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Aspetti giuridici del mercato dell'arte [1]

di Alberto Roccella


Sommario: 1. La disciplina dei beni culturali: aspetti evolutivi. - 2. I beni culturali non sono merci? - 3. La risposta della giurisprudenza comunitaria. - 4. I beni culturali come merci soggette a regime di circolazione speciale. - 5. Recenti sviluppi normativi sul mercato dell'arte. - 6. Esame di due critiche dei mercanti d'arte: A) i limiti all'esportazione; B) il vincolo.



1. La disciplina dei beni culturali: aspetti evolutivi

Una riforma organica della legislazione sui beni culturali è vagheggiata nel nostro Paese almeno dal 1966, e cioè dalla conclusione dei lavori della commissione di indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, artistico, archeologico e del paesaggio, nota dal nome del suo presidente come commissione Franceschini [2].

Dieci anni più tardi il d.p.r. 24 luglio 1977, n. 616, sul completamento dell'ordinamento regionale, preannunciò (art. 48) una legge sulla tutela e valorizzazione del patrimonio storico, librario, artistico, archeologico, monumentale, paleo-etnologico ed etno-antropologico, da emanare entro il 31 dicembre 1979. Quel termine tuttavia spirò inutilmente e la legge non fu approvata neanche tardivamente.

Di recente il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 ha stabilito i compiti delle regioni e degli enti locali in tema di valorizzazione e gestione dei beni culturali, ma ha lasciato sostanzialmente invariata la disciplina di tutela dei beni culturali [3].

Da ultimo però è intervenuto il Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali approvato col decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, il quale al Titolo I, dedicato ai beni culturali, ha cominciato a fare ordine in una materia nella quale la legislazione si era stratificata alluvionalmente nel corso di molti decenni.

Il Testo Unico, tuttavia, costituisce essenzialmente una compilazione ordinata della legislazione precedente e non una vera riforma di sostanza, ispirata a principi radicalmente nuovi [4]. Questo, in effetti, era l'obiettivo della legge che aveva conferito la delega legislativa al governo per l'emanazione del Testo Unico: alle disposizioni in vigore dovevano essere apportate esclusivamente le modificazioni necessarie per il loro coordinamento formale e sostanziale, nonché per assicurare il riordino e la semplificazione dei procedimenti [5].

Il governo, del resto, ha formalmente riconosciuto i limiti della legge di delega, e conseguentemente del Testo Unico. Il sottosegretario al ministero per i Beni e le Attività culturali, on. D'Andrea, intervenendo alla VII commissione del senato il 2 giugno 1999 in occasione del dibattito sullo schema di Testo Unico, ammetteva, infatti, che il Testo Unico "può servire per redigere un'agenda di interventi legislativi urgenti, che consentano di esprimere appieno l'obiettivo di una maggiore razionalità del sistema".

In adesione a questo criterio il parlamento ha continuato per tutto il 1999 a emanare nuove leggi in materia di beni culturali, anche a costo di creare delicate interferenze col Testo Unico in corso di formazione [6].

Secondo la legge di delega, inoltre, il Testo Unico potrà essere aggiornato, entro tre anni dalla data della sua entrata in vigore, con uno o più decreti legislativi [7].

Il governo dovrà deliberare un nuovo regolamento per l'attuazione delle disposizioni del Titolo I del Testo Unico [8]. E intanto è stato già emanato un importante regolamento per disciplinare le alienazioni di beni immobili del demanio storico e artistico [9].

Il Testo Unico deve quindi essere considerato un atto intermedio di un processo di riforma che si svilupperà ancora nel corso del tempo, piuttosto che l'atto conclusivo di una riforma destinata a rimanere stabile.

 

2. I beni culturali non sono merci?

Se si esamina la legislazione vigente con specifica attenzione per i problemi giuridici del mercato dell'arte, viene in evidenza l'art. 1, comma 3, della legge 19 aprile 1990, n. 84, secondo cui "I beni culturali, in quanto elementi costitutivi dell'identità culturale della nazione, per quanto riguarda il regime della circolazione, non sono assimilabili a merci".

Questa disposizione non è stata rifusa nel recente Testo Unico, ma non è stata neanche abrogata espressamente e può quindi considerarsi formalmente ancora in vigore.

Si tratta però di una disposizione che mal si accorda con la tradizionale impostazione della legislazione in materia.

