Sommario: 1. I beni culturali e ambientali nel progetto di riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione: i dati. - 2. ... e le valutazioni.
1. I beni culturali e ambientali nel progetto di riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione: i dati
Nel progetto di legge "Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione", approvato nell'ultima lettura dalla Camera e dal Senato rispettivamente il 28 febbraio e l'8 marzo 2001, il settore dei beni culturali e ambientali costituisce, quanto alla tutela, oggetto di legislazione "esclusiva" dello Stato e, quanto alla valorizzazione - unitamente alla promozione e organizzazione di attività culturali -, oggetto di legislazione "concorrente" regionale (art. 117, commi 2 e 3, Cost. come sost. dall'art. 3 p.d.l.).
La tutela e la valorizzazione - come pure la promozione e l'organizzazione - risultano poi fra le materie in ordine alle quali la legge dello Stato, seguendo una procedura aggravata, può attribuire a regioni a statuto ordinario "forme e condizioni particolari di autonomia" (art. 116, comma 3, come sost. dall'art. 2 p.d.l.)
Per valutare adeguatamente tali disposizioni occorre accennare al contesto in cui esse si collocano. Il progetto prevede tre tipi di potestà legislativa: una potestà "esclusiva", una "concorrente" e una terza definibile come "generale" (o residuale) perché concernente le materie non rientranti fra quelle specificamente indicate come oggetto delle prime due.
La prima e la terza spettano, rispettivamente, allo Stato e alle regioni ordinarie, mentre la seconda è ripartita fra i due enti sulla base del criterio secondo cui compete allo Stato la "determinazione dei principi fondamentali" di ciascuna materia. La potestà del terzo tipo, non essendo soggetta a detti principi, è qualificabile anche come "piena".
In breve può dirsi che l'assetto della legislazione s'ispira al modello federale, ancorché l'ambito materiale delle potestà - esclusiva e concorrente - assegnato allo Stato risulti significativamente ampio.
Nulla è innovato per le regioni a statuto speciale. Viene confermata la distinzione tipologica all'interno delle autonomie territoriali maggiori caratterizzante fin dall'origine l'ordinamento repubblicano, e per quelle a regime differenziato si continua ad affidare la relativa disciplina agli statuti adottati con legge costituzionale (art. 116, comma 1, come mod. dall'art. 2 p.d.l.).
A ben vedere peraltro il modello dualistico regioni ordinarie/regioni differenziate è non solo ribadito, ma anche in un certo senso ampliato.
Si prevede, infatti, come si è accennato, che forme e condizioni particolari di autonomia possano essere attribuite "ad altre" regioni (quindi non necessariamente a tutte e non necessariamente in termini identici), su iniziativa della regione interessata, sentiti gli enti locali e sulla base di intesa fra lo Stato e la stessa regione, da legge approvata a maggioranza assoluta delle camere. Legge, dunque, emanata con procedimento aggravato sia pure diverso da quello stabilito per le leggi costituzionali.
Tale previsione è di diretto interesse per la materia dei beni culturali e ambientali, giacché riguarda tutte le materie oggetto di legislazione concorrente (quindi anche la valorizzazione di tali beni come pure la promozione e organizzazione di attività culturali) e alcune di quelle oggetto di legislazione statale esclusiva, tra le quali figura anche la tutela.
In sintesi, se il preannunciato referendum sul progetto di legge avrà esito favorevole [1], la situazione a livello di assetto legislativo sarà la seguente: la tutela dei beni culturali e ambientali spetterà per intero allo Stato, mentre la disciplina della valorizzazione di tali beni insieme alla promozione e organizzazione di attività culturali verrà assegnata alle regioni, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, mantenuta in capo allo Stato.
Per entrambe le materie (ovvero per l'una o per l'altra) la futura legislazione potrà conferire alle (o solo ad alcune delle) regioni ordinarie, in ipotesi anche in termini diversi, condizioni particolari di autonomia (anzitutto) normativa, secondo uno schema che richiama quello attualmente previsto per le regioni differenziate, non innovato dal progetto.
