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Tutela del patrimonio culturale

L’annullamento d’ufficio dell’attestato di libera circolazione tra tutela del patrimonio culturale, affidamento e certezza delle relazioni giuridiche. Il bilanciamento fra interessi di rango primario sotto la lente della Corte costituzionale

di Annalisa Gualdani [*]

Sommario: 1. Premessa. - 2. La vicenda del rilascio dell’attestato di libera circolazione dell’allegoria della Pazienza di Giorgio Vasari. - 3. La sentenza del Consiglio di Stato del 16 ottobre 2024, n. 8296. - 4. L’analisi della pronuncia della Corte costituzionale n. 88/2025: una premessa. - 4.1. L’annullamento d’ufficio e la disciplina del termine. – 4.2. L’ affidamento del privato e l’eccezione dell’art. 21-nonies, comma 2-bis. - 4.3. La tutela dell’interesse al patrimonio culturale nel procedimento originario... - 4.3.1. ...e nell’autotutela. - 4.4. Il tempo come “punto di equilibrio” per il bilanciamento tra interessi primari. - 4.5. Limite temporale e buon andamento. - 5. Conclusioni.

La Corte costituzionale, con la sentenza 26 giugno 2025, n. 88, dichiarando non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 21-nonies, comma 1, per contrasto con gli artt. 3, primo comma, e 9, primo e secondo comma, Cost., ha affrontato il tema del tempo nell’autotutela nelle ipotesi in cui l’esercizio del potere di ritiro involge un interesse di rilevanza costituzionale. Il caso concreto ha offerto al giudice delle leggi l’occasione per rispondere all’interrogativo se e fino a che punto l’interesse pubblico, anche di rango costituzionale (art. 9 Cost.), possa giustificare la rimozione, oltre il termine decadenziale di cui all’art. 21-nonies comma 1, di provvedimenti favorevoli. Nel bilanciamento tra interessi di rango primario, quali quello alla tutela del patrimonio culturale, dell’affidamento del privato e della certezza delle situazioni giuridiche, la Corte - attraverso un’analisi dettagliata della diversa natura e dei diversi presupposti dei procedimenti di primo e di secondo grado - afferma che il punto di equilibrio tra gli interessi in gioco è dato dalla “variabile tempo”.

Parole chiave: interesse culturale; tempo; affidamento; bilanciamento fra interessi.

The annullamento d’ufficio of the certificate of free movement between the protection of cultural heritage, trust and certainty of legal relations. The balance between primary interests under the scrutiny of the Constitutional Court
In its judgment of 26 June 2025, no. 88, the Constitutional Court rejected the challenge to the constitutionality of Article 21-nonies, paragraph 1, brought with reference to Articles 3 (1) and 9 (1-2) of the Constitution. The Court thereby confronted the role of time in administrative self-protection, particularly in cases where the exercise of the withdrawal power implicates interests of constitutional standing. The case provided the Court with an opportunity to clarify whether, and to what extent, a public interest, even one of constitutional rank (Article 9 of the Constitution), may justify setting aside favourable administrative acts after the expiry of the statutory deadline established by Article 21-nonies. In striking a balance between primary interests - the protection of cultural heritage, the individual’s legitimate expectations, and the certainty of legal relations - the Court, through a careful analysis of the distinct nature and prerequisites of first - and second - instance proceedings, identified the “time variable” as the decisive element for reconciling the competing values at stake.

Keywords: cultural heritage; time factor; legitimate expectations; balancing of interests.

1. Premessa

Negli ultimi anni, a più riprese, il giudice amministrativo è stato chiamato a pronunciarsi sull’annullamento d’ufficio, oltre il termine di 12 mesi (stabilito dall’art. 21-nonies, comma 1, della legge 7 agosto 1990, n. 241), di alcuni attestati di libera circolazione.

Il leit motiv che accomuna la pluralità delle vicende che hanno condotto l’amministrazione di tutela a ritornare sulle proprie decisioni, risiede nel fatto che, a seguito di interventi di restauro sulle opere presentate ai diversi uffici per l’esportazione, è stata loro attribuita una nuova paternità, riconducibile a celebri artisti del passato (Bassano, Guercino, Caravaggio, Vasari), di talché l’uscita dal territorio nazionale avrebbe arrecato un grave pregiudizio al nostro patrimonio culturale.

Non sempre però è valsa l’argomentazione addotta dall’amministrazione di tutela che ha invocato, a sostegno del potere di ritiro, il dettato di cui all’art. 21-nonies, comma 2-bis, che prevede la possibilità di annullare d’ufficio un precedente provvedimento anche dopo la scadenza del termine di dodici mesi, in caso di provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato [1].

A ben vedere però, in diverse fattispecie, non è stata riscontrata alcuna condotta omissiva o contraria a buona fede, tale da indurre in errore i diversi uffici per l’esportazione, con conseguente illegittimità del provvedimento di autotutela, adottato dall’amministrazione, oltre il termine decadenziale di dodici mesi [2].

Tra le varie pronunce sul tema, assume precipua rilevanza la recente sentenza (non definitiva) del Consiglio di Stato del 16 ottobre 2024, n. 8296, che - nell’affermare che nel caso sottoposto al suo giudizio non troverebbe applicazione il comma 2-bis, bensì il comma 1, dell’art. 21-nonies - ha individuato nella vicenda alcune zone d’ombra, sì da sollevare questione di legittimità costituzionale per contrasto con l’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione agli artt. 1, lettere b) e d), e 5, lettere a) e c), della Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società, tenutasi a Faro il 27 ottobre 2005, ratificata e resa esecutiva con la legge 1° ottobre 2020, n. 133; nonché con gli artt. 3, primo comma, 9, primo e secondo comma, e 97, secondo comma, Cost.

In data 26 giugno 2025, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 88, si è pronunciata dichiarando l’inammissibilità, per carente motivazione, con riguardo alla prima delle questioni sollevate e di non fondatezza con riguardo alla seconda.

2. La vicenda del rilascio dell’attestato di libera circolazione dell’allegoria della Pazienza di Giorgio Vasari

Prima di affrontare l’analisi della pronuncia della Corte costituzionale preme dar conto della vicenda che ha dato origine alla sentenza di rimessione.

L’Ufficio esportazioni di Verona, nell’agosto del 2015, rilasciava, ai sensi dell’art. 68, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (“Codice dei beni culturali e del paesaggio”), l’attestato di libera circolazione relativo a un olio su tela, raffigurante una figura femminile, attribuito, sulla base di quanto dichiarato dall’istante, alla scuola italiana del XVI secolo. L’opera - facente parte della collezione della moglie del richiedente, la cui famiglia era legata per parentela ad un cardinale storico committente del Vasari - veniva venduta ed esportata in Germania per un valore di sessantacinquemila euro.

Su richiesta della National Gallery di Londra la tela veniva esposta nel museo britannico. Nel 2019 un autorevole esperto italiano di storia dell’arte riconosceva nel dipinto una seconda allegoria della Pazienza di Giorgio Vasari [3], motivo iconografico elaborato dall’artista, eseguito su invenzione di Michelangelo, per soddisfare una richiesta del Vescovo di Arezzo, Bernardetto Minerbetti, committente dell’opera.

Ciò che ha consentito allo storico dell’arte di attribuire con certezza la paternità del dipinto al Vasari, unitamente alla lettura del carteggio dell’artista [4], è stato un dettaglio emerso in seguito al restauro che ha portato alla luce l’iscrizione “diuturna tolerantia”, motto elaborato da Annibal Caro e fatto proprio dal Vescovo aretino.

Nel 2021 la Direzione generale archeologia belle arti e paesaggio del ministero della Cultura, venuta a conoscenza dell’accaduto, annullava in autotutela, ai sensi dell’art. 21-nonies, comma-2-bis, della legge n. 241/1990, l’attestato di libera circolazione, per eccesso di potere per travisamento dei fatti.

Nello specifico l’amministrazione di tutela evidenziava che: “la mediocre condizione della tela, quando fu presentata all’ufficio esportazione, avrebbe impedito di cogliere la presenza del motto e quindi di indagare ulteriormente la natura del dipinto”, inoltre “che il soggetto richiedente l’attestato di libera circolazione avrebbe colpevolmente omesso di dichiarare la provenienza da un’importante collezione del bene” [5]. Quest’ultima circostanza avrebbe infatti consentito all’amministrazione di tutela di conoscere l’esatta provenienza della tela, potendo certamente giungere all’attribuzione del dipinto a Giorgio Vasari e conseguentemente negare l’attestato.