Nel 1931, infatti, il Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza aveva regolato il commercio di cose antiche o usate imponendo una dichiarazione preventiva all'autorità locale di pubblica sicurezza [10]; il Testo Unico, inoltre, aveva consentito le operazioni commerciali solo con persone munite della carta di identità e aveva imposto ai commercianti di tenere un registro giornaliero delle operazioni [11]. Il Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza, dunque, aveva circondato il commercio di cose antiche di alcune precauzioni a fini di prevenzione dei delitti contro il patrimonio [12] e specificamente della ricettazione, ma nello stesso tempo lo aveva pienamente legittimato [13].

Alcuni anni più tardi, nel 1937, il ministro dell'Educazione nazionale, Giuseppe Bottai, aveva costituto una commissione incaricata di predisporre il progetto di una nuova legge sulla tutela delle cose d'interesse artistico o storico, chiamando a farne parte anche Manlio Goffi in rappresentanza della federazione nazionale fascista dei commercianti dei prodotti artistici e dell'artigianato [14].

Nella relazione del ministro Bottai al progetto di legge, che divenne poi la l. 1089/1939, si trova una traccia precisa dell'orientamento seguito:

"Non minore considerazione (...) si è avuto per l'incremento e lo sviluppo del commercio delle cose contemplate dalle disposizioni della presente legge. Tale commercio non concerne soltanto gli interessi privati dei commercianti, ma costituisce anch'esso un importante interesse pubblico, che non deve essere trascurato e che, anzi, deve essere tutelato, pure in questa sede, in vista dell'unità in cui è necessario che si compongano gli interessi ideali e quelli economici della nazione" [15].

In effetti Goffi aveva sostenuto in seno alla commissione ministeriale che, per dare incremento al mercato dell'arte in Italia, fosse necessaria - per le opere di proprietà privata - la piena libertà di commercio, con la sola limitazione del divieto di esportazione per taluni ben definiti capolavori.

Questa tesi tuttavia era sembrata inaccettabile agli altri componenti della commissione e allo stesso ministro Bottai, in quanto che "non è praticamente possibile una precisa, preventiva elencazione delle maggiori nostre opere d'arte, soprattutto per i continui apporti degli scavi e ritrovamenti e per le modificazioni cui molto spesso va soggetto il giudizio sul valore di un artista o di un'opera d'arte" [16].

La relazione del ministro aveva dunque concluso, in accordo con la commissione: "D'altra parte, è certo che, quando anche fosse possibile una elencazione di determinati capolavori da escludere dall'esportazione, la piena, assoluta libertà di commercio per il resto del patrimonio artistico e storico del Paese si risolverebbe in un danno incalcolabile per i superiori interessi della nazione" [17].

La l. 1089/1939, dunque, confermò, in tema di esportazione, un orientamento che trovava le sue radici negli ordinamenti degli Stati preunitari e in particolare nello Stato pontificio con gli editti del cardinale Albani e del cardinale Pacca [18], e che era stato accolto in piena età liberale già dalla cosiddetta legge Nasi, la legge 12 giugno 1902, n. 185 [19], base delle successive leggi di tutela del patrimonio storico-artistico.

La stessa l. 1089/1939 peraltro considerò puntualmente gli interessi del commercio delle cose d'arte in varie disposizioni, ricordate nella relazione della commissione ministeriale, come quella sull'alienabilità delle cose di proprietà dello Stato o di altri enti o istituti pubblici e quella sul termine massimo di due mesi per l'esercizio del diritto di prelazione.

 

3. La risposta della giurisprudenza comunitaria

Per il commercio delle cose d'arte assume grande rilevanza anche una sentenza, ormai antica, della Corte di giustizia delle Comunità europee, resa con riferimento alla tassa di esportazione prevista dalla l. 1089/1939 [20].

Dopo aver ricordato che l'art. 9 del trattato Cee riguardava un'unione doganale "che si estende al complesso degli scambi di merci", quella sentenza chiarì che "per merci ai sensi di detta disposizione si devono intendere i prodotti pecuniariamente valutabili e come tali atti a costituire oggetto di negozi commerciali". Secondo la sentenza, le cose protette dalla l. 1089/1939, indipendentemente dalle caratteristiche che le distinguono dagli altri beni commerciali, "hanno in comune con questi ultimi la caratteristica di essere pecuniariamente valutabili e di poter quindi costituire oggetto di negozi commerciali".

La sentenza riconobbe che l'art. 36 del trattato Cee lasciava impregiudicati i divieti o restrizioni all'esportazione giustificati da motivi di protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico. La Corte affermò tuttavia che tali divieti e restrizioni si distinguono nettamente, per la loro natura, dai dazi doganali e dalle tasse analoghe che si ripercuotono sulle condizioni economiche delle importazioni e delle esportazioni, senza tuttavia intervenire in maniera cogente nelle decisioni degli operatori economici. Dazi doganali e tasse di effetto equivalente, secondo la sentenza, "non hanno altro effetto che rendere più onerosa l'esportazione dei prodotti di cui trattasi, senza garantire il raggiungimento dello scopo cui mira detto articolo (l'art. 36 del trattato Cee), cioè la tutela del patrimonio artistico, storico o archeologico".

