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Algoritmo, dunque autore? Il diritto d’autore alla prova della creatività non umana

di Fabio Zambardino [*]

Sommario: 1. Introduzione: oltre l’autore umano. - 2. L’algoritmo che cambia: arte computazionale e apprendimento continuo. - 3. La soggettività algoritmica come concetto giuridico emergente. - 4. Verso una categoria di autorialità algoritmica evolutiva. - 5. Ripensare l’umano, oltre l’antropocentrismo del diritto d’autore.

Il presente contributo esplora le implicazioni giuridiche della produzione artistica generata da sistemi di intelligenza artificiale evolutiva, con particolare riferimento alle reti neurali generative capaci di apprendere e modificarsi autonomamente nel tempo. Superando la dicotomia ormai classica tra autore umano e strumento tecnologico, si propone una nuova categoria teorica: l’autorialità algoritmica evolutiva. Tale nozione consente di concepire il processo creativo computazionale non come un’emanazione dell’umano, ma come una forma emergente di soggettività giuridica funzionale, capace di fondare titolarità e responsabilità in ambito autoriale. Attraverso un’analisi critica delle principali tradizioni giuridiche (continentale e anglosassone) e dei primi approcci comparatistici a livello normativo e dottrinale, si delinea un possibile assetto normativo post-antropocentrico, in grado di riconoscere e regolare la creatività non umana senza dissolvere la coerenza del sistema del diritto d’autore. L’articolo si conclude con una riflessione prospettica sulla necessità di ripensare il concetto stesso di “autore” nell’epoca della computazione generativa.

Parole chiave: autorialità; algoritmo; intelligenza artificiale; diritto d’autore; soggettività algoritmica.

Algorithm, therefore author? Copyright to the test of non-human creativity
This paper explores the legal implications of artistic production generated by evolutionary artificial intelligence systems, with particular reference to generative neural networks capable of learning and modifying themselves autonomously over time. Overcoming the now classic dichotomy between human author and technological tool, a new theoretical category is proposed: evolutionary algorithmic authorship. This notion allows us to conceive of the computational creative process not as an emanation of the human, but as an emerging form of functional legal subjectivity, capable of establishing ownership and responsibility in the field of authorship. Through a critical analysis of the main legal traditions (continental and Anglo-Saxon) and the first comparative approaches at the regulatory and doctrinal level, a possible post-anthropocentric regulatory framework is outlined, capable of recognising and regulating non-human creativity without dissolving the coherence of the copyright system. The article concludes with a forward-looking reflection on the need to rethink the very concept of “author” in the age of generative computation.

Keywords: authorship; algorithm; artificial intelligence; copyright; algorithmic subjectivity.

1. Introduzione: oltre l’autore umano

Nel contesto attuale della produzione artistica, l’interazione fra intelligenza artificiale e creatività solleva interrogativi che travalicano la mera dimensione tecnica o estetica, lambendo in profondità la costruzione giuridica dell’autorialità, la natura del processo creativo e la stessa ratio essendi del diritto d’autore.

Tradizionalmente, la nozione di autore è stata inscindibilmente connessa alla figura di un soggetto umano, titolare di facoltà espressive considerate originali e riconoscibili [1]: una concezione ontologicamente radicata nelle estetiche romantiche e riflessa nelle architetture normative, tanto nei sistemi di civil law quanto in quelli di common law, seppur con varianti e sfumature peculiari e distintive [2].

Nei Paesi di matrice romanistica - si consideri, in particolare, l’impianto francese, italiano e tedesco - l’autore rappresenta il principio generativo di un’opera dotata di forma espressiva e di impronta personale, tutelata in quanto manifestazione eminente della personalità [3]. Al contrario, l’approccio anglosassone tende ad ancorare la protezione dell’opera a una logica eminentemente pragmatica, fondata su criteri di originalità e utilità sociale, nell’ottica di incentivare la produzione intellettuale quale bonum commune [4]. In entrambi i modelli, tuttavia, permane il presupposto indefettibile secondo cui la titolarità dei diritti postula l’esistenza di una volontà umana, espressa in un atto creativo circoscrivibile nello spazio e nel tempo [5].

È in tale contesto teorico che si innesta la crescente diffusione di sistemi di intelligenza artificiale in grado non soltanto di generare artefacta formalmente assimilabili alle opere artistiche, ma soprattutto di apprendere, modificarsi ed evolvere in maniera autonoma, secondo dinamiche non rigidamente deterministiche [6].

Le architetture neurali generative, gli algoritmi di deep learning e le piattaforme di computazione adattiva non operano più secondo schemi lineari e prevedibili, bensì secondo modelli evolutivi interni, spesso opachi e parzialmente insondabili perfino per i loro stessi sviluppatori [7].

In siffatto scenario, quando l’opera artistica è il portato di un sistema che si trasforma nel tempo, rielaborando dinamicamente input esterni, si dissolve gradualmente l’idea di un atto creativo originario, per lasciare spazio a un processo creativo diffuso, continuo, intrinsecamente non lineare [8].

In questa rinnovata dimensione, l’autorialità non appare più riconducibile a un singolo gesto fondativo, ma tende a configurarsi come fenomeno processuale, stratificato temporalmente, e mediato da un sistema non umano che ingloba significativi margini di autonomia.

È propriamente in questo slittamento - da una concezione statica a una prospettiva evolutiva dell’autore - che si dischiudono nuove domande per il diritto positivo: può un’entità algoritmica, in quanto dotata di capacità generativa e trasformativa, essere considerata titolare (o quantomeno veicolo) di un’autorialità giuridicamente rilevante? Quali implicazioni si profilerebbero, dunque, qualora si riconoscesse una forma di soggettività funzionale in capo a sistemi computazionali operanti e apprendenti extra voluntatem umana?

Stabilite tali premesse, il presente contributo si propone di esplorare questi interrogativi a partire dal presupposto dirimente che la relazione tra autore e opera, nel contesto dell’arte computazionale evolutiva, non possa più essere inquadrata nei termini binari e antropocentrici della dottrina classica.

Non si tratterà, pertanto, di delimitare chi - tra programmatore, utente o curatore - debba essere investito della qualifica di autore “reale” dell’opera generata da un sistema d’intelligenza artificiale, come sovente accade nella recente letteratura giuridica. Si tenterà, piuttosto, di indagare i margini teorici per l’emersione di una nuova figura giuridico-artistica, l’autore algoritmo, o, più propriamente, una forma di autorialità algoritmica evolutiva, capace di interrogare radicalmente i confini stessi della soggettività nel diritto d’autore contemporaneo.

2. L’algoritmo che cambia: arte computazionale e apprendimento continuo

Nel cuore della riflessione sull’autorialità algoritmica si inscrive una metamorfosi strutturale profonda, caratterizzata dal transito da sistemi computazionali rigidamente deterministici, vincolati a una codifica chiusa e prescrittiva, a modelli capaci di apprendimento continuo e adattamento autonomo, secondo logiche auto-evolutive.

L’arte computazionale contemporanea, nella sua declinazione più radicale - quella generativa, neurale, evolutiva - si fonda precipuamente su tale capacità dei sistemi di riconfigurare le proprie architetture interne in risposta a input ambientali, in assenza di una intenzionalità predeterminata da parte dell’operatore umano [9]. In altri termini, l’opera cessa di essere l’output di un codice sigillato, per divenire l’esito emergente di un processo computazionale aperto, interattivo, storico [10].

Emblematica, in tal senso, è l’esperienza delle Generative Adversarial Networks (Gans) [11], architetture binarie fondate sulla contrapposizione dialettica fra due reti neurali - una generatrice e una discriminatrice - che si allenano reciprocamente all’interno di un ciclo iterativo volto al perfezionamento progressivo [12].

