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Il Codice dei beni culturali e del paesaggio vent’anni dopo - Atti del Convegno di Firenze (24 novembre 2024)

Il codice dei beni culturali e del paesaggio vent’anni dopo [*]

di Giuseppe Morbidelli [**]

Lo scritto esamina il codice dei beni culturali e del paesaggio a venti anni dalla sua entrata in vigore, riflettendo sui temi che necessitano di una revisione e su quelli che si presentano di grande attualità.

Parole chiave: codice dei beni culturali e del paesaggio; beni culturali; tutela del paesaggio.

The Cultural Heritage and Landscape Code twenty years on
The paper examines the Cultural Heritage and Landscape Code twenty years after its entry into force, reflecting on issues that need to be revised and those that are highly topical.

Keywords: code of cultural heritage and landscape; cultural heritage; landscape protection.

Le ragioni per porre l’attenzione e dibattere su di un codice di legislazione amministrativa a venti anni dalla sua entrata in vigore non mancano, e non nascono certo dal numero rotondo dell’anniversario. Scaturiscono invece sia dalla normale esigenza di manutenzione, sia dai dati esperienziali accumulati via via e che hanno messo in risalto inadeguatezze, aporie, lacune, sia dalla naturale evoluzione ordinamentale e soprattutto tecnologica, sociale, culturale, che non può non avere riflessi sul dato formale. Del resto, vi sono codici (come quello sui contratti pubblici) che più o meno nello stesso volgere di anni hanno conosciuto tre versioni, a dimostrazione della inarrestabile mobilità dell’universo giuridico. Tantopiù in un settore in cui, come è stato messo benissimo in luce da Enzo Cheli, la mobilità è consustanziale allo sviluppo della creatività umana che a sua volta viene incentivata dallo sviluppo della conoscenza.

È vero che a tale mobilità si può ovviare attraverso l’interpretazione evolutiva, e anche attraverso il criterio “gadameriano” del circolo ermeneutico che addiziona ai dati testuali tutta una serie di dati extra testuali quali l’esperienza, la prassi, la fattualità, l’influsso di altri saperi, onde istituire un rapporto osmotico o comunque di interazione fra il diritto positivo e la vita in cui il primo di necessità si muove. Sintomatico di questo criterio interpretativo è nella nostra materia proprio il saggio di Alberto Predieri risalente al 1969 sulla nozione di paesaggio, nel quale per la prima volta si giunse a distaccare il paesaggio dalla sua veste tradizionale (e tale considerata dai costituenti) ovvero le bellezze naturali, per estenderlo invece a tutta la forma del paese, e avvalendosi a tal fine non solo delle norme costituzionali sulla solidarietà, sulla eguaglianza sostanziale, sull’art. 9, ma dell’apporto di geografi, sociologi, economisti, urbanisti, storici dell’arte, ecologi e della lettura di nozione di paesaggio ivi filtrata e ben diversa da quella confinata nell’“impressionismo pittorico”.

Resta il fatto che, anche a seguire tale criterio metodologico e pertanto di abbandonare la semantica e “i cancelli delle parole”, difesi ad oltranza e con estrema raffinatezza da Natalino Irti, e del pari a non condividere la tesi da ultimo sostenuta da Massimo Luciani secondo cui l’interpretazione ha le sue colonne d’Ercole nei dati testuali onde non infrangere la separazione dei poteri, e pertanto ad abbracciare, secondo la tesi - a mio avviso ormai largamente invalsa e preferibile - della interpretazione come fattore di una creatività “derivata”, nel senso che mantiene sempre pur innervata di dati extra testuali un rapporto con il testo, a differenza della creazione vera e propria (o c.d. creazione originaria), vi sono comunque dei limiti oltre il quale non si può mai andare, per non cadere nel “diritto libero”.

