Osservatorio sulla giurisprudenza del Consiglio di
Stato
in materia di beni culturali e paesaggistici
a cura di Giancarlo Montedoro [*]
(con la collaborazione della dott.ssa Vania Talienti) [**]
Sommario: 1. Beni culturali. - 2. Beni paesaggistici.
Cons. Stato, sez. VI, 29 gennaio 2025, n. 687 - Pres. Montedoro, Est. Poppi - In tema di rinnovazione della notifica del vincolo di interesse culturale apposto a norma della legge Croce.
La valutazione circa l’interesse culturale di un bene è caratterizzata da un’ampia discrezionalità tecnico-valutativa, poiché implica l’applicazione di cognizioni tecnico-scientifiche specialistiche proprie di settori scientifici disciplinari (della storia, dell’arte e dell’architettura), caratterizzati da ampi margini di opinabilità. L’apprezzamento compiuto dall’amministrazione preposta alla tutela - da esercitarsi in rapporto al principio fondamentale dell’art. 9 della Costituzione - è sindacabile, in sede giudiziale, esclusivamente sotto i profili della logicità, coerenza e completezza della valutazione, considerati anche per l’aspetto concernente la correttezza del criterio tecnico e del procedimento applicativo prescelto, ma fermo restando il limite della relatività delle valutazioni scientifiche, sicché, in sede di giurisdizione di legittimità, può essere censurata la sola valutazione che si ponga al di fuori dell’ambito di opinabilità, affinché il sindacato giudiziale non divenga sostitutivo di quello dell’amministrazione attraverso la sovrapposizione di una valutazione alternativa, parimenti opinabile.
In altri termini, la valutazione in ordine all’esistenza di un interesse culturale (artistico, storico, archeologico o etnoantropologico) particolarmente importante, tale da giustificare l’imposizione del relativo vincolo è prerogativa esclusiva dell’amministrazione preposta alla gestione del vincolo e può essere sindacata in sede giurisdizionale solo in presenza di profili di incongruità ed illogicità di evidenza tale da far emergere l’inattendibilità della valutazione tecnico-discrezionale compiuta.
Ai sensi dell’art. 128, comma 1, del d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), “I beni culturali di cui all’articolo 10, comma 3, per i quali non sono state rinnovate e trascritte le notifiche effettuate a norma delle leggi 20 giugno 1909, n. 364 e 11 giugno 1922, n. 778, sono sottoposti al procedimento di cui all’articolo 14. Fino alla conclusione del procedimento medesimo, dette notifiche restano comunque valide agli effetti di questa Parte” mentre a norma del comma successivo “conservano altresì efficacia le notifiche effettuate a norma degli articoli 2, 3, 5 e 21 della legge 1° giugno 1939, n. 1089 e le dichiarazioni adottate e notificate a norma dell’articolo 22 della legge 22 dicembre 1939, n. 2006, dell’articolo 36 del decreto del Presidente della Repubblica 30 settembre 1963, n. 1409 e degli articoli 6, 7, 8 e 49 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490”. Il comma 3 dispone, infine, che “in presenza di elementi di fatto sopravvenuti ovvero precedentemente non conosciuti o non valutati, il Ministero può rinnovare, d’ufficio o a richiesta del proprietario, possessore o detentore interessati, il procedimento di dichiarazione dei beni che sono stati oggetto delle notifiche di cui al comma 2, al fine di verificare la perdurante sussistenza dei presupposti per l’assoggettamento dei beni medesimi alle disposizioni di tutela”. L’immobile in questione, in quanto già sottoposto a vincolo con notifica del 1923, non poteva che essere oggetto di conferma ai sensi della norma da ultimo illustrata.
L’amministrazione ha proceduto, nel caso di specie, provvedendo al rinnovo della notifica effettuata nel 1923 con incedere immune dalla dedotta errata applicazione del modello tipico e in coerenza con quanto prescritto dall’art. 128 del Codice dei beni culturali e del paesaggio che prevede la conferma del preesistente vincolo disponendo il rinnovo dello stesso nelle forme di cui all’art. 14 della medesima fonte normativa.
Cons. Stato, sez. II, 23 gennaio 2025, n. 501 - Pres. FF Franconiero, Est. De Carlo - Sui possibili limiti al diritto di recinzione di cui all’art. 841 c.c. in relazione ad edifici di interesse storico.
Sugli edifici di interesse storico sono consentiti interventi di restauro e di risanamento conservativo che devono sottostare a precise limitazioni indicate nel regolamento urbanistico edilizio del comune.
Il diritto di recintare la proprietà, sancito dall’art. 841 c.c., può trovare delle limitazioni in campo edilizio-urbanistico in particolari casi in cui la tutela di edifici di pregio storico pongano delle limitazioni alla possibilità di effettuare determinati interventi che, laddove non vi fossero tali esigenze, potrebbero addirittura rientrare tra le opere della c.d. edilizia libera, come la recinzione che non presenti particolari opere murarie a sostegno degli elementi che circoscrivono la proprietà.
La normativa urbanistica comunale può legittimamente imporre limitazioni al diritto di recinzione previsto dall’art. 841 c.c., nel caso in cui sussistano esigenze di tutela paesaggistica e conservativa di edifici di pregio storico, stabilendo che le pertinenze degli insediamenti storici non possano essere suddivise da recinzioni che alterino l’unitarietà degli spazi originari.
Cons. Stato, sez. VII, 22 gennaio 2025, n. 454 - Pres. Contessa, Est. Marzano - Sulla natura del potere di acquisizione dei beni culturali mediante la c.d. prelazione artistica di cui agli artt. 60 e ss. del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
L’acquisizione dei beni culturali mediante la c.d. prelazione artistica di cui agli artt. 60 e ss. del d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) costituisce un potere autoritativo, di natura ablatoria, cui consegue l’acquisto coattivo del bene culturale, al pari di quanto avviene (sempre in ambito di acquisizione dei beni culturali) con l’espropriazione (ex art. 95 e ss. del Codice dei beni culturali e paesaggistici) e l’acquisto coattivo all’esportazione (cfr., tra le altre, Corte cost., sentenza 20 giugno 1995, n. 269).