Nell’ambito della produzione artistica, tali modelli non si limitano a ricombinare materiali tratti da dataset preesistenti, bensì generano ex novo immagini, suoni o testi mediante un apprendimento autonomo e non lineare [13]. Quanto più si protrae la fase addestrativa, tanto più l’algoritmo si emancipa dalla configurazione originaria predisposta dal programmatore, fino a produrre esiti che sfuggono a una riconducibilità diretta a input determinati o a finalità anticipabili ex ante [14].

In altri scenari, come nelle installazioni artistiche interattive o nei sistemi reattivi fondati su reinforcement learning, l’algoritmo modifica la propria condotta in tempo reale, in risposta all’ambiente o alla partecipazione dello spettatore [15].

In tali opere, il confine tra arte, autore e pubblico si assottiglia fino a divenire poroso. L’opera stessa si configura come funzione della relazione e del tempo, e l’algoritmo emerge quale subiectum technicum capace di apprendere esperienze, generare variazioni e trasformare sé medesimo in relazione al contesto fenomenologico [16].

Siffatta dimensione storica e relazionale dell’algoritmo determina una frattura epistemologica rispetto alle categorie classiche del diritto d’autore [17].

Una tale trasformazione impone, in ultima analisi, di interrogarsi sulla natura dell’atto creativo e sulla possibilità di attribuirlo a un soggetto determinato: qualora l’intelligenza artificiale operi in funzione meramente ausiliaria, a supporto del lavoro umano, la riconducibilità dell’opera all’autore resta pacifica, anche laddove questi “si sia avvalso di sistemi algoritmici in fase di ricerca e sviluppo” [18]. Ben diversa si presenta, invece, la configurazione dei sistemi generativi, nei quali si pone il problema di discernere se e in quale misura l’iniziativa creativa possa ancora dirsi antropica, oppure se essa emerga, almeno in parte, da dinamiche autonome del sistema stesso [19].

La normativa vigente - tanto in ambito eurocontinentale quanto in quello anglosassone - si fonda tuttora sulla presunzione implicita di un atto creativo delimitabile, definito ab initio: l’opera scaturisce da una autorialità situata spazialmente e temporalmente [20].

Ma quando la creatività assume la forma di un processo auto-riflessivo, incessante e cangiante, tale presupposto giuridico perde progressivamente consistenza. L’autore non è più (soltanto) colui che ha predisposto l’algoritmo, bensì diviene anche, e forse soprattutto, l’algoritmo stesso nella sua dimensione dinamica ed evolutiva [21].

Tanto la dottrina quanto la giurisprudenza comparata, pur animate da timidi slanci innovativi e da sporadiche incursioni ermeneutiche volte ad aggiornare l’ars interpretandi alle sfide della contemporaneità tecnologica, si mostrano tuttora fortemente riluttanti a riconoscere, in claris, ipotesi di autorialità non umana.

Questa reticenza, lungi dall’essere frutto esclusivo di inerzie giuridiche, affonda le proprie radici in una visione antropocentrica del diritto d’autore, nella quale l’opera è concepita come estensione simbolica e giuridicamente rilevante della volontà creativa dell’homo faber.

Nel contesto statunitense, tale paradigma trova espressione cristallina nel celebre Compendium of U.S. Copyright Office Practices, laddove si sancisce che la protezione autorale presuppone, in modo tassativo, un “modicum of human creativity” [22]. In tal senso, la normazione statunitense ribadisce con nettezza la centralità della volontà umana quale presupposto ontologico della tutelabilità, riaffermando un modello neo-romantico di creatività individuale, che mal si concilia con le istanze di creatività distribuita, emergente o machinica [23].

Non dissimilmente, la giurisprudenza dell’Unione Europea - pur contraddistinta da una maggiore flessibilità ermeneutica e da una propensione più marcata verso un’interpretazione teleologica dell’originalità, concepita come esito e non necessariamente come espressione soggettiva - non si è ancora spinta fino ad ammettere, stricto sensu, la possibilità di una soggettività algoritmica dotata di rilevanza autoriale [24].

I criteri giurisprudenziali affermatisi nella Corte di Giustizia dell’Unione Europea, come nella nota sentenza Infopaq International A/S v Danske Dagblades Forening, mantengono pur sempre al centro dell’analisi l’intervento creativo dell’essere umano, quale condizione indefettibile dell’originalità protetta [25].

E, tuttavia, alcune esperienze giuridiche non appartenenti alla c.d. “western legal tradition” iniziano a sperimentare, quantomeno in sede dottrinale o giurisprudenziale, modelli di ownership algoritmica di natura ibrida.

Il Giappone, per esempio, ha intrapreso un percorso di riflessione teorica volto a indagare la possibilità di attribuzione di diritti patrimoniali a soggetti umani non tanto qua autori, quanto piuttosto in qualità di “cooperatori” o “attivatori” del processo creativo algoritmico, specialmente nell’ambito dell’arte generativa e del design computazionale [26].

Ancor più emblematico è il caso della Repubblica Popolare Cinese, ove, sin dal 2019, alcune pronunce giudiziarie - sebbene isolate - hanno riconosciuto la piena tutelabilità giuridica di opere create da sistemi di intelligenza artificiale, pur continuando ad assegnare i diritti a persone fisiche o giuridiche riconducibili all’ambito umano (programmatori, committenti o utilizzatori). Tali sentenze, lungi dal costituire una rottura sistemica con il paradigma antropocentrico, testimoniano però l’insorgere di una “disquietudo” concettuale crescente, sintomatica della difficoltà, da parte del diritto positivo, di far fronte a oggetti giuridici emergenti che eccedono le coordinate classiche della soggettività [27].

In questo contesto in fermento, la posizione delle giurisdizioni rimane ancorata a un’idea formale di soggettività giuridica come attributo ontologicamente umano, incapace - almeno sinora - di accogliere l’idea di una autorialità algoritmica come categoria pienamente riconoscibile nel lessico del diritto.

Ma l’inadeguatezza di tali categorie tradizionali a rappresentare fenomeni creativi che si sviluppano lungo assi temporali non lineari, secondo logiche evolutive e partecipative, interroga con urgenza non solo la tenuta della dogmatica giuridica, ma anche il fondamento ontologico della normazione estetica.

L’algoritmo che apprende, muta e si evolve non può più essere concepito esclusivamente come un mezzo strumentale: esso è, se non subiectum iuris, certamente subiectum aestheticum, in grado di produrre effetti normativi rilevanti sull’architettura del diritto d’autore contemporaneo [28].

3. La soggettività algoritmica come concetto giuridico emergente

L’idea di conferire personalità giuridica a entità non umane non costituisce un elemento estraneo alla tradizione giuspositivistica occidentale.

Sin dal diritto romano classico, passando per le elaborazioni canonistiche e sistematiche dell’età medioevale e moderna, le persone giuridiche sono state intese quali entia rationis: costruzioni tecnico-normative finalizzate ad attribuire capacità giuridica a soggetti collettivi - quali le universitates, le collegia - privi di corporeità fisica, ma nondimeno attivi nel foro giuridico [29].

Questo antecedente storico dimostra come la soggettività giuridica non si fondi ontologicamente su una coscienza senziente, ma venga assegnata ratione functionis. La personalità, in tal senso, è uno strumento sistemico, un attributo assegnabile ex lege in vista di specifiche finalità giuridico-economiche.

Nel contesto contemporaneo, il dibattito intorno all’eventuale riconoscimento di una soggettività giuridica in capo all’intelligenza artificiale - in specie a quella impiegata nei processi creativi - si è riacceso alla luce della crescente sofisticazione delle architetture algoritmiche e della loro progressiva autonomia operativa [30].

Le reti neurali generative che elaborano arte, musica o testo non si configurano più come meri esecutori meccanici di istruzioni, bensì come entità in grado di apprendere, reagire, auto trasformarsi, generando esiti non sempre riconducibili a un controllo umano diretto o a una volontà preordinata [31].

