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Spettacolo

Madame Anastasia nel flusso moderno dello streaming: la classificazione cinematografica sulle piattaforme online

di Simone Loi [*]

Sommario: 1. Difficoltà di azione nella rivoluzione massmediale. - 2. Una legislazione frammentata, tra norme primarie e soft law. - 2.1. Il sistema Agcom: parental control e tripartizione classificatoria. - 3. I problemi della contemporaneità: obsolescenza del parental control e anarchia degli operatori. - 4. Gli inaspettati risultati dell’evidenza empirica. - 4.1. Tutela successiva e tutela atipica: il caso “Avetrana” - 5. Quale direzione seguire?

Dopo la rivoluzione dei mass media dell'ultimo decennio, guidata dall'avvento delle piattaforme di streaming nel panorama cinematografico italiano, si è reso necessario capire come integrare la disciplina della classificazione cinematografica in questo nuovo contesto. L'attuale sistema di classificazione dei film si basa sul decreto legislativo 7 dicembre 2017, n. 203, che struttura un sistema di “censura relativa” che tutela i minori attraverso potenziali restrizioni vincolanti all'accesso in sala. Poiché non è possibile estendere i divieti eteronomi al web, il legislatore nazionale ha trovato una soluzione alternativa nella creazione di un quadro normativo frammentato tra diritto primario e soft law. Da un lato, le leggi del sistema radiotelevisivo hanno introdotto lo strumento di tutela internazionale del parental control, lasciando la scelta finale ai genitori, mentre dall'altro le modalità di classificazione dettagliata che avrebbero armonizzato i servizi di streaming con i media tradizionali sono state delegate all'Agcom. Tuttavia, molti problemi caratterizzano l’epoca contemporanea: il parental control è fortemente messo in discussione nella sua efficacia da alcuni studi americani e le piattaforme mostrano di non rispettare le indicazioni dell'autorità, generando instabilità e incoerenza nell'intero sistema. Il documento si propone di indagare gli esiti di tali sviluppi tecnologici e legislativi nel settore, cercando di individuare le conseguenze concrete dell'attuale sistema e considerando alternative più funzionali al secolare approccio del controllo istituzionale.

Parole chiave: classificazione cinematografica; Agcom; tutela dei minori; cinema; streaming.

Madame Anastasia in the modern streaming flow: The movie rating system on online platforms
After the mass media revolution of the last decade, led by the advent of streaming platforms in the Italian cinema scene, it became necessary to understand how to integrate the discipline of film classification into this new context. The current movie rating system is based on the legislative decree 7 December 2017, no. 203, which structures a "relative censorship" system that protects minors through potential binding restrictions on access to theatres. Since it is not possible to extend heteronomous bans to the web, the national legislator found an alternative solution in creating a fragmented regulatory framework between primary and soft law. On the one hand, the laws of the broadcasting system introduced the international protective tool of parental control, leaving the final choice to parents, while on the other hand the detailed classification modalities that would harmonize streaming services with traditional media have been delegated to Agcom. However, many problems characterize the contemporary age: parental control is strongly questioned in its effectiveness by some American studies and platforms show not to respect the indications of the authority, generating instability and incoherence in the whole system. The paper aims to investigate the outcomes of those technological and legislative developments in the field, attempting to identify the concrete consequences of the current system and considering more functional alternatives to the centuries-old approach of the institutional control.

Keywords: film classification; Agcom; protection of minors; cinema; streaming.

1. Difficoltà di azione nella rivoluzione massmediale

A partire dallo scorso decennio il cinema è rimasto travolto da una nuova modalità di fruizione integrante la possibilità di vedere opere filmiche in qualunque luogo lo spettatore preferisca, purché mantenga una stabile connessione internet o abbia precedentemente scaricato il contenuto. Il vero punto di svolta è probabilmente ravvisabile con lo sbarco in Italia della piattaforma americana Netflix, nell’ottobre 2015, seguita l’anno successivo da Amazon Prime Video, due esempi fortemente rappresentativi di un nuovo modello di comunicazione cinematografica: gli utenti, sottoscrivendo un abbonamento oppure attraverso l’acquisto o il noleggio da appositi store digitali, ottengono un vasto catalogo di film e serie TV accessibili in qualunque momento e tramite un novero variegato di supporti fisici (televisione, computer, tablet o smartphone).

Il successo delle piattaforme di questo genere ha ormai condotto alla più apicale scissione tra la distribuzione in sala e quella indirizzata direttamente agli spazi privati, corroborando un canale differenziato dal punto di vista commerciale e in concorrenza diretta col tradizionale cinematografo, molto più intensamente di quanto possano aver mai fatto le emittenti televisive o i locali di videonoleggio.