Secondo la citata sentenza della Corte di giustizia Cee, dunque, i beni di interesse storico, artistico e archeologico sono merci. Gli Stati possono imporre divieti o restrizioni alle esportazioni di questi beni, individuati e qualificati secondo la legislazione nazionale. Divieti o restrizioni non possono tuttavia consistere in dazi o tasse doganali che rendono più onerosa l'esportazione, ma non consentono una tutela del patrimonio storico e artistico [21].

 

4. I beni culturali come merci soggette a regime di circolazione speciale.

Va poi considerata anche la legge 20 novembre 1971, n. 1062, recante Norme penali sulla contraffazione od alterazione di opere d'arte, la quale all'art. 1 stabiliva che "L'esercizio di attività di vendita al pubblico o di esposizione a fine di commercio di opere di pittura, di scultura, di grafica, di oggetti di antichità o di interesse storico od archeologico è soggetto, salvo quanto specificamente previsto dalla presente legge, alle disposizioni della legge 11 giugno 1971, n. 426", e cioè alla legge di disciplina del commercio [22].

Ancora, può ricordarsi la legge 1 marzo 1975, n. 44, la quale all'art. 10 ha fatto obbligo a coloro che esercitano il commercio di cose di interesse archeologico, artistico e storico, di denunciare al ministero per i Beni culturali i dati dell'impresa e di tenere un registro di entrata e di uscita degli oggetti, con l'indicazione della provenienza e degli eventuali acquirenti [23]. Anche in questa disciplina, come già nel Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza, è chiaro l'intento di controllo e prevenzione della ricettazione.

Tutti questi elementi consentono di smentire la citata disposizione della l. 84/1990, secondo cui i beni culturali per quanto riguarda il regime della circolazione non sono assimilabili a merci. Si tratta di un'affermazione incongrua, dettata dalla paura della realizzazione di un'Europa senza frontiere interne, ma senza basi storico-politiche e soprattutto senza conseguenze giuridiche.

Si può invece affermare con sicurezza che le cose d'arte sono merci, anche se il loro commercio è soggetto a regole speciali, parzialmente diverse da quelle proprie della generalità delle altre merci, per ragioni sia di pubblica sicurezza sia di tutela del patrimonio artistico nazionale [24].

A questo proposito sono sempre attuali le limpide considerazioni dell'on. Giacomo Rosadi nella relazione alla proposta di legge che divenne la legge 20 giugno 1909, n. 364, antecedente della l. 1089/1939:

"Le tradizioni e tutte le regole del nostro diritto ci consentono di ritenere che una cosa d'arte e di antichità, quando abbia un singolare pregio, se può essere oggetto di proprietà privata, rappresenta un alto e generale interesse della nazione che si sovrappone all'esercizio del diritto privato; giacché l'opera d'arte, per quanto sia l'opera particolare di un uomo, il quale poté a sua volta cederla ad un altro, esprime un aspetto della vita intellettuale della società e riassume i più vari ed indefinibili elementi dell'ambiente sociale, non spuntando l'idea e la concezione dell'autore dal suo cervello soltanto, ma anche da quei vari e indefinibili elementi che non son suoi ma di tutti perché tutti, chi più e chi meno, hanno contribuito a formarli.

Ond'è che non tanto il diritto di proprietà quanto l'esercizio di questo diritto, rispetto alle cose insigni d'arte, di storia, di letteratura, è di natura del tutto speciale, è un che sui generis, che s'incomincia a distinguere anche nel nome dalla proprietà comune" [25].

 

5. Recenti sviluppi normativi sul mercato dell'arte

I più recenti sviluppi dell'ordinamento non hanno inciso sui caratteri strutturali della disciplina delle cose d'arte e del loro commercio.

L'esportazione di beni culturali al di fuori della Comunità europea è stata disciplinata dal regolamento Cee n. 3911/92 del Consiglio del 9 dicembre 1992 Inoltre la direttiva n. 93/7/Cee del Consiglio del 15 marzo 1993 ha regolato la restituzione dei beni culturali illecitamente usciti dal territorio di uno Stato membro: è stato così riconosciuto l'interesse degli Stati alla tutela del proprio patrimonio artistico [26].

