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Fruizione e valorizzazione dei beni culturali
come servizio pubblico e servizio privato di utilità pubblica [*]

di Marco Dugato

Sommario: 1. Norme sui beni e norme sui servizi. - 2. Valorizzazione in generale e attività di valorizzazione. - 3. Le attività di valorizzazione tra gestione del servizio e gestione delle reti e degli impianti. - 4. La fruizione dei beni di appartenenza pubblica come servizio pubblico in senso stretto.

1. Norme sui beni e norme sui servizi

Nella letteratura giuridica che si è occupata della fruizione e della valorizzazione dei beni culturali dopo la riforma del 2006 sono numerosi i tentativi di qualificazione dei due concetti. Vi è chi ne ha sostenuto la natura di funzioni amministrative e chi ha invece ritenuto di qualificarli come servizi pubblici. Ancora, sono state prospettate sia l'ipotesi secondo la quale valorizzazione e fruizione sarebbero attività distinte e differentemente classificabili, sia l'opposta tesi della riconduzione della fruizione nel più ampio alveo della valorizzazione.

Ciò su cui mi pare non esservi dubbio è che la definizione della loro natura giuridica, quando vi si proceda con l'ottica tradizionale di analisi dei servizi pubblici, diviene un'operazione assai difficile. Chi studi le norme del codice dei beni culturali con atteggiamento sistematico e con le lenti della classificazione tradizionale (funzione, servizio pubblico, attività economica strumentale), avverte un immediato disagio. Le espressioni utilizzate, i valori protetti in via principale, l'attenzione posta più sul momento organizzativo e di tutela che sull'efficienza e sulle modalità di svolgimento dell'attività richiamano più la disciplina sui beni pubblici che quella sui servizi pubblici [1]. Già ad una lettura sommaria, quindi, valorizzazione e fruizione appaiono attinenti all'uso ed alla protezione dei beni pubblici e dei beni privati di pubblica utilità, definendo nuove formule di godimento dei primi e di limitazione all'uso ed alla disponibilità dei secondi, unite dal comune denominatore del rilievo del fine, che, secondo quanto osservato dalla dottrina più recente, ha ormai affiancato e superato l'appartenenza come concetto ordinatore nelle regole sui beni [2].

Se non è difficile individuarne la ragione nel particolare valore intrinseco dei beni oggetto di valorizzazione e fruizione, è pur vero che la scelta di privilegiare le norme sull'organizzazione e la protezione dei beni finisce per confinare ad un ruolo marginale il rapporto con l'utenza e la dinamica relazione tra interesse pubblico, interessi plurimi ed interessi individuali, la cui centralità appare evidente nel dibattito sui servizi pubblici [3].

Il tema è poi strettamente connesso con altri più generali, dei quali non è però qui possibile dare conto. Tra tutti, quello ampiamente indagato della connessione tra valorizzazione e tutela, rilevante non soltanto nella prospettiva del riparto della potestà legislativa tra Stato e regioni ed alla luce del quale sarebbe forse possibile spiegare alcune norme non felicemente formulate [4].

L'iter logico che tenterò di seguire può essere schematizzato in quattro punti: individuazione delle attività; descrizione del loro regime puntuale; individuazione e soluzione delle antinomie, apparenti e reali; tentativo di qualificazione e definizione delle possibili conseguenze. L'obiettivo dell'indagine è quello di dimostrare che, sebbene l'interpretazione più diffusa ed accreditata sia quella che vede nelle norme che trattano delle forme della valorizzazione (artt. 111 e 115) la disciplina delle forme di gestione dei servizi culturali, è possibile giungere ad una soluzione differente, in cui quelle norme debbono essere viste come la disciplina della gestione delle reti e dei beni culturali, mentre le modalità di gestione dei servizi in senso proprio restano disciplinate dall'art. 102 e dalle norme, statali e regionali, dedicate alla gestione dei servizi pubblici locali.