Il contesto così delineato apre altresì delle brecce non indifferenti nel sistema amministrativo di classificazione cinematografica, introdotto con la riforma capitale del decreto legislativo 7 dicembre 2017, n. 203, e tradizionalmente riservato soltanto alle sale cinematografiche. La nuova normativa abroga il precedente procedimento di revisione, legato per più di cinquant’anni alla legge 21 aprile 1962, n. 161 [1] e relativizza la censura esclusivamente ai minori [2]; inoltre, sostituisce il fine di salvaguardare l’anacronistico e sempre più inconsistente buon costume con un nuovo obiettivo per la Pubblica Amministrazione, ossia raggiungere l’equo bilanciamento tra due estremi ben delineati: l’interesse pubblico e primario della tutela minorile e quello puramente legittimo ed individuale alla libera manifestazione del pensiero [3].

La protezione è oggi espletabile unicamente tramite dei divieti vincolanti per l’accesso in sala ai minori di 18 o 14 anni, applicabili attraverso la modifica della classificazione proposta dal richiedente (o la conferma se questa già prevede l’inibizione) e calibrati sulla base di criteri flessibili, a loro volta lasciati all’autonomia regolamentare della stessa Commissione ministeriale preposta all’operazione (quelli attuali contemplano sesso, violenza, uso di armi, linguaggio e turpiloquio, uso di alcol o stupefacenti, discriminazione e incitamento all’odio) [4].

Tali soluzioni risultano però logicamente incompatibili con la fruizione audiovisiva nello spazio virtuale. Se l’imposizione di filtri etero-diretti a livello ministeriale trova normalmente una giustificazione nel carattere pubblico delle proiezioni in sala, lo stesso non accadrebbe nel quadro della riproduzione privata delle opere online, dove questi comporterebbero il rischio di distopiche ricadute nel controllo totalitaristico dei social media, tipico di Stati ben distanti dai canoni di democraticità che sorreggono l’ordinamento italiano. Come fare dunque per salvaguardare i più giovani dagli innumerevoli pericoli audiovisivi che permeano l’immateriale mondo del web?

2. Una legislazione frammentata, tra norme primarie e soft law

Non è la prima volta nella storia dell’istituto che il legislatore si trova a dover considerare l’impossibilità pratica di intervento diretto. Basti pensare alla trasmissione televisiva delle opere o alla loro presentazione in anteprima nei festival cinematografici, dove le ridotte tempistiche organizzative renderebbero troppo difficoltoso un vaglio preventivo. In entrambi i casi la soluzione individuata è identica: la trasmigrazione della valutazione amministrativa in capo a soggetti privati [5].

Una scelta che già in partenza suscita qualche dubbio sulla sua legittimità, considerando che nell’attualità ciò significa delegare la ponderazione di interessi costituzionalmente protetti a soggetti potenzialmente ispirati anche da interessi diversi rispetto a quelli pubblicistici (di carattere commerciale per le Tv, di promozione culturale per i festival) e soprattutto in assenza delle debite garanzie procedimentali. Tuttavia, la mancanza di alternative più funzionali ha condotto all’estensione della medesima soluzione anche per i servizi di diffusione online, accompagnata da una serie di indicazioni utili a ridurre i rischi e a rafforzare la salvaguardia minorile. Ciò ha dato adito ad un articolato normativo piuttosto complesso, che oggi si traduce in una vera e propria biforcazione di fonti.

Per quanto riguarda le disposizioni primarie, la considerazione di questi mezzi appare principalmente intessuta nei vari Testi Unici sul sistema radiotelevisivo succedutisi negli anni, soprattutto grazie alla spinta evolutiva dettata dalle direttive dell’Unione Europea. Inizialmente il legislatore mostra una scarsa lungimiranza, viste altresì le tempistiche troppo acerbe per comprendere le potenzialità di successo dello streaming, e ingloba in modo confusionario i cosiddetti “servizi di media audiovisivi a richiesta” e le emittenti televisive in unica categoria, tramite l’art. 9 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 44 [6]: ad essi si applica il già presente divieto televisivo di trasmissione per i contenuti che “possono nuocere gravemente allo sviluppo fisico, psichico o morale dei minori o che presentano scene di violenza gratuita o insistita o efferata ovvero pornografiche”, da individuare secondo un autonomo sistema di classificazione che ogni fornitore è tenuto ad adottare (sulla scorta di criteri delineati dall’Agcom e dal Comitato di applicazione del Codice media e minori), a cui si aggiungono i film normalmente vietati per la sala (con VM18 o respinti in sede amministrativa); tuttavia, diventa possibile diffondere i suddetti programmi qualora si adottino specifici sistemi ad accesso condizionato (principalmente il controllo parentale, la cui disciplina di dettaglio è sempre delegata all’Agcom), tranne nella fascia oraria 7.00-23.00 e comunque debitamente segnalati.