Tale assetto si è delineato compiutamente solo al termine dell'iter svoltosi alla camera. Il d.d.l. governativo (D'Alema/Amato) del 9 marzo 1999 (doc. C. 5830 - XIII Legislatura) prevedeva un quadro diverso. Quanto alla tutela dei beni culturali e ambientali affidava allo Stato la sola "disciplina generale", mentre per la valorizzazione, come pure per la promozione e organizzazione delle attività culturali, demandava la relativa disciplina allo Stato e alle regioni (ordinarie), "ciascuno nel proprio ambito" (art. 117, commi 3 e 5, come sost. dall'art. 5 d.d.l.).
Differente, anche se in misura minore, risultava anche il testo elaborato dalla I Commissione permanente della Camera (doc. C. 4462-A - XIII Legislatura, dell'11 novembre 1999), con il quale venivano unificate le varie proposte di riforma del Titolo V avanzate. Se già si assegnavano alla potestà legislativa esclusiva dello Stato e a quella concorrente rispettivamente la tutela e la valorizzazione (art. 117, commi 2 e 3, Cost. come sost. dall'art. 5 t.u.), mancava però la previsione di possibili ulteriori forme di autonomia da attribuirsi a regioni ordinarie.
Nel successivo iter parlamentare la stessa commissione aveva proposto di precisare la materia "tutela dell'ambiente ... e dei beni culturali" aggiungendo la dizione "di interesse nazionale". In tal modo implicitamente la tutela dei beni culturali e ambientali di interesse locale (o comunque non nazionale) veniva "derubricata" e finiva con il ricadere nella competenza "piena" delle regioni ordinarie. L'emendamento però, fatto oggetto di recisa critica da parte di esponenti del mondo culturale [2], non ebbe seguito.
Passando dall'assetto legislativo a quello amministrativo, occorre distinguere il piano della normazione secondaria dal piano della gestione amministrativa.
Quanto al primo, il progetto, allo scopo di assicurare l'unitarietà della funzione normativa di rango primario e secondario, recepisce il criterio presente nel d.d.l. 5830 di attribuire il potere regolamentare all'ente che è titolare di quello legislativo. Pertanto assegna il potere regolamentare, nelle materie di legislazione "esclusiva", allo Stato e, nelle altre materie, alle regioni.
Sono presenti peraltro due temperamenti: nelle materie di legislazione "esclusiva" detto potere può essere delegato alle regioni; gli enti locali possono disciplinare l'organizzazione e lo svolgimento delle funzioni ad essi conferite (art. 117, comma 5, Cost. come sost. dall'art. 3 p.d.l.).
Al criterio del parallelismo in campo regolamentare si sostituisce, fondamentalmente, quello di sussidiarietà nel campo della gestione amministrativa. Secondo il nuovo testo dell'art. 118, comma 1, Cost., riformulato dall'art. 4 del p.d.l., "le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza".
La formula non sembra delle migliori. L'applicazione del principio di sussidiarietà pare contrapposta all'allocazione delle funzioni a livello comunale (mentre tale livello, proprio perché più vicino ai cittadini, è il suo primo beneficiario), la unitarietà dell'esercizio delle funzioni è posta come valore (mentre non può considerarsi che strumento o condizione per garantire interessi sostanziali finali), ancora la unitarietà sembra l'obiettivo in vista del quale si applicano i principi di sussidiarietà, omogeneità e (perfino!) di differenziazione (mentre proprio la sussidiarietà e l'adeguatezza possono comportare risultati di allocazioni non unitarie).
Insomma, per dare un qualche significato compiuto a tale previsione, si è costretti a forzare la sua lettera e ritenere che il criterio base per l'allocazione delle funzioni amministrative sia costituito dal principio di sussidiarietà (rispetto al quale quelli di differenziazione e di adeguatezza non sono altro che aspetti o portati), principio a sua volta temperato da quello di indivisibilità (o non frazionabilità) delle funzioni (il solo che giustifichi il loro esercizio unitario). In breve si tratta di una lettura non diversa da quella che offre, con migliore formulazione, l'art. 1, comma 2, l. 59 del 1997.
Peraltro per la tutela dei beni culturali vi é la previsione specifica secondo la quale, per tale materia, la legge statale "disciplina forme di intesa e coordinamento" fra Stato e regioni (art. 118, comma 3, Cost. come sost. dall'art. 3 p.d.l.).