2. Valorizzazione in generale e attività di valorizzazione

"Valorizzazione" è espressione che compare tanto all'art. 6 del Codice, quanto agli artt. 111 e seguenti. Secondo il primo, dedicato alla "valorizzazione del patrimonio culturale", essa "consiste nell'esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso, al fine di promuovere lo sviluppo della cultura". Il suo contenuto si estende anche ad attività specifiche, quali "la promozione ed il sostegno degli interventi di conservazione del patrimonio culturale", nonché "la riqualificazione degli immobili e delle aree sottoposti a tutela compromessi o degradati, ovvero la realizzazione di nuovi valori paesaggistici coerenti ed integrati".

L'art. 111 tratta invece delle "attività di valorizzazione", che "consistono nella costituzione ed organizzazione stabile di risorse, strutture o reti, ovvero nella messa a disposizione di competenze tecniche o risorse finanziarie o strumentali, finalizzate all'esercizio delle funzioni ed al perseguimento delle finalità indicate all'articolo 6. A tali attività possono concorrere, cooperare o partecipare soggetti privati". L'iniziativa volta alla valorizzazione è pubblica o privata. La prima "si conforma ai princìpi di libertà di partecipazione, pluralità dei soggetti, continuità di esercizio, parità di trattamento, economicità e trasparenza della gestione"; la seconda è espressamente definita "attività socialmente utile e ne è riconosciuta la finalità di solidarietà sociale".

Attività distinta è quella della "fruizione", a sua volta scomposta in fruizione degli istituti e dei luoghi della cultura di appartenenza pubblica (art. 102) e in fruizione di beni culturali di proprietà privata (art. 104).

La fruizione dovrebbe poi essere attività distinta dall'utilizzazione, poiché queste ultime appaiono nominate singolarmente e come concetti differenti all'art. 6. Dell'utilizzazione, tuttavia, non si trova alcuna ulteriore definizione nel Codice, né si trova riferimento alcuno al suo contenuto.

Il tentativo di composizione delle disarmonie che parrebbero caratterizzare le norme appena illustrate deve essere preceduto dalla considerazione in merito alla scelta, senz'altro felice, con cui, riguardo ai beni pubblici, il Codice ha sostituito il concetto di proprietà o di dominio con quello di appartenenza. La scelta è certamente opportuna, dando conto dei risultati a cui è recentemente giunta la dottrina e mettendo al centro il tema della destinazione e della vocazione dei beni, anziché quello della natura del titolo giuridico di appartenenza (proprietà o demanio).

Il primo momento critico è offerto all'interprete dalla duplicità dei contenuti che il Codice offre a proposito della "valorizzazione" agli artt. 6 e 111. Il primo lo scompone sostanzialmente in due oggetti principali consistenti nell'esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso; oggetti principali, questi, a cui si aggiungono oggetti strumentali, quali la promozione ed il sostegno degli interventi di conservazione del patrimonio culturale e la riqualificazione degli immobili e delle aree tutelati compromessi o degradati.

In buona sostanza, secondo l'art. 6, la valorizzazione si esprime tanto nell'esercizio di funzioni amministrative, quanto nella definizione delle regole giuridiche (disciplina). Non mi pare possa esservi dubbio sul fatto che la valorizzazione si traduce in un'attività complessa, difficilmente riconducibile ad unità [5]. Certamente, essa non può essere per intero compressa né entro il concetto proprio di funzione amministrativa, né entro quello di servizio pubblico, poiché essa si sostanzia di attività a priori distinte e più ampie. Rivela, invece, una natura eterogenea e composita, fatta di funzioni, servizi, normazione ed altre attività (la riqualificazione di immobili ed aree, la promozione). Unico elemento certo è che la fruizione, secondo la lettera dell'art. 6, ne costituisce parte.