In seguito, la Direzione generale ha avviato, ai sensi dell’art. 68, comma 6, del Codice dei beni culturali, il procedimento per la dichiarazione dell’interesse storico artistico particolarmente importante. Nel dicembre del 2021 la Direzione generale ordinava altresì che l’opera venisse ricondotta in Italia entro 40 giorni.

Avverso i citati provvedimenti venivano proposti, da parte dal privato richiedente l’attestato di libera circolazione e dall’attuale proprietario dell’opera, due distinti ricorsi innanzi al Tar Lazio.

Il giudice di prime cure, con sentenza n. 10310/2022, confermava la legittimità dell’operato della Direzione generale. Pur essendo l’attestato di libera circolazione riconducibile nell’ambito dei “provvedimenti autorizzatori o di attribuzione di vantaggi economici”, per il quale opera il termine di dodici mesi per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio, tuttavia, la fattispecie in esame, sarebbe riconducibile al dettato di cui all’art. 21-nonies, comma 2-bis, della legge n. 241/1990, giusta il comportamento omissivo tenuto dal richiedente l’attestato medesimo che avrebbe impedito all’amministrazione di effettuare la corretta attribuzione dell’opera.

Contro questa decisione veniva proposto appello innanzi al Consiglio di Stato che si è pronunciato con la sentenza n. 8296/2024.

3. La sentenza del Consiglio di Stato del 16 ottobre 2024, n. 8296

Come in precedenza rilevato la sentenza del Consiglio di Stato n. 8296/2024 si inserisce nel solco di altre precedenti pronunce su casi analoghi che hanno escluso il configurarsi dell’eccezione di cui all’art. 21-nonies, comma 2-bis, in presenza di annullamento d’ufficio di attestati di libera circolazione. Diverse, tuttavia, rispetto alle precedenti sentenze sul tema, sono le conclusioni a cui giunge questo giudice.

Preme dunque soffermare l’attenzione sui punti salienti della decisione.

Il Collegio, dopo aver ribadito la natura autorizzatoria dell’attestato di libera circolazione esclude la ravvisabilità della “falsa rappresentazione dei fatti”. Non vale, infatti, ad integrare tale ipotesi la circostanza che il richiedente abbia fornito una descrizione generica (“figura femminile"), senza fare riferimento all’allegoria della Pazienza. È noto che tale soggetto costituisce un’iconografia molto diffusa nel tardo rinascimento italiano; dunque, l’amministrazione di tutela ben avrebbe potuto riconoscere la natura e la paternità del quadro, anche in assenza di specificazione alcuna da parte dell’istante.

Ne discende pertanto che in tutti i casi in cui non possa ritenersi raggiunta la piena prova della tenuta di una condotta di “falsa rappresentazione dei fatti” debba negarsi la configurabilità dell’eccezione, di cui all’art. 21-nonies, comma 2-bis, con conseguente applicabilità del comma 1, della predetta disposizione: “Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-nonies, comma 2, può essere annullato d'ufficio (...) entro un termine ragionevole (...) comunque non superiore a dodici mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici”.

Evidenzia tuttavia il Collegio che il termine rigido di dodici mesi, applicabile indiscriminatamente a tutti gli atti autorizzatori, ivi compresi quelli riguardanti interessi di rango superprimario - quale quello all’integrità del patrimonio storico e artistico - conferirebbe automatica prevalenza all’interesse privato alla conservazione del provvedimento ampliativo, rispetto al contrapposto interesse pubblico, precludendo il loro bilanciamento in relazione alla specifica vicenda amministrativa. Piuttosto, tali interessi sensibili si configurano tendenzialmente prevalenti rispetto alla posizione (di matrice individuale) di affidamento del privato alla stabilità del titolo ottenuto. Ne deriva pertanto che, al fine di meglio ponderare il peso specifico delle diverse posizioni contrapposte, “sarebbe più adeguato sottoporre l’intervento in autotutela ad un termine elastico da modulare secondo il canone della ragionevolezza” [6].

A sostegno della propria posizione il Consiglio di Stato afferma che non vale a giustificare un meccanismo di automatica prevalenza su base temporale dell'affidamento del privato la circostanza che la sua tutela rientri tra i principi eurounitari dell'azione amministrativa (art. 1, comma 1, della legge n. 241/1990) [7] e che esso sia legato anche al valore della certezza del diritto [8]. Si rammenta infatti che la giurisprudenza europea propende per un'applicazione elastica di tale principio, scevra da ogni automatismo, attenta al caso concreto e che passa per il bilanciamento con altri valori, dando rilievo proprio al fattore elastico della ragionevolezza del termine [9].

A supporto della manifesta irragionevolezza del dettato di cui all’art. 21-nonies, comma 1, la sentenza in esame invoca il confronto con altri istituti procedimentali (di cui agli artt. 20, comma 4; 19, comma 1; 14-bis; 14-ter; 14-quinquies), per i quali la legge n. 241/1990 detta una disciplina parzialmente differenziata per il caso in cui vengano in rilievo interessi cd. "sensibili" (quale, appunto, la tutela patrimonio storico e artistico della Nazione) e connotata dalla dilatazione dei tempi di valutazione riservati all'amministrazione proprio in ragione della delicatezza dell'interesse coinvolto e della complessità degli accertamenti che vi sono connessi.

Conclude infine il Consiglio di Stato che la deroga di cui al comma 2-bis, dell'art. 21-nonies non è di per sé sufficiente a salvare la ragionevolezza complessiva della norma. Esiste infatti “un ampio ventaglio di casi, tra cui rientra quello in esame, in cui non è configurabile (ovvero non è raggiunta piena prova della configurabilità) una falsa rappresentazione dei fatti o non sono intervenute dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato e cionondimeno non può ragionevolmente sostenersi l'incondizionata prevalenza dell'interesse privato alla conservazione della situazione di vantaggio solo in ragione del suo consolidamento per decorso del tempo, essendosi verificato un vero e proprio aliud pro alio, suscettibile di recare un nocumento irreversibile al patrimonio culturale della Nazione in un contesto ove l'accertamento della paternità dell'opera si presentava incerto” [10].

Sulla base delle argomentazioni che precedono la sezione sesta ha pertanto sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 21-nonies, comma 1, della legge n. 241/1990 per contrasto con gli artt. 3, comma 1, 9, comma 1 e comma 2, 97, comma 2, e 117, comma 1 Cost. con riferimento agli artt. 1, lett. b) e d), e 5, lett. a) e c) della Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la società, firmata a Faro il 27 ottobre 2005 (ratificata dall’Italia con legge 1 ottobre 2020, n. 133), nella parte in cui, a fronte di un provvedimento a carattere autorizzativo (quale, nel caso di specie, l’attestato di libera circolazione di un’opera), ma incidente su un interesse sensibile e di rango costituzionale come la tutela del patrimonio storico e artistico della Nazione, prevede, per l’adozione del provvedimento di annullamento, il rispetto di un limite temporale fisso di dodici mesi (e non, invece, il rispetto del termine flessibile “ragionevole” previsto in generale dalla medesima disposizione).

4. L’analisi della pronuncia della Corte costituzionale n. 88/2025: una premessa

La Corte costituzionale, con la sentenza 26 giugno 2025, n. 88, dichiarando non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 21-nonies, comma 1, per contrasto con gli artt. 3, primo comma, e 9, primo e secondo comma, Cost., ha affrontato il tema del tempo nell’autotutela nelle ipotesi in cui l’esercizio del potere di ritiro involge un interesse di rilevanza costituzionale.

Il caso concreto ha offerto al giudice delle leggi l’occasione per rispondere all’interrogativo se e fino a che punto l’interesse pubblico, anche di rango costituzionale (art. 9 Cost.), possa giustificare la rimozione, oltre il termine decadenziale di cui all’art. 21-nonies comma 1, di provvedimenti favorevoli.

Nel bilanciamento tra interessi di rango primario, quali quello alla tutela del patrimonio culturale, dell’affidamento del privato e della certezza delle situazioni giuridiche, la Corte - attraverso un’analisi dettagliata della diversa natura e dei diversi presupposti dei procedimenti di primo e di secondo grado - afferma che il punto di equilibrio tra gli interessi in gioco è dato dalla “variabile tempo”.