Detta previsione può essere letta o nel senso di esprimere l'esigenza che allo Stato debba permanere un ruolo nell'esercizio delle funzioni amministrative concernenti la materia, ipotizzandosi da parte del legislatore della riforma che l'applicazione del principio di sussidiarietà porti ad allocare le funzioni amministrative sul versante regionale, oppure - e con maggiore plausibilità, tenendo conto che analoga previsione è dettata per i temi dell'immigrazione e dell'ordine pubblico - nel senso di rappresentare un'apertura verso forme di concorso delle regioni all'esercizio di dette funzioni, che il legislatore della riforma ipotizza continuino a permanere in capo allo Stato in forza del principio di indivisibilità.
Lasciando da parte ogni considerazione di carattere complessivo sull'intervento di riforma - considerazione non consentita in questa sede - e limitando l'osservazione al solo tema che qui interessa, i beni culturali e ambientali, va detto che le valutazioni formulabili potrebbero concernere il che cosa cambi, in particolare come si modifichi il quadro che deriva dal d.lg. 112 del 1998, e, in secondo luogo, il grado di condivisibilità di tale cambiamento. In realtà i due profili risultano strettamente legati e quindi possono essere considerati unitariamente.
Anzitutto va rilevata la derivazione di ordine concettuale del progetto dal d.lg. 112 del 1998. Del decreto (art. 148) viene infatti ripresa la configurazione di diversi tipi di intervento pubblico nella materia, quali la tutela, la valorizzazione e la promozione. Questo non significa, però, che l'ordine concettuale e il quadro delle competenze, che emergono dai due atti, siano del tutto coincidenti.
Su un piano di continuità certamente si pone la legislazione "esclusiva" dello Stato in materia di tutela dei beni culturali (cfr. art. 149, comma 1, d.lg. 112). Altrettanto, quanto meno in termini sostanziali, può dirsi per la tutela dei beni ambientali (cfr. art. 149, comma 6, d.lg. 112).
E' ben vero che attualmente, ai sensi degli artt. 7 e 82 d.p.r. 616 del 1977, le regioni sono abilitate a dettare norme di attuazione ex art. 117 u.c. Cost. anche nella forma di legge [3], e che il progetto non prevede l'emanazione di leggi regionali nelle materie di esclusiva competenza statale. Occorre tuttavia tener conto che lo stesso progetto, all'art. 3, prevede che lo Stato possa delegare alle regioni in tali materie l'esercizio della potestà regolamentare (cfr. nuovo art. 117, comma 5, Cost.), sicché non sembrano ravvisabili variazioni sostanziali.
Per le funzioni amministrative in tema di tutela la continuità/discontinuità dipende da come verranno fatti operare i principi di sussidiarietà e di indivisibilità. E' però agevole ipotizzare - e in tal senso parrebbe la convinzione del legislatore della riforma - che almeno nel breve e medio periodo non si determineranno innovazioni di fondo e in particolare che, relativamente ai beni culturali, resterà preminente il ruolo dello Stato, anche se destinato a non essere più esclusivo, stante l'indirizzo rivolto dal nuovo art. 118, comma 3, Cost. al legislatore statale di prevedere "forme di intesa e coordinamento" fra Stato e regioni. Indirizzo questo che dà attuazione ad orientamenti espressi dalla Corte costituzionale a proposito dell'art. 9 Cost. [4].
Perplessità non lievi suscitano gli altri tipi di attività pubbliche.
E' da rilevare in primo luogo che non si accenni all'attività di gestione dei beni culturali e ambientali, viceversa prevista dagli artt. 148 e 150 d.lg. 112. Le conseguenze della sua mancata menzione all'interno del nuovo art. 117 Cost. sono esemplarmente esemplificate dalla risposta al seguente quesito: quale soggetto diverrà competente, in base alla riforma, ad un intervento normativo del tipo legge-Ronchey [5]?
Come si sa, questa si occupa dei servizi aggiuntivi, della disciplina del personale, in genere del funzionamento dei musei statali, tutti aspetti che ai sensi del comma 4 dell'art. 150 d.lg. 112 si ascrivono a pieno titolo all'attività di gestione. Ebbene, in base all'art. 117 Cost. riformato, le materie che non rientrano né fra quelle di legislazione "esclusiva" dello Stato (quale la tutela) né fra quelle di legislazione concorrente (quali la valorizzazione e la promozione e organizzazione) ricadono nella potestà "piena" regionale. Si dovrebbe concludere che, d'ora in avanti, la disciplina normativa del funzionamento dei musei statali spetterà per intero alla potestà legislativa delle singole regioni.