Con la prelazione artistica non si realizza il subentro nel rapporto negoziale, come accade nel meccanismo ordinario della prelazione (convenzionale, ma anche legale), ma l’acquisto diretto del bene alla mano pubblica per via di un provvedimento amministrativo, in correlazione del quale il privato vanta una situazione di interesse legittimo (di modo che il negozio traslativo può essere qualificato come “mero presupposto” con conseguente irrilevanza dell’eventuali vicende estintive o modificative del contratto a monte; ne è prova la previsione secondo cui le clausole del contratto di alienazione non vincolano lo Stato o gli altri enti pubblici territoriali, e, in caso di omessa o difettosa denuncia, si prevede la possibilità di esercitare il diritto di prelazione senza limiti temporali e senza che la parte privata possa eccepire l’intervenuta usucapione.
La differenza rispetto alle altre modalità di acquisto coattivo del bene risiede solo nel fatto che l’esercizio del potere qui non rimuove completamente la volontà del proprietario del bene, che è libero di decidere di vendere o meno, ma, nel caso in cui si determini per la vendita, si impone la preferenza in favore dello Stato e delle altre amministrazioni rispetto alla parte contrattuale acquirente.
La prelazione costituisce un procedimento solo fondato sul contratto, mediante il quale l’autorità pubblica può ingerirsi autoritativamente nella contrattazione privata, attraendo unilateralmente il bene nella propria sfera giuridica, senza surrogarsi nella posizione del terzo contraente (l’art. 60 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, come già la normativa previgente in materia, prevede la non vincolatività delle clausole del contratto per lo Stato).
A differenza di quanto accade nelle ordinarie procedure espropriative, “la prelazione viene a collegarsi ad una iniziativa (trasferimento a titolo oneroso) non attivata dalla parte pubblica, bensì dalla parte privata, titolare del bene: e questo nonostante che la stessa prelazione, ove esercitata […], venga chiaramente a configurarsi come istituto in cui prevale, sul profilo negoziale, il profilo autoritativo” (Corte cost., sentenza 20 giugno 1995, n. 269). Coerentemente, lo ius praelationis dello Stato e degli altri enti pubblici conserva, dunque, un carattere autoritativo, implicante una totale autonomia rispetto alle vicende patologiche del negozio sotteso.
In tale fattispecie, il negozio traslativo dei privati è solo il presupposto dell’esercizio del diritto di prelazione da parte della pubblica amministrazione che, intervenuta nel rapporto contrattuale, non subentra nella posizione dell’acquirente, ma avoca a sé il bene con un atto di esercizio dello ius praelationis, implicante il trasferimento della proprietà in capo alla Pubblica amministrazione medesima e l’obbligo di corresponsione del prezzo, a nulla rilevando le vicende estintive o modificative del contratto a monte (nullità, annullabilità, ecc.): sul piano generale, in altri termini, il negozio di trasferimento a titolo oneroso del bene, con la dichiarazione di alienare del proprietario del bene culturale, assume il ruolo di presupposto oggettivo ed occasione storica del procedimento destinato a sfociare nella prelazione.
Dai suddetti principi consegue che l’intervenuto esercizio della prelazione artistica è del tutto insensibile alle vicende del presupposto atto negoziale, cosicché, anche nell’ipotesi di sentenza della Cassazione di accoglimento del ricorso in opposizione agli atti esecutivi (non anche di opposizione all’esecuzione), il provvedimento amministrativo di acquisizione dell’intero compendio immobiliare adottato dal ministero della Cultura non verrebbe intaccato, stante il carattere autoritativo, implicante una totale autonomia rispetto alle (eventuali) vicende patologiche del negozio sotteso.
Il compendio immobiliare in questione, dichiarato dal d.m. 18 ottobre 1982 “di importante interesse archeologico” ai sensi della legge 1° giugno 1939, n. 1089, rientra nel demanio pubblico in forza dell’art. 822, secondo comma, c.c., il quale prevede che “Fanno parimenti parte del demanio pubblico, se appartengono allo Stato, [..] gli immobili riconosciuti d’interesse storico, archeologico e artistico a norma delle leggi in materia […]”. Inoltre, l’art. 53, comma 1, del d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) dispone che “I beni culturali appartenenti allo Stato, alle regioni e agli altri enti pubblici territoriali che rientrino nelle tipologie indicate all’articolo 822 del codice civile costituiscono il demanio culturale”. Pertanto, il ministero della Cultura legittimamente si è avvalso dello strumento dell’autotutela esecutiva di cui all’art. 823, secondo comma, c.c., che l’ordinamento attribuisce all’autorità amministrativa, in alternativa ai mezzi ordinari a difesa della proprietà e del possesso, per la tutela dei beni demaniali, nonché, per costante orientamento giurisprudenziale, dei beni del patrimonio indisponibile.
Cons. Stato, sez. VI, 21 gennaio 2025, n. 412 - Pres. Simonetti, Est. Lamberti - In tema di dichiarazione di interesse culturale.
L’attivazione (ex officio) del procedimento ai sensi degli articoli 13 e 14 del d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), volto alla dichiarazione di interesse culturale particolarmente importante (ai sensi dell’art. 10, comma 3), non implica affatto un “ripensamento” da parte dell’autorità tutoria rispetto alla già ritenuta inesistenza dell’interesse storico ai sensi dell’art. 10, comma 1, del citato d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42, da estrinsecare attraverso il paradigma dell’art. 21-quinquies o 21-nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241, trattandosi invece della riconduzione ad una diversa ipotesi legislativa, con specifici presupposti e caratteristiche sue proprie, della medesima fattispecie concreta.