Con il successivo decreto legislativo 28 giugno 2012, n. 120, all’art. 1 vengono finalmente separati i servizi a richiesta dai tradizionali radiotelevisivi, prevedendo solo per i primi la possibilità di mettere a disposizione contenuti gravemente nocivi per i più giovani (presumendo come tali i film a cui sia stato negato il nulla osta o vietati ai minori di 18 anni), purché accompagnati dagli accorgimenti utili ad escludere i minori dalla visione. Infine, da segnalare che in seguito all’ultima modifica della regolamentazione comunitaria non appare una manifesta e capillare presa di coscienza sulle peculiarità del settore: la direttiva 2018/1808/UE rinsalda l’attenzione verso la protezione minorile, riconfermando le misure previgenti ed estendendole alle piattaforme di condivisione video, ma sostanzialmente non introduce grandi innovazioni in materia di classificazione; allo stesso modo, il successivo ed attuale T.U., il decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 208, abroga formalmente con l’art. 37 (a sua volta poi recentemente modificato dal decreto legislativo 25 marzo 2024, n. 50) tutte le disposizioni precedenti, ma ne lascia invariata la sostanza, ripetendo quasi pedissequamente le previsioni del suo predecessore.

I T.U. sopracitati si concentrano comunque prioritariamente sulla televisione e non disciplinano compiutamente il vasto mondo delle trasmissioni via web; una genericità che viene però adeguatamente colmata proprio dalla riforma del 2017. Quest’ultima, in ottemperanza alle lettere a) ed e) dell’art. 33, comma 2 dell’ultima legge cinema (14 novembre 2016, n. 220) [7], integra infatti per la prima volta il settore nel quadro evolutivo della censura cinematografica. Tramite l’art. 10, comma 2, ci si concentra sul cinema online e sui videogiochi, sottolineando la necessità di strutturare per questi un apposito paradigma che ricomprenda tre principi essenziali: il bilanciamento primario tra tutela minorile e libertà di manifestazione del pensiero (richiamando letteralmente l’art. 2, comma 1), l’estensione delle previsioni in materia televisiva, soprattutto relativamente ad accorgimenti tecnici e sanzioni, ed infine gli standard internazionali del settore [8].

Un tentativo massiccio e doveroso di corroborare un quadro coerente, che garantisca linearità e continuità alla classificazione nelle varie sedi di vitalità cinematografica. Il compito non è però direttamente assolto dal legislatore, ma rimandato ad una fonte diversa dal primo comma dello stesso art. 10: si chiede ancora una volta all’Agcom di realizzarne concretamente il regolamento attuativo.

Ne deriva un macroscopico onere regolamentare assegnato ad un’Autorità indipendente, il quale testimonia una certa disattenzione legislativa verso le nuove ramificazioni: aumentando il quantitativo di dettagli disciplinari gestiti tramite la scarsa solidità della soft law, le problematiche non possono di certo mancare, sia nell’effettiva tenuta del sistema per le piattaforme, sia nell’intersecazione con i binari paralleli che completano le personalità multiple della moderna Madame Anastasia [9]. Bisogna inoltre considerare che la legge n. 220/2016 aveva esplicitamente demandato al governo di occuparsi della materia, per cui la subdelega normativa all’Agcom imprime un considerevole dubbio di legittimità costituzionale, in quanto perpetra “la mancanza di una assunzione diretta di responsabilità politica da parte del governo, facendo così venire meno uno degli elementi essenziali su cui si fonda l’art. 76 Cost.” [10].

2.1. Il sistema Agcom: parental control e tripartizione classificatoria

L’Autorità si attiva a questo punto in maniera repentina per strutturare un impianto che possa integrare negli spazi virtuali un processo di responsabilizzazione degli operatori, in modo da individuare una soluzione funzionale al mezzo e che possa al contempo garantire la conformità all’equo bilanciamento perseguito nel sistema per le sale. L’allegato A alla delibera n. 74/19/CONS, datata 6 marzo 2019 [11], richiama integralmente all’art. 2 i principi sanciti dall’art. 10 del d.lg. n. 203/2017, specificando che l’ambito di applicazione della normativa è quello delle opere audiovisive destinate al web, a loro volta definite alla lettera e) del precedente art. 1 come quelle prioritariamente indirizzate “alla diffusione su reti o servizi di comunicazione elettronica”. Proprio questa scarna descrizione lascia intravedere una serie di disfunzionalità pratiche, in relazione al fatto che non sono solo tali produzioni a comporre il catalogo dei servizi e limitando in partenza l’intero quadro ad un’applicabilità parziale.

