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I beni culturali alla prova del bipolarismo

di Marco Cammelli



Il numero 2/2001 di Aedon esce in un contesto profondamente diverso da quello del numero precedente. Non ci riferiamo al dato strettamente politico, e alla nuova maggioranza che è chiamata a governare il Paese nella XIV legislatura sia perché non è compito della rivista pronunciarsi in materia, sia perché non è ancora dato conoscere se ed in che misura il centro-destra sarà, in materia, portatore di indirizzi significativamente diversi rispetto a quelli dei governi precedenti.

La novità è dovuta invece ad altri due aspetti: il primo, più generale, è che sembra innegabile che il sistema abbia imboccato la strada del bipolarismo, cioè un assetto radicalmente diverso da quello dell'esperienza repubblicana precedente e tale da incidere sul cuore stesso del funzionamento, e probabilmente anche del ruolo, dell'intero tessuto istituzionale. Il che è certamente positivo, o almeno ritenuto tale dalla maggioranza degli elettori, salvo il fatto che altrettanto innegabilmente le regole del (nuovo) gioco mancano e vanno in buona parte riscritte, come appare evidente dalla obbiettiva incertezza che accompagna i primi (e confusi) tentativi di definire il confine tra area delle decisioni riservate alla maggioranza e temi più generali e perciò stesso indivisibili (o "bipartisan", come si preferisce dire).

Il secondo è invece più specifico, e riguarda direttamente l'intero settore culturale per il quale potrebbe verificarsi un processo in direzione opposta, passando cioè da una lunga stagione nella quale è stato considerato al di fuori di strette logiche di maggioranza in quanto spazio comune e aperto a tutti gli orientamenti (almeno a tutti quelli riferibili al c.d. arco costituzionale) ad una fase nella quale la divisione tra maggioranza e opposizione si esprime anche (potrebbe dirsi anzi: in particolare) per sensibilità, posizioni e scelte culturali nettamente distinte. La recente polemica sui libri di testo nelle scuole ne è un buon esempio.

Se questo avvenisse, se cioè il settore culturale fosse destinato a trasformarsi da elemento di coesione a elemento di competizione, molto di ciò che siamo stati abituati a considerare come "acquis" in questa area dovrebbe essere sottoposto a profonda revisione.

Il problema, in ogni caso, non è tanto quello della legittimità di un simile cambiamento, in sé indiscutibile, ma delle implicazioni che ne derivano. Tra le prime, la palese incoerenza in un simile contesto della forte "reductio ad unum" centralizzata e ministeriale frutto delle riforme Veltroni-Melandri, più volte segnalata (anche in questa Rivista [1]) per gli aspetti istituzionali e tecnico-operativi ma a questo punto ben più rilevante in quanto presupposto di un forte squilibrio in termini di orientamenti e di contenuti.

La polarizzazione in termini dualistici tra maggioranza ed opposizione al centro, infatti, sarebbe di per sé un motivo ulteriore per ricercare le nuove forme di bilanciamento nella dialettica centro/autonomie locali o pubblico/privato: ma proprio una evoluzione del genere è, almeno per il momento, seriamente ostacolata dalla centralizzazione di poteri, funzioni e risorse in capo agli apparati ministeriali e dalla chiusura autoreferenziale che si è ribadita e che lascia poco spazio ai soggetti esterni, di cui tuttora l'amministrazione di settore avverte un tiepido bisogno.

Il ministro Urbani ha dichiarato di volere ripensare, almeno per una parte, alle scelte della maggioranza precedente. E' una posizione del tutto comprensibile, ma che va anche chiarita. Se è vero che ogni modifica che superasse simili contraddizioni sarà salutare, è altrettanto vero che un intento del genere in ogni caso richiede la rapida individuazione dei punti su cui si vuole intervenire: porre l'intera riforma nell'incertezza di una sua possibile revisione significa innanzitutto paralizzarne, e da subito, ogni messa in opera.

Proprio su questi temi il nuovo Consiglio dei beni culturali, in una seduta precedente al rinnovo della rappresentanza parlamentare, aveva adottato un documento che si muove in questa prospettiva e che il ministro Urbani, nel primo incontro con il Consiglio medesimo, ha esplicitamente condiviso. Dunque, se è vero che i problemi non mancano, qualche ragionevole motivo di fiducia può essere nutrito.



Note

[1] Cfr. Aedon, 1/1999, 2/2000 e 3/2000.



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