Fatto è che una revisione del Codice si impone già in virtù del nuovo articolo 9 Cost. che ha assegnato alla tutela dell’ambiente una sua autonoma dignità costituzionale, sì da emanciparla dalla confinazione entro la nozione di paesaggio. Il che, tra l’altro, esalta vieppiù la problematica del bilanciamento tra tutela dell’ambiente e tutela del paesaggio come dimostrano per tabulas i frequenti casi di controversie sulla installazione di impianti eolici in aree pregiate paesisticamente, ed inoltre impatta sui presupposti e sulla struttura dei piani paesistici anche per la necessità di introdurre misure a tutela della biodiversità e degli ecosistemi. Altre fibrillazioni che richiedono un pronto intervento nel sistema del codice nascono dalla ratifica della convenzione di Faro, dalle nuove misure organizzative introdotte tra l’altro in maniera sequenziale dalla legislazione più recente, dalle modifiche legislative che hanno investito le procedure autorizzatorie relative ad interventi che incidono sul patrimonio paesaggistico, e anche da indirizzi giurisprudenziali che hanno dato luogo alla “pietrificazione” di destinazioni d’uso ritenute di valore storico identitario, tra l’altro non agevolmente riconducibili entro i principi costituzionali in tema di tutela dell’iniziativa economica privata e del diritto di proprietà. C’è poi il tema della valorizzazione e della sua doppia valenza; culturale da un lato ed economica dall’altro: anche se evidentemente la seconda è cedevole alla prima, sono pur tuttavia necessari degli strumenti di controllo, che ad esempio nel caso delle sponsorizzazioni non sempre hanno funzionato.

Tutto questo e molto altro è scandito nelle relazioni che oggi ascolteremo, talune delle quali ho potuto leggere in anteprima e dalle quali emerge una raffica di temi aperti o comunque fonti di incertezze, di lacune e di inadeguatezze. Tra queste, in primo luogo, il riparto di competenze tra Stato e Regioni: malgrado sia stato ridisegnato da talune sentenze della Corte Costituzionale, la competenza concorrente delle Regioni in tema di valorizzazione dei beni culturali, nonché di promozione e di organizzazione di attività culturali lascia spazi aperti ad iniziative non sempre in linea con l’art. 9 comma 1 e 2 Cost., di talché sarebbero necessarie quantomeno leggi di principio maggiormente puntuali, onde evitare che venga svilito l’“interesse nazionale” (per usare una terminologia espulsa dalla Costituzione ma non dalla ragionevolezza) che presiede alla tutela del patrimonio culturale.

Altrettanto aperto è il problema del rapporto pubblico-privato, che investe sia la c.d. valorizzazione economica, sia le strutture organizzative aperte ai privati, quali le fondazioni, sia le sponsorizzazioni, sia gli stessi interventi di restauro, di recupero, di rigenerazione urbana, in quanto mancano dei limes oltre i quali il bene culturale viene ad essere impiegato per finalità svilente l’essenza culturale.

Altro tema di grande attualità, per non dire di moda, è quello dei beni immateriali che hanno un riconoscimento nell’art. 7-bis del Codice e poi una disciplina al di fuori del Codice nella legge 7 ottobre 2024, n. 152. Il che è generalmente condiviso in quanto (per riprendere alla lettera una frase da me dettata ad un convegno sui beni immateriali che mi ha fatto tornare alla memoria la relazione di Sciullo) nei confronti dei beni culturali immateriali sono configurabili misure di riconoscimento, di protezione e di autenticazione e soprattutto forme di traditio della memoria e con esse di promozione della conoscenza, ma non di controllo inteso come divieto di modifiche nel senso che l’immateriale richiede una peculiare salvaguardia dinamica attenta cioè a preservare la memoria, ma anche il suo costante riprodursi e rinnovarsi.

Per quanto riguarda la tutela del paesaggio non c’è che da sottoscrivere ciò che ha messo a fuoco, con estrema chiarezza ed eleganza Margherita Ramajoli, nel rilevare che soprattutto dopo la riforma costituzionale non è più possibile considerare il paesaggio valore tiranno ma, nello stesso tempo, non è da sottoscrivere la giurisprudenza per cui la produzione di energia elettrica da fonte solare sarebbe essa stessa una “attività che contribuisce, sia pur indirettamente, alla salvaguardia dei valori paesaggistici (in particolare, consentendo l'esercizio di un’agricoltura sostenibile e la conservazione dell’ecosistema, entrambe precondizioni alla conservazione del paesaggio rurale)”. Il che potrà essere in certi casi ma escludo che lo si possa generalizzare. Né posso aggiungere alcunché alle meditate riflessioni di Vittorio Manes sulla tutela penale dei beni culturali che in effetti prevedono sanzioni prive di qualunque proporzionalità per non parlare poi della irrazionalità (a dir poco) della confisca “senza condanna”. Del pari non posso che prendere atto dell’importante contributo di Roberto Cordeiro Guerra sulla disciplina fiscale relativa ai beni culturali.

