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Il Codice dei beni culturali e del paesaggio vent’anni dopo - Atti del Convegno di Firenze (25 novembre 2024)

Il Codice dei beni culturali e del paesaggio vent’anni dopo. I profili tributari e fiscali [*]

di Roberto Cordeiro Guerra [**]

Sommario: 1. Gli effetti negativi dell’assenza di un codice nel diritto tributario. - 2. Il Codice dei beni culturali e del paesaggio quale sede ideale delle agevolazioni fiscali relative ai beni a proprietà condivisa. - 3. Il fisco come leva per la tutela e la promozione del patrimonio culturale: l’Art Bonus. - 4. L’utilizzo di misure fiscali per la protezione e la fruizione sostenibile di beni tutelati: il caso dei centri storici.

Lo scritto analizza gli effetti negativi derivanti dall’assenza di un codice nel diritto tributario così come il mancato inserimento, all’interno del codice dei beni culturali e del paesaggio, di una disciplina fiscale di tali beni. Il lavoro si sofferma poi sull’utilizzo delle misure fiscali al fine di proteggere e promuovere la fruizione sostenibile dei beni culturali, esaminando il particolare caso dei centri storici.

Parole chiave: diritto tributario; Art Bonus; Codice dei beni culturali e del paesaggio; misure fiscali.

The Cultural Heritage and Landscape Code twenty years on. Tax and fiscal aspects
The paper analyses the negative effects resulting from the absence of a code in tax law, as well as the failure to include tax regulations for cultural heritage assets in the code governing cultural heritage and landscape. The paper then focuses on the use of tax measures to protect and promote the sustainable enjoyment of cultural heritage, examining the specific case of historic centres.

Keywords: tax law; Art Bonus; Code of cultural heritage and landscape; tax measures.

1. Gli effetti negativi dell’assenza di un codice nel diritto tributario

Nell’ambito di una riflessione dinamica sull’attualità del Codice dei beni culturali e del paesaggio a venti anni dalla sua emanazione, quale contributo od angolo di visuale può apportare lo studioso di diritto tributario?

La risposta può essere costruita considerando diverse prospettive di osservazione.

Una prima, per così dire esterna, riguarda la comparazione con la situazione della legislazione in materia tributaria, la quale ha finora visto fallire i tentativi di unificarla in un Codice, all’interno della quale compattare la disciplina generale delle imposte (principi generali, accertamento, riscossione) e quella settoriale dei singoli tributi.

Ebbene, solo di recente, nell’ambito della legge n. 111/2023 (legge delega sulla riforma fiscale) è stata previsto all’art. 21 il “riassetto delle vigenti disposizioni di diritto tributario per la raccolta di esse in un codice articolato in parte generale, recante la disciplina unitaria degli istituti comuni del sistema fiscale e una parte speciale per singoli tributi”.

Ad oggi, la mancanza di un codice ha fortemente condizionato l’approfondimento e lo sviluppo sistematico della materia, non solo rendendo difficile il reperimento dei testi normativi ma soprattutto impedendo, o comunque rendendo più difficoltoso, un approccio organico ai temi comuni: mi limito a citare, per tutti, il particolarismo che ha condizionato il tema fondamentale del contraddittorio in relazione agli atti emanati dall’amministrazione finanziaria, in relazione al quale per lungo tempo si è verificata la convivenza di regimi diversi per i tributi cosiddetti armonizzati rispetto a quelli non armonizzati.

Da questo punto di vista, ed in due parole, può dunque concludersi che è molto meglio, discutere, anche in maniera incisiva, sull’attualità di un codice, come nel caso dei beni culturali, che patire le conseguenze della sua assenza, come nel settore tributario, con l’inevitabile sacrificio dello stimolo ad un approfondimento sistematico ed organico della materia.