Il giudizio che presiede all’imposizione di una dichiarazione di interesse (c.d. vincolo) culturale è connotato da un’ampia discrezionalità tecnico-valutativa, poiché implica l’applicazione di cognizioni tecniche specialistiche proprie di settori scientifici disciplinari della storia, dell’arte e dell’architettura, caratterizzati da ampi margini di opinabilità. La scelta di porre un vincolo, esercitata dall’amministrazione, costituisce espressione di discrezionalità tecnica, suscettibile di sindacato giurisdizionale di legittimità solo in ipotesi di illogicità manifesta, di difetto di motivazione, ovvero di conclamato errore di fatto.
Cons. Stato, sez. VII, 13 gennaio 2025, n. 199 - Pres. Chieppa, Est. Zeuli - In tema di limitazioni all’esercizio di attività commerciali ed artigianali in forma ambulante o su posteggio, nelle aree pubbliche aventi particolare valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico.
Con l’approvazione del nuovo Piano per l’esercizio dell’attività di commercio su aree pubbliche e del relativo regolamento, il comune ha legittimamente esercitato il potere attribuitogli dall’art. 52, comma 1-ter, del d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), che lo autorizza a limitare l’esercizio di attività commerciali ed artigianali in forma ambulante o su posteggio, nelle aree pubbliche aventi particolare valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico, per ragioni connesse alla tutela del decoro dei complessi monumentali in questione; entrambi, valore e finalità, tendono ad assicurare un’adeguata qualità paesaggistica e culturale, e quindi architettonica, non solo ai monumenti individualmente considerati, ma anche all’intero contesto urbano nel quale gli stessi risultano collocati. Le scelte effettuate rappresentano un ragionevole punto di equilibrio e di comparazione tra gli interessi legittimi di questi ultimi e quello corrispondente alla tutela del decoro urbano e paesaggistico in prossimità del centro storico.
Le ragioni di tutela di un complesso monumentale proiettano - come risulta dall’art. 52, comma 1-ter, del Codice dei beni culturali e del paesaggio - i loro effetti protettivi sull’intero contesto urbano nel quale emergono. Diversamente opinando, infatti, il bene o i beni culturali, ancorché in sé tutelati, rischierebbero di rimanere collocati in un contesto esterno contraddittoriamente indecoroso, con evidente elusione della ratio perseguita dall’intervento operato dal comune, nonché sottesa dalla norma attributiva del potere.
Le indicazioni in ordine alla riallocazione delle attività commerciali ed artigianali in forma ambulante o su posteggio, nelle aree pubbliche aventi particolare valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico, rientrano nelle scelte discrezionali della pubblica amministrazione che sono, come tali, soggette ad un limitato sindacato di legittimità.
La partecipazione delle associazioni di categoria ai lavori del Comitato per il decoro urbano e la divulgazione delle finalità dello spostamento alle parti interessate adempiono agli obblighi procedimentali, assicurando la rappresentanza degli interessi dei commercianti nelle fasi di elaborazione e riorganizzazione del mercato.
Cons. Stato, sez. VI, ordinanza 17 gennaio 2025, n. 363 - Pres. Simonetti, Est. Gallone - Questioni di legittimità costituzionale in tema di procedimento semplificato per beni di interesse culturale.
È rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 65, comma 4-bis, secondo periodo, del d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) per contrasto con gli artt. 3, comma 1, 9, comma 1 e comma 2, 97, comma 2, della Costituzione nella parte in cui, al suo secondo periodo, consente all’Ufficio di esportazione, all’atto della ricezione della autodichiarazione finalizzata al trasferimento di opera all’estero, di avviare il procedimento di dichiarazione dell’interesse culturale di cui all’art. 14 del d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42 solo nell’ipotesi in cui la medesima ricada nella fattispecie ex art. 10, comma 3, lett. d-bis) del medesimo decreto legislativo (id est “le cose, a chiunque appartenenti, che presentano un interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico eccezionale per l’integrità e la completezza del patrimonio culturale della Nazione”) e non anche nelle altre ipotesi di cui all’art. 10, comma 3, del citato d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42.
Cons. Stato, sez. VII, 17 dicembre 2024, n. 10140 - Pres. FF Caputo, Est. Palmieri - Vincolo pertinenziale di tipo culturale e sindacato giurisdizionale.
La valutazione dell’interesse culturale di un bene comporta un’ampia discrezionalità tecnico-valutativa, poiché richiede l’applicazione di conoscenze tecniche specialistiche in settori scientifici come storia, arte e architettura, che presentano margini significativi di opinabilità. L’apprezzamento svolto dall’amministrazione incaricata della tutela, in conformità al principio di cui all’ art. 9 della Costituzione, è soggetto a sindacato giudiziale solo per verificare la logicità, coerenza e completezza della valutazione. Tuttavia, il giudice amministrativo può solamente censurare le valutazioni che eccedono i limiti della opinabilità scientifica, senza sostituire il giudizio dell’amministrazione con il proprio, ugualmente opinabile. Pertanto, la valutazione concernente l’interesse culturale rilevante, che giustifica l’imposizione di un vincolo, è un’esclusiva prerogativa dell’amministrazione responsabile del relativo vincolo e può essere oggetto di sindacato giudiziale solo per evidenti incoerenze e illogicità che mettano in dubbio la validità della valutazione discrezionale tecnica.