A seguito della normativa comunitaria la disciplina dell'esportazione dei beni culturali è stata riformata dalla legge 30 marzo 1998, n. 88, che ha soppresso del tutto la tassa all'esportazione, rimasta dopo il 1968 solo per le esportazioni extracomunitarie [27].

Sul piano internazionale l'interesse degli Stati alla tutela del proprio patrimonio artistico è stato regolato anche dalla convenzione Unidroit (Roma, 24 giugno 1995) sul ritorno internazionale dei beni culturali rubati o illecitamente esportati [28].

Infine il Testo Unico approvato col d.lg. 490/1999 ha riformulato (art. 62) la disciplina del commercio posta dall'art. 10 della l. 44/1975 in modo da semplificare gli obblighi degli antiquari e nello stesso tempo rafforzare il controllo sulla vendita di beni aventi valore culturale [29].

Il Testo Unico peraltro ha ripreso la disciplina della circolazione in ambito internazionale dei beni culturali (artt. 65 ss.), quale risultante dalla l. 1089/1939 e dalle leggi successivamente intervenute, compresa la l. 88/1998 [30]. Il Testo Unico, inoltre, ha confermato il regime speciale, posto dalla legislazione precedente, di circolazione in ambito nazionale dei beni culturali: l'alienazione e la permuta dei beni culturali dello Stato, degli enti locali e degli enti pubblici sono soggette ad autorizzazione del ministero (artt. 55-56); i trasferimenti di proprietà o detenzione dei beni culturali di proprietà privata dichiarati di interesse particolarmente importante devono essere denunciati al ministero (art. 58); nei trasferimenti a titolo oneroso dei beni medesimi il ministero può esercitare il diritto di prelazione (artt. 59-60) o trasferirlo alla regione, alla provincia o al comune (art. 61) [31].

 

6. Esame di due critiche dei mercanti d'arte: A) i limiti all'esportazione; B) il vincolo

Il regime vigente dei beni culturali di proprietà privata non è considerato soddisfacente dai mercanti d'arte, i quali lamentano da tempo le restrizioni al commercio derivanti dalla legislazione di tutela [32].

In questo contributo si prendono brevemente in considerazione soltanto due punti, l'esportazione ed il vincolo.

A) I limiti all'esportazione certamente restringono il mercato. Le opere d'arte non esportabili non possono raggiungere il ricco mercato internazionale, soprattutto britannico e statunitense, in cui sarebbe forse possibile raggiungere quotazioni di vendita più elevate.

Sembra però difficile immaginare che le restrizioni all'esportazione possano essere superate in modo sostanziale. Queste restrizioni sono state introdotte quasi un secolo fa e, pur diversamente articolate nel corso del tempo, sono compatibili con il trattato istitutivo della Comunità europea che, ancorché ispirato al principio di una civiltà comune europea, tuttavia riconosce e tutela gli specifici patrimoni storico-artistici nazionali, così diversi per composizione e ricchezza, e lascia ai singoli Stati individuare i beni che compongono tali patrimoni.

Le considerazioni svolte novant'anni or sono dall'on. Rosadi nella ricordata relazione sono sempre vive e attuali e sono state accolte dalla disciplina degli scambi internazionali [33]. Certo sono possibili modificazioni marginali, di dettaglio, operative, nel senso dell'accelerazione e semplificazione delle procedure, ma non sembra realistico attendersi una sostanziale caduta delle barriere all'esportazione [34].

L'indirizzo che la storia suggerisce di perseguire non è quello dell'inserimento delle opere d'arte italiane nel mercato mondiale, bensì quello di una vigorosa crescita del mercato dell'arte nazionale.

In questo senso ha già operato la ristrutturazione degli istituti di credito di diritto pubblico, con la nuova disciplina delle cosiddette "fondazioni bancarie" (le fondazioni che hanno effettuato il conferimento dell'azienda bancaria), giacché tali fondazioni sono destinate a operare in alcuni settori tra cui appunto quelli dell'arte e della conservazione e valorizzazione dei beni culturali [35].

Va ora salutata con favore la legge collegata alla finanziaria 2000, la quale ha istituito un regime fiscale di favore per le erogazioni liberali per progetti culturali [36]. Questo regime potrà agire sul lato della domanda di acquisto, aumentando le disponibilità per acquisizioni pubbliche sul mercato dell'arte.

B) Il vincolo o notifica o, per esprimersi in termini giuridicamente più corretti, la dichiarazione di interesse particolarmente importante viene abitualmente contestata, anche se non sempre in sede giurisdizionale, poiché è considerata causa di diminuzione del valore del bene, nella misura convenzionale del trenta per cento.