4.1. L’annullamento d’ufficio e la disciplina del termine

Prima di esaminare nel merito gli argomenti posti alla base della decisione in esame, preme soffermare l’attenzione sulla figura dell’annullamento d’ufficio e sulla disciplina del tempo del ritiro. La Corte costituzionale, preliminarmente, effettua una ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale del tempo nell’autotutela.

L’annullamento d’ufficio ha trovato una sua razionalizzazione e un suo espresso fondamento legislativo nell’art. 21-nonies del 1990, come introdotto dalla legge n. 15 del 2005 [11].

Sono stati così recepiti da un lato gli indirizzi giurisprudenziali sui presupposti dell’annullamento d’ufficio: l’illegittimità del provvedimento “ai sensi dell’art. 21 octies”, l’interesse pubblico, la ponderazione degli interessi, il tempo (entro un termine ragionevole) [12]; dall’altro la concezione discrezionale di tale potere, come è dato evincere dal palese riferimento all’interesse pubblico e alla ponderazione degli altri interessi.

Preme rammentare che il fattore tempo nell’esercizio dei poteri di autotutela ha da sempre costituito oggetto di specifico interesse - in dottrina prima, nei plurimi interventi normativi poi - in ragione dell’influenza che il suo decorso è chiamato ad avere sulla decisione dell’amministrazione di ritirare o meno un precedente provvedimento; quest’ultima, infatti, deve parimenti bilanciare l’interesse pubblico all’eliminazione dell’atto con quello dei privati alla conservazione delle situazioni favorevoli da esso prodotte.

Già in epoca anteriore alla disciplina della figura in esame il dibattito sul rapporto tra tempo e autotutela si era connotato per una certa vivacità [13]. Accanto a chi negava la possibilità di opporre limiti temporali all’esigenza di rimuovere i vizi di legittimità, vi era chi sosteneva che, qualora fosse trascorso un notevole lasso di tempo tra l’emanazione del provvedimento e il suo ritiro, l’annullamento d’ufficio dovesse considerarsi illegittimo [14]. A ben vedere, infatti, il lungo periodo trascorso avrebbe potuto cagionare “una turbativa maggiore di quella derivante dalla presenza dell’atto viziato, stante il principio della necessità di certezza delle situazioni giuridiche” [15] e quello di affidamento del privato destinatario del provvedimento [16].

L’assenza di una barriera temporale fissa, ma soltanto l’indicazione del parametro elastico del termine ragionevole, introdotto con la legge n. 15/2005, aveva poi condotto la giurisprudenza ad elaborare dei parametri per misurare la ragionevolezza del termine, in considerazione delle incertezze applicative che esso comportava. Si era dunque affermato che il decorso del tempo dovesse necessariamente essere valutato caso per caso, avendo riguardo non solo alla “frazione temporale in sé e per sé considerata, decorrente tra la data del provvedimento ampliativo e il suo ritiro in autotutela, quanto piuttosto gli effetti che medio tempore quel provvedimento ha prodotto” [17].

 Era stato inoltre posto l’accento su ulteriori indici, quali: la tipologia del vizio che inficia il provvedimento [18], i parametri soggettivi (come la mala fede e la colpa del destinatario), la conoscenza dei vizi [19], il grado di interessi coinvolti [20] e infine sul rapporto tra elemento temporale e attualità dell’interesse. Si riteneva infatti che per annullare d’ufficio un provvedimento, dopo il decorso di un notevole lasso di tempo, non fosse bastevole un generico riferimento al ripristino della legalità violata, dovendo l’amministrazione dimostrare l’esistenza di un interesse pubblico e attuale alla caducazione dell’atto [21].

La sentenza n. 88/2025, prima di porre a fondamento della propria costruzione la tesi della autonomia/distinzione del potere di autotutela, ricorda che - sino all’introduzione della disposizione censurata - la funzione di riesame è stata ritenuta espressione dello stesso potere esercitato in primo grado (o di un potere implicito che da questo derivava), di cui condivideva il carattere di inesauribilità [22], e che il suo fondamento costituzionale è stato rintracciato nel principio di buon andamento dell’amministrazione. Ne è conseguito, sotto il profilo temporale, che il potere di annullamento è stato ritenuto inconsumabile e discrezionale nel quando, salvo il limite individuato dalla giurisprudenza, dapprima, nella carenza di un interesse concreto e attuale all’annullamento per “l’operare del fatto compiuto” e, di seguito, nella decorrenza di un termine ragionevole [23].

Per ragioni di esaustività preme a grandi linee rammentare che il fondamento del potere con cui l’amministrazione ritorna sulle proprie decisioni ha, per lungo corso, occupato la scienza giuridica, la quale ha dovuto confrontarsi con il problema della sua compatibilità con il principio di legalità, in assenza di un’apposita disposizione normativa che legittimasse il suo esercizio [24].

Il potere in esame, in epoca risalente, è stato infatti inquadrato ora nell’ambito della funzione di controllo, ora inteso come potere di secondo grado, ora come potere di auto impugnativa.

È noto che la teorizzazione che ha avuto maggior seguito è stata quella elaborata da Feliciano Benvenuti, il quale ha ricondotto l’esercizio dei poteri di ritiro nell’ambito dell’autotutela e, segnatamente, della autotutela spontanea, species del più ampio genus costituito dalla autotutela decisoria [25]. Nel definire l’autotutela come “quella parte dell’attività amministrativa con la quale la stessa pubblica amministrazione provvede a risolvere i conflitti potenziali o attuali, insorgenti con altri soggetti, in relazione ai suoi provvedimenti o alle sue pretese”, l’autore ha individuato questo potere come autonomo rispetto a quello esercitato con il primo provvedimento.

Nell’ambito della ricostruzione unitaria dei poteri di ritiro si è collocata anche la costruzione elaborata da Giannini che ha definito i poteri con cui l’amministrazione ritorna sulle proprie decisioni come i procedimenti di secondo grado, cioè come quei procedimenti amministrativi che hanno a oggetto altri procedimenti [26].

A fronte di chi ha classificato il potere con cui l’amministrazione ritorna sulle proprie decisioni come autonomo si è collocato chi, alla luce del generale principio di inesauribilità del potere amministrativo, ha afferma che il potere di ritiro sia riesercizio del medesimo potere esercitato nel primo provvedere [27]. I poteri con cui l’amministrazione ritorna sulle proprie decisioni vengono qui classificati come poteri di amministrazione attiva, che rinvengono il proprio fondamento nella medesima norma attributiva del potere originario di provvedere, consentendo così all’amministrazione di riesercitare la funzione laddove sorga la necessità di soddisfare l’interesse pubblico in precedenza tutelato [28].

Nell’inesauribilità del potere amministrativo poggia, inoltre, il proprio fondamento anche un’ulteriore costruzione dogmatica, che fa discendere la facoltà di riesame dal medesimo obbligo di provvedere che ne condiziona le forme e gli strumenti di esercizio. Questa tesi afferma che, anche in assenza di una norma che preveda espressamente la facoltà di rimuovere un precedente atto, esiste il generale potere di intervenire dovuto alla necessità del costante adeguamento dell’attività amministrativa al perseguimento del pubblico interesse [29].

L’introduzione dell’art. 21-nonies alla legge n. 241/1990 ha risolto il problema che per molto tempo aveva occupato la dottrina: quello dell’armonizzazione dei poteri di ritiro con il principio di legalità. Esso diviene dunque spendibile unicamente nei modi e nei tempi con cui la legge lo ha appositamente conformato. Da ciò, tuttavia non si è fatta automaticamente derivare l’autonomia di tali poteri [30].

La positivizzazione dell’istituto, inserendo tra le condizioni di esercizio del potere di annullamento d’ufficio, il decorso del tempo, unitamente alle ragioni di pubblico interesse (distinte dal mero ripristino della legalità violata) e alla ponderazione degli interessi dei destinatari del provvedimento e dei controinteressati, ha poi confermato la natura discrezionale di tale potere e ha risolto la questione relativa alla garanzia del privato sulla stabilità dei provvedimenti favorevoli, cioè del suo affidamento.

