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Patrimonio dello Stato Spa: i compiti

di Sergio Foà


Sommario: 1. Oggetto sociale e disciplina speciale dei beni culturali e ambientali. - 2. Valorizzazione, gestione e alienazione del patrimonio per risanare la finanza statale. Rapporti tra Patrimonio dello Stato Spa e Infrastrutture Spa. - 3. Operazioni di cartolarizzazione ed esigui margini di redditività.



1. Oggetto sociale e disciplina speciale dei beni culturali e ambientali

L'art. 7, primo comma, della legge 15 giugno 2002, n. 112, di conversione del decreto legge 15 aprile 2002, n. 63, istituisce la "Patrimonio dello Stato" Spa per provvedere alla "valorizzazione, gestione ed alienazione del patrimonio dello Stato (...) nel rispetto dei requisiti e delle finalità propri dei beni pubblici".

Lo svolgimento di tali attività definisce l'oggetto sociale; le altre attribuzioni di competenza dovrebbero essere espressione degli stessi compiti, rappresentandone particolari forme di manifestazione. Così la possibilità di acquistare diritti su beni immobili pubblici secondo le modalità e i valori di trasferimento (...) definiti con decreto del ministro dell'Economia e delle Finanze; il potere di effettuare operazioni di cartolarizzazione ai sensi della legge 23 novembre 2001, n. 410 e la possibilità di trasferire i propri beni e diritti "esclusivamente a titolo oneroso" alla società "Infrastrutture Spa" istituita dall'art. 8 della stessa legge (art. 7, commi 10-12, l. 112/2002).

La definizione degli ambiti di competenza è arricchita dall'art. 4 dello statuto che riprende l'elencazione legislativa, accostando significativamente il rispetto dei requisiti e delle finalità dei beni pubblici al rispetto degli indirizzi strategici stabiliti dal ministero dell'Economia e delle Finanze sulla base delle "direttive di massima" adottate dal Cipe. A tali previsioni di carattere generale la stessa disposizione statutaria aggiunge il riconoscimento - invero ultroneo - della capacità di stipulare convenzioni con gli enti pubblici (non solo territoriali) ed una elencazione molto ampia di attività ritenute funzionali al perseguimento dell'oggetto sociale. Lo stesso articolo in chiusura riconosce alla società la capacità di compiere tutte le operazioni mobiliari, immobiliari e finanziarie di natura "strumentale" per il raggiungimento dell'oggetto sociale.

Se tale risulta, in estrema sintesi, il quadro normativo di riferimento, occorre interrogarsi in merito ai relativi effetti sul regime giuridico dei beni culturali e sull'esercizio delle funzioni serventi alla loro cura, ricordando che proprio tali beni hanno sollevato le più delicate questioni nella formulazione del testo ed hanno sollecitato l'approvazione di importanti emendamenti in sede di conversione del decreto legge [1].

Per i beni culturali sembra che le attività di valorizzazione e di gestione finiscano per concentrarsi ed esprimersi nelle operazioni di "trasferimento", da intendersi riferite sia al diritto di proprietà sia ai diritti acquistabili dalla società sugli immobili pubblici ai sensi dell'art. 7, comma 10, della legge in esame. In effetti tale disposizione si preoccupa di prevedere un regime particolare per il "trasferimento" di beni "di particolare valore artistico e storico", imponendo la previa intesa con il ministro per i Beni e le Attività culturali e chiarendo che "il trasferimento non modifica il regime giuridico previsto dagli articoli 823 e 829, primo comma, cod. civ., dei beni demaniali trasferiti e, sino al termine di scadenza, i diritti di godimento spettanti a terzi".

Si tratta a ben vedere di una specificazione, per quella particolare categoria di beni, del vincolo al "necessario rispetto dei requisiti e delle finalità proprie dei beni pubblici", che è stato aggiunto in sede di conversione al testo del decreto legge. Come notato dal Presidente della Repubblica in sede di promulgazione della legge, l'intento garantistico è minacciato dalla contraddizione interna alla stessa disposizione, che per disciplinare il trasferimento richiama l'art. 3 della l. 410/2001, in forza del quale i beni passerebbero al patrimonio disponibile [2]. Un'interpretazione tesa a salvare la disposizione dovrebbe privilegiare il carattere speciale della disciplina riservata ai beni culturali, che dunque dovrebbe prevalere su quella generale dettata dalla l. 410/2001.

