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La valorizzazione del patrimonio culturale

Il sistema dei parchi della Val di Cornia: una significativa esperienza di valorizzazione ambientale e culturale da recuperare

di Gabriele Torelli

Sommario: 1. Il “sistema” Parchi Val di Cornia: genesi di una importante esperienza di valorizzazione ambientale e culturale. - 2. Ascesa e crisi del sistema. - 3. La ricostruzione del principio mutualistico: la strada della ripartizione dei ricavi è ancora perseguibile... - 4. ... oppure è opportuno rivedere più profondamente il sistema dei parchi? - 5. Alcuni appunti conclusivi.

The Val di Cornia Parks System: Recovering a significant Experience of environmental and cultural Valorisation
The Val di Cornia Parks system is an important experience of environmental and cultural valorisation promoted by five Municipalities of Tuscany and built on shared urban planning policies. In 1993 the Municipalities constituted an own public company to make the whole project economically sustainable: the goal was to ensure more profits avoiding the costs were covered through a higher taxation towards the local communities. In 2002, the five Municipalities signed an agreement establishing the full sharing of profits and costs due to the valorisation project. After a first period of success, in the last years this experience has been living a huge crisis because of the decision taken by the most populous Municipality not to share the revenues collected by itself anymore. Such a decision is a violation of the agreement of 2002 and - especially - has been causing an important economic loss to the other public bodies. As a consequence, it also attempts to the sustainability of the whole project. The paper aims at considering eventual legal solutions to the recovery of this unique experience of environmental and cultural valorisation.

Keywords: Environmental Valorisation; Cultural Valorisation; Recovering Experience; Urban Planning Policies.

1. Il “sistema” Parchi Val di Cornia: genesi di una importante esperienza di valorizzazione ambientale e culturale

Il sistema dei Parchi della Val di Cornia nasce con l’intento di salvaguardare e valorizzare il patrimonio storico-artistico ed umano di un’area della Toscana, che si colloca all’interno della Provincia di Livorno, la cui importanza e fascino sotto il profilo culturale sono dovuti principalmente ai resti di insediamenti etruschi, medievali, moderni, legati alle attività minerarie ed alla produzione del ferro. Alla notevole ricchezza ereditata grazie alle testimonianze ancora oggi ben visibili, impresse da civiltà passate, si affianca il valore strettamente ambientale della zona, che presenta ampi spazi incontaminati ed una ricca biodiversità dal punto di vista faunistico e floristico [1].

L’idea di tutelare su vasta scala le risorse storiche e naturali della Val di Cornia emerse tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta del secolo scorso con la pianificazione urbanistica coordinata di quattro comuni della zona (Piombino, Campiglia M.ma, San Vincenzo e Suvereto) e prese forma operativa agli inizi degli anni Novanta, quando la crisi del settore siderurgico colpì molte aziende nel nostro Paese, senza risparmiare quelle ubicate nel Livornese. È dunque in questo frangente che alcuni amministratori locali dimostrarono grande tempismo e lungimiranza, riconoscendo l’occasione unica per dare nuovo impulso a territori che, altrimenti, sarebbero stati afflitti da una gravissima crisi economica.

La decisione sul piano politico fu, allo stesso tempo, coraggiosa ed ingegnosa. I quattro comuni - ai quali si sarebbe aggiunto presto anche quello di Sassetta che, con gli altri, faceva parte delle forme organizzative di cooperazione istituzionale allora presenti in Val di Cornia - decisero autonomamente di tutelare e valorizzare in forma sistemica circa 8.000 ettari di beni storici, archeologici e naturali presenti nei loro territori attraverso due strumenti principali. Da un lato, promossero un percorso di pianificazione urbanistica concertata, per cui ogni comune aderente all’iniziativa sancì l’inedificabilità assoluta di ampie porzioni di territorio, destinandole a parco naturale [2]; dall’altro, procedettero progressivamente all’acquisizione di terreni da recuperare (prevalentemente tramite espropriazioni per pubblica utilità), compresi i 180 ettari del bosco della Sterpaia sulla costa di Piombino, oggetto di una grande lottizzazione abusiva alla fine degli anni Sessanta con circa 2.000 lotti sui quali erano state edificate altrettante costruzioni. Nei decenni successivi, tutti gli abusi furono rimossi per iniziativa dell’amministrazione comunale, che costituì all’interno di quel bosco un parco naturale [3].

La novità dell’iniziativa stava quindi nel fatto che attraverso i propri strumenti della pianificazione urbanistica, i comuni concordarono - secondo una strategia, per l’appunto, autonoma e condivisa - di imprimere dei vincoli conformativi su vaste aree del proprio territorio [4], che si distinguono per uno spiccato valore non solo ambientale [5], ma anche paesaggistico e culturale [6]. Il progetto politico ha avuto dunque il merito di comprendere come, attraverso apposite convenzioni, gli strumenti pianificatori potessero servire alla riconversione di una vasta area sovracomunale, garantendo un vero e proprio servizio pubblico a carattere culturale [7] ed assicurando il bilanciamento tra la tutela delle risorse del territorio ed il suo sviluppo economico [8]. Per di più, considerando che l’avvio della stagione dei piani regolatori coordinati è localizzabile tra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta, si ha gioco facile nel riconoscere ancora maggiori pregi all’iniziativa politica, promossa ben prima della legge n. 431/1985 sulla protezione del paesaggio e della legge n. 394/1991 sui parchi e sulle aree protette [9].

È dunque in questo contesto storico, sociale e culturale che i cinque comuni avviarono il processo per la realizzazione del sistema dei parchi, tra cui: il parco archeominerario di San Silvestro a Campiglia M.ma; il parco e il museo archeologico del territorio dell’antica città etrusca di Populonia nonché il parco naturale del bosco e della costa della Sterpaia a Piombino; la qualificazione dei parchi naturali di Rimigliano a San Vincenzo e di Montioni a Suvereto [10].