Alla luce di ciò, risulta lecito interrogarsi se la nozione di soggettività giuridica possa essere riconfigurata in chiave funzionalistica e pragmatica, anziché mantenersi rigidamente ancorata a presupposti ontologici o morali, al fine di garantire certezza del diritto e stabilità regolativa in contesti inediti.

Alcuni ordinamenti giuridici, seppur in modo ancora esitante e frammentario, hanno iniziato a sondare l’ipotesi di una soggettività giuridica limitata per le entità algoritmiche, specie laddove esse manifestino una significativa autonomia decisionale. La proposta contenuta nella Risoluzione del Parlamento Europeo del 16 febbraio 2017 [32] ha segnato, in tale prospettiva, una prima, timida ma significativa apertura verso il riconoscimento di una electronic personhood [33], ovverosia di una categoria giuridica specifica e distinta, pensata per consentire l’imputazione di diritti e obblighi a sistemi di intelligenza artificiale avanzata, in funzione della loro capacità operativa e della loro autonomia comportamentale [34].

Pur priva di immediata cogenza normativa, la proposta ha avuto il merito di rendere visibile una faglia sistemica: la crescente inadeguatezza delle strutture giuridiche tradizionali nel disciplinare entità tecniche capaci di agire, apprendere e generare effetti giuridici, senza un vincolo deterministico all’input umano. Tale ipotesi di electronic legal subject - ispirata da un’esigenza di effettività piuttosto che da un impulso ontologico - ha innescato un ampio dibattito dottrinale, che ha visto contrapporsi approcci sostanzialmente divergenti [35].

Da un lato, una parte della dottrina ha accolto con favore l’intuizione funzionalistica sottesa alla proposta europea, sostenendo che il riconoscimento di una personalità giuridica algoritmica - se limitato e ben circoscritto - possa costituire uno strumento utile a garantire certezza del diritto, assegnazione di responsabilità e regolazione efficace degli effetti prodotti dalle intelligenze artificiali nei mercati digitali e creativi [36]. Dall’altro lato, tuttavia, non sono mancate critiche severe, fondate sull’asserita improprietà concettuale e sulla potenziale deresponsabilizzazione degli attori umani (i.e., sviluppatori, proprietari, gestori), che tale costruzione rischierebbe di produrre [37].

Simmetricamente, anche al di fuori dell’Unione Europea si sono registrati alcuni tentativi normativi - o quanto meno pre-normativi - volti ad affrontare il tema della creatività algoritmica da un’angolazione eminentemente funzionale.

Ordinamenti come quelli della Nuova Zelanda e di Singapore, nonché in parte quello sudafricano, hanno ipotizzato modelli di non-personal authorship o di statutory ownership, nei quali l’opera generata autonomamente da un algoritmo non venga attribuita né all’intelligenza artificiale (intesa come eventuale soggetto), né direttamente al programmatore, bensì a un soggetto economico designato ex lege - spesso l’utilizzatore o il detentore dell’algoritmo - in funzione di una logica redistributiva e di stabilizzazione dei diritti nel mercato [38].

Tale scelta riflette una torsione del concetto stesso di tutela autoriale, non più fondata sull’espressione della personalità del creatore, ma piuttosto incentrata sulla garanzia della circolazione sicura dei beni immateriali e sulla certezza delle situazioni giuridiche soggettive [39].

La protezione, in questo scenario, non risponde a un’esigenza di riconoscimento identitario (ius morale), bensì a una razionalità sistemica, di natura eminentemente patrimoniale e regolativa.

In tale prospettiva, l’attribuzione di una personalità giuridica limitata e funzionale all’algoritmo creativo può essere letta come una risposta sistemica - se non necessaria, quantomeno plausibile - alla crisi delle categorie tradizionali che innervano la teoria dell’autorialità [40]. Una soggettività, questa, che non presuppone intenzionalità né autocoscienza, ma che consente l’inquadramento giuridico di una nuova tipologia di agenti produttivi operanti in ambito artistico e culturale [41].

In altri termini, si tratterebbe di estendere al dominio computazionale logiche analoghe a quelle che presiedono alla concessione di personalità giuridica alle persone collettive [42]: entità artificiali, prive di ontologia propria, ma costituite ad hoc per finalità economiche, organizzative, o funzionalmente sistemiche.

Tuttavia, appare cruciale distinguere tra due piani concettuali separati, benché talvolta sovrapposti: da un lato, l’attribuzione di una personalità giuridica piena, connotata da autonomia morale - ipotesi ancora problematica, tanto sul piano filosofico quanto su quello giuridico; dall’altro lato, l’istituzione di una soggettività funzionale, ad fines, limitata all’esercizio circoscritto di determinate situazioni giuridiche soggettive, quale strumento tecnico per la gestione della creatività algoritmica evolutiva.

In quest’ottica, l’algoritmo-autore non è un soggetto in senso forte, bensì un nodo normativo, un centro di imputazione funzionale che consente al diritto di strutturare relazioni giuridiche complesse, pur in assenza di una vera soggettività ontologica.

Il riconoscimento, seppur parziale, di un’agency normativa in capo all’algoritmo artistico non comporterebbe dunque una pericolosa fictio antropomorfica, bensì inaugurerebbe una nuova stagione giuridica improntata a modelli di responsabilità condivisa, di governance algoritmica e di curatela istituzionale della creatività distribuita.

In tal senso, la soggettività algoritmica non si configurerebbe come un’anomalia sistemica, bensì come un possibile esito evolutivo, razionalmente coerente, del diritto d’autore nell’epoca della post-antropocentricità.

4. Verso una categoria di autorialità algoritmica evolutiva

Alla luce delle trasformazioni delineate, si paventa l’esigenza di una riconfigurazione concettuale del ruolo dell’autore nell’attuale assetto del diritto d’autore. L’idea tradizionale di autorialità - intesa quale espressione individuale, personale e originaria di un’intenzionalità creativa umana - rivela ormai evidenti aporie dinanzi a processi produttivi che si sviluppano al di là delle coordinate lineari della creazione artistica classica [43].

È in tale contesto che si propone, con valenza tanto teoretica quanto sistemica, la nozione di autorialità algoritmica evolutiva [44].

Una categoria che non ambisce né a soppiantare la centralità dell’umano né a riconoscere alle macchine una qualsivoglia soggettività artistica in senso forte, ma si configura quale modello intermedio e strumentale, in cui la creatività scaturisce da un sistema computazionale dinamico, dotato di capacità di apprendimento autonomo e di elaborazione adattiva, idoneo a generare opere non pienamente riconducibili né al codice sorgente né a un input umano diretto [45].

In altri termini, si tratteggia una concezione di autorialità distribuita, processuale e adattiva, che riconosce nella trasformazione interna dell’algoritmo la fonte sostanziale del carattere creativo dell’opera.

All’interno del vigente orizzonte normativo, una simile impostazione richiede un’operazione di dislocazione preliminare: emancipare la nozione di autore dal vincolo dell’intenzionalità soggettiva per ancorarla, a contraris, alla morfologia del processo creativo.

In tal senso, alcuni ordinamenti giuridici offrono già spunti suscettibili di rilettura evolutiva.

Nel diritto tedesco, l’autorialità si è tradizionalmente configurata come Ausdruck der Persönlichkeit, espressione della soggettività creativa dell’individuo, secondo un modello intimamente connesso alla persönliche geistige Schöpfung [46]. Tuttavia, tale paradigma, figlio dell’idealismo romantico, è stato progressivamente rimodellato alla luce delle esigenze sistemiche e delle trasformazioni nei processi creativi contemporanei, dando spazio a concetti più funzionali come quello di Werkherrschaft, in grado di svincolare - almeno parzialmente - la titolarità giuridica dell’opera dalla sua matrice spirituale [47]. Di conseguenza, il Werkherr non coincide necessariamente con l’autore come individuo creativo, bensì con il soggetto che organizza, dirige e rende possibile - anche per via tecnica o organizzativa - la produzione dell’opera [48].