Già ad una prima lettura dell'art. 7, comma 10, l. 112/2002, sorgono alcune perplessità: in primo luogo sono soggetti a tale particolare regime i beni di "particolare valore artistico e storico" ed agli stessi si fa riferimento come se coincidessero con la categoria dei beni del demanio culturale. In tal modo si dimentica che, se si intende utilizzare la terminologia del codice civile, l'art. 822, secondo comma, qualifica demaniali "gli immobili riconosciuti d'interesse storico, archeologico e artistico a norma delle leggi in materia (...)", e l'art. 2 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 prevede una ulteriore distinzione tra "cose immobili (...) che presentano interesse artistico, storico, archeologico o demo-etno-antropologico" e "cose immobili che, a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell'arte e della cultura in genere, rivestono un interesse particolarmente importante". Come noto e come discende dalla stessa lettera della legge, i presupposti per il riconoscimento del rispettivo interesse culturale sono differenti, così come differisce l'intensità dell'interesse rilevante a ricondurre le due tipologie di beni nel novero dei beni tutelabili. Non risulta agevole comprendere a quale categoria di beni culturali il legislatore del 2002 faccia riferimento, specie se si richiama il regolamento di attuazione della legge 23 dicembre 1998, n. 448 sui procedimenti di alienazione - d.p.r. 7 settembre 2000, n. 283 -, che dichiara inalienabili i beni di interesse culturale storico di cui all'art. 2, primo comma, lett. b), d.lg. 490/1999 (art. 2 d.p.r. 283/2000), cioè proprio i beni che per essere tutelati impongono l'accertamento di un "particolare" interesse [3]. Se ne dovrebbe desumere l'alienabilità dei soli beni di rilevante interesse artistico, così contraddicendo il contenuto della previsione che si commenta. Si potrebbe allora argomentare la volontà del legislatore di abrogare la disciplina previgente, ampliando l'area dei beni alienabili.

Il legislatore non si occupa espressamente dei beni culturali appartenenti al patrimonio indisponibile dello Stato, tra i quali rientrano gli immobili di pregio artistico-storico adibiti ad uffici o servizi di pertinenza delle pubbliche amministrazioni. Non se ne occupa in modo distinto rispetto alla generalità dei beni trasferibili probabilmente perché non si tratta di beni di "particolare" valore artistico e storico (diversamente rientrerebbero infatti tra i beni demaniali) ed il loro trasferimento non richiede conseguentemente la previa intesa con il ministro per i Beni e le Attività culturali. Potrebbe essere utile, al riguardo, ricordare che già qualche decennio orsono tali beni venivano classificati "a destinazione aziendale" per contrapporli ai beni a "destinazione nazionale", identificati nei beni demaniali [4].

La direttiva Cipe del 19 dicembre 2002, al fine di orientare la definizione degli indirizzi strategici del ministero dell'Economia e delle Finanze, forse con l'intento di superare le lacune e le imprecisioni del testo legislativo, sottolinea a più riprese l'obbligo della società di osservare "tutte le forme di tutela" (punto 3) o "tutte le tutele" (punto 1) previste per la difesa del demanio e del patrimonio indisponibile, ponendo "particolare attenzione alla tutela dei beni di valore artistico, storico, paesistico ed ambientale". La stessa direttiva afferma che il trasferimento di tali beni alla società non modificherà i vincoli gravanti e la loro alienazione, ai sensi della normativa vigente, richiederà sempre la previa autorizzazione del ministero per i Beni e le Attività culturali o del ministero per l'Ambiente e la Tutela del territorio (punto 3).