2. Il Codice dei beni culturali e del paesaggio quale sede ideale delle agevolazioni fiscali relative ai beni a proprietà diffusa

Una seconda prospettiva di osservazione, questa volta interna, riguarda il mancato inserimento nel codice dei beni culturali e del paesaggio della peculiare disciplina fiscale di tali beni, attualmente disseminata o nelle varie leggi d’imposta o addirittura in interventi normativi diversi da quelli che regolano i singoli tributi.

Un primo inconveniente di questo approccio è la circostanza che le disposizioni fiscali sono fortemente lacunose quanto al coordinamento e aggiornamento con le disposizioni generali del codice dei beni culturali e del paesaggio.

Ad esempio, mentre la normativa in tema di imposte sui redditi (artt. 37, ultimo comma e 90 del Tuir) circoscrive l’applicabilità di talune disposizioni al vincolo contemplato dall’art. 10 del codice dei beni culturali, quelle in tema di successione si riferiscono ancora ed esclusivamente al vincolo ex lege 1939 (art. 13 d.lg. n. 346/1990, che richiama i beni culturali di cui agli artt. 1,2, 3 e 5 della legge n. 1089 del 1939).

Una terza prospettiva, a mio avviso feconda, riguarda invece la considerazione che proprio nel Codice dei beni culturali e del paesaggio sono contenute quelle caratteristiche della proprietà (c.d. diffusa) del bene culturale che ne giustificano un trattamento fiscale ad hoc.

A titolo di esempio, e senza pretesa di completezza ricordo che:

- I privati proprietari, possessori o detentori di beni appartenenti al patrimonio culturale, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, sono tenuti a garantirne la conservazione (art. 1, commi 5 e 6);

- L’esercizio delle funzioni di tutela si esplica anche attraverso provvedimenti volti a conformare e regolare diritti e comportamenti inerenti al patrimonio culturale (art. 3, comma 2);

- I beni culturali non possono essere distrutti, deteriorati, danneggiati o adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione (art. 20, comma 1);

- I privati proprietari, possessori o detentori di beni culturali sono tenuti a garantirne la conservazione (art. 30, comma 3);

- Il restauro e gli altri interventi conservativi su beni culturali ad iniziativa del proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo sono autorizzati ai sensi dell'articolo 21 (art. 31, comma 1);

- Il ministero può imporre al proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo gli interventi necessari per assicurare la conservazione dei beni culturali, ovvero provvedervi direttamente (art. 32, comma 1);

- Gli atti che trasferiscono, in tutto o in parte, a qualsiasi titolo, la proprietà o, limitatamente ai beni mobili, la detenzione di beni culturali sono denunciati al ministero (art. 59, primo comma);

- Il ministero o, nel caso previsto dall’articolo 62, comma 3, la Regione o gli altri enti pubblici territoriali interessati, hanno facoltà di acquistare in via di prelazione i beni culturali alienati a titolo oneroso o conferiti in società, rispettivamente, al medesimo prezzo stabilito nell'atto di alienazione o al medesimo valore attribuito nell'atto di conferimento (art. 60, primo comma);

- È vietata l’uscita definitiva dal territorio della Repubblica dei beni culturali mobili indicati nell’articolo 10, commi 1, 2 e 3. (art. 65, primo comma).

Il complesso di queste disposizioni plasma quella che è stata definita proprietà a godimento diffuso, alla quale deve abbinarsi un trattamento fiscale diverso (meno gravoso) in ragione della minore capacità contributiva che essa denota.

In altre parole, in casi siffatti non siamo di fronte ad un trattamento di favore che a parità di capacità contributiva riconosce un vantaggio in nome di esigenze costituzionali pari ordinate, quali ad esempio quelle della tutela e valorizzazione, ma semplicemente ad un regime adeguato alla diversa capacità contributiva espressa da tali beni [1].

Chiara indicazione in tal senso è stata data dalla Corte Costituzionale [2], affermando in maniera esplicita che il fondamento del trattamento fiscale favorevole riservato ai beni di interesse culturale va rinvenuto nella considerazione che la loro proprietà denota una capacità contributiva ridotta per effetto degli oneri che la normativa di settore impone ai loro titolari.