Non è dato al giudice amministrativo (salvo che nei casi di giurisdizione estesa al merito) il potere di “correggere” le scelte amministrative che, pur opinabili e/o non condivisibili in relazione a criteri di convenienza/opportunità socio-economica, non appaiano tuttavia affette dai suindicati profili di erroneità/irrazionalità/illogicità, in quanto se ciò avvenisse il giudice amministrativo esorbiterebbe dai limiti delle proprie attribuzioni (e la relativa pronuncia costituirebbe oggetto di sindacato innanzi alla Corte di Cassazione, ex art. 111, comma 8, della Costituzione), invadendo spazi riservati all’esercizio del potere amministrativo, in violazione al principio costituzionale di separazione dei poteri, di cui è corollario, in ambito giurisdizionale, il divieto di sindacato su poteri non ancora esercitati (art. 34, comma 2, c.p.a.).
La libertà di iniziativa economica privata non implica che l’esercizio della stessa non possa essere sottoposto a limitazioni finalizzate alla tutela dei principi tutelati dall’art. 9 della Costituzione. Al contrario, tali limitazioni, purché legittime, idonee e proporzionate, non si pongono in contrasto con l’ordito costituzionale ed eurounitario. In quest’ottica, scopo evidente della previsione di cui all’art. 10, comma 3, del Codice dei beni culturali e del paesaggio è quello di tutelare beni che rivestono particolare interesse ai fini storico-artistici, così da porsi quale patrimonio spirituale da tramandare integro alle future generazioni. L’interesse del soggetto privato, pur legittimo e del pari dotato di copertura costituzionale ed eurounitaria, è un interesse meramente individuale, che, come tale, non può che ritenersi recessivo rispetto a quello, di carattere pubblicistico, volto alla tutela e promozione della cultura e del sapere.
Cons. Stato, sez. II, ordinanza 1° aprile 2025, n. 2766 - Pres. Forlenza, Est. Boscarino - Rimesso all’Adunanza Plenaria un quesito in tema di vincolo paesaggistico in ordine ai fiumi, torrenti o corsi d’acqua c.d. “minori”.
È rimesso all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato il seguente quesito: “se, in relazione ai fiumi, torrenti o corsi d’acqua c.d. ‘minori’, debbano intendersi soggette al vincolo paesaggistico ex art. 142, comma 1, lett. c), del d.lg. n. 42/2004 unicamente le porzioni di aree ricomprese nei 150 metri a partire dai piedi degli argini e dalle sponde, con esclusione delle aree sopraelevate”.
Cons. Stato, sez. IV, 5 marzo 2025, n. 1877 - Pres. Neri, Est. Loria - In tema di opere infrastrutturali di grande impatto visivo.
L’art. 12, comma 2, del d.lg. 29 dicembre 2023, n. 387 (“Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità”) - disposizione ratione temporis applicabile - prevede che il procedimento di autorizzazione unica, essendo un modulo procedimentale di semplificazione dell’iter autorizzativo, possa costituire, “ove occorra”, variante allo strumento urbanistico, ma tale previsione costituisce un automatismo e non toglie rilevanza agli oneri di fornire una motivazione adeguata e di effettuare una istruttoria completa da parte dell’amministrazione procedente nel caso in cui siano state formalizzate, in conferenza di servizi e/o con appositi atti, argomentate obiezioni, da parte delle amministrazioni locali, nel senso della non conformità del progetto da autorizzare agli strumenti urbanistici di pianificazione.
Quando vengono in rilievo opere infrastrutturali di grande impatto visivo, il paesaggio, quale bene potenzialmente pregiudicato dalla realizzazione di opere di rilevante impatto ambientale, si manifesta in una proiezione spaziale più ampia di quella riveniente dalla sua semplice perimetrazione fisica consentita dalle indicazioni contenute nel decreto di vincolo. In altri termini, il paesaggio si manifesta in tali casi quale componente qualificata ed essenziale dell’ambiente, nella lata accezione che di tale bene giuridico ha fornito l’evoluzione giurisprudenziale, anche di matrice costituzionale.
Il giudice, in ossequio al superiore principio di economia dei mezzi processuali, in connessione con quello del rispetto della scarsità della risorsa giustizia, derogando alla naturale rigidità dell’ordine di esame, può ritenere preferibile risolvere la lite rigettando il ricorso nel merito o nel rito in base ad una ben individuata ragione “più liquida”, sempre che ciò non incida sul diritto di difesa del controinteressato e consenta un’effettiva accelerazione della definizione della lite.
Cons. Stato, sez. VI, 26 febbraio 2025, n. 1702 - Pres. De Felice, Est. la Greca - Omissione dichiarativa del privato in ordine ai vincoli paesaggistici e perimetrazione dell’induzione in errore della Pubblica amministrazione.
Non costituisce falsa rappresentazione ai sensi dell’art. 21-nonies, comma 2-bis, della legge 7 agosto 1990, n. 241, legittimante il superamento del termine massimo per l’annullamento in autotutela previsto dal comma 1 del citato art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990, la mancata dichiarazione resa dalla parte privata in seno all’istanza di permesso di costruire in ordine all’assenza di un vincolo di inedificabilità assoluta, giacché riguardante aspetti conosciuti o facilmente conoscibili dal comune poiché costituenti un elemento essenziale dell’istruttoria (ossia, il vincolo paesaggistico sull’area), che l’attività della fase endoprocedimentale avrebbe dovuto agevolmente rilevare.
Allorché non più annullabile per decorso del termine di cui all’art. 21-nonies, comma 1, della legge 7 agosto 1990, n. 241, il permesso di costruire rilasciato senza la previa autorizzazione paesaggistica è comunque inefficace.