In questa prospettiva, si apre la possibilità di riconoscere una forma di titolarità “funzionale” anche in assenza di una paternità autoriale classica. Il Werkherr può divenire, mutatis mutandis, il curatore algoritmico, “colui” che predispone e governa il contesto computazionale da cui scaturisce l’opera, secondo logiche che non sono quelle della creazione immediata, ma della responsabilità organizzativa e tecnica. In tal senso, la Werkherrschaft si configura come ponte concettuale per riconoscere, in contesti computazionali evolutivi, un ruolo autoriale non più incentrato sull’intenzionalità bensì sulla capacità di gestire un processo creativo decentralizzato [49].

Diversamente, nel contesto angloamericano, la prospettiva si presenta, sin dall’origine, maggiormente orientata al risultato (output-driven), piuttosto che al processo interiore dell’autore [50]. I leading cases della giurisprudenza statunitense (Feist, Bleistein) [51], dischiude margini per una tutela fondata sul risultato dell’elaborazione algoritmica, anche in assenza di un autore umano identificabile in senso stretto [52].

In Feist, la Corte Suprema ha affermato che la mera raccolta di dati, se priva di uno sforzo creativo, non merita tutela, ponendo così l’accento sull’originalità dell’output e non sulla qualità soggettiva dell’autore [53]. In Bleistein, si è sostenuto che persino un’opera commerciale - ancorché prodotta con finalità pragmatiche - può essere dotata di originalità, a condizione che rifletta una qualche forma di espressione individuale [54]. Questi orientamenti, pur non negando l’esistenza di un soggetto creativo, attribuiscono rilievo prevalente alla conformazione del risultato, lasciando spazio a una nozione di originalità potenzialmente dissociabile da un’intenzionalità propriamente umana [55].

In questa linea, l’elaborazione giurisprudenziale angloamericana potrebbe - se opportunamente estesa - costituire un fertile terreno per il riconoscimento di una autorialità algoritmica fondata sull’autonomia del processo generativo e sulla novità del risultato, indipendentemente dalla coscienza o dalla volontà dell’agente. In altri termini, si delinea la possibilità di una tutela dell’output algoritmico non per il suo legame con un soggetto umano identificabile, ma per la sua capacità di costituire una forma espressiva originale, intelligibile e culturalmente rilevante.

Tali approcci, lungi dall’essere in antitesi, possono essere letti in chiave complementare: da un lato, il modello tedesco di Werkherrschaft offre una base teorica per imputare la titolarità a un soggetto-filtro umano, anche in assenza di paternità creativa diretta; dall’altro, la tradizione common law legittima una tutela dell’opera algoritmica fondata sulla natura dell’output, rafforzando l’idea che l’originalità sia un attributo valutabile ex post, a prescindere dal percorso intenzionale.

La convergenza di questi modelli, opportunamente reinterpretati, può costituire l’ossatura concettuale per un futuro statuto giuridico dell’autorialità algoritmica, capace di conciliare esigenze di certezza del diritto, protezione dei diritti patrimoniali e adeguamento del sistema alle trasformazioni profonde della produzione culturale nell’era post-antropocentrica.

Una categoria, quella proposta, che potrebbe operare su tre livelli:

- Livello tecnico-procedurale: si riconosce che l’opera deriva da un processo computazionale non statico, bensì evolutivo, e che il suo valore creativo è correlato alla tracciabilità, alla capacità generativa e all’inedita combinatorietà interna al sistema, piuttosto che a un singolo atto creativo umano [56].

- Livello soggettivo-funzionale: si ipotizza che, in difetto di un autore umano identificabile secondo i parametri tradizionali del diritto d’autore, l’algoritmo possa assumere la funzione di centro fittizio di imputazione normativa. Tuttavia, non essendo dotato di personalità giuridica, tale imputazione presuppone necessariamente l’intermediazione di un soggetto terzo, definibile come soggetto-ponte, incaricato dell’esercizio e della gestione dei diritti patrimoniali derivanti dall’opera [57]. La selezione di tale soggetto potrebbe fondarsi su criteri normativamente predeterminati, quali il controllo tecnico ed economico sul sistema generativo, la responsabilità nella messa in circolazione dell’opera, ovvero l’assunzione intenzionale e documentata di un ruolo curatoriale [58]. L’esercizio di tali diritti potrebbe essere sottoposto a un regime speciale, ispirato a modelli di licenza automatica, obblighi di trasparenza nell’uso dell’algoritmo, o vincoli di destinazione culturale e non esclusiva, compatibili con la natura generativa e iterativa del processo creativo. In mancanza di un soggetto-ponte legittimamente individuabile, o nei casi in cui la produzione algoritmica risulti svincolata da un controllo umano significativo, si potrebbe prevedere un regime di attribuzione ex lege dei diritti patrimoniali a soggetti pubblici o istituzioni culturali [59]. Un simile modello si collocherebbe in continuità con esperienze normative già esistenti, quali quelle relative alle opere orfane [60], alle opere di dominio pubblico [61] o ai regimi di gestione collettiva obbligatoria [62]. Si delineerebbe, in tal modo, una forma di curatela autoriale algoritmica, capace di operare in assenza dell’autore umano tradizionalmente inteso, ma funzionalmente equivalente ai fini della titolarità e della gestione dei diritti patrimoniali [63].

- Livello sistemico-normativo: si propone l’inquadramento dell’autorialità algoritmica evolutiva in una categoria sui generis, idonea a coesistere con le strutture dogmatiche del diritto d’autore, ma capace altresì di giustificare forme di protezione limitate temporalmente, l’esclusione dei diritti morali e, eventualmente, l’adozione di modelli di titolarità collettiva o pubblica per le opere prodotte da sistemi autonomi [64].

Sebbene una tale proposta non ambisca a fornire una panacea definitiva alla questione dell’autore non umano, tuttavia essa si configura come tentativo di introdurre una grammatica giuridica più flessibile, riflessiva e coerente con la complessità della produzione artistica odierna.

Così come, in passato, il diritto ha saputo elaborare figure ibride - basti pensare all’autore collettivo, all’opera cinematografica quale opus compositum, o al ruolo degli enti morali nella titolarità dei diritti d’autore - allo stesso modo si rende oggi necessaria una novatio conceptualis che consenta di riconoscere come “autore” un’entità algoritmica non perché umana, ma in quanto dotata di capacità operativa, “agentività” trasformativa e visibilità strutturale nel processo creativo.

In tale prospettiva, il diritto potrebbe finalmente superare l’attuale paradosso di opere percepite come culturalmente rilevanti e formalmente prive di autore. L’autorialità algoritmica evolutiva non rappresenterebbe una fictio, bensì una risposta epistemicamente fondata e giuridicamente funzionale alla sfida posta dalla creatività non antropocentrica.

5. Ripensare l’umano, oltre l’antropocentrismo del diritto d’autore

Nel tentativo di cogliere e disciplinare le nuove forme della creatività algoritmica, il diritto si confronta con un bivio concettuale di portata paradigmatica: da un lato, la persistenza di un antropocentrismo normativo rigido, che postula l’identità dell’autore con un soggetto umano senziente; dall’altro lato, la possibilità - ormai ineludibile - di riconoscere che la centralità dell’umano, almeno nel dominio della produzione artistica e intellettuale, non è un presupposto ontologico, bensì una fictio iuris, frutto di un’opzione normativa storicamente situata, e dunque - in linea di principio - riformulabile.

L’arte generata da sistemi algoritmici evolutivi non si limita a scardinare la nozione classica di “opera”, ma interroga radicalmente il telos stesso dell’umano quale fondamento esclusivo dell’autorialità. In un contesto in cui la creatività si dispiega attraverso traiettorie computazionali non antropiche, in cui l’intenzionalità cede il passo a processi di auto-organizzazione complessa, e in cui l’artista assume il ruolo di curatore sistemico più che di demiurgo diretto, l’autorialità muta: da res eminentemente soggettiva a funzione epistemica e gestionale di un ecosistema generativo.