La contestazione, svolta con toni anche aspri [37], individua erroneamente il suo bersaglio, che è la legge, non l'amministrazione dei beni culturali.

Secondo un orientamento risalente addirittura al regime della l. 364/1909 [38] e consolidatosi poi nella giurisprudenza, il vincolo costituisce espressione di discrezionalità puramente tecnica, e cioè di un giudizio storico o estetico, e non comporta valutazioni di opportunità amministrativa né ponderazioni tra interessi pubblici e privati. Esso costituisce soltanto una ricognizione di qualità intrinseche ed oggettive dei beni, da indicare nella motivazione del provvedimento [39].

Le critiche, formalmente dirette alle autorità amministrative per l'uso del vincolo, in realtà attaccano la disciplina normativa di tutela in un suo carattere strutturale e quindi per risultare convincenti dovrebbero avere a loro sostegno un diverso apparato teorico-concettuale.

Il vincolo di per sé non causa alcun deprezzamento del bene, anche se ne limita la commerciabilità al territorio nazionale: i beni vincolati infatti non sono esportabili [40].

Il deprezzamento convenzionale del trenta per cento conseguente al vincolo vuole esprimere la differenza di prezzo che si presume di spuntare sul mercato nazionale rispetto al mercato internazionale: ma si tratta solo di una presunzione, non di una certezza, in un mercato così volatile come quello dell'arte.

In realtà non mancano buoni motivi per attribuire al vincolo un effetto positivo, invece che negativo, sul valore del bene.

Il vincolo costituisce infatti certificazione ufficiale dell'autenticità del bene e della sua rilevanza per il patrimonio culturale del Paese. Il vincolo implica indirettamente il riconoscimento della legittima proprietà del bene che è documentato di fronte all'amministrazione. Il pericolo di furto del bene vincolato risulta attenuato e, ove il furto sia consumato, il recupero del bene è facilitato proprio perché il bene è documentato. Il vincolo apporta benefici fiscali [41]: in particolare le spese per la conservazione dei beni vincolati danno diritto, ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, a una detrazione d'imposta del diciannove per cento [42]; inoltre i beni vincolati sono esclusi dall'attivo ereditario ai fini dell'imposta sulle successioni [43]. Il vincolo, infine, pur non essendo strettamente indispensabile per la cessione in pagamento delle imposte dirette e dell'imposta sulle successioni, dovrebbe far aumentare l'interesse dello Stato all'acquisizione del bene e quindi rendere più probabile l'accettazione della proposta di cessione in pagamento [44].

Queste considerazioni potranno forse apparire non soltanto anticonvenzionali, ma addirittura paradossali. Esse tuttavia indicano che le opinioni più diffuse non sono poi così scontate. Sarebbe bene invece approfondire criticamente il dibattito sui problemi giuridici del mercato dell'arte, anche col contributo dell'amministrazione statale dei beni culturali.

Del resto il leale confronto con l'amministrazione può portare effetti benefici, e non soltanto per le future riforme normative ma altresì immediatamente sul piano operativo.

E' interessante al riguardo la singolare esperienza di una mostra realizzata in una sede pubblica dall'associazione Antiquari d'Italia d'intesa con la soprintendenza ai beni artistici e storici di Roma.

La mostra, con finalità non puramente espositive ma anche commerciali, ha avuto la singolarità di comprendere opere uscite in passato dal territorio nazionale, acquistate sui mercati esteri e reintrodotte in Italia [45]. Essa costituisce un indizio che il mercato nazionale dell'arte non sempre è più depresso di quello internazionale; ma essa costituisce anche la prova che nel regime vigente la tutela pubblica sui beni culturali di proprietà privata non costituisce necessariamente un ostacolo, ma al contrario può configurarsi addirittura come un fattore di sviluppo, per il mercato dell'arte.



Note

[1] Testo rielaborato e integrato con le note dell'intervento svolto al seminario su L'economia dell'arte antica e dell'antiquariato: il ruolo dell'informazione, organizzato dalla Federazione Italiana Mercanti d'Arte (FIMA), Bologna, 27 novembre 2000.

[2] La commissione fu istituita con la legge 26 aprile 1964, n. 310. Gli atti sono stati pubblicati col titolo Per la salvezza dei beni culturali in Italia, Roma, 3 voll., 1967; la relazione e le dichiarazioni della commissione sono pubblicate in Riv. trim. dir. pubbl., 1966, 119 ss..

