 e 4 in diritto.
[3] Cfr. punto 3 in diritto.
[4] Cfr. M. Cammelli, Introduzione, in Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M. Cammelli, Bologna, 2004, 40 ss., e S. Foà, Art. 115, in Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, cit., 452 ss.
[5] Cfr., in termini generali, la sentenza 1° ottobre 2003, n. 303, punto 16 in diritto.
[6] In tal senso M. Cammelli, op. loc. cit.
[7] Cfr. di recente G. Piperata, I servizi culturali nel nuovo ordinamento dei servizi degli enti locali, in Aedon, 3/2003, par. 3 e S. Foà, Art. 115, cit.
[8] Si tratta in sostanza dei requisiti dell'in house providing quali configurati dal giudice comunitario, sul quale cfr. per tutti D. Casalini, L'organismo di diritto pubblico e l'organizzazione in house, Napoli 2003, 254 ss.
[9] Commissione delle Comunità europee, Libro verde sui servizi di interesse generale, 21 maggio 2003, Com (2003) 270, §43 cui si richiama anche la sentenza 272/2004 (punto 4 in diritto). Del pari dalla stessa Commissione sono considerate soggette alle norme e ai principi del Trattato le 'concessioni' di servizi quando abbiano ad oggetto la prestazione di attività economiche cfr. Comunicazione interpretativa sulle concessioni nel diritto comunitario, 12 aprile 2000, in Guce, 29 aprile 2002, C 121/2, § 2.4.
[10] Cfr. Libro verde, cit., §43.
[11] Cfr. Corte di Giustizia Ce, 7 dicembre 2000, in causa C-324/98, Teleaustria, §§ 60-62.
[12] Cfr. per ampi riferimenti D. Casalini, L'organismo, cit., 298 nt. 112 s.