2. Ascesa e crisi del sistema

Il sistema degli accordi, pur risultando sufficiente sotto il profilo squisitamente giuridico per attuare le politiche di valorizzazione del territorio, presentava dei problemi sul lato economico, comportando importanti costi per le casse pubbliche. È per questa ragione che, nel 1993, approfittando dei mutamenti politico-economici dovuti ai processi di privatizzazione e liberalizzazione [11], i comuni decisero di costituire la società a capitale pubblico maggioritario [12] “Parchi Val di Cornia S.p.A.”, improntando le politiche di valorizzazione ad un metodo imprenditoriale ed aprendo ad iniezioni di liquidità esterne. Il capitale pubblico (nettamente prevalente) era dato dalla somma delle partecipazioni delle stesse amministrazioni locali, mentre quello privato consisteva in quote acquistate da imprese della zona, interessate alla gestione efficiente dei beni pubblici in chiave di sostegno alla diversificazione economica dell’area, in particolare verso un turismo basato sulla valorizzazione del patrimonio naturale e culturale [13].

La scelta non fu perciò casuale ma, soprattutto, si rivelò estremamente felice, perché garantì dei risultati che una pur ottima progettualità, sviluppata sotto forma di pianificazione attuativa attraverso la promozione di piani particolareggiati concordati, non poteva assicurare: un progressivo incremento dei servizi turistici all’interno del sistema dei parchi per raggiungere l’obiettivo, ampiamente superato, di un sostanziale autofinanziamento delle attività di valorizzazione. Risultato che, nel corso degli anni, ha visto il rapporto tra ricavi e costi di gestione corrente crescere dal 52,65% del 1996 (anno di inaugurazione del primo parco del sistema, quello archeominerario di San Silvestro) al 99,68% del 2007, grazie agli introiti derivanti dai biglietti dei parchi archeologici e dei musei con accesso a pagamento, dagli affitti di azienda e locazione per servizi di accoglienza affidati con gara imprese private, nonché dai ricavi delle aree di sosta all’interno dei parchi naturali lungo le coste con libero accesso [14].

L’esperienza societaria risultava pressoché unica nel suo genere non solo perché fu uno dei primi esperimenti di società miste in cui il capitale pubblico era devoluto esclusivamente da comuni di ridotte dimensioni, ma soprattutto in ragione dell’oggetto sociale, cioè la tutela e valorizzazione di territori definiti come “parchi”, senza che però fosse istituito un apposito soggetto di diritto [15]. La regione Toscana si guardò bene dal creare con propria legge un parco ad hoc, consentendo in questo modo ai comuni di mantenere una piena autonomia nell’assumere decisioni sulla gestione e pianificazione del territorio, altrimenti recessive rispetto alle previsioni pianificatorie definite dall’ente parco [16].

Un ulteriore passaggio fondamentale che ha permesso di accrescere la fortuna del sistema dei parchi si è avuto con la convenzione sottoscritta nel 2002, con la quale i cinque comuni hanno formalmente improntato la gestione del patrimonio culturale e naturalistico della Val di Cornia al principio della sostenibilità economica, da attuare mediante una logica strettamente mutualistica, rivolta all’equa ripartizione delle spese e dei ricavi in base al numero degli abitanti [17]. L’obiettivo strategico non era quello della sostenibilità dei singoli parchi e musei, impossibile da perseguire per le strutture più deboli, ma dell’insieme dei beni che costituivano l’offerta culturale sistemica ed integrata dell’intera Val di Cornia; scopo, invece, fattibile.

Gli anni a seguire furono probabilmente i più felici, considerando anche l’interessamento a questa forma di gestione da parte del ministero della Cultura e della regione Toscana, che hanno garantito risorse gradualmente crescenti. In particolare, il primo decise di affidare alla società la gestione dell’acropoli della città antica di Populonia, nonché delle necropoli delle Grotte e di San Cerbone a Baratti, ai sensi dell’art. 115, d.lgs. n. 42/2004 [18], dimostrando così di credere fortemente nel progetto; scelta che consigliò nel 2007 di trasformare la società da mista ad in house, per legittimare l’affidamento diretto e non incorrere in possibili problemi di concorrenzialità [19].

Tuttavia, nell’arco di pochi anni il progetto parchi Val di Cornia ha subito un brusco declino, causato dalla rottura del patto mutualistico sancito nella convenzione del 2002, ascrivibile sia alla mancata costituzione dell’Unione di comuni che avrebbe dovuto sostituire il circondario (soppresso per legge nel 2010) [20] sia - in particolare - alla scelta del comune di Piombino (2012) di non procedere più alla condivisione delle entrate derivanti dalla gestione delle aree di sosta realizzate dalla società Parchi Val di Cornia per regolare gli accessi degli autoveicoli nei parchi naturali ubicati nel proprio territorio.

La decisione ha determinato diversi effetti negativi sulla gestione, tra cui: un drastico calo della capacità di autofinanziamento, l’istituzione di una tassa di soggiorno, una maggiore tensione tra gli enti locali per interessi economici, il mancato rinnovo del contratto unico di servizio per la gestione unitaria dei parchi [21] e, infine, la sottrazione da parte del comune di San Vincenzo del parco di Rimigliano dal sistema (2020) [22]. Inoltre, proprio a causa della diminuzione dei ricavi della società, dovuti anche all’emergenza Covid, i comuni di dimensioni più piccole (su tutti Campiglia M.ma, dove è ubicato il più vasto parco archeologico del sistema) hanno lamentato l’innalzamento dei costi di gestione, ritenuti oramai insostenibili per le proprie finanze.

Appare evidente come gli eventi descritti, uniti alla crisi economica determinata dalla pandemia, mettano a serio rischio l’esistenza di un modello di governance che negli anni passati ha condotto a risultati importantissimi in ambito di tutela e valorizzazione culturale, ma anche di rivitalizzazione sul piano turistico-economico [23].

Il rischio che il “giocattolo” si rompa definitivamente è concreto, ma per evitare che ciò avvenga sembra necessario ripensare le forme di gestione del sistema dei parchi, esaminando le possibili soluzioni offerte dall’ordinamento, soffermandosi sui pro e contro.