[3] Sui beni culturali nel d.lg. 112/1998, v. i commenti di G. Pitruzzella agli artt. 148-150 e quelli di G. Corso agli artt. 151-155, in G. Falcon (a cura di), Lo Stato autonomista, Bologna, 1998, 491 ss.; v. inoltre i saggi pubblicati in Aedon, Rivista di arti e diritto on line, di M.P. Chiti, La nuova nozione di "beni culturali" nel d.lg. 112/1998: prime note esegetiche; G. Sciullo, Beni culturali e principi della delega; L. Bobbio, Due scenari per il decentramento dei musei; M. Cammelli, Il decentramento difficile; M. Ainis, Il decentramento possibile; M. Meschino, Beni e attività culturali nel d.lg. 122/1998: una proposta di lettura.

[4] Sui caratteri generali del Testo Unico v. M. Cammelli, La semplificazione normativa alla prova: il Testo Unico dei beni culturali e ambientali, in ID., (a cura di), La nuova disciplina dei beni culturali e ambientali, Bologna, 2000, 7 ss.; v. altresì A. Roccella, Il Testo Unico dei beni culturali: contesto, iter formativo, lineamenti, conferme, innovazioni, in Dir. pubbl., 2000, 555 ss.

[5] Legge 8 ottobre 1997, n. 352, art. 1, comma 2, lett. b).

[6] V. A. Roccella, Il Testo Unico dei beni culturali, cit., 570 ss.

[7] L. 352/1997, art. 1, comma 4, ora sostituito dall'art. 18, comma 4, legge 24 novembre 2000, n. 340.

[8] D.lg. 490/1999, art. 12.

[9] D.p.r. 7 settembre 2000, n. 283, emanato in attuazione dell'art. 32, legge 23 dicembre 1998, n. 448.

[10] In seguito l'art. 19, primo comma, n. 18), del d.p.r. 24 luglio 1977, n. 616, ha devoluto ai comuni la dichiarazione di commercio di cose antiche o usate.

[11] Regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, art. 126 e art. 128, concernente anche i fabbricanti, commercianti e mediatori di oggetti preziosi. I primi quattro commi dell'art. 128 Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza sono stati dichiarati costituzionalmente illegittimi per violazione degli artt. 3 e 41 Cost., ma soltanto nella parte in cui riguardano operazioni su oggetti preziosi nuovi: Corte costituzionale, 9 luglio 1963, n. 121, in Giur. cost., 1963, 1376. Si vedano poi gli artt. 242 e 247 del regolamento di esecuzione del Tulps approvato col regio decreto 6 maggio 1940, n. 635.

[12] Questa giustificazione è chiaramente affermata dalla giurisprudenza della Cassazione, per la quale v. R. Albano (a cura di), Rassegna di giurisprudenza sulle leggi di pubblica sicurezza3, Milano, 1984, I, 744 ss.

[13] Peraltro la disciplina del commercio di cose antiche e usate del Tulps del 1931 si poneva in linea di continuità con quella precedente sulla quale v. O. Ranelletti, La polizia di sicurezza, in Primo trattato completo di diritto amministrativo italiano, a cura di V.E. Orlando, Milano, 1904, IV, p. I, 326 e 950-951.

[14] Cfr. M. Serio (a cura di), La relazione di Santi Romano a Bottai sul progetto di legge per la tutela delle cose d'interesse artistico o storico, in Riv. trim. dir. pubbl., 1984, 279.

[15] La relazione del ministro Bottai è pubblicata in nota alla l. 1089/1939, in Le leggi, 1939, 892 ss.

[16] Ibidem, 893.

[17] Ibidem, 893.

[18] V. M. Ainis, M. Fiorillo, I beni culturali, nel Trattato di diritto amministrativo a cura di S. Cassese, Diritto amministrativo speciale, Milano, 2000, I, 1053 ss.; S. Bedin, L. Bello, A. Rossi, Tutela e restauro nello Stato pontificio, Padova, 1998; M. Speroni, La tutela dei beni culturali negli Stati italiani preunitari, I, L'età delle riforme, Milano, 1988; A. Emiliani, Leggi, bandi e provvedimenti per la tutela dei beni artistici e culturali negli antichi Stati italiani, Bologna, 1978.

[19] Sul regime dell'esportazione dei beni di interesse storico e artistico nella legge 12 giugno 1902, n. 185 e nelle leggi successive v. A. Roccella, Esportazione di beni culturali e facoltà di acquisto dello Stato, in Riv. it. dir. pubbl. com., 1992, 956 ss.

[20] Corte di giustizia Cee, 10 dicembre 1968, in causa n. 7/68, in Foro it., 1969, IV, 89, con nota di N. Catalano.