Ora, se nel codice dei beni culturali sono esplicitate quelle limitazioni della proprietà del bene culturale che ne giustificano un trattamento fiscale ad hoc, è proprio in questo corpo normativo che andrebbero allocate le relative disposizioni tributarie, come fattore:

- di chiarezza normativa, evitandosi di doversi ricercare nel magma delle leggi relative ai singoli tributi (Irpef, Imu, tributi locali, etc.) il regime fiscale dei beni culturali;

- di immediata esplicitazione del trade off proprietà limitata versus regime fiscale speciale, ossia conforme alla diversa e minore capacità contributiva manifestata dal bene culturale;

- di baricentro di valutazione della razionalità dei benefici esistenti e di irrazionalità dell’esclusione di alcuni di essi: in sostanza a ciascun bene culturale, in ragione della sua tipologia e dei vincoli sottesi, il giusto trattamento impositivo.

Fermo ciò, andrebbe invertito il trend attuale di progressiva riduzione o eliminazione della portata delle agevolazioni: si pensi, per tutte, all’eliminazione dell’aliquota ridotta dell’imposta di registro, od ancora alla progressiva riduzione degli incentivi fiscali per i beni vincolati ai fini delle imposte dirette e dell’Imu, in controtendenza rispetto al profluvio di agevolazioni in continuo incremento [3].

3. Il fisco come leva per la tutela e la promozione del patrimonio culturale: l’Art Bonus

Fin qui abbiamo parlato di un regime ad hoc semplicemente correlato alle caratteristiche limitative della proprietà dei beni culturali.

Si può invece pensare di ricorrere alla leva fiscale, valutando come l’esigenza di perseguire la finalità costituzionale di promozione della cultura, tutela del paesaggio e del patrimonio storico ed artistico espressa dall’art. 9 della Costituzione giustifichi misure fiscali premiali.

Partiamo da un dato: l’insufficienza dell’attuale regime fiscale dei beni culturali a perseguire queste finalità.

Pensate che a regime, per le spese di manutenzione di un bene di interesse culturale la legislazione prevede una detrazione del 19%; sicché siamo all’assurdo che per godere di regime migliori il proprietario deve attingere a misure concepite per le abitazioni comuni, quali ad esempio il credito d’imposta pari al 110%.

Chi manutiene un bene a proprietà condivisa assume su di sé un costo che riversa esternalità positive sulla collettività che ne ha il godimento: il sostenimento di un onere di interesse comune o è anche esso contribuzione - ed allora deve essere detratto da quanto dovuto a titolo di concorso - o comunque deve essere in qualche modo premiato più della spesa di esclusivo interesse individuale.

Allo stato attuale della legislazione, la misura più azzeccata in materia è senz’altro l’Art Bonus [4], ossia il credito d’imposta sul 65% del contributo erogato per il restauro di luoghi della cultura preselezionati come meritevoli dal Mibac [5]. Il meccanismo prevede che un ente, per il tramite del ministero, inserisca il progetto da finanziare all’interno del portale online a ciò dedicato [6]. Chiunque abbia interesse può accedere al portale, dove è possibile visualizzare l’elenco dei progetti finanziabili, la relativa descrizione, il costo complessivo dell’intervento e le eventuali donazioni che siano già state ricevute; a quel punto, il finanziatore sceglie in totale libertà il progetto al quale destinare il proprio denaro e in quale misura. Detta facilità di funzionamento è peraltro coniugata con la sicurezza che il meccanismo trasmette al contribuente, il quale percepisce agilmente la certezza della spettanza del credito di imposta: poiché il sito è gestito direttamente dal ministero, che propone ai contribuenti interventi selezionati ex ante, non è previsto alcun controllo ex post finalizzato a sindacare sulla spettanza della agevolazione, così che il contribuente ha sin dal primo momento la sicurezza che a fronte dell’intervento gli sarà riconosciuto il beneficio [7].