3. La ricostruzione del principio mutualistico: la strada della ripartizione dei ricavi è ancora perseguibile...

La rivitalizzazione del progetto parchi Val di Cornia dovrebbe passare per un guado insidioso: la ricostruzione del principio mutualistico tra i comuni definito nella convenzione del 2002, ma in seguito violato da interessi politico-economici, la cui prevalenza nel lungo periodo ha condotto ad un graduale declino del sistema, in termini finanziari e di gestione dell’intera area. Il ripristino della mutualità, infatti, consentirebbe di recuperare un modello di governance che ha dimostrato di funzionare bene in passato.

È dunque utile valutare se i comuni possano tentare di ricompattare la frattura mantenendo lo status quo (o apportandovi lievi modifiche) o, al contrario, la rinascita del sistema dei parchi debba essere affidata ad un più complesso progetto di rinnovamento.

La prima via impone di dedicare alcune attenzioni alla convenzione, al fine di verificare le eventuali pretese avanzabili. È incontestabile che la decisione del comune di Piombino di sottrarre alla società le entrate delle aree di sosta dei parchi naturali ricadenti nel proprio territorio abbia costituito un momento di frenata nella crescita del progetto, al netto dei meriti che vanno riconosciuti allo stesso comune per lo sviluppo dell’esperienza [24]. Al di là dei giudizi politici in merito alla decisione - che non spettano a chi scrive - pare comunque che la scelta sia stata indicativa del venire meno di una strategia condivisa e, anzi, abbia determinato una significativa deroga all’ispirazione in senso mutualistico della convenzione, ben testimoniata dall’art. 13, il quale definisce un meccanismo di ripartizione dei ricavi e delle spese tra i comuni in base al numero di abitanti.

In via preliminare, occorre però valutare se, a causa delle numerose violazioni sopra elencate [25], ed in mancanza di nuovi accordi, la convenzione (tutt’oggi formalmente tra gli atti fondativi della società) sia ancora in atto e se le sue prescrizioni siano ad oggi vigenti, per poi riflettere - in caso di risposta affermativa - sui possibili rimedi da attuare per ripristinare il progetto originario.

L’art. 9 della convenzione farebbe propendere per la vigenza dell’accordo, perché ne individua una durata sine die, che si protrae fino alla completa attuazione del disegno iniziale ed al compimento dei periodi di gestione necessari all’ammortamento degli investimenti pubblici e privati effettuati. Ebbene, le scelte dei comuni di Piombino e San Vincenzo non sembrano dettate dal riconoscimento della definitiva esecuzione del progetto iniziale, quanto piuttosto dalla prevalenza di interessi propri rispetto a quelli inizialmente condivisi.

Tuttavia, potrebbe egualmente chiedersi se sia intervenuto uno scioglimento tacito della convenzione, proprio a causa dei ripetuti interventi che ne hanno violato il contenuto ed i principi ispiratori, soprattutto considerando che la decisione del comune di Piombino non fu sostanzialmente contestata dagli altri comuni, a fronte del maggiore peso politico del primo rispetto ai secondi e delle promesse di recupero degli ammanchi attraverso le entrate derivanti dall’introduzione della tassa di soggiorno [26].

Ciò nonostante, la convenzione pare ancora in essere, ma non tanto perché tali promesse - assunte in ogni caso in violazione dell’accordo - non sono mai state rispettate. Piuttosto, la cessazione degli effetti per volontà (di fatto) unilaterale, pur ammissibile negli accordi tra amministrazioni [27], richiederebbe un provvedimento esplicito di natura costitutiva [28], in ossequio alle formalità caratterizzanti l’esercizio del potere pubblico [29]. Né l’acquiescenza da parte degli altri comuni dovrebbe integrare una risoluzione tacita della convenzione per l’inadempimento di Piombino, in quanto le amministrazioni negli anni, tramite la società, hanno continuato a garantire i vari servizi nei parchi, atteggiamento evidentemente incompatibile con la pretesa dello scioglimento del vincolo e con la volontà di avvalersi dell’effetto risolutivo [30].

Pertanto, la convenzione, sebbene più volte non rispettata, sembra ancora in essere, il che consente di avviare i ragionamenti sui possibili rimedi per recuperare il sistema dei parchi.

Le ripetute violazioni richiamano il tema degli inadempimenti degli accordi tra enti pubblici, le cui cause sono generalmente dovute all’adozione di un atto difforme da quanto concordato [31].

L’evenienza, non infrequente nell’ambito della pianificazione urbanistica [32], suggerisce di esaminare i rimedi giurisdizionali a disposizione della parte che subisce la violazione dell’accordo, che sono sostanzialmente quelli tradizionali dell’azione di annullamento e di condanna, intesa nella sua forma atipica.

Su quest’ultimo profilo il ragionamento assume i tratti più interessanti, considerando l’evoluzione giurisprudenziale in materia, che merita qualche riflessione più approfondita, al fine di valutare quali richieste un’amministrazione possa far valere nei confronti di un’altra.

Negli anni passati, il giudice amministrativo ha ritenuto non applicabile ai casi di inadempimento di un accordo tra enti pubblici l’art. 2932 c.c. [33], secondo il quale se il soggetto obbligato a concludere un contratto non si presta alla stipulazione, può esservi costretto dall’autorità giudiziaria [34]. L’unica eccezione a questa lettura riguardava l’eventualità in cui gli obblighi nascenti dall’accordo avessero ad oggetto non un facere pubblicistico - a fronte del quale emerge un interesse legittimo - bensì un comportamento privatistico o materiale, dinanzi al quale si sarebbe profilata una posizione di diritto soggettivo [35]. In base a questa lettura, l’art. 2932 c.c. sarebbe stato difficilmente applicabile alle violazioni di accordi tra amministrazioni, per cui il solo rimedio esperibile nei confronti dell’amministrazione inadempiente sarebbe stata l’azione avverso il silenzio rifiuto ex art. 31 c.p.a. [36].