[21] Per un esame più ampio della giurisprudenza della Corte di giustizia Cee in tema di esportazione di beni culturali v. M.P. Chiti, Beni culturali, in Trattato di diritto amministrativo europeo, diretto da M.P. Chiti e G. Greco, Parte speciale, Milano, 1997, I, 349 ss.; F.M. Moretti, L'arte europea ha un suo mercato unico?, in Contratto e impresa, 1994, 485 ss. Si rammenta inoltre che, dopo il trattato di Amsterdam del 2 ottobre 1997, l'art. 36 del trattato Cee è diventato l'art. 30 della "versione consolidata" del trattato Ce.

[22] V. al riguardo T. Alibrandi, P. Ferri, I beni culturali e ambientali, Milano, 3 ed., 1995, 489 ss. Di recente il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 ha riformato la disciplina del commercio e ha abrogato (art. 26, comma 6) la legge 11 giugno 1971, n. 426. La legge 20 novembre 1971, n. 1062 è stata abrogata dal Testo Unico dei beni culturali (d.lg. 490/1999, art. 166, comma 1), ad eccezione degli articoli 8, secondo comma, e 9; l'art. 2 della l. 1062/1971 è stato rifuso nell'art. 63 del Testo Unico; gli articoli da 3 a 7 della stessa legge sono confluiti nell'art. 127 del Testo Unico, su cui v. R. Tamiozzo, La legislazione dei beni culturali e ambientali, Milano, 2 ed., 2000, 294.

[23] Su questa disposizione v. ancora T. Alibrandi, P. Ferri, I beni culturali e ambientali, cit., 493-494.

[24] Su questo regime v. M. Costanza (a cura di), Commercio e circolazione delle opere d'arte, Padova, 1999; A. Caracciolo La Grotteria, La circolazione dei beni culturali nell'ordinamento italiano e comunitario, in V. Caputi Jambrenghi (a cura di), La cultura e i suoi beni giuridici, atti del convegno di studi, Bari, 29-30 maggio 1997, Milano, 1999, 198 ss.; C. Fabricatore, A. Scarpa, La circolazione dei beni culturali, Milano, 1998; M.R. Cozzuto Quadri, La circolazione delle "cose d'arte", Napoli, 1997.

[25] Il brano citato della relazione Rosadi si può leggere in nota alla legge 20 giugno 1909, n. 364, in Lex, 1909, 480-481.

[26] Sulla normativa comunitaria v. A. Roccella, Ordinamento comunitario ed esportazione di beni culturali, in Dir. comun. e degli scambi internazionali, 1993, 539 ss. e, in seguito, M. Marletta, La restituzione dei beni culturali, Padova, 1997.

[27] Sulla l. 88/1998 v. A. Catelani, E. De Marco, V. Gasparini Casari, A. Papa, M. Tivelli, La circolazione dei beni culturali. Commento alla legge 30 marzo 1998, n. 88, Milano, 1998 e, da ultimo, A.M. Schwarzenberg, Tutela e circolazione infracomunitaria del patrimonio culturale, Rimini, 2000. Per una sintesi del regime comunitario della circolazione dei beni culturali v. R. Clerici, La circolazione delle opere d'arte nella Comunità europea, in M. Costanza (a cura di), Commercio e circolazione delle opere d'arte, cit., 35 ss. Si ricorda che alla l. 88/1998 ha fatto seguito la circolare ministeriale n. 4261/V.a.4a del 17 luglio 1998, pubblicata nel Notiziario del ministero per i Beni e le Attività culturali, a cura dell'ufficio studi, 1998, n. 56-58, 157.

[28] La convenzione è stata ratificata con la legge 7 giugno 1999, n. 213. Su questa convenzione v. i saggi raccolti in F. Francioni, A. Del Vecchio, P. De Caterini (a cura di), Protezione internazionale del patrimonio culturale: interessi nazionali e difesa del patrimonio comune della cultura, atti del convegno, Roma, 8-9 maggio 1998, Milano, 2000; v. inoltre M. Frigo, La convenzione dell'Unidroit sui beni culturali rubati o illecitamente esportati, in Riv. dir. int. priv. proc., 1996, 435 ss.

[29] In tal senso si veda il parere dell'adunanza generale del Consiglio di Stato 11 marzo 1999, riportato in appendice in M. Cammelli (a cura di), La nuova disciplina dei beni culturali e ambientali, cit., 586.

[30] L'art. 166, comma 1, del Testo Unico ha abrogato la l. 1089/1939 e la l. 88/1998, ad eccezione degli articoli 19, comma 2, e 26.

[31] V. già l'art. 149, comma 4, d.lg. 112/1998.