Proseguendo, all’art. 3 si individua l’obbligo assoluto di associare all’opera la classificazione per fasce d’età (così come strutturata dal regolamento stesso) e si integra, all’ultimo comma, una possibilità particolarmente innovativa, ossia “la previsione di raccomandazioni per età o classi d’età anche in relazione al particolare valore educativo e formativo”, una sorta di contraltare alla più classica inibizione, che testimonia la spinta verso il maggior coinvolgimento culturale dei giovani. All’art. 5 si schematizza invece la catalogazione delle fasce, ispirata a quella del procedimento ordinario, ma comunque differente [12] e così sintetizzabile: T (opere per tutti), 6+, 12+, 15+, 18+ e 18+R [13]; si aggiungono poi, all’art. 6, una serie di descrittori tematici quasi del tutto identici ai contenuti sensibili rilevabili dalla Commissione (“discriminazione e incitamento all’odio, droghe, comportamento pericoloso e facilmente imitabile, linguaggio, nudità, sesso, minacce, violenza”).

La precisazione sostanziale dei criteri è rimandata, dall’art. 7, ad apposite linee guida, adottate con delibera n. 359/19/CONS del 18 luglio 2019 e al cui allegato A si specifica che “la classificazione deve necessariamente tenere conto del contesto complessivo dell’opera, del tipo di opera a cui le scene afferiscono (...), del genere di riferimento (...), del registro utilizzato, della finalità anche educativa dell’opera, della funzionalità narrativa delle singole scene e, più in generale, degli elementi e degli eventi diegetici contestuali”, mentre con l’allegato A.1 si presenta una tabella nella quale sono esaustivamente indicati i descrittori tematici e la loro conformazione in base alla classe d’età associata.

Dal punto di vista della protezione concreta, gli indicatori non qualificano logicamente dei veri e propri divieti di fruizione, bensì dei semplici suggerimenti affinché la sostanziale inibizione possa essere incrementata direttamente dagli utenti, trasferendo il tipico potere uniformante dello Stato alla discrezionalità genitoriale e consolidando un apparato di controllo misto pubblico-privato. Si è visto infatti come i T.U. del sistema radiotelevisivo abbiano introdotto l’obbligo vincolante di segnalare la classificazione applicata, nonché la necessità di implementare apposite misure tecniche utili all’espletazione del blocco nel caso si vogliano diffondere contenuti possibilmente nocivi. Anche l’Agcom riprende tali indicazioni, sia con il regolamento [14] che con le linee guida, identificando per quanto concerne i mezzi protettivi una serie di alternative che nella sostanza si sono tradotte in un unico strumento ampiamente diffuso a livello internazionale: il parental control o controllo parentale.

Definito dalla stessa Autorità come un “sistema che permette di limitare o bloccare l'accesso a determinate attività online da parte di un minore, impedendo l'accesso, tramite qualunque applicazione, a contenuti inappropriati per la sua età” [15], con esso la singola piattaforma dovrebbe offrire la possibilità all’utente di impostare un apposito PIN segreto da digitare per vedere liberamente i contenuti non adatti alla classe d’età selezionata. Si valorizza in questo modo al massimo grado la primazia educativa dei genitori [16], di fatto molto ridotta nel contesto delle sale, concedendo un’operazione definibile come un atto di censura privata autogestita.

Infine, bisogna segnalare un’importante dicitura contenuta nella premessa della delibera n. 359/19/CONS: “L’ambito delle presenti linee guida non compete alle opere già assoggettate ad altra classificazione (...) a condizione che le stesse non risultino prioritariamente destinate alla diffusione via web”.

Tale statuizione sembrerebbe poter risolvere l’annoso dubbio sull’applicabilità parziale del regolamento: a questo punto, le piattaforme dovrebbero a loro volta integrare una tripartizione classificatoria nei propri algoritmi, qualificando autonomamente – sulla base delle indicazioni Agcom – soltanto pellicole e serie Tv distribuite prioritariamente da loro, adottando invece la previa valutazione delle emittenti se si tratta di produzioni prettamente televisive ed infine riproducendo i provvedimenti della Commissione amministrativa se la distribuzione originaria è avvenuta nelle sale cinematografiche.