Contro questa conclusione potrebbero prospettarsi due obiezioni: la prima è che non esisteranno più musei statali per effetto del nuovo art. 118 Cost., sicché l'addensamento della competenza legislativa in capo alle regioni è del tutto giustificata. L'obiezione parrebbe scarsamente attendibile, come si accennerà fra breve. In ogni caso, quand'anche cogliesse nel vero, non sarebbe in grado di spiegare perché la potestà legislativa regionale debba essere guidata da principi fissati dal legislatore statale, per gli aspetti di valorizzazione dei musei (e in genere dei beni culturali e ambientali), mentre, per quelli attinenti alla loro gestione, possa prescinderne e anzi non ci sia spazio per interventi legislativi dello Stato.
La seconda obiezione è che nel nuovo testo dell'art. 117 Cost. la valorizzazione assorba anche la gestione. Contro di essa però varrebbero due argomenti. Appare poco credibile che il legislatore della riforma, che per rigore lessicale, ha ritenuto opportuno distinguere l'organizzazione dalla promozione delle attività culturali (mera endiadi sotto l'aspetto giuridico ove si tenga conto degli artt. 148 e 153 d.lg. 112), abbia inteso compattare sempre lessicalmente la gestione con la valorizzazione dei beni. Inoltre, e soprattutto, i termini tutela, valorizzazione, promozione in tema di beni culturali e ambientali e di attività culturali hanno ormai assunto una precisa valenza giuridica dalla quale anche la terminologia impiegata dal testo di riforma risulta necessariamente condizionata. Comunque, anche ad ipotizzare l'assorbimento della gestione nella valorizzazione, le perplessità non verrebbero meno, come si osserverà tra breve.
Ritorno alla prima obiezione. E' persuasivo ritenere che sulla base del nuovo art. 118 Cost. cesseranno di esistere musei (e in genere beni culturali e ambientali) statali, nel senso che della loro gestione non abbia in nessun caso la responsabilità lo Stato?
Il quesito si pone in termini analoghi per la valorizzazione, attività questa che accede, secondo l'art. 152 d.lg. 112, alla proprietà o alla gestione (ciascun ente cioè valorizza i beni di cui è proprietario o di cui abbia la gestione) [6] e in termini non molto diversi per la promozione-organizzazione. Detto in altre parole, può ipotizzarsi che, sempre sulla scorta del nuovo art. 118 Cost., lo Stato non si occuperà più a livello amministrativo, della valorizzazione di beni culturali e ambientali e della promozione-organizzazione di attività culturali?
Al riguardo è da osservare, da un lato, che il progetto non prevede trasferimenti di sorta della proprietà di beni dallo Stato agli enti territoriali minori [7], e dall'altro, che l'allocazione delle funzioni amministrative in tema di gestione, valorizzazione e promozione-organizzazione dovrà avvenire sulla base dei principi di indivisibilità e sussidiarietà. Pare davvero scarsamente plausibile - e le vicende della non ancora intervenuta attuazione di quanto previsto dall'art. 150 d.lg. 112 lo comprovano "al di là di ogni ragionevole dubbio" - che lo Stato dismetta di occuparsi, sul piano amministrativo, della gestione e valorizzazione di beni culturali e ambientali nonché della promozione-organizzazione di attività culturali. Dismissione questa che, oltretutto, si porrebbe in piena controtendenza con il rafforzamento del ruolo del Mbac ampiamente testimoniato dalla legislazione e dalla prassi degli ultimi anni.