[32] V. C. Porro, Rapporto tra le norme di tutela del patrimonio artistico e il mercato dell'arte in Italia, in La tutela e la circolazione dei beni culturali nei Paesi membri della Cee, atti del convegno di Milano, 14 maggio 1990, Roma, 1992, 38 ss.; sulla stampa d'informazione v. L. Torretta, Opere d'arte alla catena?, in Il Sole-24 ore del 23 luglio 2000.

[33] Oltre al trattato Cee si ricorda anche l'accordo generale sulle tariffe doganali e il commercio del 30 ottobre 1947 (Gatt), ratificato con la legge 27 aprile 1951, n. 1172, il quale all'art. XX ha ammesso restrizioni quantitative agli scambi internazionali per la protezione del patrimonio artistico, storico ed archeologico.

[34] Un punto che potrebbe costituire oggetto di approfondimento della discussione è tuttavia costituito dalle restrizioni all'esportazione per quei beni che, pur rivestendo interesse storico-artistico, non abbiano però rapporto con la storia e la cultura italiane, ma siano legati in via esclusiva alla storia e alla cultura di Paesi diversi.

[35] V. il decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 356, art. 12, comma 1, lett. a), in attuazione della delega legislativa disposta dalla legge 30 luglio 1990, n. 218; successivamente v. la legge 23 dicembre 1998, n. 461, art. 2, comma 1, lett. d), e il decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153, art. 1, comma 1, lett. d).

[36] Legge 21 novembre 2000, n. 342, recante Misure in materia fiscale, art. 38, che ha modificato l'art. 65, comma 2, del Testo Unico delle imposte sui redditi approvato col d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917.

[37] V. da ultimo A. Gonzáles-Palacios, Arriva la notifica del giorno dopo, in Il Sole-24 ore del 5 novembre 2000. L'occhiello redazionale Tutela d'assalto. Un caso assurdo di applicazione del vincolo di Stato è particolarmente esplicito e duro.

[38] V. L. Biamonti, Natura del diritto dei privati sulle cose di pregio storico o artistico, in Foro it., 1913, I, 1010 ss.

[39] Per un esame di dottrina e giurisprudenza v. S. Benini, La discrezionalità nei vincoli culturali e ambientali, in Foro it., 1998, III, 326; ma v. anche G. Cofrancesco, Introduzione in ID. (a cura di), I beni culturali tra interessi pubblici e privati, Roma, 1996, 17 ss. e, nello stesso volume, G. Giaccardi, La protezione dei beni culturali tra discrezionalità tecnica e amministrativa, 39 ss.; sulla natura dichiarativa o costituiva del vincolo v. R. Tamiozzo, La legislazione dei beni culturali e ambientali, cit., 51 ss.

[40] D.lg. 490/1999, art. 65, comma 2, lett. a). Si noti che vale anche la proposizione reciproca, giacché in caso di diniego dell'attestato di libera circolazione i beni sono dichiarati di interesse particolarmente importante (art. 66, comma 7).

[41] Sul regime tributario dei beni vincolati introdotto dalla legge 2 agosto 1982, n. 512 v. T. Alibrandi, P. Ferri, I beni culturali e ambientali, cit., 711 ss.; per i più recenti aggiornamenti normativi v. R. Tamiozzo, La legislazione dei beni culturali e ambientali, cit., 219 ss.; M. Ainis, M. Fiorillo, I beni culturali, cit., 1081 ss.

[42] Dpr 22 dicembre 1986, n. 917, recante Approvazione del Testo Unico delle imposte sui redditi, art. 13-bis (aggiunto al Testo Unico dall'art. 3 decreto legge 31 maggio 1994, n. 330, convertito in legge 27 luglio 1994, n. 473), primo comma, lett. g); decreto legge 23 febbraio 1995, n. 41, convertito in legge 22 marzo 1995, n. 85, art. 18; decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, art. 49.

[43] Decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, recante Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta sulle successioni e donazioni, art. 13.

[44] V. d.p.r. 29 settembre 1973, n. 602, recante Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito, art. 28-bis; d.lg. 346/1990, art. 39. Sulla cessione di beni culturali in pagamento di imposta v. T. Alibrandi, P. Ferri, I beni culturali e ambientali, cit., 472 ss.

[45] La seconda edizione della mostra, intitolata Arte e collezionismo a palazzo Venezia, si è tenuta a Roma, a palazzo Venezia, dal 20 ottobre al 1° novembre 2000: v. L. Torretta, La "pax romana" tra Stato e mercato, in Il Sole-24 ore del 15 ottobre 2000.



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