La giurisprudenza costituzionale ha rilevato, in più occasioni, che il “Codice dei beni culturali ha inteso garantire l’impronta unitaria della pianificazione paesaggistica, valore imprescindibile e pertanto non derogabile dal legislatore regionale, in quanto espressione di un intervento teso a stabilire una metodologia uniforme di tutela, conservazione e trasformazione del territorio (fra le tante, sentenze n. 45 del 2022, n. 74 del 2021 e n. 240 del 2020). In forza di tale principio, al legislatore regionale è impedito di adottare, sia normative che deroghino o contrastino con norme di tutela paesaggistica che pongono obblighi o divieti, cioè con previsioni di tutela in senso stretto (fra le molte, sentenze n. 261, n. 141 e n. 74 del 2021, e n. 86 del 2019), sia normative che, pur non contrastando con (o derogando a) previsioni di tutela in senso stretto, pongano alla disciplina paesaggistica limiti o condizioni (sentenza n. 74 del 2021), che, per mere esigenze urbanistiche, escludano o ostacolino il pieno esplicarsi della tutela paesaggistica” (Corte cost. n. 192 del 2022).
Secondo la giurisprudenza costituzionale, inoltre, “Il codice dei beni culturali e del paesaggio definisce dunque, con efficacia vincolante anche per le regioni, i rapporti tra le prescrizioni del piano paesaggistico e le prescrizioni di carattere urbanistico ed edilizio - sia contenute in un atto di pianificazione, sia espresse in atti autorizzativi puntuali, come il permesso di costruire - secondo un modello di prevalenza delle prime, non alterabile ad opera della legislazione regionale” (Corte cost., sentenza 29 gennaio 2016, n. 11).
L’impronta unitaria della pianificazione paesaggistica assurge a valore imprescindibile, non derogabile dal legislatore locale (ex plurimis, Corte cost., sentenza 25 luglio 2022, n. 187). È necessario salvaguardare la complessiva efficacia del piano paesaggistico, ponendola al riparo dalla pluralità e dalla parcellizzazione degli interventi delle amministrazioni locali (ex plurimis, Corte cost., sentenza 28 febbraio 2022, n. 45).
Cons. Stato, sez. II, 17 febbraio 2025, n. 1260 - Pres. Poli, Est. Addesso - Sui limiti dell’accertamento postumo di compatibilità paesaggistica.
La sanatoria paesaggistica - costituendo un’eccezione alla regola generale della non sanabilità ex post degli abusi, sia sostanziali che formali - è consentita per i soli abusi minori contemplati dall’art. 167, comma 4, del d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), accomunati dall’assenza di offensività per i valori ambientali e paesaggistici tutelati con l’apposizione del vincolo. L’intenzione legislativa è nel senso di precludere qualsiasi forma di legittimazione del “fatto compiuto”, in quanto l’esame di compatibilità paesaggistica deve sempre precedere la realizzazione dell’intervento.
Il rilascio della compatibilità paesaggistica non è consentito in presenza di lavori che abbiano determinato la creazione di superfici utili o di volumi ovvero un aumento di quelli legittimamente realizzati, senza che sia possibile distinguere tra volume tecnico ed altro tipo di volume, sia esso interrato o meno.
La regola che in materia urbanistica porta ad escludere i volumi tecnici, tombati o interrati dal calcolo della volumetria edificabile - che trova fondamento nel bilanciamento tra i vari e confliggenti interessi connessi all’uso del territorio - non può essere invocata al fine di ampliare le fattispecie tassative (e perciò di stretta interpretazione) di sanatoria paesaggistica, volta alla salvaguardia della percezione visiva dei volumi e della conservazione del contesto paesaggistico. La stessa lettera dell’art. 167, comma 4, del d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42, infatti, nel consentire l’accertamento postumo della compatibilità paesaggistica, si riferisce esclusivamente ai “lavori, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi”, senza ulteriore specificazione e distinzione, sicché non è consentito ampliare in via interpretativa l’ambito di applicazione di un istituto eccezionale, quale quello in esame.
Cons. Stato, sez. V, 14 febbraio 2025, n. 1236 - Pres. Lotti, Est. Molinaro - Sul silenzio-assenso della Soprintendenza nel caso di modifica della competenza territoriale e sul dissenso costruttivo nel rilascio del parere.
Non opera il silenzio-assenso, ai sensi degli artt. 14-bis e 17-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, sull’iniziale istanza di parere alla Soprintendenza, ove la conferenza di servizi, iniziata presso una determinata provincia, inizialmente competente, si sia conclusa con la richiesta di rendere plurimi chiarimenti e di ripresentare il progetto, laddove nelle more, dopo detta comunicazione (e prima del riscontro da parte del privato-istante), sia intervenuta la modifica ordinamentale di cui alla legge 28 maggio 2021, n. 84, con cui sono stati modificati i confini della provincia, accorpando il comune in cui ricade l’intervento progettato, al territorio di una diversa regione ed attribuendo conseguentemente alla Soprintendenza di una diversa provincia la competenza al rilascio del parere. In forza della normativa transitoria di cui all’art. 2, comma 6, della citata legge n. 84 del 2021, non può infatti ritenersi che il decorso del termine sia avvenuto senza soluzione di continuità rispetto all’istanza inizialmente presentata, avendo per contro il riscontro della società alla richiesta di chiarimenti e di ripresentazione del progetto svolto la funzione non solo di (ri)attivare il procedimento, ma anche di incardinarlo presso la Soprintendenza competente, per cui deve aversi riguardo, ai fini del computo del termine per la formazione del silenzio-assenso, alla nuova convocazione della conferenza di servizi decisoria presso il nuovo comune in cui risulta incardinata la competenza a seguito della predetta modifica ordinamentale.
Il parere paesaggistico negativo della Soprintendenza, che abbia ritenuto non possibile un miglioramento del progetto inizialmente proposto, non risulta violativo, nella determinazione di dissenso, del profilo costruttivo, teso a evidenziare le modifiche che renderebbero assentibile il progetto, ai sensi dell’art. 14-bis, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241, il quale stabilisce espressamente che, in caso di dissenso, sono indicate, “ove possibile”, le modifiche eventualmente necessarie ai fini dell’assenso.
Cons. Stato, sez. III, 11 febbraio 2025, n. 1103 - Pres. FF Lamberti, Est. De Carlo - In tema di parere paesaggistico.