Questo slittamento ontologico impone una riflessione più profonda sul ruolo stesso del diritto quale dispositivo di attribuzione di senso e valore. Storicamente, il diritto d’autore ha agito sia come strumento di tutela della personalità (nel paradigma continentale), sia come incentivo alla produzione intellettuale (nel modello anglosassone), ma sempre sulla base di una premessa antropologica forte: che sub omni specie dell’opera si celi una coscienza umana individuale.

L’irruzione della creatività algoritmica - autonoma, adattiva, talvolta opaca - incrina tale premessa fondativa e costringe il giurista a traslare il proprio baricentro: non più (sol)tanto sul quis sit auctor, ma su cosa oggi significhi essere autore in un contesto in cui l’umano è sempre più compenetrato - se non in taluni casi superato - da entità tecnico-intelligenti.

Non si tratta, evidentemente, di abiurare l’umano, né di indulgere a facili apologie dell’intelligenza artificiale; si tratta, piuttosto, di prefigurare un diritto d’autore post-antropocentrico, capace di riconoscere che la creatività non è più attributo esclusivo della soggettività umana, ma proprietà emergente di ecosistemi cognitivi ibridi, nei quali interagiscono codici, dati, reti neurali, architetture computazionali e operatori umani in ruoli sempre più curatoriali, orchestrali, “metadesignativi”.

In tale prospettiva, la nozione di autorialità algoritmica evolutiva non si configura soltanto come categoria giuridica sperimentale, ma come locus teorico attraverso cui ripensare l’ontologia stessa del diritto dell’arte. Un diritto che, se vuole continuare a descrivere, interpretare e proteggere la policromia dell’arte contemporanea, non può più irrigidirsi nella conservazione delle sue antiche categorie, ma deve ipse farsi processo creativo: capace di apprendere, riflettere, mutare - proprio come gli algoritmi che oggi è chiamato a comprendere e disciplinare.

Così concepito, il diritto non si depaupera, ma si raffina. Non abdica alla propria funzione regolativa, ma la trasforma in chiave adattiva, mimetica, evolutiva.

E, forse, proprio in questo decentramento, ritrova una forma più autentica di giustizia: capace non solo di celebrare la centralità dell’umano, ma anche - finalmente - di riconoscerne i limiti. E di vedere, nei suoi confini, l’inizio di nuove possibilità.

 

Note

[*] Fabio Zambardino, Dottore di Ricerca in Diritto Comparato e Processi di Integrazione, Contrattista di ricerca presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”, Caserta, fabio.zambardino@unicampania.it; Professore Associato di Diritto Privato presso la New Vision University, Tbilisi (Georgia), fzambardino@newvision.ge.

[1] In tema di diritto d’autore, si rimanda a R. Caso, G. Pascuzzi, Il diritto d’autore dell’era digitale, in Il diritto dell’era digitale, (a cura di) G. Pascuzzi, Bologna, il Mulino, 2020, pag. 193 ss.; P. Magnani, Profili di tutela del diritto d’autore nella creazione di cataloghi digitali del patrimonio culturale: la protezione della banca dati e la protezione dei contenuti, in Aedon, 2020, 3; O. Pollicino, Tutela del diritto d’autore e protezione della libertà di espressione in chiave comparata. Quale equilibrio su Internet?, in Il caso del diritto d’autore, I diritti nella “rete” della rete, (a cura di) F. Pizzetti Torino, Giappichelli, 2013, pag. 97 ss.; M. Ricolfi, Il diritto d’autore, in, Diritto industriale, (a cura di) N. Abriani, G. Cottino, M. Ricolfi, in Trattato di diritto commerciale, (a cura di) G. Cottino, Padova, Cedam, 2001, pag. 458 ss.; A. Candian, Il diritto d’autore nel sistema giuridico, Milano, Giuffrè, 1953.

[2] In prospettiva comparatistica si vedano, senza alcuna pretesa di completezza, L. Moscati, Diritti d’autore. Storia e comparazione nei sistemi di civil law e di common law, Milano, Giuffrè, 2020; S. Balganesh (ed.), Intellectual property and the common law, Cambridge, London, 2015, pag. 12 ss.; U. Izzo, Alle origini del copyright e del diritto d’autore. Tecnologia, interessi e cambiamento giuridico, Roma, Carocci, 2010; R.C. Bird, S.C. Jain, The Global Challenge of Intellectual Property Rights, Cheltenham, 2009; L. Moscati, Alle radici del droit d’auteur, in Collana Studi di Storia del diritto, Bologna, il Mulino, 2007; P.G. Monateri, The Weak Law. Contaminations and Legal Cultures, in Rechtsgeschichte, vol. 8, 2006; L. Nivarra, Itinerari del diritto d’autore, in Collana Quaderni AIDA, Milano, Giuffrè, 2001; U. Loewenheim, Copyright in civil law and common law countries: a narrowing gap, in AIDA, 1994, pag. 161 ss.; G. Alpa, Il diritto d’autore tra persona, proprietà e contratto, in Dir. Inf., 1989, 1, pag. 363 ss.; M. Rose, Authors and Owners. The Invention of Copyright, Boston, 1993; E. Piola Caselli, A. Arienzo, F. Bile, voce Diritti d’autore, in Novis. Dig. it., V, Torino, Utet, 1957.

[3] E. Carloni, Dalla legalità algoritmica alla legalità (dell’amministrazione) artificiale. Premesse ad uno studio, in Riv. It. Inf. Dir., 2024, 2, n. 6, pag. 451 ss.

[4] S. Balganesh (ed.), Intellectual property and the common law, cit., pag. 12 ss.; U. Loewenheim, Copyright in civil law and common law countries: a narrowing gap, cit.; L. Moscati, Diritti d’autore. Storia e comparazione nei sistemi di civil law e di common law, cit.

[5] L. Moscati, Diritti d’autore. Storia e comparazione nei sistemi di civil law e di common law, cit.

[6] U. Izzo, Alle radici della diversità tra copyright e diritto d’autore, tecnologia, interessi e cambiamento giuridico, cit., pag. 18 ss.

[7] Sull’impatto in generale delle nuove tecnologie sul mercato dell’arte e sul diritto dell’arte latu sensu, si veda B. Pozzo, Una introduzione: diritto delle arti, nuove tecnologie e valorizzazione dei beni culturali, in Diritto delle arti e nuove tecnologie. Atti del Convegno del 15 ottobre 2021, Quaderni di diritto delle arti e dello spettacolo, (a cura di) M.S. Cenini, F. Dell’Aversana, F. Ferrari, G. Magri, 2023, pag. 7 ss.

[8] G. Ajani, Contemporary artificial art and the law. Searching for an author, in Brill Research Perspectives. Art and Law, Biggleswade, 2020, pag. 1 ss.

[9] Sul punto si veda M.M. Cafà, Arte computazionale, in Neologismi della critica artistica contemporanea: nuovi media, nuove tecnologie, nuove prospettive metodologiche, Collana Lessico dell’arte e della storiografia artistica di Horti Hesperidum, 2, (a cura di) F. Bertini, R. Inglisa, Roma, 2024, pag. 103 ss.

[10] L. Nivarra, Artificial intelligence and infringement of intellectual property, in EJPLT, no. 2, 2024, pagg. 87-90.

[11] I.J. Goodfellow et al., Generative adversarial networks, in Commun. ACM, no. 11, 2020, pagg. 139-144. Si veda anche A. Barale, A hideaway in the wastelands: nuove sfide filosofiche dell’AI art, in A. Barale, Be my Gan, Milano, Giuffrè, 2020; M. Mazzone, Le GAN e la questione della creatività nell’arte e nell’intelligenza artificiale, in A. Barale, Be my Gan, cit.