A seguito di altri orientamenti in senso contrario [37], sulla questione si è pronunciata anche l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con la pronuncia n. 28/2012, che ha di fatto legittimato la possibilità per soggetti pubblici e privati di chiedere al giudice amministrativo la condanna all’obbligo di concludere il contratto (ed anche l’accordo) in difetto della sua stipulazione. Il ragionamento della plenaria dovrebbe estendersi anche all’art. 15, legge n. 241/1990, in quanto in un passaggio della sentenza si legge che “il rimedio previsto dall’art. 2932 c.c. a fine di ottenere l’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto, deve ritenersi applicabile [...] in qualsiasi [...] ipotesi dalla quale sorga l’obbligazione di prestare il consenso per il trasferimento o la costituzione di un diritto, sia in relazione ad un negozio unilaterale, sia in relazione ad un atto o ad un fatto dai quali detto obbligo possa sorgere ex lege[38]. Dunque, il Collegio apre ad un’azione di condanna ad un facere, essendo irrilevante se l’accordo violato sia di natura pubblicistica o privatistica, così come sia indifferente la tipologia del soggetto che ha commesso l’inadempimento [39].

Traslando questo ragionamento alla vicenda in oggetto, se il giudice amministrativo ha ammesso la possibilità di richiedere la condanna alla stipulazione di un accordo, a maggior ragione dovrebbe ammettere la richiesta di condanna al facere specifico dell’equa suddivisione dei ricavi, in ossequio ad una convenzione già firmata, salvaguardando così il bene della vita delle controparti (nel caso di specie, gli introiti da suddividere), in coerenza con l’impianto sulle richieste di risarcimento costruito dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 500/1999 [40]. Del resto, l’amministrazione ricorrente [41] - tema non del tutto nuovo [42] - dovrebbe gradualmente beneficiare dei rimedi giurisdizionali offerti dal codice del processo amministrativo e, in particolare, del riconoscimento dell’atipicità dell’azione di condanna, che rappresenta un tassello in più nel percorso - per la verità ancora incompiuto - della civilizzazione del processo amministrativo [43].

Circa i tempi della possibile contestazione, è vero che la mancata condivisione delle risorse da parte del comune di Piombino risale al 2012, per cui le pregresse violazioni non sono più reclamabili. Tuttavia, se l’inadempimento si rinnova alla predisposizione di ogni bilancio, la decadenza dell’azione di condanna non dovrebbe riguardare i versamenti ancora da eseguire [44], anche perché la prescrizione [45] delle pretese del creditore decorre dal momento in cui il credito sorge (cioè, nel momento in cui, periodicamente, dovrebbero essere ripartiti gli utili e, invece, si verifica l’ammanco per gli altri comuni) [46].

Sennonché l’azione di condanna, da un lato, potrebbe consentire di ripartire parte delle risorse pro futuro ma, dall’altro, non servirebbe certamente a rafforzare il principio mutualistico, andando anzi nell’opposta direzione di peggiorare ulteriormente i rapporti tra i comuni.

Se l’obiettivo è quello di conciliare esigenze economiche e mutualità, tentando di ricostruire la perduta sinergia di intenti, non pare questa la strada da intraprendere.

4. ... oppure è opportuno rivedere più profondamente il sistema dei parchi?

A ben vedere, questioni finanziarie e mutualità potrebbero essere più efficacemente salvaguardate con altri metodi, che però richiedono un rinnovamento di sistema ben più profondo.

Le strade percorribili sono più d’una e sono tra loro alternative. Tuttavia, nelle ipotesi in seguito esaminate, senza eccezioni, sembra imprescindibile la volontà di tutti i comuni coinvolti di giungere ad un compromesso, ponendo in secondo piano i propri interessi, perché in mancanza di una comunione di intenti l’esperienza dei parchi della Val di Cornia è destinata ad implodere.

La prima proposta è quella di promuovere una unione di comuni [47], ipotesi per la verità già vagliata in passato (2010), ma che non ha avuto seguito, lasciando il territorio di fatto privo di uno strumento per il coordinamento e la programmazione sovracomunale, anche per quanto riguarda la gestione del sistema dei parchi. La costituzione della nuova forma istituzionale sarebbe invero utile per condividere delle funzioni amministrative e - per quanto in questa sede di maggiore interesse - facilitare la formazione di una strategia condivisa per la valorizzazione della complessità storica e paesaggistica dell’area, riscoprendo quella mutualità che aveva caratterizzato la genesi e l’affermazione dell’esperienza della Val di Cornia [48]. Inoltre, la costituzione dell’unione beneficerebbe anche degli incentivi di cui all’art. 46, l.r. Toscana 27 dicembre 2011, n. 68, il quale destina delle risorse finanziare regionali ai comuni che decidono di perseguire questa strada. Tuttavia, l’incentivo andrebbe confrontato con la prospettiva per gli enti interessati di accettare la condivisione di funzioni, ricavi e spese, ipotesi affatto scontata se solo si ricorda che la mancata suddivisione degli introiti è alla base dell’attuale crisi del sistema. In altre parole, nonostante alcuni lati positivi, l’idea dell’unione rischia di ingenerare false - ed ingenue - aspettative.

La seconda proposta riguarda la costituzione ad opera della regione di un parco regionale ai sensi dell’art. 23, legge n. 394/1991, con la creazione del relativo ente parco, al quale demandare la gestione dell’intera area. Questa ipotesi, da un lato, consentirebbe di ricostruire una strategia unitaria, re-immettendo nel sistema il parco di Rimigliano, riportando nel bilancio della società Parchi le entrate delle aree di sosta dei parchi naturali ed agevolando il ritorno ad una più equa ripartizione di ricavi e spese, imponendosi sulle decisioni del singolo ente locale. Dall’altro, però, andrebbe a comprimere il potere urbanistico dei comuni (considerando che le previsioni sarebbero subordinate al piano del parco [49]), facendo venire meno l’approccio originario di pianificazione concertata tra enti. Va comunque ricordato che, al momento attuale, non c’è una effettiva comunione di intenti tra le amministrazioni comunali, peraltro difficilmente recuperabile, per cui non pare fuori luogo tentare un cambio di approccio, deviando verso un progetto di valorizzazione diverso da quello iniziale, ma che potrebbe rivelarsi fruttuoso grazie alla creazione di un ente ad hoc. È però evidente che sarebbe necessaria una presa di posizione forte da parte della politica regionale [50].