Conseguono all'adozione della direttiva ulteriori motivi di perplessità: anzitutto una "direttiva di massima" - come la definisce il legislatore - non può spingersi fino al punto di integrare il dettato legislativo ed aggiungere ambiti di competenza non previsti. Ed invece basta notare che è proprio la direttiva a sanare l'omissione del riferimento ai beni culturali del patrimonio indisponibile; ed è ancora la direttiva ad ampliare l'ambito dei beni soggetti a forme particolari di tutela trasferibili alla società. Un ampliamento poco preciso, visto che al punto 3 si aggiungono ai beni di particolare valore storico e artistico, già previsti dal legislatore, anche i beni di particolare valore culturale e ambientale; mentre al punto successivo i beni aggiunti diventano quelli di particolare valore paesistico e ambientale. Nel primo caso, sembra prevalere l'intento di ampliare al massimo la categoria dei beni culturali alienabili, evidentemente in deroga o con intento abrogativo della legislazione previgente; nel secondo caso scompare il riferimento al particolare valore culturale per lasciare spazio ai beni paesaggistici; in entrambi i casi - e questa è la nota degna di maggior rilievo - entrano in scena i beni ambientali. L'unica accezione di "beni ambientali" che in questo ambito può essere giustificata, atteso che si tratta della disciplina del trasferimento, è quella dei beni paesaggistici e delle bellezze naturali, escludendo i beni naturalistici.

L'inclusione dei beni "ambientali" - così definiti - tra quelli assoggettati al particolare procedimento di trasferimento alla società è frutto di una forzatura al testo della legge. Posto che non si può argomentare una coincidenza tra le due tipologie di beni, l'unica argomentazione che si può addurre a sostegno di tale assimilazione si fonda sulla pronuncia della Corte costituzionale secondo cui la tutela del bene culturale è contemplata nel testo costituzionale insieme a quella del paesaggio e dell'ambiente come espressione di principio fondamentale unitario dell'ambito territoriale in cui si svolge la vita dell'uomo, e tali forme di tutela costituiscono un'endiadi unitaria (Corte costituzionale, ord. 26 novembre 2002, n. 478; in precedenza sentenze n. 378 del 2000 e n. 85 del 1998). Il fatto che la tutela delle due tipologie di beni abbia una radice comune ha indotto a prevedere anche per il trasferimento dei beni ambientali (anzi, beni paesaggistici) forme di garanzia analoghe a quelle previste per i beni culturali. Ma si trattava di previsione, si ripete, che doveva spettare al legislatore.

L'estensione dell'ambito dei beni trasferibili operata dal Cipe comporta inoltre implicazioni istituzionali, che non si potevano ignorare: così il coinvolgimento del ministero per l'Ambiente e la Tutela del territorio, che nella legge non è menzionato, per la conclusione dell'intesa condizionante il trasferimento dei beni "ambientali" alla società.

Più in generale va notata l'ampiezza dell'elencazione dei beni trasferibili alla società, inclusi i diritti pieni o parziali su tutti i beni compresi nel patrimonio dello Stato di cui all'art. 14 decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 279, ovvero ogni altro diritto costituito a favore dello Stato. Tale riferimento assume particolare rilievo, solo ove si ricordi che i beni compresi nel patrimonio dello Stato devono essere valutati in base a criteri economici: l'art. 5 della legge 3 aprile 1994, n. 94, di riforma della contabilità dello Stato, ha infatti trasformato il conto generale del patrimonio in uno strumento per l'analisi economica della gestione patrimoniale, e l'art. 14 del d.lg. 279/1997, emanato in forza di tale delega, ha incluso per la prima volta i beni demaniali nel conto del patrimonio, così imponendo l'indicazione di "indici di redditività" della loro gestione [5].

Certo permangono dubbi e forti perplessità sull'ammissibilità della nuova categoria di beni demaniali trasferiti ad una società per azioni: anche volendo argomentare la natura sostanzialmente pubblica della Patrimonio Spa, peraltro sostenuta in modo condivisibile [6], non si può infatti dimenticare che la titolarità dei beni demaniali nel nostro ordinamento spetta allo Stato e agli enti pubblici territoriali, e certamente la società in esame non rientra in tale novero.