[12] P. Traverso, Breve introduzione tecnica all’Intelligenza Artificiale, in Diritto e Intelligenza Artificiale, (a cura di) C. Casonato, M. Fasan, S. Penasa Sezione monografica, DPCE online, 2022, 1, pag. 163. L’autore afferma come tali networks “sono in grado di addestrare reti neurali per generare piuttosto che classificare immagini, video, suoni, musica, opere d’arte come quadri venduti a centinaia di migliaia di dollari”.

[13] M. Mazzone, Le GAN e la questione della creatività nell’arte e nell’intelligenza artificiale, cit., pag. 51 ss.

[14] I.J. Goodfellow et al., Generative adversarial networks, cit., pagg. 139-144.

[15] Per cui si rimanda, per una disamina generale sul tema, a R.S. Sutton, A.G. Barto, Reinforcement Learning - an Introduction, Boston, 1998.

[16] P. Traverso, Breve introduzione tecnica all’Intelligenza Artificiale, cit., pagg. 163-164.

[17] Per un approfondimento in tema di diritto d’autore e la sua trasformazione si rimanda a A. Musso, Eccezioni e limitazioni ai diritti d’autore nella direttiva UE n. 790/2019, in Dir. Inf., 2020, 2, pag. 411 ss.; C. Sganga, Le mille sorti e progressive delle eccezioni nel diritto d’autore europeo tra obbligatorietà, discrezionalità e flessibilità, in AIDA, 2021, pag. 449 ss.; M. Modolo, La riproduzione del bene culturale pubblico tra norme di tutela, diritto d’autore e diritto al patrimonio, in Aedon, 2021, 1; F. Benatti, Le “nuove” eccezioni e limitazioni al diritto d’autore introdotte dal d.lgs. n. 177/2021, in Giur. comm., 2023, 4, pag. 639 ss.

[18] I. Ferrari, Tutela della Proprietà Intellettuale nel Mondo dell’Intelligenza Artificiale: Artificial Inventor Project, Thaler e i Brevetti Negati a Dabus, in Comp. L. Rev., 2024, pag. 132.

[19] Sulla distinzione tra tecnologie di supporto e tecnologie sostitutive, si veda E. Calzolaio, Intelligenza artificiale ed autonomia della decisione: problemi e sfide, in La decisione nel prisma dell’intelligenza artificiale, (a cura di) E. Calzolaio, Padova, Cedam, 2020, pagg. 3-4. Si rinvia anche a N.F. Frattari, Robotica e responsabilità da algoritmo. Il processo di produzione dell’intelligenza artificiale, in Contr. Impr., 2020, 1, pag. 469 ss, che distingue tra macchine intelligenti che eseguono le istruzioni ricevute, quelle impostate teleologicamente nel loro funzionamento, e quelle capaci di self-learning.

[20] Sul punto, ex multis, H. Härkönen, A Narrative Approach to the Standard of Originality in EU Copyright Law: The Story of a Dress, in Int’l Rev. Intell. Prop. & Competition L., 2025; Y. Xiao, Decoding Authorship: Is There Really no Place for an Algorithmic Author Under Copyright Law?, Int’l Rev. Intell. Prop. & Competition L., 2022; B. Lu, A theory of ‘authorship transfer’ and its application to the context of Artificial Intelligence creations, in Queen Mary J. Intell. Prop., 2021, vol. 11, no. 1, pagg. 2-24.

[21] Sia consentito un riferimento a F. Zambardino, Cultural heritage in the metaverse and the impact of AI: amplifying creativity and legal protection in the virtual world, in A. Borroni, G. Perboli, G.M. Piccinelli, Metaverses: Reshaping Law, Economy, and Society. A Comprehensive Analysis of Virtual Worlds and their Real-World, Cham, passim.

[22] Sul punto, si veda la celebre decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti, Feist Publications, Inc. v. Rural Telephone Service Co., 499 U.S. 340 (1991), ove si afferma che, per essere protetta dal diritto d’autore, un’opera deve contenere “a modicum of creativity”, ossia un minimo grado di creatività, necessariamente riconducibile ad un intervento umano individualizzabile. In dottrina, B. Lu, A theory of ‘authorship transfer’ and its application to the context of Artificial Intelligence creations, cit., pagg. 2-24, ove si sottolinea come l’assenza di un contributo umano riconoscibile impedisca l’affermazione dell’originalità, conducendo i tribunali a escludere la tutela per opere integralmente automatizzate.

[23] B. Lu, A theory of ‘authorship transfer’ and its application to the context of Artificial Intelligence creations, cit., pag. 5 ss.

[24] A. Musso, L’impatto dell’ambiente digitale su modelli e categorie dei diritti d’autore o connessi, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2018, 2, pag. 471 ss. L’autore, a tal proposito, rileva come il diritto d’autore abbia progressivamente perso lo stretto vincolo con la persona fisica, tipico della tradizione europea continentale.

[25] Nell’ordinamento europeo, il requisito della “originalità” è interpretato dalla Corte di giustizia dell’UE (Cgue) come risultato di una scelta libera e creativa riconducibile a un momento identificabile nel processo creativo umano. Nella sentenza Infopaq International A/S v. Danske?Dagblades Forening (C-5/08), la Corte stabilisce che solo attraverso la scelta, la sequenza e la combinazione delle parole si realizza un’espressione creativa originale. Nei successivi casi Painer (C-145/10) e Cofemel (C-683/17) la CGUE ribadisce che, per una fotografia o un oggetto di design, l’opera deve riflettere “the author’s own intellectual creation” e manifestare “free and creative choices” tali da lasciare un “personal touch” riconducibile a una persona fisica. Questi orientamenti confermano che, secondo la giurisprudenza europea, l’autorialità richiede un atto creativo umano delimitabile nel tempo, e non può essere attribuita a un’entità algoritmica priva di contributo personale. H. Härkönen, A Narrative Approach to the Standard of Originality in EU Copyright Law: The Story of a Dress, cit., pag. 289 ss.

[26] S.S. Takeuchi, Japan’s legal framework for copyright protection of AI-generated works: A comparative law analysis exploring the possibility of Japan’s adoption of the UK legislative approach, in J. World Intell. Prop., 2024. L’autore analizza come il diritto giapponese, pur strutturalmente ancorato all’idea di “creazione espressiva umana” (art.?2(1) Copyright Act), stia iniziando a valutare l’introduzione di forme di tutela per opere AI-generated, basandosi su livelli graduali di contributo umano e su un’interpretazione “ibrida” del concetto di autorialità.

[27] H. Sun, Redesigning Copyright Protection in the Era of Artificial Intelligence, in Iowa L. Rev., vol. 107, 2022, pagg. 1218-1219. In Cina, la giurisprudenza ha iniziato già nel 2019 a riconoscere la proteggibilità di opere generate con AI, attribuendo tuttavia i diritti a persone fisiche o giuridiche capaci di fornire un significativo “intellectual input”. P.K. Yu, The Long Winding Road to Effective Copyright Protection in China, in Pepp. L. Rev., vol. 45, 2022, pag. 693 ss. Nella sentenza del 25?aprile 2019, Beijing Film Law Firm v. Baidu (Beijing Internet Court), si esclude la tutela delle opere totalmente automatizzate, stabilendo che solo creazioni frutto dell’attività intellettuale naturale rientrano nella sfera della protezione. P.K. Yu, The Future Path of Artificial Intelligence and Copyright Law in the Asian Pacific, in Computers and Law, Vol. 96, 2024, pag. 3. Successivamente, il 24?dicembre 2019, la Shenzhen Nanshan District Court ha emesso un provvedimento (Tencent vs. Yingxun) riconoscendo la protezione di un articolo generato da Ai in quanto creato mediante scelta umana di dati, trigger e template. Più di recente, nel novembre 2023 (Li?Yunkai v. Liu?Yuanchun), la stessa Beijing Internet Court ha tutelato un’opera visiva generata da Stable?Diffusion, sottolineando che la selezione dei prompt, l’impostazione dei parametri e l’elaborazione successiva da parte dell’utente costituiscono componenti creative umane rilevanti ai fini del copyright, escludendo l’intellettualità dell’algoritmo stesso. In dottrina, sul tema, si vedano D. Zhe, B. Jin, The copyright protection of AI-generated works under Chinese law, in Juridical Tribune, vol. 13, issue 2, 2023, pag. 241 ss.; Y. Wan, H. Lu, Copyright protection for AI-generated outputs: The experience from China, in Computer L. & Security Rev., vol. 42, 2021.