Il parere paesaggistico espresso tempestivamente dalla Soprintendenza è vincolante per il comune.
Se il parere della Soprintendenza è espresso all’interno di una conferenza di servizi, la sua natura vincolante può essere superata laddove l’autorità che procede investa della questione la Presidenza del Consiglio dei ministri ai sensi dell’art. 14-quinquies della legge 7 agosto 1990, n. 241.
Cons. Stato, sez. III, 10 febbraio 2025, n. 1086 - Pres. FF Lamberti, Est. Addesso - In tema di delega di funzioni.
L’art. 146, comma 8, d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) prevede che “il Soprintendente rende il parere di cui al comma 5”, ma non introduce alcun divieto di delega, in deroga alla disciplina generale sulla delega delle funzioni stabilita dagli articoli 16 e 17 del d.lg. 30 marzo 2001, n. 165. Nel caso di specie, il funzionario responsabile ha sottoscritto il parere definitivo sulla base di una delega legittima, temporanea, motivata e circoscritta ai procedimenti di tutela paesaggistica.
Cons. Stato, sez. VI, 5 febbraio 2025, n. 902 - Pres. Volpe, Est. Agostini - In tema di dichiarazione di notevole interesse pubblico.
Con riferimento all’imposizione di una “dichiarazione di notevole interesse pubblico” ai sensi dell’art. 136, comma 1, lettere c) e d), del d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), è stato ribadito che il giudizio che presiede tale dichiarazione è, in rapporto al principio fondamentale dell’art. 9 della Costituzione, un giudizio connotato da un’ampia discrezionalità tecnico-valutativa e come tale si sottrae al sindacato giurisdizionale, salvo sia basato su un percorso argomentativo travisante o incongruo rispetto alla tecnica stessa o risulti oggettivamente inattendibile.
Le amministrazioni preposte alla tutela del paesaggio e dell’ambiente esercitano una discrezionalità amplissima, in quanto correlata a valori primari di rango costituzionale ed internazionale, rispetto ai quali la ponderazione degli interessi privati non deve essere giustificata neppure allo scopo di dimostrare che il sacrificio imposto sia stato contenuto al minimo possibile, collocandosi tale valutazione all’interno della tutela costituzionale del paesaggio. Ne consegue che, gravando la tutela ambientale e paesaggistica su un bene complesso ed unitario, anche se non necessariamente omogeneo, l’avvenuta edificazione, il degrado, l’antropizzazione di una determinata area non costituiscono ragioni sufficienti per recedere dall’intento di proteggere i valori estetici e culturali ad essa legati, per i profili espressivi di “identità” ambientale, storico e paesaggistica che vi si ritrovano.
Il nuovo testo dell’art. 9 della Costituzione, come novellato dalla legge costituzionale 11 febbraio 2022, n. 1, depone nel senso della maggiore, e non minore, tutela dei valori ambientali e paesaggistici nell’ottica della salvaguardia delle generazioni future e dello sviluppo sostenibile, sicché l’interpretazione delle disposizioni che disciplinano i procedimenti in materia di ambiente e paesaggio dovrebbe essere orientata nel senso di conseguire tale obiettivo di fondo e, quindi, di accrescere e non diminuire il livello di protezione effettiva di tali valori.
A differenza delle scelte politico-amministrative (c.d. discrezionalità amministrativa) – dove il sindacato giurisdizionale è incentrato sulla “ragionevole” ponderazione degli interessi, pubblici e privati, non previamente selezionati e graduati dalle norme – nel caso di valutazioni dei fatti complessi richiedenti particolari competenze (c.d. discrezionalità tecnica), difettando parametri normativi a priori che possano fungere da premessa del ragionamento sillogistico, il giudice non “deduce” ma “valuta” se la decisione pubblica rientri o meno nella (ristretta) gamma delle risposte maggiormente plausibili e convincenti alla luce delle scienze rilevanti e di tutti gli altri elementi del caso concreto.
L’art. 138, comma 1, del d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) prevede che “Le Commissioni di cui all’articolo 137 […] acquisite le necessarie informazioni attraverso le soprintendenze e i competenti uffici regionali e provinciali e consultati i comuni interessati nonché, ove opportuno, esperti della materia, valutano la sussistenza del notevole interesse pubblico, ai sensi dell’art. 136, degli immobili e delle aree […] e propongono alla regione l’adozione della relativa dichiarazione. La proposta è formulata con riferimento ai valori storici, culturali, naturali, morfologici, estetici espressi dagli aspetti e caratteri peculiari degli immobili o delle aree considerati ed alla loro valenza identitaria in rapporto al territorio in cui ricadono, e contiene proposte per le prescrizioni d’uso intese ad assicurare la conservazione dei valori espressi”. È quindi chiaro che le proposte di vincolo provenienti dalla Commissione competente costituiscono sempre l’esito di un lavoro (e di un’analisi tecnico-scientifica), svolto di concerto fra diversi soggetti pubblici, che tiene conto esclusivamente dei valori intrinsechi dei beni e delle aree e della loro valenza identitaria, in rapporto al territorio di riferimento.
Il paesaggio oggi non dev’essere limitato al significato, meramente estetico, di bellezza naturale, ma va inteso come “complesso dei valori inerenti al territorio” (Corte cost., sentenza 7 novembre 1994, n. 379), mentre il termine “paesaggio” indica essenzialmente l’ambiente complessivamente considerato come bene “primario” ed “assoluto” (Corte cost., sentenze 5 maggio 2006, nn. 182 e 183), necessitante di una tutela unitaria e supportata pure da competenze regionali, nell’ambito degli standard stabiliti dallo Stato (Corte cost., sentenza 22 luglio 2004, n. 259) in quanto, mediante l’imposizione dei vincoli paesistici, si garantisce la tutela del paesaggio ed anche dell’ambiente.