Ancora, una terza proposta potrebbe garantire più delle altre sia il mantenimento dell’autonomia decisionale dei comuni sia il rientro di parte delle risorse economiche perse, nonché un rafforzamento del principio mutualistico: la (ri)trasformazione della società in house di gestione dei parchi in società mista. La scelta consentirebbe innanzitutto di ottenere un finanziamento dalla cessione di parte del capitale sociale al privato (socio-operativo), la cui quota deve essere pari almeno al 30% ex art. 17, d.lgs. n. 175/2016. Ma non solo.

Si è sopra ricordato che la costituzione della società in house fu richiesta dal ministero (2007) per legittimare gli affidamenti diretti delle aree di valore archeologico ai sensi dell’art. 115, d.lgs. 42/2004, secondo cui le attività di valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica, se svolte in via diretta, debbono essere attuate per mezzo di strutture organizzative interne alla pubblica amministrazione. La disposizione è stata dunque letta nel senso del ricorso obbligatorio al modello in house, non potendosi qualificare la società mista come un’articolazione interna ad un ente pubblico.

Tuttavia, la posizione andrebbe rivista alla luce dell’art. 17, comma 6, d.lgs. n. 175/2016, il quale deroga all’applicazione delle regole del d.lgs. n. 50/2016 se, sostanzialmente, la società non opera sul mercato in regime di concorrenza e il socio operativo è scelto con gara [51]. La norma consentirebbe, allo stesso tempo, di cedere parte delle quote ad un socio privato interessato - in modo da rinsaldare i bilanci comunali - ma anche di legittimare l’affidamento diretto dei siti culturali, contrariamente a quanto ritenuto dal ministero in passato [52]. Infatti, l’attuale disciplina del modello di società mista non dovrebbe precludere l’affidamento senza gara del servizio [53] perché gli enti territoriali partecipanti svolgerebbero attività coerenti con il perseguimento delle proprie attività istituzionali [54], a condizione che - come ricordato anche dalla giurisprudenza - la scelta del socio privato avvenga con gara ed il servizio sia delimitato con riferimento all’oggetto ed alla durata [55]. La proposta, inoltre, sarebbe coerente anche con alcune prese di posizione nel recente passato da parte del giudice amministrativo, che ha ammesso delle deroghe al principio di concorrenza in ragione della tutela e promozione degli interessi culturali, nonostante la presenza del privato [56].

Per di più, questa soluzione consentirebbe anche di mantenere il servizio nella potestà decisionale dei comuni.

In ultimo, in presenza di persistenti dubbi di natura giuridica (o anche politica) sull’affidamento diretto a favore della società mista, sembrerebbe possibile il ricorso all’art. 112, comma 9, d.lgs. n. 42/2004, che ammette la definizione di accordi pubblico-privati per regolare servizi strumentali destinati alla fruizione e valorizzazione di beni culturali. Procedendo in questo senso, si potrebbe tentare di coinvolgere nel progetto di recupero le imprese del territorio sensibili alla valorizzazione delle risorse culturali e paesaggistiche, in grado di apportare quella visione sistemica ed imprenditoriale che i singoli Comuni sembrano aver perduto. Tuttavia, questa soluzione pone alcune criticità, sia perché i comuni non otterrebbero la liquidità derivante dalla cessione del capitale sociale sia perché si presume più difficoltoso individuare un privato interessato ad aderire all’iniziativa, in mancanza della logica imprenditoriale, tipica dello strumento societario. Occorrerebbe, dunque, stabilire degli incentivi economici per il soggetto parte dell’accordo; il rischio è però che l’erogazione di sussidi economici rievochi l’obbligo dell’evidenza pubblica in luogo della stipula diretta della convenzione [57].

5. Alcuni appunti conclusivi

Per le varie ragioni elencate, il progetto dei Parchi Val di Cornia sta vivendo una profonda crisi di sistema, aggravata in ultimo dalla pandemia, che ha fortemente rallentato il flusso turistico in tutto il Paese. Per avviare una stagione di recupero di questa esperienza estremamente significativa sotto il profilo della valorizzazione ambientale e culturale, è imprescindibile ripristinare quel modello sistemico basato sul principio mutualistico che ha consentito di raggiungere importanti risultati anche nella capacità di autofinanziamento.

Come osservato nel precedente paragrafo, sono diverse le soluzioni astrattamente possibili sul piano giuridico, ma ognuna sconta delle criticità.

Se l’obiettivo finale è quello di ritrovare delle politiche condivise - che servirebbero a riportare nella gestione unitaria tutti i parchi, compreso Rimigliano, e tutte le entrate prodotte dai servizi dei parchi - è prioritario individuare una gestione economicamente efficiente, che convinca tutti i comuni della continuità del progetto, offrendo prospettive concrete per il reperimento delle risorse necessarie.

In verità, i fondi possono essere ottenuti anche con la stipula di contratti di sponsorizzazione ai sensi dell’art. 120, d.lgs. n. 42/2004, a seguito di una procedura di selezione semplificata delle offerte [58], o finanche mediante un accordo con le fondazioni bancarie ai sensi dell’art. 121, realizzabile anch’esso mediante procedure di evidenza pubblica molto flessibili [59]. Queste formule potrebbero assicurare la liquidità necessaria per sostenere determinate attività, ma non garantirebbero da sole la produzione di valore nel tempo, esigenza che invece è stata alla base della costituzione della società nel 1993.

In altre parole, se per incentivare la ricostruzione del principio mutualistico - alla base di efficaci politiche di valorizzazione - occorre fornire ai comuni la prospettiva di maggiori ricavi, sembrerebbe utile dare nuovo impulso ad una forma di gestione di natura imprenditoriale, che consenta al contempo di curare il territorio e produrre risorse.