L'oggetto dell'art. 111 è evidentemente più ridotto e circoscritto, ma la distonia su cui molti hanno insistito è, a mio avviso, soltanto pretesa ed apparente. Che di realtà differenti si tratti lo rivelano sia la diversa collocazione sistematica nel codice sia le rubriche degli artt. 6 e 111: la prima, dedicata alla "valorizzazione" in generale; la seconda, alle sole "attività di valorizzazione". Riguardo ai contenuti, mi parrebbe chiaro che la valorizzazione di cui parla l'art. 6 ricomprende sia la disciplina giuridica sia l'esercizio delle funzione, assumendo il ruolo di definire l'indicazione finalistica di entrambe. In altri termini, la disposizione chiarisce il quadro generale entro il quale si svolgono tutti i compiti di valorizzazione, tanto normativi, quanto di regolazione e di amministrazione diretta. Di quel quadro, le attività di valorizzazione di cui all'art. 111 rappresentano l'articolazione di uno soltanto tra i contenuti: le funzioni. Il primo comma specifica che le attività in oggetto si sostanziano nella costituzione e nella organizzazione stabile di risorse, strutture e reti e nella messa a disposizione di competenze e risorse, per iniziativa pubblica (a cui si applicano i principi dettati per l'attività amministrativa) o privata (nel qual caso, l'attività è espressamente definita privata e socialmente utile).

La valorizzazione in generale e le attività di valorizzazione costituiscono dunque differenti concetti, a cui corrispondono differenti istituti e diverse regole.

3. Le attività di valorizzazione tra gestione del servizio e gestione delle reti e degli impianti

Si è detto di come l'art. 111 definisca il contenuto, le finalità e l'iniziativa in merito alle attività di valorizzazione. Il successivo art. 112 detta invece le regole in merito alla definizione delle strategie e degli obiettivi di valorizzazione dei beni di appartenenza pubblica, costruendo complessi meccanismi di collaborazione tra lo Stato, le regioni e gli altri enti territoriali, destinati a sfociare nella stipulazione di accordi che possono coinvolgere anche i privati, quando gli obiettivi strategici comprendano anche beni di appartenenza privata [6].

Al riguardo, vi sono due interessanti previsioni di cui dare conto. Innanzitutto, possono essere stipulati accordi tra lo Stato, le regioni, gli altri enti pubblici territoriali e i privati interessati, per regolare anche i servizi strumentali comuni destinati alla fruizione e alla valorizzazione di beni culturali. Con gli accordi "possono essere anche istituite forme consortili non imprenditoriali (sic!) per la gestione di uffici comuni"; uffici comuni anche ai privati, quindi. In secondo luogo, "lo Stato, per il tramite del ministero e delle altre amministrazioni statali eventualmente competenti, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali possono costituire, nel rispetto delle vigenti disposizioni, appositi soggetti giuridici cui affidare l'elaborazione e lo sviluppo dei piani" strategici di sviluppo culturale.

E' l'art. 115 a regolare poi le forme di gestione delle attività di valorizzazione dei beni culturali pubblici [7]. Innovando significativamente rispetto all'esperienza precedente [8], esse si riducono di fatto a due: la gestione diretta, svolta per mezzo di strutture organizzative interne alle amministrazioni, dotate di adeguata autonomia scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile, e provviste di idoneo personale tecnico (eventualmente organizzate in forma consortile pubblica) [9]; la gestione indiretta, attuata tramite concessione a terzi delle attività di valorizzazione, anche in forma congiunta e integrata, da parte delle amministrazioni cui i beni appartengono.

Notato che i privati che eventualmente partecipano ai soggetti di diritto privato incaricati della definizione dei piani strategici non possono comunque essere individuati quali concessionari delle attività di valorizzazione, resta da dire che la conclusione circa la modalità indiretta di gestione non può che dipendere dalla qualificazione delle attività stesse. Così, se l'attività di valorizzazione è qualificata come servizio pubblico, la gestione indiretta integra ovviamente l'ipotesi di concessione di pubblico servizio. Qualora la si ritenesse invece una funzione amministrativa, nel caso di attribuzione della stessa a privati, si dovrebbe parlare di una vera e propria esternalizzazione delle funzioni, secondo una tipologia in buona parte originale rispetto a quelle ben illustrate da una recente dottrina [10] e con tutti i problemi autorevolmente posti in luce [11].

In verità, sono proprio l'analisi della disciplina dettata dall'art. 115 ed il raffronto con quella ordinaria e generale dettata in merito alla gestione dei servizi pubblici in generale a generare dubbi in merito al reale contenuto ed al vero oggetto delle forme di gestione delle attività di valorizzazione.