[28] Sul punto, N. Muciaccia, Diritti connessi e tutela delle opere dell'intelligenza artificiale, in Giur. comm., 2021, 4, pag. 761 ss.

[29] F. Ferrara, Teoria delle persone giuridiche, Torino, 1923, passim; F. Ferrara, Le persone giuridiche, in Tratt. dir. civ. it., (diretto da) Vassalli, 1956, vol. II, pag. 23 ss. All’autore si deve la formulazione, oggi largamente accolta, secondo cui le persone giuridiche devono essere intese come entità dotate di una propria individualità giuridica, distinta tanto nella volontà quanto nel patrimonio rispetto ai soggetti fisici che le compongono. Secondo questa prospettiva, tali soggetti collettivi costituirebbero - pur essendo prodotti dell’ordinamento - “forme giuridiche di aggruppamento e di ordinamento di uomini per il raggiungimento di scopi comuni o superiori, riconosciute dal diritto obiettivo. Anche esse hanno una realtà, ma una realtà ideale giuridica, non una realtà materiale sensibile”. Per la dottrina italiana, si rinvia, altresì, a R. De Ruggiero, Istituzioni di diritto civile, vol. I, Milano-Messina, 1934, pag. 412 ss.; G. Bonelli, La teoria della persona giuridica, in Giur. sist. civ. e comm, 1980, pag. 55 ss.; F. Galgano, Delle persone giuridiche, Libro primo. Delle persone e della famiglia, in Comm. cod. civ., (a cura di) Scialoja-Branca, Roma - Bologna, 1969, pag. 3 ss.

[30] B. Tassone, Riflessioni su intelligenza artificiale e soggettività giuridica, in Dir. Int., no. 2, 2023. Al riguardo, già l’autore sottolinea come nella letteratura di Common Law il tema sia trattato da più tempo, come emerge da L.B. Solum, Legal Personhood for Artificial Intelligences, in North Carolina L. Rev., vol. 70, pag. 1231 ss.

[31] S. Guizzardi, La protezione dell’autore dell’opera dell’ingegno creata dall’intelligenza artificiale, in AIDA, 2018, pag. 42 ss.

[32] Civil Law Rules on Robotics (2015/2103(INL)).

[33] U. Ruffolo, Il problema della “personalità elettronica”, in Journal of Ethics and Legal Technologies, vol. 2, issue 1, 2020, pagg. 75-88.

[34] B. Tassone, Riflessioni su intelligenza artificiale e soggettività giuridica, cit., pag. 14. Sul punto, si veda anche M. de Cock Buning, Artificial intelligence and the creative industry: new challenges for the EU paradigm for art and technology by autonomous creation, in W Barfield, U. Pagallo (eds.), Research Handbook on the Law of Artificial Intelligence, Londra, 2018, pagg. 511-535.

[35] Per una prima ricostruzione del dibattito dottrinale, M. Ferrari, Intelligenza artificiale e titolarità dei diritti d’autore: il problema del tasso di creatività, in Foro It., 2023, XI, pag. 374 ss.; U. Ruffolo, A. Amidei, Intelligenza Artificiale e diritti della persona: le frontiere del “transumanesimo”, in Giur. it., 2019, 6, pag. 1658 ss.; M. Capparelli, Intelligenza Artificiale e nuove sfide del diritto d’autore, in Giur. it., 2019, 7, pag. 1740 ss.; G. Frosio, L’(I)Autore inesistente: una tesi tecno-giuridica contro la tutela dell’opera generata dall’intelligenza artificiale, in AIDA, 2020, pag. 52 ss.; N. Muciaccia, Diritti connessi e tutela delle opere dell’intelligenza artificiale, in Giur. Comm., 2021, 4, pag. 761 ss.

[36] Si vedano, sul punto, U. Pagallo, Vital, Sophia, and Co. - The Quest for the Legal Personhood of Robots, in Information, 2018, fasc. 9, no. 9, pagg. 230-240; U. Pagallo, Apples, oranges, robots: four misunderstandings in today’s debate on the legal status of AI systems, in Phil. Trans. R. Soc., no. 376, fasc. 2133, 2018, pag. 168 ss.

[37] Per cui si rimanda a A. Bertolini, F. Episcopo, Robots and AI as Legal Subjects? Disentangling the Ontological and Functional Perspective, in Front. Robot. AI, col. 9, 2022, pag. 1 ss.; J. Grimmelmann, There’s No Such Thing as a Computer-Authored Work-And It’s a Good Thing, Too, in Colum. J.L. & Arts, vol. 39, 2016, pag. 403; T.W. Dornis, Artifcial Creativity: Emergent Works and the Void in Current Copyright Doctrine, in Yale J.L. & Tech., vol. 1, 2020, pag. 20.

[38] In Nuova?Zelanda la legge sul copyright (sez.?5(2)(a)) prevede espressamente che l’autore di un’opera “computer-generated” sia la persona che ha predisposto gli assetti necessari alla sua creazione, garantendo così protezione anche a creazioni AI-made, pur senza riconoscere la titolarità all’algoritmo. In dottrina si rimanda a J. Kim, Direction of the Copyright Act 1994 in View of Artificial Intelligence, Victoria University of Wellington, 2023. Analogamente, il Singapore Copyright Act 2021, pur ribadendo in giurisprudenza la necessità di una componente umana (Asia Pacific Publishing v. Pioneers, 2011), sembra orientato verso un modello misto finalizzato alla stabilità del mercato e alla possibile inclusione normativa delle opere generate autonomamente da AI. E. Bonadio, M. Santo, Court of Milan Holds Video Sharing Platforms Liable for Copyright Infringement, in J. Intell. Prop. L. & Pract., vol. 7, no. 1, 2012, pag. 3.

[39] Su cui si veda generalmente G. Resta, Diritti esclusivi e nuovi beni immateriali, Torino, Giappichelli, 2011.

[40] K.B. Forrest, The Ethics and Challenges of Legal Personhood for AI, in The Yale Law Journal Forum, 2024, pag. 1175 ss. Si veda anche S. Chesterman, Artificial Intelligence and the Limits of Legal Personality. In Int’l & Comp. L. Quart., vol. 69, no. 4, 2020, pagg. 819-844.

[41] G. Ajani, Contemporary artificial art and the law. Searching for an author, cit., pag. 59 ss.

[42] Per cui è d’uopo un rimando a G. Resta, Diritti della personalità: problemi e prospettive, in Dir. Inf., 2007, pag. 1043 ss.; R. Pardolesi, Diritti della personalità, in Annali italiani del diritto d’autore, della cultura e dello spettacolo, 2005, pag. 1 ss.; A. Zoppini, I diritti della personalità delle persone giuridiche (e dei gruppi organizzati), in Riv. Dir. Civ., 2002, pagg. 851-893; V. Zeno-Zencovich, voce Personalità (diritti della), in Digesto, Disc. Priv., Sez. civ., Torino, 1995; D. Messinetti, voce Personalità (diritti della), in Enc. dir., XXXIII, Milano, Giuffrè, 1970, pp. 650 ss.

[43] M. Granieri, Il data mining nella disciplina del diritto d’autore e la strategia europea sui dati, in AIDA, 2022, pag. 24 ss.