Per tutti questi motivi, la soluzione più adatta pare quella del modello societario misto, il quale tra le altre cose non sembrerebbe precludere la sottoscrizione di un contratto di sponsorizzazione ex art. 120 [60].

In alternativa, le quote di capitale sociale potrebbero essere acquisite anche dalla regione o dal ministero, se ancora interessati al progetto. L’eventualità sarebbe certamente positiva: la società rimarrebbe in house e, pertanto, si aprirebbero degli spiragli per un eventuale accordo anche con le fondazioni bancarie ex art. 121 [61]. Inoltre, verrebbe mantenuta una governance snella senza enti sovraordinati, ma comunque aperta al contributo della regione e/o del ministero per la migliore pianificazione strategica culturale e l’apporto di qualificate competenze professionali, elementi auspicabili anche al di là del semplice ingresso delle predette amministrazioni nel capitale sociale.

D’altra parte, però, i comuni perderebbero parte della propria autonomia decisionale per la presenza di soci pubblici che rappresentano livelli di governo superiore.

Da qualsiasi angolazione si guardi la vicenda, si tratta di scegliere il male minore.

 

Note

[1] P. Benesperi, Premessa, in Un’impresa per sei parchi. La parchi Val di Cornia S.p.A.: un caso di gestione innovativa del patrimonio culturale e ambientale in Toscana, a cura di A. Casini e M. Zucconi, Milano, Il Sole 24 ore, 2003.

[2] M. Zucconi, Una S.p.A. per i beni culturali e ambientali, in Un’impresa per sei parchi. La parchi Val di Cornia S.p.A.: un caso di gestione innovativa del patrimonio culturale e ambientale in Toscana, cit., pag. 7 ss.

[3] E. Zanchini, Dall’abusivismo al Parco. Storia del Bosco della Sterpaia a Piombino, Milano, Franco Angeli, 2000. L’abuso edilizio fu riconosciuto anche dalla pronuncia Cons. St., sez. IV, 13 dicembre 1993, n. 980.

[4] Sul rapporto tra territorio e paesaggio, G. Sciullo, Territorio e paesaggio (a proposito della legge regionale della Toscana 3 gennaio 2005, n. 1), in Aedon, 2007, 2; sul rapporto tra pianificazione urbanistica ed interessi paesaggistici, S. Civitarese Matteucci, La pianificazione paesaggistica: il coordinamento con gli altri strumenti di pianificazione, in Aedon, 2005, 3.

[5] La possibilità di una contemporanea presenza delle ricchezze ambientali e paesaggistiche all’interno del medesimo sito è ben evidenziata da L. Casini, Oltre la mitologia giuridica dei beni culturali, in Aedon, 2012, 1-2, spec. par. 1.

[6] Sul paesaggio come species del patrimonio culturale, per tutti, G. Piperata, Il paesaggio, in C. Barbati, M. Cammelli, L. Casini, G. Piperata e S. Sciullo, Diritto del patrimonio culturale, Bologna, Il Mulino, 2020, pag. 249 ss.

[7] M. Dugato, Fruizione e valorizzazione dei beni culturali come servizio pubblico e servizio privato di utilità pubblica, in Aedon, 2007, 2.

[8] Sul rapporto tra pianificazione e sviluppo economico, T. Bonetti, Il diritto del “governo del territorio” in trasformazione. Assetti territoriali e sviluppo economico, Napoli, Editoriale scientifica, 2011.

[9] Lo ricorda M. Zucconi, Una S.p.A. per i beni culturali e ambientali, cit., pagg. 8-9.

[10] L’elenco completo dei parchi presenti sul territorio è consultabile all’indirizzo http://www.parchivaldicornia.it/it/i-parchi-2.html. Per un ampio resoconto sull’importanza del sito di Populonia, Materiali per Populonia, vol. 11, (a cura di) V. Di Cola e F. Pitzalis, Pisa, Ets, 2015.

[11] Per tutti, S. Cassese, La nuova costituzione economica, Roma-Bari, Laterza, 2020.

[12] Per un’analisi del modello societario misto degli anni Novanta, M. Cammelli, A. Ziroldi, Le società a partecipazione pubblica nel sistema locale, Rimini, Maggioli, 1999; M. Cammelli, La società per azioni a partecipazione pubblica locale, in Aa.Vv., Servizi pubblici locali e nuove forme di amministrazione (Varenna, 21-23 settembre 1995), Milano, Giuffrè, 1997, pag. 125 ss.; cfr. anche Ente pubblico ed enti pubblici, (a cura di) V. Cerulli Irelli e G. Morbidelli Torino, Giappichelli, 1994.

[13] Con riferimento all’esperienza della Val di Cornia, si vedano le riflessioni di R. Grossi, La normativa sui servizi pubblici locali non industriali, tra socialità e concorrenza: il modello della S.p.A., in Un’impresa per sei parchi. La parchi Val di Cornia S.p.A.: un caso di gestione innovativa del patrimonio culturale e ambientale in Toscana, cit., pag. 25 ss.; L. Barsotti, Premessa, ibidem, pag. 7.

[14] C. Bocci, Il sistema dei parchi della Val di Cornia è un bene comune per l’Italia, in https://agcult.it/a/30553/2021-01-15/il-sistema-dei-parchi-della-val-di-cornia-e-un-bene-comune-per-l-italia.

[15] Il riferimento è evidentemente all’ente parco, istituito al momento della creazione dei parchi nazionali o regionali.

[16] Sul rapporto tra strumenti di pianificazione urbanistica e piano del parco, N. Gullo, Il coordinamento tra la pianificazione dei parchi e delle aree naturali protette e la pianificazione urbanistica, in Riv. giur. urb., 2012, pag. 235 ss.

[17] La convenzione quadro è visibile alla pagina https://www.parchivaldicornia.it/images/societ%c3%a0/convenzione-tra-i-comuni-per-lattuazione-e-la-gestione.pdf.

[18] Per un commento alla norma, C. Barbati, Articolo 115, in, Il codice dei beni culturali e del paesaggio, (a cura di) M. Cammelli, Bologna, Il Mulino, 2007, pag. 456 ss.