Nello scenario descritto si sono in seguito collocate le novità introdotte dall’art. 6, dalla legge 7 agosto 2015, n. 124, che, novellando l’art. 21-nonies, ha previsto che l’annullamento d’ufficio può essere disposto “entro un termine ragionevole” e comunque non superiore a diciotto mesi (poi ridotto a dodici mesi, dal decreto-legge n. 77/2021 convertito con modificazioni dalla legge n. 108/2021), decorrenti dall’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici.

Sono state così superate le criticità che la precedente formulazione del 2005 aveva originato (in primis la sua qualificazione “non come termine di decadenza del potere di autotutela” [31]), segnando un limite fisiologico al potere di autotutela.

Si è in sostanza provveduto a tutelare il privato dall’incoerenza nel tempo della pubblica amministrazione [32]. Muta infatti la relazione che si instaura tra quest’ultima e il privato: non più improntata “sul privilegio amministrativo, bensì sulla leale collaborazione e sul riequilibrio tra le parti del rapporto” [33].

Non è un caso allora che la previsione di un termine decadenziale sia stata qualificata come “nuovo paradigma nei rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione (...) nel quadro di una regolamentazione attenta ai valori della trasparenza e della certezza” (...), “volto a stabilire limiti al potere pubblico nell’interesse dei cittadini, al fine di consolidare le situazioni soggettive dei privati”. Il limite temporale fisso diviene dunque espressione di una “regola di certezza dei rapporti (tra il potere pubblico e i privati), che rende immodificabile l’assetto (provvedimentale-documentale-fattuale) che si è consolidato nel tempo, (sì da far) prevalere l’affidamento” [34].

4.2. L’affidamento del privato e l’eccezione dell’art. 21-nonies, comma 2-bis

La novella del 2015 ha aggiunto il comma 2-bis, all’art. 21-nonies, ai sensi del quale l’amministrazione è legittimata all’annullamento del provvedimento invalido anche dopo la scadenza del termine decadenziale, in caso “di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato”. In tale ipotesi opera solo il limite del termine ragionevole che si computa dal momento della scoperta dell’illegittimità da parte dell’amministrazione, differentemente dalla diversa decorrenza a mesi, che si calcola dal momento dell’adozione del provvedimento originario.

Si rammenta a tal riguardo che la giurisprudenza ha effettuato una netta distinzione tra le due ipotesi, di cui all’art. 21-nonies, comma 2 e ha chiarito che in caso di “false rappresentazioni dei fatti” è possibile superare il termine decadenziale dei dodici mesi, a prescindere da qualsivoglia accertamento penale in sede processuale, “tutte le volte in cui il soggetto richiedente abbia rappresentato uno stato preesistente diverso da quello reale, atteso che, in questi casi, viene in rilievo una fattispecie non corrispondente alla realtà” [35].

Spetterà dunque all’Amministrazione accertare, caso per caso, con i mezzi a sua disposizione, la sussistenza della falsa rappresentazione. In presenza invece di dichiarazioni sostitutive di certificazioni false o mendaci, se frutto di una condotta penalmente rilevante, sarà invece necessario l’accertamento definitivo in sede penale [36].

L’individuazione dell’eccezione, di cui al comma 2-bis, rinviene dunque la propria ragione nella circostanza che, in questi casi, l’esigenza del ripristino della legalità violata viene considerata prevalente rispetto al tempo trascorso [37] e conseguentemente all’affidamento del privato.

L’affidamento, che costituisce il limite naturale all’esercizio del potere di annullamento d’ufficio [38], come ben evidenziato dal giudice delle leggi è, insieme al tempo, l’attore protagonista della sentenza n. 88/25.

Preme dunque soffermarsi, se pur brevemente, su tale principio. Nato nell’ordinamento tedesco per tutelare la posizione del privato innanzi all’esercizio dei poteri caducatori dell’Amministrazione [39], a fronte di provvedimenti favorevoli e poi fatto proprio nel diritto europeo, tramite le elaborazioni della Corte di Giustizia [40], l’affidamento, in quanto principio eurounitario, va annoverato nell’ambito dei principi dell’azione amministrativa, ai sensi dell’art. 1, comma 1, della legge generale sul procedimento [41].

Il tema dell’affidamento ha, nel corso degli anni, occupato la dottrina che si è diversamente adoperata per individuarne il suo fondamento. Basti qui solo ricordare che l’affidamento è stato ritenuto quale precipitato del principio di buona fede [42] o ricondotto ai principi costituzionali, di cui all’art. 97 Cost. [43] o quale espressione del dovere di solidarietà, di cui all’art. 2 Cost. [44]. Ancora vi è stato chi ha individuato le sue radici nell’art. 118, comma 4 Cost. Si è così ritenuto che questa disposizione, nel delineare un nuovo rapporto pubblico - privato, improntato sulla parità e sulla collaborazione, imponga alla pubblica amministrazione di favorire l’iniziativa del privato, secondo lo schema della sussidiarietà orizzontale, “configurando una relazione di reciproca e necessaria fiducia” [45].

La giurisprudenza si è poi premurata di individuare i tre elementi che devono presidiare l’affidamento: uno oggettivo, consistente nella chiarezza, certezza, univocità del vantaggio del privato, che deve trovare fonte in un comportamento attivo; uno soggettivo, rappresentato dalla plausibile convinzione del privato di aver titolo all’utilità ottenuta; uno cronologico, ovvero il passaggio del tempo che rafforza la convinzione della spettanza del bene della vita ottenuto [46].

La centralità dell’affidamento nell’esercizio del potere di autotutela è stata affrontata, in passato, anche dall’Adunanza Plenaria che ha posto l’attenzione sui due profili cardini della pronuncia in commento: la condotta colpevole del privato e il fluire del tempo. Nella sentenza n. 8 del 2017, il Consiglio di Stato ha evidenziato l’incidenza negativa sulla tutela dell’affidamento della prospettazione non veritiera del privato delle circostanze di fatto e di diritto assunte a fondamento dell’atto illegittimo, ma a lui favorevoli; nella pronuncia n. 9 del 2017 ha invece esaminato il ritiro tardivo e l’incidenza sull’affidamento del privato, tanto da giustificare un obbligo di motivazione rafforzata in capo all’amministrazione [47].

Il giudice delle leggi, nell’esaminare lo specifico profilo che ha accomunato i diversi casi sottoposti all’attenzione del giudice amministrativo, cioè l’applicabilità o meno dell’eccezione di cui all’art. 21-nonies, comma 2-bis, nel caso di annullamento d’ufficio oltre il termine dei dodici mesi di attestati di libera circolazione, ricorda che nel nostro ordinamento, così come in quello europeo [48], l’affidamento del privato è considerato meritevole di tutela, solo se legittimo e che ciò vale nei rapporti tanto tra privati che tra privati e pubblica amministrazione.

A tal riguardo si rammenta che, anteriormente alla novella del 2015, la giurisprudenza aveva affermato che perché l’affidamento possa considerarsi legittimo occorre che il privato sia in buona fede o che abbia tenuto una condotta incolpevole [49], o infine, che abbia riposto fiducia nella legittimità dell’atto [50]; differentemente, chi ha concorso a causare l’illegittimità della decisione amministrativa non può restare indenne dalle conseguenze che da essa derivano [51]. Questo orientamento è stato poi recepito nell’art. 21-nonies, comma 2-bis, dove il legislatore ha accompagnato il termine decadenziale fisso a una fattispecie di esclusione di sua applicabilità per immeritevole considerazione della posizione del privato del provvedimento illegittimo.

Da ciò consegue che il lungo tempo trascorso dall’adozione del provvedimento e il comportamento colpevole del privato, che ha indotto in errore l’amministrazione, sono i due fattori che incidono in positivo e in negativo sul riconoscimento della tutela dell’affidamento del privato.

4.3. La tutela dell’interesse al patrimonio culturale nel procedimento originario...

Nella sentenza provvisoria di rimessione il giudice a quo ha posto in luce il limite presente (a suo avviso) nella disposizione censurata (art. 21-nonies, comma 1), la quale non riserverebbe alcuna speciale considerazione all’interesse al patrimonio artistico o ad altri interessi “sensibili” (in primis quelli inerenti al paesaggio, all’ambiente e alla salute), diversamente da quanto avviene, invece, nella disciplina di altri istituti del procedimento amministrativo, dettata dalla legge n. 241/1990 (artt. 14, 14-bis, 14-ter, 14-quinquies, 16, 17, 17-bis, 19 e 20); di qui l’asserita incompatibilità con l’art. 9 Cost.