[44] S. Bayern, The Implications of Modern Business-Entity Law for the Regulation of Autonomous Systems, in Eur. J. Risk Regulation, vol. 7, no. 2, pagg. 297-309.

[45] L. Nivarra, Artificial intelligence and infringement of intellectual property, cit., pag. 87.

[46] In argomento, si veda P. Fabbio, Opere protette e requisiti di tutela nel diritto d’autore UE, in AIDA, 2016, pag. 283.

[47] Sul punto si rimanda a R.M. Hilty, Urheberrecht im Wandel - 10 Thesen zum Urheberrecht, in M. Bartsch, R.G. Briner (Hg.), DGRI Jahrbuch 2010 (Informatik und Recht, 20), Verlag, Köln, 2010, pagg. 1-18; T. Hoeren, Die Schranken des Urheberrechts in Deutschland, in R.M. Hilty, C. Geiger, (eds) Impulse für eine europäische Harmonisierung des Urheberrechts/Perspectives d’harmonisation du droit d’auteur en Europe, MPI Studies on Intellectual Property, Competition and Tax Law, vol 2. Springer, Berlin, Heidelberg, 2007.

[48] R.M. Hilty, Urheberrecht im Wandel - 10 Thesen zum Urheberrecht, cit., pagg. 1-18.

[49] A. Peukert, Das Sacheigentum in der Informationsgesellschaft, in A. Ohly et al., Perspektiven des Geistiges Eigentums und Wettbewerbsrechts, Geburtstag, Beck, München, 2005, pagg. 149.

[50] Per cui si rimanda, per una prima analisi, a R. Abbott, E. Rothman, Disrupting Creativity: Copyright Law in the Age of Generative Artificial Intelligence, in Fla. L. Rev., vol. 75, 2023, pag. 1141 ss.; S. Fink Hedrick, I “Think” Therefore I Create: Claiming Copyright in the Outputs of Algorithms, in N.Y.U.J. Intell. Prop. & Ent. L., 2019, pag. 345 ss.

[51] Si vedano in giurisprudenza Feist Publ’ns, Inc., v. Rural Tel. Serv. Co., 499 U.S. 340, 347 (1991); Bleistein v. Donaldson Lithographic Co., 188 U.S. 239, 249 (1903). Per la dottrina sul tema si rimanda a B. Beebe, Bleistein, the problem of aesthetic progress, and the making of american copyright law, in Col. L. Rev., no. 117, 2017, pagg. 319-398; S. Rosen, Reimagining Bleistein: Copyright Advertisements in Historical Perspective, in J. Copyright Soc’y U.S., 2012, pag. 347 ss.; D.L. Zimmerman, It’s an Original!(?): In Pursuit of Copyright’s Elusive Essence, in Colum. J.L. & Arts, 2005, pag. 187 ss.

[52] B. Beebe, Bleistein, the problem of aesthetic progress, and the making of american copyright law, cit., pag. 327 ss.

[53] C. Joyce, T.T. Ochoa, Reach Out and Touch Someone: Reflections on the 25th Anniversary of Feist Publications, Inc. V. Rural Telephone Service Co., in Houston L. Rev., 2016, pag. 257 ss.; S. Callis, Copyright protection in factual compilations: Feist Publications v. Rural Telephone Service Company “Altruism Expressed in Copyright Law, in Golden Gate U.L. Rev., vol. 22, 1992, pag. 529 ss.

[54] B. Beebe, Bleistein, the problem of aesthetic progress, and the making of american copyright law, cit., pag. 327 ss.

[55] T.F. Greene, Artificial Intelligence and Copyright: Why the United States Should Grant Full Copyright Protection to Works Produced Using Artificial Intelligence, in IDEA, vol. 64, 2024, pag. 823 ss.

[56] R.D. Martins, Authorship without an author: legal aspects of works created by AI, in Works on Intellectual Property, vol. 51, no. 4, 2024, pagg. 143-152.

[57] M. Iemma, Intelligenza artificiale e ricerca accademica: uno sguardo critico tra rischi e innovazione, in L’impatto di Internet e dell’intelligenza artificiale sul diritto all’informazione e alla comunicazione, in MediaLaws - Rivista di diritto dei media, no. 1, 2024, pag. 373 ss.

[58] Il controllo sul processo generativo e la diffusione dell’opera può giustificare l’attribuzione della titolarità dei diritti a un soggetto diverso dall’autore tradizionale. In questo senso si veda G. Franceschelli, M. Musolesi, Copyright in generative deep learning, in Data & Policy, 2022. Il soggetto-ponte, in tal caso, non rivestirebbe la qualifica di autore in senso stretto, bensì quella di titolare derivato dei diritti patrimoniali, in virtù di una traslazione normativa fondata su esigenze di certezza, tracciabilità e allocazione funzionale della titolarità.

[59] M. Fenwick, P. Jurcys, Originality and the future of copyright in an age of generative AI, in Computer Law & Security Review, Vol. 51, 2023. Tale attribuzione troverebbe fondamento nella logica dei diritti sui generis e nella funzione sociale della cultura, giustificandosi in base a criteri di utilità pubblica, interesse collettivo e necessità di garantire l’accesso, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio generato da sistemi autonomi.

[60] Per cui si rimanda generalmente a G. Resta, L’immagine dei beni, in Diritti esclusivi e nuovi beni immateriali, (a cura di) G. Resta, Torino, 2011, pagg. 557-558.

[61] Per la cui normativa di riferimento si rimanda a V. Battiloro, Le opere “orfane” nel diritto d’autore italo-europeo, in Quaderni della Rassegna di diritto civile, (diretta da) Pietro Perlingieri, Napoli, Editoriale Scientifica, 2022.

[62] Su questo punto, A. Savelyev, Copyright in the blockchain era: Promises and challenges, in Computer Law & Security Review, Vol. 34, Issue 3, 2018, pagg. 550-561. Ma anche A. Zhuk, Navigating the legal landscape of AI copyright: a comparative analysis of EU, US, and Chinese approaches, in AI Ethics, Springer, 2024, pagg. 1299-1306, ove l’autore sostiene la legittimità di attribuzioni ex lege a soggetti istituzionali in chiave di protezione limitata e interesse generale, in linea con i principi della proprietà intellettuale “funzionale”.

[63] In tema di tutela autoriale delle opere create dall’Ia si vedano, generalmente, F. Ferretti, Intelligenza artificiale e diritto d’autore: quale tutela per il robot creatore?, in Rass. dir. moda arti, 2022, pag. 69 ss.; F. Ferrari, La tutela autorale dell’opera d’arte creata dall’intelligenza artificiale: qualche considerazione introduttiva, in Arte dir., 2022, pag. 97 ss.; S. Guizzardi, La protezione d’autore dell’opera dell’ingegno creata dall’Intelligenza Artificiale, in Annali it. dir. aut., 2018, pag. 47 ss.; G. Sena, Intelligenza Artificiale, opere dell’ingegno e diritti di proprietà industriale e intellettuale, in Riv. dir. ind., 2020, I, pag. 325 ss. Ma anche, negando la necessità di tutela autoriale delle opere create dall’Ia G. Frosio, L’(I) Autore inesistente: una tesi tecno-giuridica contro la tutela dell’opera generata dall’intelligenza artificiale, in Annali it. dir. aut., 2020, pag. 54.

[64] F. Massadeh, F. Alnusair, A.A.M. Massadeh, M. Ismail, The legal protection of artificial intelligence-generated work: The argument for sui generis over copyright, Corp. L. & Gov. Rev., vol. 6, issue 1, 2024, pagg. 49-55. Gli autori propongono esplicitamente un regime sui generis per l’opera generata da AI, poiché il diritto d’autore tradizionale non è idoneo a tutelare output creati senza intervento umano, propendendo per una protezione economica limitata nel tempo, distinta dai diritti morali, per bilanciare tutela e innovazione.

 

 

 



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