Volendo prescindere dal dato strettamente lessicale, che pure induce a ritenere che "valorizzare" sia cosa diversa dal "gestire", resta il fatto che il contenuto dell'art. 115 sembra descrivere le attività di valorizzazione più come attività di gestione e valorizzazione di beni che non come forme di effettiva gestione di servizi [12]. Infatti, l'accento è posto sulla costituzione e sull'organizzazione delle risorse, delle "strutture e reti" propedeutiche allo svolgimento delle vere e proprie attività di servizio, laddove, qualora l'intenzione fosse stata davvero quella di regolare la gestione dei servizi, sarebbe stato più logico attendersi meno attenzione per il momento organizzativo dei beni e maggiore attenzione per quello di erogazione dell'attività (come accade, invece, per i servizi aggiuntivi di cui all'art. 117 [13]).

Del resto, confrontando la disciplina dettata dall'art. 115 del Codice con quella prevista dall'art. 113 decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, la tecnica di redazione e la formulazione del primo sembra corrispondere più a quella dei commi 3 e 4 del secondo (che recano le regole per la proprietà e la gestione delle reti e degli impianti indispensabili all'erogazione dei servizi locali aventi rilevanza economica), che non a quella del comma 5 (che disciplina invece la gestione dei servizi). Il che appare più che logico, visto che oggetto di protezione è il bene in sé, giudicato di alto valore intrinseco, a prescindere dall'indirizzo della sua gestione. Gli utenti e i destinatari delle attività restano invece sullo sfondo, al contrario di quanto ci si dovrebbe attendere da una norma moderna sulla gestione di servizi pubblici.

Peraltro, così ragionando e classificando le norme sulle attività di valorizzazione come norme sulla gestione dei beni e non dei servizi culturali, si finisce col dover ammettere che accanto ad esse vi sia poi un'attività di effettiva erogazione del servizio, di cui il Codice apparentemente non tratta. Come si è detto, l'interpretazione prevalente muove in diversa direzione, ritenendo che, dopo la definizione delle linee strategiche di valorizzazione, vi sia spazio soltanto per la gestione dei servizi pubblici (le attività di valorizzazione, appunto) e la conduzione dei servizi aggiuntivi. A me pare, invece, che tanto la lettera quanto il contenuto precettivo dell'art. 115 assegnino un autonomo spazio al livello della gestione dei beni che costituiscono l'indefettibile presupposto del servizio in senso proprio. Ciò, come accade con riferimento a tutti i servizi la cui erogazione si lega a beni che hanno valore in sé e che meritano protezione e regolazione indipendentemente dallo svolgimento dei servizi stessi [14].

Singolarmente, accedendo all'impostazione ora descritta, il risultato classificatorio potrebbe non cambiare. Infatti, posto che la soluzione più comunemente accettata classifica le attività di valorizzazione come servizio pubblico [15], non vi è dubbio che anche l'attività di gestione dei beni, delle reti e degli impianti debba avere la medesima qualificazione, come è stato posto in evidenza a proposito della gestione delle reti nei servizi pubblici locali con rilevanza economica [16]. Quel che la soluzione qui proposta impone invece di approfondire è la questione dell'effettiva gestione del servizio pubblico inteso in senso stretto; dell'erogazione dell'attività all'utenza finale, quindi. Infatti, se la disciplina degli artt. 111 e 112 è dedicata alla gestione dei beni, restano da definire le regole che governano l'erogazione dell'attività verso i fruitori del servizio. Il punto rappresenta, evidentemente, il nodo cruciale con riferimento alla soluzione qui proposta. Al riguardo, mi sembrano darsi due casi: o si individuano nel Codice le norme applicabili a quest'ultima attività o si riconosce che esso nulla dice al riguardo, dovendosi quindi ritenere che le forme di gestione del servizio siano quelle proprie dei servizi pubblici in generale [17].