L’argomentazione addotta a sostegno delle proprie ragioni, da parte del giudice rimettente, appare tuttavia fallace, come emerge dall’opposta conclusione a cui giunge la Corte costituzionale.

Il ragionamento del giudice delle leggi muove dalla specifica natura dell’annullamento d’ufficio, quale potere di secondo grado, diverso dal procedimento originario quanto a presupposti, disciplina procedimentale e a portata della discrezionalità di cui la funzione di autotutela è espressione. Nell’esercizio dei poteri di ritiro viene inoltre in evidenza “l’esigenza di una regola di certezza e di correttezza dei rapporti tra amministrazione e privati che rende immodificabile l’assetto degli interessi che si è consolidato nel tempo” [52].

Fatta questa premessa il giudice delle leggi afferma che la previsione del termine fisso per l’esercizio del potere di annullamento degli atti autorizzatori, senza eccezioni (o distinguo) per gli interessi culturali, non risulta, manifestamente irragionevole e lesiva dell’interesse culturale protetto dall’art. 9 Cost.

I poteri di ritiro, intesi dunque come poteri di secondo grado, hanno ad oggetto provvedimenti adottati all’esito di una precedente attività amministrativa nella quale si tende alla massima realizzazione dell’interesse pubblico con il minor sacrificio dei privati. Il procedimento originario è infatti la sede naturale e fisiologica per l’esercizio del potere, è qui che avviene la valutazione degli interessi pubblici e privati e dove l’amministrazione esercita, grazie agli strumenti che ha a disposizione, la sua discrezionalità (anche, come nella fattispecie in esame, di natura tecnica).

E invero nel primo grado operano le plurime regole dettate dalla legge generale sul procedimento amministrativo e da leggi settoriali che danno prevalenza agli interessi primari. Si pensi alla peculiare disciplina che la legge n. 241/1990 riserva alla tutela degli interessi sensibili negli istituti della conferenza di servizi, della scia e del silenzio assenso, nonché alla diversa disciplina del termine (rispetto a quello generale di trenta giorni) che ne consente l’elevazione a centottanta giorni, proprio a garanzia degli interessi di rango primario.

Nel caso di specie la preminenza assegnata all’interesse culturale nel primo provvedere trova poi ulteriore conferma nel regime speciale contenuto nel d.lg. n. 42/2004.

Si rammenta infatti, che il Codice dei beni culturali detta precise prescrizioni, con riferimento alla circolazione internazionale, finalizzate a preservare l’integrità del patrimonio culturale in tutte le sue componenti (art. 64-bis) [53]. Il d.lg. n. 42/2004, dopo aver previsto i casi in cui l’uscita definitiva dal territorio nazionale è preclusa (art. 65, commi 1 [54] e 2 [55]), afferma che: ”Chi intende far uscire in via definitiva dal territorio della Repubblica le cose indicate nell’articolo 65, comma 3, deve farne denuncia e presentarle al competente ufficio di esportazione, indicando, contestualmente e per ciascuna di esse, il valore venale, al fine di ottenere l’attestato di libera circolazione” (art. 68).

Il procedimento volto al rilascio dell’attestato di libera circolazione si connota, come emerge dalla disposizione richiamata, per una serie di garanzie a tutela dell’interesse culturale, quali: obblighi informativi rafforzati per il privato denunciante, tenuto anche a consegnare materialmente l’opera all’amministrazione di tutela; il coinvolgimento nell’istruttoria degli uffici ministeriali; la specialità del termine di conclusione del procedimento, individuato in quaranta giorni dalla presentazione della cosa (art. 68, comma 3); un provvedimento finale espresso, contenente “un motivato giudizio” sulla sussistenza o meno di un interesse storico artistico [56]; la validità quinquennale. A ciò si aggiunge la previsione, in caso di diniego dell’attestato di libera circolazione, della sottoposizione della cosa al procedimento di dichiarazione di interesse culturale e all’applicazione delle misure di salvaguardia, di cui all’art. 14, comma 6.

Il legislatore ha dunque conformato il potere autorizzatorio di esportazione delle cose d’arte per la finalità di preservare l’integrità del patrimonio culturale nazionale, assegnando agli gli uffici di esportazione il compito di valutare, attraverso l’esercizio di poteri tecnico discrezionali, se la cosa per la quale si richiede l’autorizzazione all’esportazione, si riveli o meno di interesse culturale. D’altra parte, l’obbligo di denuncia risponde proprio “all’esigenza di far emergere cose di interesse artistico la cui esistenza era ignorata dall’autorità di tutela, consentendo alla stessa di procedere all’apposizione del vincolo culturale o all’acquisto coattivo” [57], evitando di arrecare pregiudizio al nostro patrimonio culturale.

4.3.1. ...e nell’autotutela

Il legislatore, nell’ambito dell’esercizio del suo potere discrezionale, ha ritenuto di non dover prevedere, nel dettato di cui all’art. 21-nonies, né un regime aggravato a tutela degli interessi primari, né una diversa disciplina del termine.

In ragione dell’autonomia dei due procedimenti di primo e di secondo grado e in virtù del fatto che l’interesse culturale (al pari degli altri interessi sensibili) gode, nel primo procedimento, di un regime preferenziale che consente all’amministrazione di valutare la sua rilevanza, la Corte costituzionale conclude che non è irragionevole (e dunque conforme all’art. 3 Cost.) che l’interesse di particolare rango costituzionale, quale la protezione del patrimonio storico e artistico, abbia, nella funzione di riesame una considerazione diversa da quella che gli è riservata nel relativo procedimento di primo grado” e che pertanto soggiaccia al regime ordinario dell’autotutela e dunque alla disciplina del termine decadenziale, volta a garantire da un lato la certezza del tempo dell’agere amministrativo, dall’altro il consolidamento definitivo della situazione soggettiva del privato nei confronti dell’Amministrazione.

Diversi infatti sono gli interessi oggetto di valutazione nell’ambito dei due procedimenti e diversa è la consistenza che gli interessi di rilevanza costituzionale hanno nel primo e nel secondo grado. E invero nella ponderazione che connota l’annullamento d’ufficio il numero degli interessi considerati accresce, dovendo l’amministrazione tenere conto, tra l’altro, dell’interesse al ripristino della legalità violata, della certezza delle relazioni giuridiche e dell’affidamento del destinatario della determinazione favorevole.

4.4. Il tempo come “punto di equilibrio” per il bilanciamento tra interessi primari

Il giudice delle leggi afferma che lo specifico bilanciamento operato dalla disposizione censurata, “risulta non reprensibile anche con riguardo alla tutela degli interessi sensibili, quale quello culturale” [58].

È noto che la tecnica del bilanciamento costituisce il principale metodo in uso sia da parte del legislatore, sia da parte dei giudici [59], quando sono chiamati ad effettuare delle scelte che implicano la ricerca della soluzione attraverso la composizione di interessi o di diritti in conflitto tra loro [60].

Lo scopo del bilanciamento è quello di raggiungere una soluzione soddisfacente in presenza di un conflitto di interessi [61]. Il soggetto deputato ad effettuare la scelta si trova dunque di fronte a una pluralità di diritti o interessi, tutti giuridicamente rilevanti, per i quali l’ordinamento non assegna una preferenza a uno, piuttosto che a un altro; attraverso la tecnica del bilanciamento egli sarà chiamato a individuare, nel caso concreto, quale diritto o interesse sia da ritenere prevalente grazie anche a dei parametri esterni, come ad esempio, il fattore tempo.

Questa è la scelta operata dal legislatore nella disposizione censurata, nella quale egli ha previsto una regolazione della dialettica degli interessi in gioco il cui punto di equilibrio è dato dalla variabile tempo, scandita secondo tre livelli. Nel primo livello, l’interesse di rilevanza costituzionale, nell’arco temporale dei dodici mesi, incide in modo preponderante sulla decisione dell’amministrazione di ritirare o meno il provvedimento illegittimo, pur dovendo tener conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati; nel secondo livello, l’interesse primario giustifica l’annullamento d’ufficio oltre il termine decadenziale quando la condotta colpevole tenuta dal privato non ha consentito all’amministrazione di accertare i fatti e di valutare l’interesse pubblico di rango primario nel procedimento originario; infine, nel terzo livello, l’amministrazione, una volta decorso il termine dei dodici mesi, esaurisce i margini per effettuare un’ulteriore tutela dell’interesse pubblico primario, con conseguente irretrattabilità del provvedimento di primo grado [62].