La presenza di zone degradate dall’edilizia abusiva, lungi dal giustificare l’ulteriore compromissione del territorio, radica invece proprio la necessità di riqualificazione, che costituisce uno degli obiettivi del provvedimento, ed anzi qualifica peculiarmente, sotto il profilo dell’interesse pubblico, l’intervento posto in essere. Pertanto, la presenza di insediamenti di poco pregio e la presenza di diverse abitazioni civili non dimostra assolutamente un’insufficiente istruttoria ed una carenza di presupposti che sarebbero stati necessari per classificare l’area come “paesaggio agrario di rilevante valore”.
Ove l’interessato non ottemperi all’onere di mettere seriamente in discussione l’attendibilità tecnico-scientifica della valutazione amministrativa e si fronteggino opinioni divergenti parimenti plausibili, il giudice deve far prevalere la posizione espressa dall’organo istituzionalmente competente ad adottare la decisione.
Cons. Stato, sez. II, 3 febbraio 2025, n. 847 - Pres. FF Di Carlo, Est. Addesso - Sui limiti all’accertamento postumo della compatibilità paesaggistica.
Ai sensi dell’art. 167 del d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), la possibilità di accertamento “a posteriori” della compatibilità paesaggistica di un intervento - per il quale, secondo la regola generale dettata dall’art. 146 del medesimo decreto legislativo, l’autorizzazione paesaggistica deve essere chiesta prima dell’esecuzione - è limitata a casi eccezionali, consistenti nei c.d. abusi minori, specificati dal comma 4 del citato art. 167, tra i quali rientrano gli interventi che non abbiano determinato la creazione di superfici utili.
Il concetto di superficie utile deve interpretarsi nel senso di un rinvio, in via primaria, al significato tecnico-giuridico che esso assume in materia urbanistico-edilizia, in quanto si tratta di nozione tecnica non specificata dal Codice dei beni culturali e del paesaggio bensì dalla normativa urbanistico-edilizia.
La realizzazione di un porticato di rilevanti dimensioni determina l’incremento di superficie utile, in quanto aumenta la superficie calpestabile e, quindi, la fruibilità abitativa dell’immobile. Per tali ragioni, l’amministrazione ha legittimamente negato la sanatoria paesaggistica, poiché l’intervento, avendo determinato un incremento di superficie utile, non rientra tra gli abusi minori sanabili elencati dall’art. 167 comma 4, del d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42.
Cons. Stato, sez. VI, 31 gennaio 2025, n. 764 - Pres. Montedoro, Est. Ponte - In tema di valutazioni dell’interesse culturale di un immobile e della relativa apposizione di vincoli.
Le scelte di pianificazione del territorio sono caratterizzate da un’ampia discrezionalità e costituiscono un apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da arbitrarietà o irragionevolezza manifeste, ovvero da travisamento di fatti, sicché il sindacato giurisdizionale su tali valutazioni è di carattere estrinseco e limitato al riscontro di palesi elementi di illogicità ed irrazionalità apprezzabili ictu oculi, restando ad esso estraneo l’apprezzamento della condivisibilità delle scelte, profilo già appartenente alla sfera del merito.
In termini di pianificazione paesaggistica e di apposizione di vincoli, la relativa valutazione costituisce espressione di discrezionalità particolarmente ampia dell’amministrazione, sulla quale non è ammesso un sindacato di merito del giudice, ma solo l’esame di eventuali vizi di legittimità non sindacabile dal giudice della legittimità, salvo che in ipotesi di eccesso di potere, nelle sue varie forme sintomatiche, come la manifesta illogicità, la manifesta irragionevolezza, l’evidente sproporzionalità, il travisamento dei fatti.
Con particolare riferimento alle valutazioni di un interesse culturale particolarmente importante di un immobile, che siano tali da giustificare l’apposizione del vincolo, le stesse rappresentano l’esplicazione di un potere di apprezzamento tecnico, proprio dell’amministrazione dei beni culturali nell’esercizio della funzione di tutela del patrimonio; tali valutazioni possono essere sindacabili in sede giurisdizionale soltanto in presenza di oggettivi aspetti di incongruenza e illogicità.
In materia di apposizione di vincoli è necessario, affinché si abbia un legittimo percorso istruttorio e una valida esplicazione delle ragioni dell’imposizione di un vincolo, che l’amministrazione procedente sviluppi puntualmente le necessità di estensione dei limiti all’edificazione all’intero territorio interessato e, inoltre, che verifichi se tali limitazioni possano essere circoscritte sino al punto da non coinvolgere i territori nella loro interezza, onde attenuare le conseguenze dell’atto impositivo.
Costituisce ius receptum il principio per cui le osservazioni avanzate dai cittadini nei confronti degli atti di pianificazione urbanistica e paesaggistica non rappresentano veri e propri rimedi giuridici, ma semplici apporti collaborativi e, di conseguenza, il loro rigetto o il loro accoglimento non richiede una motivazione analitica, risultando sufficiente che esse siano state esaminate e confrontate con gli interessi generali dello strumento pianificatorio, attraverso una congrua motivazione, anche non dettagliata, quanto alla loro incompatibilità con le linee generali dello strumento.
Cons. Stato, sez. II, 29 gennaio 2025, n. 677 - Pres. FF Sabbato, Est. Altavista - In tema di autorizzazione paesaggistica.
Ai fini della qualificazione di un intervento edilizio consistente in una pluralità di opere, è necessario effettuare una valutazione globale delle stesse, atteso che la considerazione atomistica dei singoli interventi non consente di comprendere l’effettiva portata dell’operazione. Non è quindi possibile scomporre le singole opere, per negare l’assoggettabilità ad una determinata sanzione demolitoria, in quanto il pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio deriva non da ciascun intervento a sé stante bensì dall’insieme delle opere nel loro contestuale impatto edilizio e nelle reciproche interazioni; l’opera edilizia abusiva va identificata con riferimento all’immobile o al complesso immobiliare, essendo irrilevante il frazionamento dei singoli interventi avulsi dalla loro incidenza sul contesto immobiliare unitariamente considerato.