A mio avviso, è possibile sostenere che l'attività di erogazione all'utenza coincida con quella che il Codice definisce "fruizione degli istituti e dei luoghi della cultura di appartenenza pubblica", disciplinata all'art. 102 [18]. La lettura della norma, infatti, pone in evidenza proprio il riguardo per gli effetti dell'attività nei confronti dei fruitori (degli utenti, quindi) del servizio, che si è detto mancare nella disciplina di cui all'art. 115. Tuttavia, poiché nell'art. 102 manca l'individuazione delle forme di gestione della fruizione, non resta che operare, con riferimento a queste, un rinvio alle norme generali sulla gestione dei servizi, di volta in volta distinguendo in merito alla titolarità del bene e del servizio, in armonia con quanto disposto dal primo comma dell'art. 102 ("lo Stato, le regioni, gli altri enti pubblici territoriali ed ogni altro ente ed istituto pubblico, assicurano la fruizione dei beni presenti negli istituti e nei luoghi indicati all'articolo 101", nel rispetto dei principi fondamentali fissati dal Codice) [19].

4. La fruizione dei beni di appartenenza pubblica come servizio pubblico in senso stretto

E' dunque possibile definire la fruizione dei beni di appartenenza pubblica in chiave di servizio pubblico in senso proprio [20]. Nella soluzione che si è prospettata, essa appare senz'altro ricompresa nel concetto generale di valorizzazione di cui all'art. 6, ma distinta ed autonoma rispetto alla fattispecie dell'attività di valorizzazione così come la disegna l'art. 111. Mentre quest'ultima consisterebbe nella regolazione e nella gestione dei beni e delle reti culturali, la fruizione costituirebbe la gestione del servizio pubblico culturale in senso stretto.

D'altro canto, accedendo all'opinione maggioritaria e non ritenendo convincente la conclusione qui raggiunta, diviene difficile descrivere con sufficiente precisione la relazione tra valorizzazione e fruizione, di cui il Codice non dà alcuna definizione esplicita e per la cui disciplina opera, almeno per i beni presenti negli istituti e nei luoghi della cultura non appartenenti allo Stato o dei quali lo Stato abbia trasferito la disponibilità, un rinvio alla legge regionale (art. 102, comma 2). Non solo. Poiché mancano regole espresse circa le modalità di gestione della fruizione, è soltanto attraverso la sua classificazione come servizio pubblico che è possibile definirne il regime giuridico, applicando le norme generali sui servizi. Così facendo, peraltro, se si vuole davvero attribuire contenuto proprio alla fruizione, allora non si può che fare riferimento alla gestione dell'attività verso l'utenza, riconoscendo alla valorizzazione quel ruolo di regolazione e gestione dei beni di cui si è detto.

Differentemente, si finisce fatalmente per negare alla fruizione un contenuto autonomo da quello delle attività di valorizzazione e per farne, in sostanza, un mero contenuto di quest'ultima; una sua parte organica o un suo elemento costitutivo.

Quel che è certo è che la disciplina del Codice ruota intorno ad un intricato allacciarsi del piano della gestione dei beni con quello della produzione di attività e servizi verso gli utenti (i fruitori). Non è caratteristica propria del solo ambito dei servizi culturali. Richiamando ancora una volta la disciplina generale dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, è evidente come il legislatore abbia considerato di assoluta importanza la definizione delle regole per la gestione dei beni necessari all'esercizio delle utilities. E' però vero che in tutte le ipotesi di servizi "a rete", i beni, per quanto rilevanti in se, sono comunque considerati e regolati nella loro funzione servente, strumentale rispetto al servizio, che resta il vero "cuore" della disciplina pubblicistica. In tal senso e secondo i casi, il legislatore può decidere di regolarli insieme al servizio, ovvero di dedicare loro una disciplina propria e specifica; allo stesso modo, può attribuirne proprietà e gestione al soggetto incaricato della conduzione del servizio, ovvero tenere distinte le prime dall'ultima. Nell'ipotesi di separazione dei beni dal servizio, poi, l'attenzione del legislatore è certo volta a di dettare le regole per la conservazione del bene, per la sua manutenzione e per favorire gli investimenti volti all'ammodernamento dei beni e degli impianti strumentali. Ciò non toglie, tuttavia, che i caratteri distintivi della disciplina siano l'orientamento all'utenza e la soddisfazione di bisogni collettivi primari che non possono essere soddisfatti mediante la semplice conservazione dei beni, ma che richiedono lo svolgimento di attività sostanzialmente economiche e d'impresa e che costituiscono il servizio pubblico in senso stretto.