 

2. Valorizzazione, gestione e alienazione del patrimonio per risanare la finanza statale. Rapporti tra Patrimonio dello Stato Spa e Infrastrutture Spa

Accanto ai termini "valorizzazione" e "gestione", indicati come compiti fondamentali della società, dovrebbe aggiungersi l'aggettivo "economica": le due attività, infatti, in base alle definizioni vigenti, si preoccupano in ultima istanza semplicemente di "assicurare e di incrementare la fruizione" dei beni cui si riferiscono (art. 148, lettere d) ed e) decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112). Dall'impianto normativo della l. 112/2002 pare che la terza delle competenze riconosciute alla società, cioè la "alienazione" dei beni, sia lo strumento privilegiato per la valorizzazione e la gestione: non solo in termini di garanzia della fruizione ma anche e soprattutto in base a criteri economici.

Non è casuale, del resto, che le previsioni normative sulla circolazione dei beni siano state collocate negli ultimi anni nell'ambito dei provvedimenti relativi alla finanza pubblica, in linea con le indicazioni del Consiglio di Stato che già qualche anno prima aveva indicato tra le principali finalità perseguite con l'alienazione "l'assicurazione allo Stato di una fonte di reddito", con ausilio alle finanze "non più in grado di accollarsi i gravosi oneri connessi alle semplici manutenzioni ordinarie e straordinarie di tali beni" [7].

Come già da altri è stato notato, la Patrimonio Spa ha inoltre ampliato in sede statutaria il proprio ambito di intervento, attribuendosi il potere di valorizzare, gestire e alienare anche beni di altri soggetti pubblici, dunque non trasferiti alla propria titolarità (art. 4, lett. g) dello statuto), ed il potere di acquistare e cedere, a condizioni di mercato, beni di terzi "funzionali al raggiungimento dei fini sociali" (art. 4, lett. h) dello statuto) [8].

Resta da chiarire, in particolare, la portata dell'art. 7, comma 12, della legge in esame, secondo la quale i beni della Patrimonio Spa "possono essere trasferiti esclusivamente a titolo oneroso alla società Infrastrutture Spa con le modalità di cui al comma 10". Riesce difficile comprendere l'intendimento del legislatore, in particolare se abbia inteso individuare nella Infrastrutture Spa l'unico possibile cessionario dei beni della Patrimonio Spa, posto che nemmeno lo statuto di tale società prevede alcunché al riguardo [9].

Certo è che l'inquadramento della società in esame e lo studio delle relative attribuzioni non può prescindere dall'analisi delle competenze affidate alla Infrastrutture Spa, posto che le due società sono destinate a lavorare in stretto rapporto, con lo scopo finale di garantire la presenza di risorse per il rilancio delle infrastrutture e delle grandi opere pubbliche.

Senza scendere nel dettaglio, basta ricordare che Infrastrutture Spa, di cui è azionista la Cassa depositi e prestiti, ha lo scopo di finanziare le infrastrutture e le grandi opere pubbliche, di concedere finanziamenti a investimenti per lo sviluppo economico e di concedere garanzie per il perseguimento di tali scopi [10]. Il campo di intervento di tale società pare molto ampio, forse troppo, specie se si pensa al compito - quasi indefinito - di contribuire allo sviluppo economico.

In sintesi: la Infrastrutture Spa potrebbe raccogliere finanziamenti sui mercati internazionali a condizioni più vantaggiose di quelle ottenibili direttamente dalle imprese private, ed in tal modo potrebbe stimolare la partecipazione di queste ultime agli investimenti. Come è intuibile, le imprese private saranno incentivate ad intervenire solo nei casi in cui sia prevedibile un adeguato ritorno economico dalla gestione delle opere realizzate o comunque allorquando sussistano garanzie statali per i debiti assunti [11]. Non è casuale, infatti, che il più recente legislatore abbia privilegiato la figura del c.d. general contractor rispetto all'utilizzo del project financing: gli apporti finanziari provenienti dalla prima tipologia di soggetti debbono essere considerati come semplici anticipi di cassa, atteso che comunque a fine opera sarà l'amministrazione appaltante a dover saldare il costo dell'opera [12]. Nelle operazioni di project financing, che ruotano attorno ad una concessione di costruzione e gestione, non attirano invece le c.d. "opere fredde", cioè quelle - invero la gran parte - che non garantiscono un congruo ritorno economico.