[19] Sugli strumenti di valorizzazione culturale, L. Casini, Valorizzazione e gestione, in Diritto del patrimonio culturale, cit., pag. 195 ss. Più risalenti, ma sempre valide le riflessioni di G. Sciullo, Valorizzazione, gestione e fondazioni nel settore dei beni culturali: una svolta dopo il d.lgs. 156/2006?, in Aedon, 2006, 2; C. Barbati, La valorizzazione: gli artt. 101, 104, 107, 112, 115, 119, ibidem, 2008, 3.

[20] La soppressione si è avuta per tramite dell’abrogazione dell’art. 21, commi 1 e 2, d.lgs. n. 267/2000 ad opera dell’art. 1, comma1-ter, d.l. n. 2/2010, conv. in legge n. 42/2010, che ha inserito il comma 185-bis nell’art. 2 della legge n. 191/2009 (legge finanziaria per il 2010).

[21] In violazione dell’art. 12 della convenzione del 2002, che richiede la sottoscrizione di un contratto unico di servizio tra i comuni e la società per la regolazione dei rapporti economici.

[22] Si v. la deliberazione del consiglio comunale del 27 febbraio 2020, n. 6.

[23] Sull’importanza dei beni culturali nello sviluppo socio-economico del Paese, G. Sciullo, I beni culturali quali risorsa collettiva da tutelare - una spesa, un investimento, in Aedon, 2017, 3.

[24] D. Manacorda, Una stagione di ricerche a Populonia e la sua crisi, in Materiali per Populonia, cit., pag. 8.

[25] Si ricordano le iniziative del comune di Piombino prima, ed a quelle del comune di San Vincenzo poi, che ha sottratto il parco di Rimigliano dal sistema. In ultimo, non va dimenticato il già menzionato mancato rinnovo del contratto unico di servizio nel 2020.

[26] Per un approfondimento sul tema, http://www.corriereetrusco.it/2012/02/26/val-di-cornia-le-liste-attaccano-la-tassa-di-soggiorno/.

[27] Ammette la revoca per gli accordi tra amministrazioni ex art. 15, legge n. 241/1990, Cons. St., sez. VI, 20 giugno 2019, n. 4206, il quale però ricorda che tale provvedimento non è ad nutum, dovendosi fondare su sopravvenienze e non su una diversa valutazione di opportunità effettuata alla luce delle medesime circostanze sussistenti al momento della formazione dell’accordo. Sulla revocabilità degli accordi tra amministrazioni, si v. anche Tar Puglia, Lecce, sez. II, 20 dicembre 2014, n. 3141; Tar Sardegna, sez. I, 21 giugno 2012, n. 633.

[28] Tar Toscana, sez. II, 15 luglio 2020, n. 926; Corte Cass., sez. trib., 3 luglio 2015, n. 13738.

[29] Tar Campania, Salerno, sez. I, 18 giugno 2020, n. 688. Tar Sardegna, sez. I, 4 maggio 2020, n. 253.

[30] G. Sicchiero, Art. 1453, in La risoluzione per inadempimento, in Il Codice civile. Commentario, diretto da F.D. Busnelli e fondato da P. Schlesinger, Milano, Giuffrè, 2007, 42-43, individua il fondamento della risoluzione nella rottura del sinallagma tra le prestazioni, che nel caso di specie non pare avvenuta proprio in ragione della continuazione, seppur menomata rispetto agli accordi presi, dei servizi ambientali e culturali.

[31] V. Cerulli Irelli, Note critiche in tema di attività amministrativa secondo moduli negoziali, in Dir. amm., 2003, pag. 217 ss.; M. Renna, Il regime delle obbligazioni nascenti dall’accordo amministrativo, in Dir. amm., 2010, pag. 27 ss.

[32] Per un commento ad ipotesi di ius variandi rispetto alle convenzioni urbanistiche, M. Massa, L’azione ex art. 2932 c.c. davanti il giudice amministrativo: lo sviluppo successivo all’Adunanza Plenaria 28/2012, in Amministrativamente, 2013, 5, 22.

[33] Cons. St., sez. IV, 15 maggio 2002, n. 2636, in Urb. e app., 2002, pag. 1445 ss., con commento di F. Manganaro, Il difficile equilibrio tra autorità e consenso.

[34] La norma viene di regola utilizzata nella compravendita di immobili per obbligare una delle parti ad adempiere a quanto concordato in sede di stipulazione del contratto preliminare.

[35] M. Renna, Il regime delle obbligazioni nascenti dall’accordo amministrativo, cit., pag. 77, in particolare nota 53, in cui l’A. ricorda come Cons. St., n. 2636/2002 abbia negato l’applicabilità dell’art. 2932 c.c. a favore dei privati contro la pubblica amministrazione, in ragione della funzione pubblicistica da essa svolta.

[36] Prima dell’entrata in vigore del codice del processo, così anche Cons. St., sez. VI, 15 maggio 2002, n. 2636; Tar Lazio, Latina, sez. I, 2 agosto 2005, n. 646.

[37] Tar Lazio, Roma, sez. III, 14 giugno 2012, n. 5497.

[38] Ad. plen. n. 28/2012, § 5.4.

[39] A cui può aggiungersi l’azione di condanna al risarcimento dei danni che la controparte potrebbe far valere nel processo a causa dell’inadempimento.

[40] F. Cortese, Autonomia dell’azione di condanna e termine di decadenza, in Giorn. dir. amm., 2017, pag. 662 ss., spec. 667.

[41] M. Delsignore, L’amministrazione ricorrente, Torino, Giappichelli, 2020.

[42] M. Mazzamuto, Liti tra le pubbliche amministrazioni e vicende della giustizia amministrativa nel secolo decimonono, in Dir. proc. amm., 2019, pag. 344 ss.

[43] Il tema è evidentemente molto vasto. Per tutti, in ultimo, si veda L. Ferrara, L’incompiuta civilizzazione del processo amministrativo dieci anni dopo l’approvazione del codice, in Munus, 2020, 3, XXXIII ss.