Nelle regole che il Codice detta agli articoli 111, 112 e 115, invece, appare chiara la dominanza del bene, la cui tutela assorbe ogni regola organizzativa, a dispetto dell'attività all'utenza. La scelta che ne consegue è dunque tra ritenere che l'attività di valorizzazione descritta dall'art. 111 coincida con il servizio culturale in senso proprio (e che le norme sulle forme di gestione di cui all'art. 115 siano tutto ciò che il legislatore ha inteso dedicare al momento dell'erogazione del servizio), o ritenere che essa sia invece più propriamente classificabile come attività di gestione dei beni culturali, rinvenendo nella fruizione l'attività di erogazione all'utenza del servizio e nelle norme generali sulla gestione dei servizi pubblici la disciplina delle sue forme di conduzione.

Sotto il profilo della classificazione dell'attività, come già si è detto, non mi pare che accedere all'una o all'altra tesi cambi la natura della valorizzazione. Sia che la si definisca come attività di gestione dei beni, sia che la si ritenga attività di erogazione di prestazioni all'utenza, essa si configura come servizio pubblico in senso proprio [21].

Del resto, che di servizio si tratti e non di funzione mi parrebbe confermato dalla disciplina degli accordi per la definizione delle strategie di valorizzazione (art. 112, comma 4), per la cui elaborazione possono essere costituiti soggetti giuridici di diritto privato (comma 5) a cui possono partecipare anche organismi non lucrativi privati (comma 8).

In sintesi, il complesso quadro normativo descritto dal Codice costruisce un'articolata piramide che muove dalla valorizzazione-ambito dell'art. 6, passa per la definizione delle attività e delle strategie di valorizzazione (artt. 111 e 112) e della gestione dei beni culturali e delle loro reti (art. 115), per scendere infine alla gestione dei servizi culturali in senso stretto (la fruizione dell'art. 102 con il rinvio alle norme sulla gestione dei servizi locali di rilevanza economica) ed alla gestione dei servizi accessori ed aggiuntivi (art. 117) [22].

 

 

Note

[*] In questo scritto sono riportate le considerazioni svolte nella relazione tenuta al convegno "Modelli di composizione degli interessi nella tutela e nella valorizzazione del patrimonio culturale", Padova, 18 e 19 maggio 2007, organizzato dall'Associazione Italiana di Diritto Urbanistico e dalla Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Padova.

[1] Un disagio corrispondente a quello avvertito sotto il differente profilo della gestione dei luoghi della cultura contrapposta alla gestione dei beni culturali da M. Renna, I beni museali (privati ed ecclesiastici) nel Codice dei beni culturali e del paesaggio, in Aedon, n. 1/2005.

[2] M. Renna, La regolazione amministrativa dei beni a destinazione pubblica, Milano, 2004, spec. pp. 109 ss.; A. Lolli, I beni pubblici per destinazione: formazione ed estinzione della fattispecie, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1997, pp. 629 ss.; Id., Proprietà e potere nella gestione dei beni pubblici e dei beni di interesse pubblico, in Dir. amm., 1996, pp. 51 ss.; M. Dugato, Il regime dei beni pubblici: dall'appartenenza al fine, in Valori e principi del regime repubblicano, 2. Diritti e libertà, a cura di S. Labriola, Bari, 2006, pp. 219 ss.

[3] Il rilievo dell'organizzazione nell'attività di valorizzazione è posto in evidenza da M. Ainis e M. Fiorillo, I beni culturali, in Trattato di diritto amministrativo, diretto da S. Cassese, Parte Speciale, vol. II, Milano, 2003, p. 1479.

[4] Dei problemi interpretativi legati all'infelice formulazione delle norme, G. Sciullo, I servizi culturali dello Stato, in Giornale dir. amm., 2004, p. 402. Come giustamente rileva G. Clemente di San Luca, La elaborazione del "diritto dei beni culturali" nella giurisprudenza costituzionale, in Aedon, n. 1/2007, a chiarire il rapporto tra tutela e valorizzazione non ha contribuito in modo significativo la Corte costituzionale. Sul rapporto tra tutela e valorizzazione, S. Cassese, I beni culturali: dalla tutela alla valorizzazione, in Giornale dir. amm., pp. 673 ss. E. Follieri, Le disposizioni generali, in Il diritto dei beni culturali e del paesaggio, a cura di E. Follieri, vol. I, Napoli, 2005, p. 44, parla della funzione ancillare della valorizzazione rispetto alla tutela.