D’altro canto, lo Stato non avrebbe alcun interesse a limitare le agevolazioni garantite tramite l’Art Bonus. A ben vedere, infatti, esso rappresenta una agevolazione diversa rispetto alla maggior parte dei “bonus” fiscali attualmente presenti nella legislazione italiana [8]. Questi ultimi prevedono che lo Stato, al fine di agevolare la ripresa economica di un settore, sopporti interamente (o quasi) il peso di un intervento, che normalmente spetterebbe al privato; al contrario, nel caso dell’Art Bonus è il privato a sostenere un onere di spettanza pubblica, e la agevolazione consiste in un rimborso parziale della spesa sostenuta erogato al privato tramite il credito d’imposta. In altre parole, gli interventi finanziati tramite questo strumento avrebbero dovuto essere sostenuti dallo Stato, ragion per cui le elargizioni dei privati non rappresentano altro che una entrata a beneficio dello Stato (quantomeno nella misura del 35% della elargizione effettuata dal privato).

Ciò detto, il bonus potrebbe essere potenziato rendendolo fruibile a potenziali mecenati esteri che folgorati dalla bellezza del nostro patrimonio desiderano contribuire al suo mantenimento.

L’Italia rappresenta ovviamente una sede elettiva per il mecenatismo: in effetti, è frequente che uno straniero sia affascinato da un sito o da un’opera d’arte presente nel nostro Paese e di conseguenza, intenda contribuire al suo mantenimento [9].

Senonché, poiché l’Art Bonus riconosce un credito sulle imposte dovute in Italia, è necessario essere titolari di un reddito ivi tassabile per poter effettivamente godere del beneficio fiscale previsto. Con la conseguenza che, un individuo residente all’estero, che in Italia non produca alcun reddito imponibile, pur potendo potenzialmente procedere al finanziamento degli interventi tramite l’Art Bonus, non si vedrà mai riconosciuta alcuna agevolazione.

In altri settori, esistono già strumenti finalizzati a rendere possibile la fruizione di credito d’imposta da parte di soggetti residenti all’estero. Più precisamente, lo strumento utilizzabile è quello della cessione del credito di imposta, attraverso il quale il soggetto estero interessato monetizza il credito maturato, inutilizzabile in difetto di imposte dovute in Italia, attraverso la cessione ad un soggetto residente in Italia (solitamente intermediari bancari) che può utilizzarlo. Questo modello di fruizione ha già testato il suo funzionamento, ad esempio, nel mondo del cinema [10], dove ha riscosso ottimi risultati.

Contemporaneamente alla cedibilità del credito d’imposta da Art Bonus, potrebbe poi esserne prevista, sempre attraverso disposizioni ad hoc, la sua tokenizzazione cheattraverso il grado di sicurezza offerto dal ricorso allo strumento delle block-chains, riuscirebbe senza ombra di dubbio a favorire un miglior tracciamento e controllo del credito, tramite la condivisione della piattaforma con soggetti istituzionali come il Mic e l’Agenzia delle Entrate.

L’ampliamento dei confini dello strumento, per un verso, ed il ricorso a tecniche di accesso più agili, dall’altro, potrebbero sortire un effetto booster per il rilancio di un patrimonio altrimenti condannato alla contraddizione tra l’enormità della sua potenzialità e la cronica incapacità di sfruttarla.

4. L’utilizzo di misure fiscali per la protezione e la fruizione sostenibile di beni tutelati: il caso dei centri storici

Un caso che ben si presta a testare lo strumento fiscale in funzione di protezione è quello dei centri storici, prescindendo ai nostri fini dalla complessità della relativa nozione e dalla sua riconducibilità al codice dei beni culturali e del paesaggio.

Il turismo da fenomeno fisiologico ed auspicabile diventa patologico quando si risolve in overtourism, ossia pressione eccessiva e concentrata di visitatori [11]. Il dato quantitativo che meglio la esprime è il rapporto in una certa area tra residenti e turisti: a Venezia 1 a 50, a Firenze 1 a 25 a Dubrovnik 1 a 32.