Non dissimile dalla prima figura è il ruolo di Infrastrutture Spa, che per adempiere alle sue funzioni di finanziamento e di garanzia può indebitarsi mediante l'emissione di titoli di breve e di medio-lungo termine, compreso l'utilizzo di strumenti derivati, ed anche tali titoli e derivati sono coperti da garanzia statale. La stessa società può inoltre utilizzare "i propri beni e i diritti relativi" a copertura delle sue operazioni di indebitamento: i beni e i diritti così impegnati costituiscono "patrimonio separato", per circoscrivere l'importo utilizzabile per ogni operazione di finanziamento [13].

In tale disegno si colloca il ruolo della Patrimonio Spa e dei beni ad essa trasferiti: gli studi di settore hanno evidenziato la necessità del sostegno offerto da tale società alla Infrastrutture Spa, che è dotata di un patrimonio iniziale inadeguato per emettere titoli di debito a condizioni di mercato e per compiere operazioni di project financing [14]. Come si è notato in apertura, la Patrimonio Spa può trasferire alla Infrastrutture Spa i propri beni, sulla base di "modalità e valori" analoghi a quelli stabiliti dal ministero dell'Economia per il trasferimento originario e gli stessi beni possono essere utilizzati a titolo di garanzia dei titoli emessi e scambiati nei mercati finanziari.

Al riguardo, un primo problema era legato alla natura "para-fiscale" delle operazioni effettuabili da tali società, che secondo le indicazioni del Fondo monetario internazionale debbono essere consolidate nell'ambito dei conti pubblici: per tale ragioni il legislatore ha previsto, in sede di conversione del decreto legge, che il conto consuntivo, economico e patrimoniale, della Patrimonio Spa sia allegato ogni anno al rendiconto generale dello Stato e che un apposito allegato al rendiconto generale dello Stato contenga il conto consolidato della gestione del bilancio statale e della gestione della società (art. 7, comma 12-bis, l. 112/2002, aggiunto al testo del decreto legge). Tale modificazione al testo originario dovrebbe impedire artifici contabili intesi ad occultare una parte del debito pubblico, mediante indebita esternalizzazione dal bilancio dello Stato.

Quanto ai beni trasferiti da Patrimonio Spa a Infrastrutture Spa, occorre ricordare che una quota della proprietà della cessionaria può essere trasferita a soggetti privati; in tal modo i beni pubblici, ivi compresi quelli demaniali, potrebbero transitare nella disponibilità di un differente soggetto proprietario. E' vero che, come afferma il legislatore, non muta il regime giuridico e restano salvi i vincoli imposti, ma in una ipotesi siffatta è ancora più fondato il rilievo critico formulato dal Servizio studi della Camera dei deputati, che contesta l'ammissibilità di una nuova categoria di beni: i beni demaniali di proprietà privata (ammessi invece nell'ordinamento francese) [15].

La Infrastrutture Spa rappresenta un soggetto di diritto privato che può finanziarsi senza limiti con la totale garanzia dello Stato: allorquando interviene nel finanziamento delle opere pubbliche, in via sussidiaria rispetto alle banche ed agli altri operatori finanziari, ricorre al credito prestando garanzia mediante i beni trasferiti dalla Patrimonio Spa [16].

Affinché lo strumento societario così concepito non sia utilizzato esclusivamente per far coprire allo Stato, con il proprio patrimonio, i debiti sorti nella realizzazione delle opere pubbliche, occorrerebbe determinare una soglia minima di intervento di soggetti privati nelle operazioni di finanziamento delle opere pubbliche ed anche negli investimenti per lo sviluppo economico, in modo che si possa effettivamente considerare "sussidiario" l'intervento di Infrastrutture Spa soltanto nei casi in cui tale soglia sia stata raggiunta. Ed alle garanzie prestate dallo Stato dovrebbero aggiungersi garanzie prestate dai privati intervenienti [17].