Nel caso l’area sia soggetta a specifica tutela paesaggistica, qualsiasi intervento idoneo ad alterare il pregresso stato dei luoghi deve essere preceduto da autorizzazione paesaggistica e in sua assenza è soggetto a sanzione demolitoria, anche in caso di scia, sulla base dell’art. 27 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, che impone di adottare un provvedimento di demolizione per tutte le opere che siano, comunque, costruite senza titolo in aree sottoposte a vincolo paesaggistico.
Se le norme statali, che riguardano la classificazione degli interventi edilizi, in quanto espressione dei principi generali in materia di governo del territorio, si impongono alla legislazione regionale (Corte cost., sentenze 9 maggio 2023, n. 90 e 21 dicembre 2016, n. 282), non riguardano anche il potere comunale di pianificazione del territorio comunale, che si esplica nell’individuazione delle zone del territorio comunale e nella determinazione degli interventi consentiti in ognuna di esse, che attiene alle scelte fondamentali di ogni comune sul proprio territorio, che si esercita nell’ambito dei livelli di pianificazione sovraordinata e dei vincoli posti sulle aree.
Cons. Stato, sez. VII, 28 gennaio 2025, n. 635 - Pres. FF Franconiero, Est. Zeuli - Sulla natura relativa del sistema di protezione paesaggistica.
Le amministrazioni preposte alla tutela del vincolo sono titolari di un’ampia discrezionalità tecnica, che può essere sindacata, con un giudizio di legittimità ab extrinseco e solo qualora i risultati cui l’attività amministrativa sia pervenuta si presentino come evidentemente irragionevoli o palesemente disfunzionali. Nel giudizio amministrativo non è possibile sostituire il giudizio tecnico-estetico (e i relativi parametri di valutazione), che spetta all’amministrazione, con altro e diverso soggettivo giudizio, quand’anche legittimo e motivato.
La natura relativa del sistema di protezione paesaggistica si evince in generale dal tenore letterale dell’art. 146 del d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) che, senza precluderli del tutto, assoggetta gli interventi da eseguirsi nelle aree assoggettate a tutela alla previa autorizzazione delle competenti autorità.
Cons. Stato, sez. IV, 23 gennaio 2025, n. 508 - Pres. FF Lopilato, Est. Carpino - Sulle valutazioni della Sovrintendenza e sulla loro sindacabilità.
Il giudizio della Sovrintendenza sui progetti di intervento in aree vincolate ai sensi del d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) è connotato da un’ampia discrezionalità tecnico-valutativa, poiché implica l’applicazione di cognizioni tecniche specialistiche proprie di settori scientifici disciplinari della storia, dell’arte e dell’architettura, caratterizzati da ampi margini di opinabilità. Deve essere sempre sorretto da un’ampia e circostanziata motivazione, dalla quale sia possibile ricostruire sia le premesse sia l’iter logico seguito nel percorso valutativo che si conclude con il giudizio finale.
Il parere della Soprintendenza ai sensi dell’art. 146 del d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42, qualora negativo, deve esplicitare le effettive ragioni di contrasto tra l’intervento progettato e i valori paesaggistici, tenendo conto delle ragioni indicate dal privato e, perciò, indicare quale tipo di accorgimento tecnico o, se del caso, di modifica progettuale possa far conseguire all’interessato l’autorizzazione paesaggistica.
Il sindacato giurisdizionale sugli apprezzamenti tecnici della amministrazione deve svolgersi non in base al mero controllo formale ed estrinseco dell’iter logico seguito dall’autorità amministrativa, bensì sulla scorta della verifica diretta dell’attendibilità, sotto il profilo della coerenza e correttezza, quanto al criterio tecnico utilizzato ed al procedimento applicativo. Non si tratta, dunque, di sindacare il merito di scelte opinabili, ma di verificare se queste scelte siano assistite da una credibilità razionale supportata da norme tecniche e/o valide leggi scientifiche, correttamente applicate al caso di specie.
In ogni caso in sede di giurisdizione di legittimità, può essere censurata la sola valutazione che si ponga al di fuori dell’ambito di opinabilità, affinché il sindacato giudiziale non divenga sostitutivo di quello dell’amministrazione attraverso la sovrapposizione di una valutazione alternativa, parimenti opinabile.
In ordine alla possibilità della Soprintendenza di negare tout court l’autorizzazione paesaggistica, senza la ricerca di una ipotesi che contemperi lo ius aedificandi con la tutela del paesaggio, la c.d. “opzione zero” è ritenuta legittima ma la sua adozione deve essere preceduta dalla ricerca di alternative mediante una collaborazione tra amministrazione e soggetto che fa istanza ai sensi dell’art. 146 del d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42, volta alla ricerca di una soluzione.
Il vincolo paesistico di cui al d.m. 4 luglio 1966 incide sull’intero territorio e quindi non rileva la collocazione dell’immobile al di fuori del centro abitato; con quel vincolo si è inteso tutelare tutto il territorio comunale ritenendo che le esigenze di tutela paesistica possono essere soddisfatte solo in quanto riguardino l’intero territorio e non una parte del medesimo.
[*] Giancarlo Montedoro, Presidente della VI Sezione del Consiglio di Stato, Piazza Capo di Ferro 13, 00186 Roma, g.montedoro@giustizia-amministrativa.it.
[**] Vania Talienti, dottore di ricerca in Diritto dell'economia presso l’Università degli Studi di Foggia e funzionario della Presidenza del Consiglio dei ministri, Piazza Colonna 370, 00187 Roma, vaniatalienti@gmail.com.