Ma anziché procedere nella rassegna ex ante delle varie relazioni in programma ritengo di dover sottolineare taluni profili che invero non potranno non essere oggetto di attenzione almeno in filigrana.

Il primo attiene all’eccesso di discrezionalità di cui dispone l’amministrazione, discrezionalità che tra l’altro non sempre è tecnica, e di fronte alla quale la giurisprudenza, a mio avviso, non si è ancora dotata o si è dotata solo in parte dei necessari anticorpi. Necessari per due concorrenti ragioni. Sia perché si incide sulla proprietà privata e sulla libertà della iniziativa economica, il che di per sé richiede uno scrutinio stretto ed in ogni caso un sindacato che si esplica attraverso il percorso dei tre test di proporzionalità. Sia perché sovente vincoli penetranti (ovvero il c.d. eccesso di tutela amministrativa) possono determinare effetti negativi se non perversi contro lo stesso interesse pubblico, del che la giurisprudenza molto spesso non sembra tener conto. Basti pensare ai vincoli imposti a stabilimenti industriali, desueti e non riconvertitili ad usi produttivi, attesa la evoluzione della tecnica, delle esigenze di sicurezza, dei nuovi sistemi di produzione e che in nome della tutela della archeologia industriale vengono congelati vietando ogni altro uso, determinando così l’abbandono della res con tutti gli effetti negativi ambientali, paesistici e anche sociali come agevolmente constatabile. Senza dire poi delle contraddizioni che ogni giorno si riscontrano: ad esempio, a fronte di misure rigorosissime e ultra vires anche per interventi minimali, vi sono casi eclatanti in cui si è consentito ad esempio di adibire come deposito teatrale le terme di Caracalla; oppure di vietare l’uso di piazza San Marco per un’opera lirica, consentendovi invece l’esecuzione di un concerto dei Pink Floyd.

Il secondo tema è la perdita di identità dei centri storici che richiede un mix di disciplina sia a livello di legislazione culturale, sia a livello di legislazione urbanistica, sia a livello di legislazione sulle locazioni, sia infine a livello di regolamentazione locale di uso delle aree urbane. Inutile in questa sede descrivere tutti i fattori perturbativi di identità e dal valore culturale dei centri storici e in particolare di quelli maggiormente qualificati in assenza di misure che non si limitino a seguire il mercato.

Un altro tema su cui più volte ha posto l’attenzione Lorenzo Casini è quello della riproduzione, tema su cui per la verità incombono due anime, una quella appunto codificata negli artt. 108 e 109 del Codice, e l’altra invece che si sta affermando in altri ordinamenti, ovvero della liberalizzazione in quanto ciò consente una maggiore conoscenza e quindi fruibilità del patrimonio culturale. tanto più che le entrate dalle riproduzioni non è detto che compensino il complesso sistema organizzativo burocratico che vi sta dietro.

Infine, i non-fungibile token (Nft) che hanno avuto un significativo impatto sul mercato dell’arte acquisendo notorietà per la creazione di nuove forme di legittimazione e di proprietà nella sfera digitale. Ma gli Nft suscitano una serie di interrogativi che vanno dalla proprietà intellettuale, alla titolarità dei diritti, all'impatto dell'uso di distributed ledger technology (Dlt) e smart contracts rispetto alla tenuta dei sistemi di sicurezza informatica. Essi pongono, inoltre, complessi interrogativi in relazione al quadro finanziario e fiscale applicabile, allo status delle piattaforme di scambio, agli standard di trasparenza e informazione, nonché all'applicabilità della normativa di protezione di consumatori e investitori.

Ma questo “ultimo capitolo” richiede un convegno ad hoc, che infatti ci proponiamo di organizzare.

 

Note

[*] Attualità - Valutato dalla Direzione.

[**] Giuseppe Morbidelli, professore emerito di Diritto amministrativo nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma “Sapienza”, Piazzale Aldo Moro 5, 00185 Roma, giuseppemorbidelli@studiombrt.it.

 

 

 



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