Se dunque ci chiediamo quale può essere il ruolo della tassazione o comunque di strumenti fiscali rispetto a questo fenomeno emergono subito due risposte.

Una prima e più ovvia coincidente con l’essenza degli strumenti fiscali, i quali servono in ultima analisi a riversare sulla collettività i costi dei servizi pubblici: da questo punto di vista esiste una collettività - quella turistica- che pur incrementandoli non li sostiene.

Una seconda guarda invece alla possibilità di colpire con il prelievo le cosiddette esternalità negative studiate da Pigou ed intese come effetti (positivi) o negativi che il comportamento di un certo soggetto riversa sulla produzione o sul benessere di altri membri della collettività [12].

Un’immagine rende bene l’impatto del turismo: il turista ha con sé due bisacce: una dalla quale distribuisce ricchezza sul territorio ed un'altra dalla quale, con altrettanta intensità, genera esternalità negative [13].

Per di più le due bisacce hanno destinatari asimmetrici: la ricchezza si riversa prevalentemente sugli operatori turistici; gli inconvenienti sui residenti in termini di disagi nella fruizione dei servizi pubblici per l’inadeguatezza delle infrastrutture a tollerare un numero di presenze eccessivo (igiene, ordine pubblico, sicurezza); di consumo fisico delle città e dei suoi monumenti; fenomeni di “erosione culturale” e di espropriazione della identità sociale della città; processo di espulsione delle unità produttive tradizionali e di quelle commerciali, c.d. di quartiere; inquinamento, anche acustico; processo di sostituzione della residenzialità locale; tendenziale incremento dei prezzi degli immobili e, più in generale, dei beni e dei servizi.

Lo strumento classico con il quale il diritto tributario ha affrontato il problema è quello della tassa di soggiorno a coloro che pernottano in determinate località comprese nell’elenco di quelle turistiche. In sostanza, i maggiori costi che l’ente locale sopporta per effetto dell’afflusso turistico sono almeno in parte ripartiti attraverso la tassa su coloro che li generano.

Potrebbe tuttavia pensarsi ad orientare questo strumento anche in chiave di limitazione delle esternalità negative.

Secondo questa direttrice, occorrerebbe in primo luogo applicare il contributo al cosiddetto turismo giornaliero “mordi e fuggi”, rimuovendo la contraddizione secondo la quale il turismo meno sostenibile è oggi quello che non paga alcuna tassa.

Un tentativo in tal senso è stato fatto a Venezia [14], ove l’introduzione del contributo fu animata dall’esigenza di tamponare la procedura di revoca dello status di sito Unesco alla città di Venezia.

Dopo aver reiteratamente rimaneggiato e procrastinato l’entrata in vigore del Regolamento che istituisce e disciplina detto contributo, il 25 aprile 2024 è stato ufficialmente attivato l’ingresso a pagamento, secondo una sperimentazione che costituisce un unicum nel panorama mondiale.

Per il momento, l’applicazione del ticket è circoscritta a 30 giorni l’anno nei quali è prevista altissima densità turistica, sostanzialmente coincidenti, nella prima fase sperimentale, con alcuni “ponti” primaverili e fine settimana estivi.

Nella prima fase di sperimentazione gli incassi sono stati inferiori alle spese di gestione dello strumento per strutture, campagne informative, creazione della piattaforma per il pagamento e neanche l’effetto di moderazione delle presenze si è verificato, poiché per destinazioni “uniche” - quali certamente Venezia - la domanda finisce per essere totalmente anelastica.

Muovendo dalla ricognizione di questi primi risultati, si è suggerito, in chiave di razionalizzazione dei flussi ed in una logica di turismo sostenibile di meglio delineare il vincolo di destinazione del gettito, garantendone anche la piena trasparenza e l’accountability e di assegnare un ruolo pregnante all’utilizzo dei dati relativi ai flussi tramite nuove tecnologie [15].