[5] La complessità della valorizzazione descritta dall'art. 6 è ben descritta da D. Vaiano, Sub art. 6, in Commentario al Codice dei beni culturali e del paesaggio, in NLCC, a cura di G. Trotta, G. Caia, N. Aicardi, 2005, pp. 1083 ss., che parla di "attività-funzione".

[6] Sul punto, L. Zanetti, Sub art. 112, in Il codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M. Cammelli, Bologna, II edizione, 2007; G. Severini, Sub art. 112, in Il codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M. A. Sandulli, Milano, pp. 731 ss.

[7] C. Barbati, Le forme di gestione, in Il diritto dei beni culturali, a cura di C. Barbati, M. Cammelli, G. Sciullo, Bologna, 2006, pp. 193 ss.

[8] Al cui riguardo, D. Vaiano, Sub art. 115, in Commentario, cit., a cura di G. Trotta, G. Caia, N. Aicardi, pp. 1453 ss., che, già con riferimento al testo precedente la riforma del 2006, metteva in evidenza l'infelice alternanza di attività di valorizzazione e forme di gestione.

[9] Come la formulazione dell'art. 115 in merito alla gestione diretta sia ambigua e dia origine a molti dubbi è stato posto in luce da G. Sciullo, Valorizzazione, gestione e fondazioni nel settore dei beni culturali: una svolta dopo il d.lg. 156/2006?, in Aedon, n. 2/2006, che conclude affermando che "è da pensare che la formulazione dell'art. 115, comma 2, disciplinante le ipotesi di gestione diretta, sia da reputarsi non tassativa e perciò tale da non escludere una sua interpretazione estensiva in grado di comprendere anche il caso in cui alle fondazioni (e in genere ai soggetti costituiti ex art. 112, comma 5) sia stato conferito in uso il bene della cui valorizzazione si tratta".

[10] A. Maltoni, Il conferimento di potestà pubbliche a privati, Torino, 2005, spec. pp. 160 ss.; G. Piperata, Le esternalizzazioni nel settore pubblico, in Dir. amm., 2005, pp. 963 ss.

[11] M. Cammelli, Decentramento e "outsourcing" nel settore della cultura: il doppio impasse, in Dir. pubbl., 2002, pp. 261 ss.

[12] S. Foà, Forme di gestione (art. 115), in Aedon, n. 1/2004, opportunamente osserva che "La gestione viene intesa come attività servente alla valorizzazione, chiarendo alcuni dubbi interpretativi sollevati dalle definizioni del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 in relazione all'assetto delle competenze amministrative. In particolare la gestione dei beni è intesa come gestione delle attività di valorizzazione ad iniziativa pubblica".

[13] Con riferimento ai quali, si veda A.L. Tarasco, Sub art. 117, in Commentario al codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di G. Leone e A.L. Tarasco, Padova, 2006, pp. 737 ss.

[14] Sul rapporto tra valore intrinseco del bene ed attività economica legata al suo utilizzo, S. Settis, Battaglie senza eroi, I beni culturali tra istituzioni e profitto, Milano, 2005, pp. 141 ss., e V. Cerulli Irelli, Utilizzazione economica e fruizione collettiva dei beni, in Annuario 2003 dell'Associazione dei professori di diritto amministrativo, Milano, 2004, pp. 3 ss.

[15] Classificano l'attività di valorizzazione come servizio pubblico S. Mele, Valorizzazione, fruizione ed uso dei beni culturali, in Il diritto dei beni culturali e del paesaggio, cit., p. 276; S. Piemonte, Sub art. 115, in Commentario al Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di A. Angioli e V. Caputi Jambrenghi, Torino, p. 289. La ritiene una funzione amministrativa L. Casini, Valorizzazione e fruizione dei beni culturali, in Giornale dir. amm., 2004, p. 479.