[44] G. Sicchiero, Art. 1453, cit., pag. 487 ss., evidenzia come l’atteggiamento di chi non fa valere un proprio diritto può suscitare l’affidamento in buona fede del debitore sulla stabilizzazione agli episodi del passato, ma non su quelli futuri in relazione ai quali l’avente diritto comunica cessata la propria patientia.

[45] È noto che l’art. 30 c.p.a. utilizza il termine “decadenza” e non “prescrizione”. Tuttavia, non è escluso che i due termini possano essere utilizzati come sinonimi, benché teoricamente invocanti concetti giuridici diversi. Cfr. A. Marra, Termine di decadenza e azione di condanna risarcitoria, in Dir. proc. amm., pag. 1077 ss., spec. 1082 ss., in commento a Corte cost., 4 maggio 2017, n. 94. Sui problemi legati all’esatta individuazione della decorrenza del termine, M. Ramajoli, Riflessioni critiche sulla ragionevolezza della disciplina dei termini per ricorrere nel processo amministrativo, in Federalismi.it, 2018, 17, pag. 20 ss.

[46] P. Vitucci, Art. 2935. La decorrenza della prescrizione, in La prescrizione, in Il Codice civile. Commentario, diretto da P. Schlesinger, Milano, Giuffrè, 1990, pag. 82 ss.

[47] Sul tema delle unioni, L. Vandelli, Città metropolitane, province, unioni e fusioni di comuni, Rimini, Maggioli, 2014; P. Bilancia, Associazionsimo obbligatorio dei Comuni nelle più recenti evoluzioni legislative, in Federalismi.it, 2012; F. Politi, Dall’Unione alla fusione dei Comuni: il quadro giuridico, in Ist. fed. Quad., 2012, pag. 5 ss.

[48] Sulle funzioni in materia di attività culturali esercitabili dalle unioni di comuni, C. Tubertini, L’assetto delle funzioni locali in materia di beni ed attività culturali dopo la legge 56/2014, in Aedon, 2016, 1.

[49] S. Amorosino, I rapporti tra i piani dei parchi e i piani paesaggistici alla luce del Codice Urbani, in Aedon, 2006, 3.

[50] È vero che questa strada comporterebbe una sovrapposizione degli strumenti di pianificazione ed un aggravio delle procedure amministrative. Nondimeno, potrebbe egualmente rivelarsi utile considerando il fallimento del modello basato sulla progettualità condivisa, auspicando comunque che l’ente parco abbia lo scrupolo di orientare le sue politiche a quel modello di governance che ha garantito in passato la sostenibilità del sistema.

[51] Oltre alla previsione per cui la società mista deve provvedere in via diretta alla realizzazione dell’opera o del servizio in misura superiore al 70% del relativo importo ed il socio privato deve disporre dei requisiti di qualificazione di cui al d.lgs. n. 50/2016.

[52] G. Sciullo, Novità sul partenariato pubblico-privato nella valorizzazione dei beni culturali, in Aedon, 2009, 2, ricorda come questi ragionamenti siano assolutamente estendibili anche ai servizi culturali, grazie alla sentenza Acoset della Corte di giustizia. Al riguardo anche M. Cammelli, Cooperazione, in Aa.Vv., Diritto del patrimonio culturale, cit., 298, sostiene che il modello della società mista sia ammissibile. In effetti, il ministero aveva richiesto la trasformazione in società in house (2007) prima che la Corte di giustizia legittimasse l’affidamento diretto alla società mista con la sentenza Acoset (2008).

[53] H. Bonura e G. Fonderico, Il Testo Unico sulle società a partecipazione pubblica, in Giorn. dir. amm., 2016, pag. 722 ss., spec. 731.

[54] Sul collegamento tra l’ente territoriale socio ed i propri fini istituzionali, G. Caia, La disciplina sulle società a partecipazione pubblica, in Giorn. dir. amm., 2017, pag. 601 ss., spec. 605.

[55] Tar Lazio, Roma, sez. II, 6 luglio 2018, n. 7524; Cons. St., sez. V, 22 marzo 2016, n. 1165. In precedenza, cfr. anche Cons. St., Ad. plen., 3 marzo 2008, n. 1. Sulla durata del servizio (e della partecipazione), si v. anche V. Varone, Art. 17, in Codice delle società a partecipazione pubblica, (a cura di) G. Morbidelli, pag. 376 ss., spec. 387.

[56] Sul tema A. Giannelli, Il rinnovo in favore del concessionario uscente quale forma di tutela del valore identitario di determinati locali “storici”: dalla dittatura della concorrenza alla dittatura della c.d. eccezione culturale?, in Dir. proc. amm., 2019, pag. 174 ss.

[57] Cons. St., 23 maggio 2015, n. 1552. Nella giurisprudenza contabile, Corte conti sez. centr., 4 maggio 2016, n. 54; Corte conti Veneto, parere 6 aprile 2016, n. 260; Corte conti Veneto, 10 aprile 2019, n. 135; Corte conti Lombardia, parere 17 aprile 2019, n. 146. In letteratura, L. De Rentiis, L’erogazione di contributi, sussidi e/o provvidenze da parte degli enti locali in favore di soggetti terzi, in Azienditalia, 2017, pag. 562 ss.

[58] Per un’analisi, L. Casini, Valorizzazione e gestione, cit., pag. 242 ss.

[59] Id., op. cit., pag. 245.

[60] A differenza dell’art. 121, riferibile ai soli enti pubblici territoriali, l’art. 120 ammette come firmatario della sponsorizzazione qualsiasi soggetto pubblico, qualifica che potrebbe estendersi anche ad una società mista con capitale pubblico maggioritario che non operi sul mercato.

[61] Rileva M. Cammelli, Art. 121, in Il codice dei beni culturali e del paesaggio, cit., pag. 488, che la norma si rivolge agli enti pubblici territoriali. Pertanto, solo per discutere dell’applicabilità della norma anche ad una società, pare quantomeno opportuno che questa sia composta esclusivamente da amministrazioni territoriali.

 

 



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