Ne deriva pertanto che, una volta decorso il limite temporale dei dodici mesi e non si riscontri l’eccezione di cui al comma 2-bis, la prevalenza assegnata all’interesse primario nel procedimento di primo grado recede a fronte di altri interessi di paro rango, concludendosi il bilanciamento con l’automatica prevalenza degli altri interessi di rilevanza costituzionali, quali: l’affidamento del destinatario del provvedimento favorevole e simultaneamente l’interesse alla certezza e alla stabilità dei rapporti giuridici.

La circostanza, poi, che il decorso del termine renda il provvedimento irretrattabile funge da garanzia non solo nei rapporti tra privato e pubblica amministrazione, ma anche per le relazioni giuridiche che quest’ultimo ha instaurato con soggetti terzi (nel caso dell’allegoria della Pazienza, l’acquirente della tela).

Conclude pertanto la Corte costituzionale che il legislatore, nell’aver previsto un termine decadenziale per l’annullamento d’ufficio dei provvedimenti autorizzatori, non ha sacrificato gli interessi primari, quale quello alla tutela del patrimonio culturale, nel loro nucleo essenziale, ma, semmai che “nel concorrere di tali interessi con princìpi del pari di rango costituzionale (quale l’affidamento)” [63], ha inteso garantire “una compiuta ed esplicita rappresentazione di tali interessi nei processi decisionali all’interno dei quali si esprime la discrezionalità delle scelte (...) amministrative” [64].

4.5. Limite temporale e buon andamento

La sentenza n. 88/2025 afferma infine che il limite temporale del potere di autotutela non è lesivo del principio di buon andamento, essendo al contrario funzionale alla sua attuazione e ad accrescere l’efficienza dell’azione amministrativa.

La consapevolezza di non poter esercitare un potere di ritiro sine die per correggere i propri errori incentiva infatti gli organi competenti a compiere un’attenta valutazione degli interessi già in primo grado. Su questa linea si è posta anche la circolare n. 21, del 2024 della Direzione Generale Archeologia Belle Arti e Paesaggio, la quale ha invitato gli Uffici di esportazione a prestare maggiore attenzione nell’esaminare le istanze loro presentate, anche alla luce del termine fisso di dodici mesi, di cui all’art. 21-nonies, comma 1, “per evitare l’irrimediabile uscita dal territorio nazionale di opere d’arte che, ove opportunamente presentate agli uffici esportazione, non avrebbero ricevuto l’attestato di libera circolazione”.

Come ha avuto modo di affermare il Consiglio di Stato, nella sentenza 21 novembre 2023, n. 9962, sul c.d. caso Bassano, che ha “ispirato” l’adozione della circolare richiamata: “è compito dei funzionari del ministero svolgere un’accurata due diligence sull’opera d’arte che viene presentata e tale compito non può essere svolto in supplenza dal privato”.

L’errore valutativo, in particolare in ambiti tecnici, come quello del rilascio dell’attestato di libera circolazione, evitabile con la dovuta diligenza, pur incidendo su un interesse sensibile, quale quello culturale, non può giustificare il ritiro del provvedimento oltre il termine legale.

Il buon andamento si traduce, in sostanza, anche in rispetto del tempo, configurandosi come parametro interno alla legalità sostanziale dell’azione amministrativa.

5. Conclusioni

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 88/2025, afferma che l’autotutela, pur diretta al ripristino della legalità violata, non può operare senza limiti temporali e ciò anche quando l’annullamento d’ufficio ha ad oggetto provvedimenti illegittimi, lesivi di interessi primari, quale quello culturale.

Il termine decadenziale di dodici mesi, stabilito dal legislatore nell’esercizio del suo potere discrezionale, non è infatti lesivo né dell’interesse culturale, di cui all’art. 9 Cost., né del principio di ragionevolezza, di cui all’art. 3 Cost. La disciplina del tempo del ritiro è semmai frutto di una scelta che impone all’amministrazione, in ossequio al principio del buon andamento, di esercitare il potere pubblico con diligenza e responsabilità nella sede propria del procedimento originario.

La sentenza, dopo aver evidenziato la distinzione tra primo e secondo provvedere e la differenza dei relativi presupposti e condizioni, sottolinea la centralità del procedimento originario, sede eletta per la valutazione dell’interesse pubblico primario e degli altri interessi pubblici e privati, nel quale viene garantita la prevalenza e l’effettività della tutela degli interessi sensibili. Poiché il procedimento di primo grado costituisce la sede naturale e fisiologica per l’esercizio del potere pubblico, è in questo ambito, che la discrezionalità tecnica e l’interesse culturale devono essere esercitati e valutati.

Una volta, però, che sia decorso il tempo (inteso come elemento strutturale dell’azione amministrativa) e non si riscontri l’eccezione di cui al comma 2-bis, la prevalenza assegnata all’interesse primario, nel procedimento originario, cede il passo, nel bilanciamento fra interessi, ad altri di pari rango, quali: l’affidamento e la certezza delle situazioni giuridiche.

La sentenza ribadisce infatti che la tutela dell’affidamento è ricaduta e declinazione soggettiva della certezza del diritto, la quale, a propria volta, integra un elemento fondamentale e indispensabile dello Stato di diritto, connaturato sia all’ordinamento nazionale, sia al sistema giuridico sovranazionale [65].

Per concludere a mio avviso, i punti per i quali la sentenza si lascia apprezzare risultano i seguenti.

Lungi dal ridimensionare la tutela del patrimonio culturale, la pronuncia responsabilizza l’amministrazione (anche quella di tutela), a compiere, nel procedimento originario, istruttorie approfondite e valutazioni (tecniche) accurate, nel rispetto dei principi di legalità e di buon andamento dell’azione amministrativa, così arginando il potenziale contenzioso che in passato ha caratterizzato la circolazione delle opere d’arte.

Nel sancire l’irretrattabilità dell’attestato di libera circolazione una volta che sia decorso il termine dei dodici mesi (sempre che non si incorra nelle ipotesi di cui al comma 2-bis), la sentenza conferisce inoltre maggior stabilità alle autorizzazioni alle esportazioni, garantendo l’affidabilità del “sistema Paese” e la credibilità del mercato (anche all’estero) dell’arte [66].

L’aver confermato la compatibilità a Costituzione del termine decadenziale, anche con riguardo agli interessi di rango primario, ha evitato poi un ingiustificato “ritorno al passato”, nel quale la giurisprudenza era stata impegnata in continui esercizi ermeneutici per segnare i confini e riempire di contenuti del parametro elastico della ragionevolezza [67].

La sentenza sembra, infine, aver risolto, in senso positivo, la questione, molto dibattuta in dottrina e lasciata in sospeso dall’art. 21-nonies (sia nella sua formulazione originaria, sia nelle successive modificazioni), quella cioè dell’autonomia del potere di autotutela [68].

 

Note

[*] Annalisa Gualdani, professore associato di Diritto amministrativo presso l’Università degli Studi di Siena, Via Mattioli 10, 53100 Siena, annalisa.gualdani@unisi.it.

[1] Cons. Stato, sez. VI, 21 novembre 2023, n. 9962; Tar Veneto, 31 gennaio 2024, n. 182. Cfr. sul punto M. Pirelli, Guercino: il Tar del Veneto sblocca l’uscita. Il MIC non può annullare il via libera all’export perché cambia l’attribuzione, in www.sole24ore.com.

Differentemente, Cons. Stato, sez. VI, 4 ottobre 2024, n. 8010 ha ritenuto legittimo l’annullamento d’ufficio oltre il termine dei dodici mesi, atteso che il privato aveva tenuto una condotta “lacunosa e ambigua nella rappresentazione dei fatti, la quale ha impedito all’Amministrazione di formare in maniera pienamente consapevole il proprio giudizio in ordine al valore artistico dell’opera”.