In particolare, la rilevazione delle presenze potrebbe diventare funzionale a modulare il contributo in funzione della densità turistica ed il software potrebbe essere inoltre utilizzato come strumento di servizio a vantaggio del turista, ad esempio per conoscere in tempo reale il numero di visitatori dei siti e monumenti, così da indirizzare verso momenti a minor intensità di afflusso; od ancora per informare su mete e siti meno conosciuti.

Una sezione specifica potrebbe essere dedicata a stimolare i contributi su base volontaria, consentendo al turista di sceglie anche la destinazione del gettito tra una serie individuata di proposte “pubblicizzate” sull’app stessa, secondo il modello sperimentato con il c.d. Art Bonus.

Nella stessa logica potrebbe pensarsi alla riduzione della tassa di soggiorno per i visitatori che soggiornano più a lungo e ad incentivi per chi investe in attività economiche di vicinato o ristruttura immobili in centro al fine di adibirli a propria a abitazione.

Sempre in questa chiave, occorrerebbe poi mettere mano al problema della tassazione delle piattaforme che traggono guadagno dall’intermediazione di alloggi siti nelle città d’arte. Imprese che realizzano utili rilevantissimi tramite lo sfruttamento dell’unicità delle nostre città d’arte non sopportano alcun prelievo in Italia in ragione della mancanza di strutture fisiche nel paese (c.d. stabile organizzazione), sfruttando quello che ormai appare un evidente buco normativo della legislazione tradizionale rispetto alle nuove forme di presenza immateriale sul territorio.

 

Note

[*] Attualità - Valutato dalla Direzione.

[**] Roberto Cordeiro Guerra è Professore ordinario di Diritto tributario presso l’Università degli studi di Firenze, Piazza S. Marco 4, 50121 Firenze, roberto.cordeiroguerra@unifi.it.

[1] Su questi aspetti cfr. G. Marini, Rilevanza costituzionale della tutela e della valorizzazione dei beni culturali, in Finanza pubblica e misure tributarie per il patrimonio culturale. Prime riflessioni, (a cura di) R. Cordeiro Guerra, A. Pace, C. Verrigni e A. Viotto, Torino, Giappichelli, 2019, pag. 33 ss.

[2] Corte Cost., sentenza n. 111/2016.

[3] Cfr. in tal senso G. Melis, Le dimore storiche vincolate possedute da privati: aspetti rilevanti della normativa tributaria, in Innovazione e diritto, 2023, pagg. 1-12.

[4] Sull’Art Bonus cfr. R. Lupi, L’Art Bonus come sovvenzione pubblica in forma di “credito d’imposta”, in Aedon, 2014, 3; C. Bucicco, Il volano fiscale dell’art bonus, in Innovazione e diritto, 2016, 6, pag. 51 ss.; R. Alfano, Il credito d’imposta per il mecenatismo culturale: luci e ombre dell’art bonus. Bilancio del primo lustro di applicazione, in Dir. proc. trib., 2019, 6, pag. 67 ss.; A. Vozza, Art bonus. Ambito di applicazione e possibili sviluppi, in Corr. trib., 2019, pag. 507 ss.; S. Giorgi, Art bonus, agevolazioni tributarie e mecenatismo ai tempi della fiscalità neutrale, in Riv. trim. dir. trib., 2018, pag. 315 ss.; S. Giorgi, Art bonus: la chiamata alle arti tra successo e criticità, in Finanza pubblica e misure tributarie per il patrimonio culturale italiano, cit., pag. 237 ss.; A. Mucciariello, Art bonus e crowfunding, ivi, pag. 250 ss.; S. Dorigo, Dovere fiscale e tutela dei beni culturali, ivi, pag. 198 ss.; A. Pace, Credito d’imposta ed agevolazioni fiscali: il meccanismo applicativo dell’art bonus, ivi, pp. 266 ss.; Id., Le agevolazioni di nuova generazione nella tutela del patrimonio storico. Il meccanismo compensativo del c.d. art bonus, Napoli, Editoriale Scientifica, 2018, pagg. 71-82.