 

3. Operazioni di cartolarizzazione ed esigui margini di redditività

Come si è visto, la Patrimonio Spa può procedere ad operazioni di cartolarizzazione ai sensi della l. 410/2001. Secondo le richiamate disposizioni di tale legge, il patrimonio immobiliare pubblico, compreso quello demaniale, può essere ceduto a società veicolo costituite dal ministero dell'Economia che hanno ad oggetto la realizzazione di una o più operazioni di cartolarizzazione dei proventi derivanti dalla dismissione del patrimonio immobiliare dello Stato e degli altri enti pubblici. All'atto dell'acquisto del bene tali società corrispondono all'erario un importo provvisorio sotto forma di "prezzo iniziale", con riserva di versamento del corrispettivo residuo ad operazione di vendita compiuta, sotto forma di "prezzo differito". Si è detto del difetto di coordinamento tra tale normativa e quella dettata dalla l. 112/2002, posto che la prima prevede il passaggio al regime del patrimonio disponibile dei beni trasferiti a tali società, mentre la seconda, che deve essere ritenuta prevalente, o in base al criterio di specialità o più semplicemente in via cronologica, mantiene il regime giuridico originario ai beni trasferiti alla Patrimonio Spa.

La seconda parte della l. 410/2001 prevede la disciplina relativa al conferimento di beni immobili a fondi comuni di investimento mobiliare, la cui costituzione è promossa dal ministero dell'Economia, conferendo beni immobili ad uso diverso da quello residenziale dello Stato, dell'amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato e degli enti pubblici non territoriali.

La finalità della normativa appena richiamata consiste nell'assicurazione di una entrata immediata per l'amministrazione finanziaria, lasciando alla società veicolo un tempo sufficiente per procedere ad una vendita redditizia dei beni.

La Patrimonio Spa può appunto costituire la c.d. società veicolo e può così emettere titoli di debito garantiti dallo Stato.

Occorre comprendere se le operazioni di cartolarizzazione che immagina il legislatore del 2002 possano produrre redditività alla stessa stregua di quanto è accaduto con i crediti Inps ai sensi della legge 23 dicembre 1999, n. 488 e dunque se gli immobili trasferiti alla Patrimonio Spa possano assumere rilevanza finanziaria per effetto di tali operazioni.

Va notato, al riguardo, che paiono prestarsi maggiormente ad operazioni di quel tipo gli immobili destinati ad uffici pubblici, perché per gli stessi si può prevedere un contratto di locazione con lo stesso soggetto pubblico che li ha in uso, secondo lo schema del sale and lease back.

Nella stessa direzione è orientato l'art. 7, comma 10, della l. 112/2002, che modifica l'art. 24, comma 4, della l. 488/1999 nei termini che seguono: "Con riferimento agli immobili utilizzati dalle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, e dalle Agenzie di cui al decreto legislativo 29 luglio 1999, n. 300, appartenenti al demanio o comunque in uso gratuito, il ministro dell'Economia e delle Finanze, con uno o più decreti aventi natura non regolamentare, individua singoli beni o categorie di beni per i quali, a decorrere dal 1 gennaio dell'anno successivo, è dovuto un canone d'uso determinato con i decreti stessi con riferimento ai fitti di mercato dei beni medesimi" [18].

In altri termini è possibile applicare un canone di locazione a tutte le pubbliche amministrazioni che hanno in uso, per ora gratuito, immobili del patrimonio indisponibile e cedere gli stessi per un adeguato controvalore, oppure cedere a terzi i crediti sorti nei confronti di tali amministrazioni. Come tuttavia è stato notato ad un primo esame della disciplina, il canone di locazione è destinato a tradursi nell'incremento di una voce di spesa corrente che grava sul bilancio dello Stato (i c.d. "fitti passivi"), e nel caso della cessione dei crediti comporta un anticipo degli importi che per contro dovevano interessare più esercizi, mediante un'operazione di aggiustamento del bilancio corrente già criticata dalla Corte dei conti [19].