[2] Ex multis, Cons. Stato, 21 novembre 2023, n. 9962. Sul punto cfr. anche G. Calabi - C. Riboni, Dopo il Caso Bassano: annullamento in autotutela di attestati di libera circolazione di opere d’arte, in Arte e Diritto, 2024, 2.

[3] Sino a quel momento si supponeva che questo soggetto fosse stato rappresentato in originale dal quadro attualmente ospitato presso la Galleria palatina di Palazzi Pitti a Firenze.

[4] Il Carteggio dell’autore è contenuto nell’archivio Vasari, digitalizzato nell’interezza a seguito dell’espropriazione diretta posta in essere dalla Soprintendenza archivistica della Toscana per ragioni di tutela e fruizione.

[5] Così Cons. Stato, sez. VI, 16 ottobre 2024, n. 8296, parte in fatto.

[6] Così Corte cost. 26 giugno 2025, n. 88, punto 1.4.1 del fatto.

[7] Corte di Giustizia CE, sentenza 12 luglio 1957, cause riunite C-7/56 e da C-3/57 a C-7/57, Algera; successivamente anche sentenza 22 marzo 1961 in cause riunite C-42 e 49/59, Société nouvelle des usines de Pontlieue - Aciériesdu Temple.

[8] Corte di Giustizia UE sentenza 3 maggio 1978, C-12/77, Töpfer.

[9] Corte di Giustizia UE, sentenza 17 aprile 1997, causa C-90/95, De Compte.

[10] Così 8.7 del Considerato in diritto.

[11] M. Clarich, Manuale di diritto amministrativo, Bologna, Il Mulino, 2025, pag. 220.

[12] In tal senso cfr. C. Napolitano, Autotutela amministrativa: riflessioni su una figura ancipite, in Foro amm. C.d.S, 2012, 11, pag. 2946.

[13] A tal riguardo preme rammentare come anche la giurisprudenza si fosse premurata di supplire a tale lacuna individuando parametri che delineassero il rapporto tra autotutela e tempo, impiegando espressioni quali: “a distanza di tempo”, “decorso di un notevole lasso di tempo”, “a breve distanza di tempo”, “poco tempo”. Sul punto si rinvia a G. Barone, Autotutela amministrativa e decorso del tempo, in Dir. amm., 2002, 4, pag. 690 e alla copiosa giurisprudenza ivi richiamata.

[14] In tal senso V. Cerulli Irelli, Corso di diritto amministrativo, Torino, 1999, pag. 668; R. Villata, L’atto amministrativo, in Diritto amministrativo, (a cura di) L. Mazzarolli - G. Pericu - A. Romano - F.A. Roversi Monaco - F.G. Scoca, Bologna, 2001, II, pag. 1506.

[15] R. Villata - M. Ramajoli, Il provvedimento amministrativo, Torino, 2006, pag. 567.

[16] A tal riguardo E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Torino, 2015, pag. 521, aveva evidenziato che l’esistenza di situazioni già consolidate costituiscano impedimento all’annullamento d’ufficio, atteso che la loro rimozione confliggerebbe con il principio di buona fede o di affidamento. Nel medesimo senso Cons. Stato, sez. VI, 15 novembre 1999, n. 1821; C.G.A. 21 novembre 1997, n. 499; Tar Puglia, sez. II, 17 dicembre 1996, n. 827.

[17] Tar Abruzzo, L’Aquila, sez. I, 11 aprile 2013, n. 330, in Foro amm. Tar, 2013, 4, pag. 1252. Cons. Stato, sez. VI, 14 novembre 2014, n. 5609, in Foro amm., (II), 2014, 11, pag. 2810.

[18] Sul punto Tar Emilia-Romagna, sez. dist. Parma, 22 febbraio 2006, n. 76.

[19] In argomento sia consentito rinviare ad A. Gualdani, Il tempo nell’autotutela, in Federalismi.it, 2017, 12.

[20] Tar Lombardia, sez. II, 30 gennaio 2007, n. 115.

[21] Sul punto F. Merusi, Buona fede e affidamento nel diritto pubblico. Dagli anni Trenta all’alternanza, Milano, 2001, pag. 80.

[22] Sul punto cfr. A. Romano, Note sul concetto di potere giuridico, in Annali della facoltà di economia e commercio dell’Università di Messina, Catania, 1981, pag. 13; G. Coraggio, Autotutela, diritto amministrativo (voce), in Enc. giur., vol. IV, Roma, Treccani, 1988, pag. 1 ss. che ritiene che con il riesame l’amministrazione non eserciti neppure una funzione in senso tecnico, riesercitando invece la medesima funzione già esercitata con il primo provvedimento; A. Contieri, Il riesame del provvedimento amministrativo, Napoli, Editoriale Scientifica, 1991, pagg. 74-75.

[23] Consiglio di Stato, sezione sesta, decisione 15 novembre 1999, n. 1812 e sezione quinta, decisione 20 agosto 1996, n. 939, e ancor prima nella giurisprudenza europea, Corte di Giustizia delle Comunità europee, 3 marzo 1982, causa 14/81, Alpha Steel Ltd contro Commissione.

[24] E. Cannada Bartoli, Annullabilità e annullamento, diritto amministrativo (voce), in Enc. dir., Milano, Giuffrè, 1958, II, pag. 490. Per un’ampia trattazione del tema, cfr. G. Manfredi, L’indennità di autotutela, in Dir. amm., 2008, 1, pag. 163 ss.

[25] F. Benvenuti, Autotutela (dir. amm.), in Enc. dir., Milano, Giuffrè, 1959, IV, pagg. 537-556.

[26] M.S. Giannini, Diritto amministrativo, Milano, Giuffrè, 1993, pag. 549.

[27] Romano, Note sul concetto di potere giuridico, cit., pag. 15. Sul punto anche G. Coraggio, Autotutela, cit., pag. 1 ss. che ritiene che con il riesame l’amministrazione non eserciti neppure una funzione in senso tecnico, riesercitando invece la medesima funzione già esercitata con il primo provvedimento.

[28] La concezione del potere di revoca non già come potere autonomo, bensì come riesercizio è stata sostenuta da G. Corso, L’efficacia del provvedimento amministrativo, Milano, Giuffrè, 1969, pag. 206; A.M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, Jovene, 1989, pag. 720.

[29] A. Contieri, Il riesame del provvedimento amministrativo, cit., pagg. 74-75.

[30] In tal senso A. Carbone, Considerazioni generali sui poteri amministrativi di secondo grado, in Federalismi.it, 2025, 19, pag. 6.

[31] Così Cons. Stato n. 8/2017.

[32] In tal senso B.G. Mattarella, La riforma della pubblica amministrazione. Il contesto e gli obiettivi della riforma, in Giorn. dir. amm., 2015, 5, pag. 621 ss.

[33] M. Ramajoli, L’annullamento d’ufficio alla ricerca di un punto di equilibrio, in giustamm., 2016, 6, pag. 3.

[34] Consiglio di Stato, commissione speciale, parere del 30 marzo 2016, n. 839.

[35] Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 18 marzo 2021, n. 2329 e Cons. Stato, sez. VI, 27 febbraio 2024, n. 1926.

[36] Sul punto cfr. Cons. Stato, 28 marzo 2018, n. 4374; Cons. Stato, 29 giugno 2018, n. 3940; Cons. Stato, 1° giugno 2020, n. 3422, dove si è affermato che la necessità del giudicato penale si riferisce solo alle dichiarazioni sostitutive di certificazione e all’atto di notorietà falsi o mendaci.

[37] M. Lipari, La SCIA e l’autotutela nella legge n. 124/2015: primi dubbi interpretativi, in Federalismi.it., 2015, 20, pag. 16.

[38] E. Sticchi Damiani, La revoca dopo la legge n. 15 del 2005, in Foro amm. Tar, 2006, pag. 1552.

[39] Nelle elaborazioni d’oltralpe si è distinto a seconda se il provvedimento oggetto di ritiro fosse favorevole o sfavorevole per il destinatario. Solo nel primo caso scatterebbe la tutela prevista per l’affidamento. In argomento, cfr. A. Lupo, Studio sulla revoca degli atti amministrativi, Milano, 2013, pag. 203.

[40] Corte di Giustizia, 3 maggio 1978, C112/77, la quale ebbe ad affermare che “il principio della tutela dell’affidamento fa parte del diritto comunitario”. In senso adesivo, Corte di Giust., sentenza 5 maggio 1981, C-112/80.