[16] Sul punto, sia consentito il rinvio a M. Dugato, Proprietà e gestione delle reti nei servizi pubblici locali, in Riv. trim. app., 2003, pp. 51 ss., e a M. Dugato, I servizi pubblici locali, in Trattato di diritto amministrativo, cit., Parte Speciale, vol. III, pp. 2592 ss.

[17] Eventualmente concludendo per la loro atipicità con G. Piperata, Tipicità e autonomia nei servizi pubblici locali, Milano, 2005.

[18] Del resto, il tema complesso della gestione dei beni culturali non è stato affrontato ex professo dal legislatore costituzionale del 2001 che, come sottolinea G. Clemente di San Luca, La elaborazione, cit., "nel novellato art. 117, mentre fa parola della tutela e della valorizzazione, non menziona la gestione. L'omissione ha offerto a dottrina e giurisprudenza lo spazio per avanzare diverse soluzioni interpretative, rendendosi necessario riconsiderare la tricotomia di funzioni (rectius: compiti) tutela/gestione/valorizzazione adottata dal legislatore del 1998".

[19] Ne consegue che per i beni di appartenenza degli enti locali, la disciplina delle forme di gestione sarà composta tanto dalle norme del d.lg. 267/2000, quanto dalle norme regionali. Ciò, nel rispetto di quanto eventualmente previsto negli accordi posti in essere ai sensi del quarto comma dell'art. 102 "al fine di coordinare, armonizzare ed integrare la fruizione relativamente agli istituti ed ai luoghi della cultura di appartenenza pubblica". Classificando i servizi culturali come servizi privi di rilevanza economica, il quadro normativo di riferimento andrebbe definito con riferimento all'intervenuta abrogazione dell'art. 113-bisdel Testo Unico degli enti locali ad opera della sentenza 27 luglio 2004, n. 272 della Corte costituzionale, secondo l'autorevole interpretazione di G. Sciullo, Gestione dei servizi culturali e governo locale dopo la pronuncia 272 del 2004 della Corte costituzionale, in Aedon, n. 3/2004. Osserva giustamente C. Barbati, Sub art. 115, in Il codice dei beni culturali e del paesaggio, cit., a cura di M. Cammelli, qualora si preferisca qualificarli come servizi con rilevanza economica, il riferimento sarà alle forme di gestione dell'art. 113 Tuel. Tra gli autori che pongono in evidenza la rilevanza economica dei servizi culturali, G. Piperata, I servizi culturali nel nuovo ordinamento dei servizi degli enti locali, in Aedon, n. 3/2003. Per la rilevanza economica dei servizi culturali, Tar Lazio, Roma, II, 23 agosto 2006, n. 7373, con nota di P. Michiara, Considerazioni sulla nozione di valorizzazione dei beni culturali, in Aedon, n. 1/2007, il quale, pur condividendo la soluzione, mette in luce l'eccessiva rapidità con la quale il giudice ha affrontato alcuni nodi centrali nel processo di classificazione della nozione. Sembra definire i servizi culturali come servizi locali in senso economico anche G. Pastori, Tutela e valorizzazione dei beni culturali in Italia: situazione in atto e tendenze, in Aedon, n. 3/2004, laddove afferma che "la valorizzazione che guarda al bene come risorsa e come servizio pare essere soprattutto azione da svolgere prevalentemente in sede regionale e locale a cura delle corrispondenti istituzioni di governo, pur sempre con l'apporto delle necessarie strutture tecnico-professionali, nell'ambito di indirizzi e scelte di sviluppo sociale ed economico".

[20] Quella relativa ai beni culturali di appartenenza privata è senz'altro disegnata dall'art. 103 del Codice come vincolo alla disponibilità del bene.

[21] M. Dugato, Proprietà e gestione delle reti, cit., 2003, pp. 51 ss.

[22] Sulla relazione tra la gestione dei servizi pubblici culturali e quella dei servizi aggiuntivi, si vedano le condivisibili osservazioni di P. Michiara, Considerazioni sulla nozione, cit. In verità, la piramide potrebbe ulteriormente articolarsi nell'ulteriore gradino dell'uso dei beni, la cui contiguità alla fruizione è stata indagata da M. Brocca, La disciplina d'uso dei beni culturali, in Aedon, n. 2/2006.

 



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