Le operazioni di cartolarizzazione destinate al successo in termini di redditività sembrano allora essere residuali, mentre meritano attenzione e richiedono particolari cautele le altre operazioni di valorizzazione e gestione del patrimonio pubblico di cui si è fatta menzione in queste pagine.

 

 

 



Note

[1] La disciplina in esame ha tuttavia incontrato soltanto una "tiepida resistenza" da parte del ministero per i Beni e le attività culturali: in tali termini, M. Cammelli, Editoriale, in Aedon, 2/2002.

[2] Cfr. art. 3, primo comma, l. 410/2001, recante Modalità per la cessione degli immobili, secondo cui: "I beni immobili individuati ai sensi dell'art. 1 possono essere trasferiti a titolo oneroso alle società costituite ai sensi del comma 1 dell'articolo 2 con uno o più decreti di natura non regolamentare del ministero dell'Economia e delle Finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale. L'inclusione nei decreti produce il passaggio dei beni al patrimonio disponibile. (...)".

[3] Per un primo commento al d.p.r. 283/2000, M. Cammelli, Ratio e presupposti del regolamento, in Aedon, 1/2001.

[4] Il riferimento è alla nota teoria di M.S. Giannini, I beni pubblici, Roma, 1963, 70 ss.

[5] C. Manacorda, Contabilità pubblica, Torino, 2001, 104 s.

[6] P. Pizza, Patrimonio dello Stato Spa: profili di organizzazione e funzionamento, in questo numero della Rivista.

[7] Cons. St., sez. III, parere 5 luglio 1994, n. 542/95, su quesito del ministero delle Finanze, in Cons. St., 1995, I, 341. In sede giurisdizionale, Cons. St., Ad. plen., 13 luglio 1989, n. 59, in Foro it., 1990, III, 356. Per un esame degli effetti sul patrimonio culturale dei provvedimenti dedicati alla finanza pubblica, S. Foà, La gestione dei beni culturali, Torino, 2001, 69 ss., ed ivi richiami bibliografici.

[8] P. Pizza, La società per azioni "Patrimonio dello Stato Spa": profili di organizzazione e funzionamento, cit.

[9] In termini dubitativi anche P. Pizza, loc. cit.

[10] Per un'analisi più approfondita, G. Pasquini, La Infrastrutture Spa, in Gior. dir. amm., 2002, 824 ss.

[11] Cfr. già S. Foà - D. Zucchi, Aspetti giuridici e fiscali del finanziamento privato delle opere pubbliche. Project financing e securitisation, in Dir. ed economia, 1999, ed ivi richiami bibliografici.

[12] Ci si riferisce alla disciplina dettata dalla c.d. "legge-obiettivo" legge 21 dicembre 2001, n. 443 ed alla successiva legge 1 agosto 2002, n. 166, recante Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti.

[13] M. Messori, Se il bilancio dello Stato segue il modello Enron, in Affari & Finanza, 6 maggio 2002.

[14] Per uno studio sull'applicabilità del project financing al settore culturale, A. Pontrelli, La gestione, la valorizzazione e la circolazione dei beni del patrimonio culturale nel diritto interno e comunitario, in V. Caputi Jambrenghi (a cura di), La cultura e i suoi beni giuridici, Milano, 1999, 39 ss., spec. 64 ss.; S. Foà, La gestione, cit., 180 ss.

[15] A. Mari, La Patrimonio dello Stato Spa, in Gior. dir. amm., 2002, 821.

[16] Secondo stime diffuse dal ministero dell'Economia e delle Finanze, il valore rivalutato dei beni immobili di proprietà pubblica ammonterebbe a 805 miliardi di euro, quasi 2/3 dell'intero debito pubblico, cui devono essere aggiunti attività finanziarie, crediti, partecipazioni e concessioni.

[17] Così già M. Messori., loc. cit.

[18] Sulle modalità di determinazione del canone, cfr. P. Pizza, loc. cit.

[19] Cfr. T. Di Tanno, "Patrimonio dello Stato Spa" e "Infrastrutture Spa", che richiama le osservazioni della Corte dei conti nell'audizione del 7 maggio 2001 presso la Commissione congiunta Finanze e Bilancio della Camera dei deputati.



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