[5] Con la legge n. 106 del 2014, il legislatore introduce il c.d. Art Bonus, ossia un meccanismo in forza del quale un cittadino effettua una erogazione liberale per interventi di manutenzione, protezione e restauro dei beni culturali pubblici, ed ottiene in cambio il riconoscimento di un credito di imposta pari al 65 per cento dell’elargizione effettuata.

[6] Si tratta di www.artbonus.gov.it, portale gestito da Ales, società in house del Mibact.

[7] Un altro fattore di successo dell’Art Bonus è stato poi rappresentato dalla campagna comunicativa che lo ha promosso. Infatti, lo strumento è stato studiato in ogni suo dettaglio ai fini di una più efficace comunicazione, come si evince dal logo medesimo, dove ognuna delle lettere è tratta dalla firma autografa di alcuni dei più grandi artisti italiani. Fondamentale, poi, la pubblicità che il meccanismo offre ai donatori, consentendo la pubblicazione della donazione nelle pagine di ringraziamento a ciò dedicate: aspetto che ha reso l’Art Bonus strumento molto attraente per quei mecenati mossi dall’orgoglio di vedere riconosciuto il proprio ruolo.

[8] Basti pensare ai recenti bonus in materia edilizia: come il “bonus facciate”, il “sismabonus, l’“ecobonus”, il “superbonus” etc.

[9] L’enorme appeal che uno Stato come il nostro presenta per i mecenati stranieri è senza dubbio confermato dall’esistenza di numerose Associazioni, costituite in Paesi esteri, che raccolgono soggetti provenienti da tutto il mondo, accumunati soltanto dalla passione per l’Arte e dalla volontà di investire nella tutela e promozione della stessa.

[10] La legge n. 220 del 2016 ha previsto, all’articolo 21, la possibilità di cedere il credito di imposta maturato a seguito di investimenti cinematografici ed audiovisivi.

[11] Sul punto cfr. V. Ficari e G. Scanu, Tourism taxation. Sostenibilità ambientale e turismo fra fiscalità locale e competitività, Torino, 2013; C. Sciancalepore, Attività turistiche e e tutela dell’ambiente nella prospettiva del Fisco, in La fiscalità del turismo, (a cura di) F. Uricchio e G. Selicato, Bari, 2020, pag. 68.

[12] Si tratta della nota teoria elaborata negli studi di Pigou. Tra questi cfr. per tutti A.C. Pigou, Economia del benessere, Torino, Tutet, 1960, passim.

[13] E. Becheri, I turisti come city user: fra ricavi e costi. Perché la corsa alla tassa di scopo?, in Turistica, Milano, 2011, pag. 39 ss.

[14] Sul punto cfr. S. Giorgi, Il contributo di accesso veneziano e l’insostenibile overtourism: natura giuridica e prospettive di implementazione, Riv tel. dir. trib., 12 novembre 2024; L. Tosi e E.M. Bagarotto, La tassazione delle città d’arte e il contributo di accesso alla città di Venezia, in Riv. trim. dir. trib. 2021, 1, pag. 98). L. Tosi, Le possibili alternative: l’esperimento della tassa di sbarco a Venezia e la prospettiva delle city tax, in R. Cordeiro Guerra, a cura di, Città d’arte e Fisco, Pisa, 2021; L. Del Federico, I ticket d’accesso alle città d’arte: strumenti utilizzabili, quadro normativo ed autonomia impositiva dei comuni, in Finanza pubblica e misure tributarie per il patrimonio culturale. Prime riflessioni, cit.

[15] In questo senso S. Giorgi, Il contributo di accesso veneziano e l’insostenibile overtourism: natura giuridica e prospettive di implementazione, cit., pag. 8 ss.

 

 

 



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