[41] Si rammenta che nei lavori preparatori di modifica alla legge n. 241/1990, emerse la necessità di tutelare la certezza delle posizioni di vantaggio conseguite dai privati ad opera dei provvedimenti della pubblica amministrazione. Fu così che nel disegno di legge 21 marzo 2002, n. 1281, si proponeva di integrare/modificare l’art. 1, della legge n. 241/1990, nei seguenti termini: “l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta dai principi di imparzialità, proporzionalità, legittimo affidamento, efficacia, efficienza, economicità, pubblicità e dai principi dell’ordinamento comunitario”.

[42] C. Grassetti, L’interpretazione dei negozi “inter vivos” (dir. civ.), in Noviss. dig. it., vol. VIII, 1962, pag. 904; F. Merusi, Buona fede e affidamento nel diritto pubblico. Dagli anni Trenta all’alternanza, cit., pag. 80 ss.

[43] Sul punto F. Benvenuti, Funzione amministrativa, procedimento e processo, voce Enc. giur. XIV, Roma, Treccani, 1989, pag. 1 ss.; F. Benvenuti, Per un diritto amministrativo paritario, in Studi in memoria di Guicciardi, Padova, Cedam, 1975, pag. 849; U. Allegretti, L’imparzialità amministrativa, Padova, Cedam, 1965, pag. 274 ss. in argomento cfr. anche S. Antoniazzi, La tutela del legittimo affidamento del privato nei confronti della Pubblica amministrazione, Torino, Giappichelli, 2005; F. Gaffurri, L’acquiescenza al provvedimento amministrativo e la tutela dell’affidamento, Milano, Giuffrè, 2006, pag. 135.

[44] F. Manganaro, Il principio di buona fede e attività delle amministrazioni pubbliche, Napoli, Editoriale Scientifica, 1995, pag. 114.

[45] E. Sticchi Damiani, La revoca dopo la legge n. 15 del 2005, cit., pag. 1553.

[46] Cons. Stato, sez. V, 3 agosto 2012, n. 4440, in Riv. giur. edilizia, 2012, 5, I, pag. 1191.

[47] Cons. Stato, Ad. plen., 17 ottobre 2017, n. 9, punto 4, del considerato in diritto: “nel caso di ritiro tardivo in autotutela di un atto amministrativo illegittimo, ma favorevole al proprietario, si radica comunque un affidamento in capo al privato beneficiato dall’atto in questione e ciò giustifica una scelta normativa (quale quella trasfusa nell’art. 21-nonies della legge n. 241/1990) volta a rafforzare l’onere motivazionale gravante in capo all’amministrazione”.

[48] Cgce, 22 marzo 1961, cause riunite 42 e 49/59 Société nouvelle des usines de Pontlieue-Acieries du Temple, SNUPAT.

[49] Cons. Stato, sez. VI, 7 novembre 1996, n. 1552, in https://www.giustizia-amministrativa.it.

[50] Cons. Stato, sez. V, 9 maggio 2000, n. 2648, in Riv. giur. edilizia, 2000; Cons. Stato, sez. V, 12 ottobre 2004, n. 6554, in Foro amm. CDS, 2004, pag. 2867.

[51] F. Trimarchi Banfi, L’annullamento d’ufficio e del cittadino, in Dir. amm., 2005, 4, pag. 843.

[52] 3.6 del Considerato in diritto.

[53] Il comma 2 dell’art. 64-bis prevede altresì che “Il controllo di cui al comma 1 è esercitato ai sensi delle disposizioni del presente capo, nel rispetto degli indirizzi e dei vincoli fissati in ambito comunitario, nonché degli impegni assunti mediante la stipula e la ratifica di Convenzioni internazionali. Detto controllo costituisce funzione di preminente interesse nazionale”. In argomento, F. Lafarge, La circolazione internazionale dei beni culturali, dopo le modifiche al Codice, in Aedon, 2009, 1; P. Venditti, La circolazione dei beni culturali in ambito internazionale e la tutela del proprietario in caso di trasferimento illecito o illegale, in Arte e Diritto, 2024, 1, pag. 85; C. Ferrazzi, Commento all’art. 68, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, (a cura di) M.A. Sandulli, Milano, Giuffrè, 2019, pag. 675.

[54] È vietata l’uscita definitiva dal territorio della Repubblica dei beni culturali mobili indicati nell’articolo 10, commi 1, 2 e 3.

[55] È vietata altresì l’uscita: a) delle cose mobili appartenenti ai soggetti indicati all’art, 10, comma 1, che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni, fino a quando non sia stata effettuata la verifica prevista dall’art. 12; b) dei beni, a chiunque appartenenti, che rientrino nelle categorie indicate all’art. 10, comma 3, e che il ministero, sentito il competente organo consultivo, abbia preventivamente individuato e, per periodi temporali definiti, abbia escluso dall’uscita, perché dannosa per il patrimonio culturale in relazione alle caratteristiche oggettive, alla provenienza o all’appartenenza dei beni medesimi.

[56] Cfr. i criteri di cui al d.m. 6 dicembre 2017, n. 537.

[57] Così G. Sciullo, Tutela, in C. Barbati - M. Cammelli - L. Casini - G. Piperata - G. Sciullo, Diritto del Patrimonio culturale, Bologna, Il Mulino, 2025, pag. 190.

[58] 4.2 del Considerato in diritto.

[59] F. Pierandrei, voce Corte costituzionale, in Enc. dir., Milano, Giuffrè, 1962, X, pag. 874, che precisa come il bilanciamento non si risolve nell’attività di qualunque giudice, assumendo rilievo nei conflitti che hanno ad oggetto interessi, diritti, principi o beni di rango costituzionale. Contra G. Pino, Conflitto e bilanciamento tra diritti fondamentali. Una mappa dei problemi, in Etica e Politica, 2006(1), 23 “la tecnica del bilanciamento è ampiamente usata soprattutto dalle corti che ‘maneggiano’ con maggior frequenza diritti e principi fondamentali: corti costituzionali, in primo luogo, ma anche corti ordinarie nella misura in cui anche ad esse sia demandato (‘formalmente’, o per convenzione diffusa e accettata nella cultura giuridica) un controllo di costituzionalità o l’applicazione diretta di diritti e principi costituzionali!”.

[60] S. Mangiameli, Il contributo dell’esperienza costituzionale italiana alla dommatica europea della tutela dei diritti fondamentali, Consulta OnLine in https://giurcost.org, pag. 43, afferma che il bilanciamento è stato utilizzato per affermare da un lato una particolare concezione della Costituzione, da un altro un singolare metodo di interpretazione di quest’ultima, collegato alla c.d. teoria dei valori. Sul punto cfr. A. Baldassarre, Costituzione e teoria dei valori, in Pol dir., 1991, pag. 639; F. Pizzetti, L’ordinamento costituzionale per valori, in Dir. Eccl., 1995, pag. 66.

[61] Sul punto sia consentito rinviare ad A. Gualdani, La responsabilità da atto lecito della pubblica amministrazione per lesione di diritti fondamentali, Torino, Giappichelli, 2024, pag. 102.

[62] 4.2 del Considerato in diritto.

[63] Ibidem.

[64] Corte cost. 28 giugno 2004, n. 196.

[65] Cfr. Corte cost. 27 marzo 2025, n. 36 e 7 marzo 2024, n. 70.

[66] A tal riguardo cfr. D. Rosato, La Corte costituzionale attribuisce maggior stabilità all’attestato di libera circolazione, in Giornale dell’arte, 11 luglio 2025.

[67] Sul punto cfr. G. Barone, Autotutela amministrativa e decorso del tempo, cit., pag. 690 e la giurisprudenza ivi richiamata.

[68] Sull’autonomia cfr. F. Benvenuti, Autotutela (dir. amm.), in Enc. dir., cit., Milano, Giuffrè, 1959, pagg. 537-556; M.S. Giannini, Diritto amministrativo, cit., pag. 549; M. Trimarchi, L’inesauribilità del potere amministrativo. Profili critici, Napoli, Editoriale Scientifica, 2018, pag. 11 ss.; F. Francario, Riesercizio del potere amministrativo e stabilità degli effetti giuridici, in Federalismi.it, 2017, 8, pag. 13 ss.

 

 

 



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