Ma se è cosi, se è da ritenere che lo Stato continuerà a svolgere un ruolo "operativo" nel campo dei beni e delle attività culturali, anche oltre gli aspetti concernenti la tutela, la nuova mappa delle competenze legislative quale deriva dal nuovo art. 117 appare del tutto inadeguata. Sia consentito ripeterlo: la disciplina concernente la gestione da parte dello Stato di beni culturali e ambientali risulta assegnata alla potestà "piena" delle regioni. Al più, assieme alla valorizzazione degli stessi beni e alla promozione-organizzazione delle attività culturali, viene affidata alla competenza regionale ripartita, nella quale lo Stato - è appena il caso di ricordarlo - ha il compito di fissare i principi fondamentali di disciplina della materia, non certo anche quello di normare propri ambiti di attività amministrativa.
Assai più adeguata - ancorché incompleta - appariva la formulazione contenuta nell'art. 117, comma 5, come sost. dall'art. 5 d.d.l. 5830, secondo cui "lo Stato e le Regioni disciplinano con legge, ciascuno nel proprio ambito, la valorizzazione dei beni culturali e ambientali e la promozione e l'organizzazione di attività culturali". Formulazione questa che rifletteva sul piano legislativo il presumibile assetto delle funzioni amministrative, dando a quest'ultimo un'idonea copertura normativa.
Se l'approvazione definitiva del progetto di riforma non fosse divenuta un punto di principio nel dibattito politico, una riconsiderazione del testo, sul piano tecnico-giuridico, nella materia che in questa sede interessa (ma, sia detto per inciso, non solo in questa), sarebbe stata difficilmente controvertibile.
Desta comunque una qualche sorpresa il fatto che il mondo della cultura, sempre attento a cessioni di "sovranità" statale nel campo della tutela dei beni culturali e ambientali, non abbia avvertito il rischio di altre dismissioni, meno evidenti, ma non per questo di minore rilievo, da parte dello Stato.
Per concludere una notazione, questa volta di segno positivo. Al progetto va dato atto di muoversi nel settore dei beni culturali e ambientali in un'ottica di flessibilità, evitando di irrigidire l'assetto delle competenze in uno schema fisso. La flessibilità che il principio di sussidiarietà offre nell'allocazione delle funzioni amministrative è doppiata sul piano legislativo dalla previsione, cui si è fatto inizialmente cenno, circa la possibile attribuzione a regioni a statuto ordinario di forme particolari di autonomia. Ad essere coinvolte sono tutte le attività pubbliche inerenti al settore, tutela compresa.
La previsione appare significativa non tanto per i suoi riflessi attuativi nell'immediato. Nel breve (e forse anche nel medio) periodo appare difficile ipotizzare una sua concretizzazione. Piuttosto risulta importante la possibilità, già sottolineata, che destinatarie siano singole regioni. Si afferma il principio che i rapporti fra il centro e la periferia (rappresentata dalle regioni ordinarie) non seguono necessariamente uno schema di uniformità, ma possono atteggiarsi secondo moduli differenziati, che tengano conto delle diverse realtà. Per il tema della tutela, in particolare, si schiudono possibilità finora inedite.
[1] E' appena il caso di ricordare che il progetto di legge, non avendo conseguito in seconda lettura la maggioranza dei due terzi, ai sensi dell'art. 138, comma 2, Cost., è esposto a referendum. Nel momento in cui si scrive risulta che tanto le forze politiche della minoranza quanto quelle della maggioranza hanno manifestato l'intenzione di promuoverlo.
[2] Cfr. le dichiarazioni di G. Chiarante e G. van Straten riportate dall'Ansa del 20 settembre 2000 e gli interventi di G.M. Mozzoni Crespi e di V. Emiliani e L. Manconi, in "Il Sole 24 Ore" rispettivamente del 21 e 22 settembre 2000, dai titoli eloquenti: "No a beni culturali di serie B" e "Beni culturali, no allo spezzatino".
[3] Cfr. sul punto L. Paladin, Diritto regionale, Padova, 1985, 342.
[4] Cfr. G. Pitruzzella, Art. 149, in Lo Stato autonomista, a cura di G. Falcon, Bologna, 1998, 497 s.
[5] D.l.14 novembre 1992, n. 433, conv. nella l. 14 gennaio 1993, n. 4.
[6] Cfr. G. Corso, Art. 152, in Lo Stato autonomista, cit., 506.
[7] L'art. 119, comma 6, Cost. come sost. dall'art. 5 p.d.l. si limita a stabilire che "I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno un loro patrimonio, attribuito secondo i principi generali determinati dalla legge dello Stato".