In definitiva, un complesso legislativo con il quale sembra riuscito il tentativo di mantenere intatta la continuità e la coerenza della classificazione nelle varie sedi in cui si dipana attualmente Madame Anastasia, onde evitare contestualmente l’obnubilamento dei sistemi censori più solidi e radicati nel tempo.

3. I problemi della contemporaneità: obsolescenza del parental control e anarchia degli operatori

Il consistente apparato delineato sulla carta deve ora essere messo alla prova a livello concreto, in modo da vagliarne la funzionalità a distanza di sei anni dalla sua adozione, periodo nel quale il progresso tecnologico ha comunque continuato ad espandersi con naturale velocità. Ed è proprio nel raffronto con la realtà che le previsioni legislative perdono di consistenza, evidenziando due problematiche principali.

In primo luogo, viene oggi fortemente messa in discussione l’efficacia del parental control come adeguato strumento di salvaguardia per i più piccoli. Nel prescegliere questo mezzo come cardine della protezione online bisogna infatti tenere in considerazione tre fondamentali variabili: il corretto funzionamento dei sistemi informatici, le possibilità di aggiramento da parte dei minori e l’effettivo utilizzo da parte dei genitori.

I tre aspetti sono stati di recente ampiamente analizzati, in particolare è utile riprendere alcuni articoli del Wall Street Journal [17], che insieme ad altre ricerche statunitensi segnalano delle evidenze sconfortanti: in alcuni casi (come per i dispositivi Apple) capita che errori o bug di sistema compromettano le impostazioni di controllo programmate, a cui si deve aggiungere una generica e diffusa presa di coscienza sulla non totale affidabilità dei software di questo genere [18]; altrettanto importante è il fatto che le nuove generazioni sono ormai interamente composte da “nativi digitali”, le cui conoscenze informatiche spesso superano quelle degli adulti e permettono di aggirare le restrizioni, con l’aggravante che in rete si rinvengono facilmente consigli su come svincolarsi dai filtri famigliari.

Ancora centrale è capire quanti siano gli adulti che decidono di tutelare i propri figli con la materiale applicazione del mezzo; in Italia i risultati sono attualmente piuttosto ambivalenti e variano in base alle metodologie utilizzate e al campione intervistato: l’indagine internazionale di EU Kids Online, datata 2020, indica che solo il 26% dei ragazzi italiani vede integrate misure tecniche di blocco o restrizione sui propri dispositivi [19], percentuale che si alza notevolmente secondo un più recente studio dell’Alta Scuola in Media, comunicazione e spettacolo dell’Università Cattolica promosso dal ministero delle Imprese e del Made in Italy [20], toccando persino un apice dell’80% [21]; ancora differenziati i risultati di una ricerca condotta nel 2023 da Swg per Italian Tech e Telefono Azzurro, dove il dato si riabbassa al 36% degli utenti [22].

È necessario sottolineare che le considerazioni riguardano i sistemi di parental control in una prospettiva ampiamente generale, che contempla l’utilizzo dello strumento nelle impostazioni di sistema dei vari device tecnologici – quindi connesso all’eteronomia di contenuti e applicazioni accessibili tramite essi – e non soltanto sulle piattaforme audiovisive; in queste ultime, la previsione di un controllo puramente interno e circoscritto al solo spazio informatico del singolo servizio streaming potrebbe abbassare notevolmente l’impatto dei rischi e favorire una maggior efficienza dei sistemi. Tuttavia, bisogna altresì considerare che non sempre i genitori attivano le misure interne ai servizi streaming, preferendo affidarsi più semplicemente alle generiche impostazioni del dispositivo, che a quel punto devono però trovare un corretto coordinamento con la singola applicazione.

A prescindere da questa seconda eventualità, l’obbligo dei fornitori di servizi mediatici di mettere a disposizione degli utenti un accorgimento in grado di escludere i minori dall’accesso – nel caso vogliano inserire nel proprio catalogo contenuti per essi dannosi o vietati – risulta rispettato dalla quasi totalità delle piattaforme più diffuse e utilizzate in Italia, tra cui è però rinvenibile un caso particolarmente controverso. Si tratta paradossalmente del servizio gratuito gestito dall’emittente di Stato, RaiPlay, che già in partenza si distacca dalla prassi indicando la classificazione solo una volta avviato il contenuto – e non anche nella scheda di presentazione, a differenza di tutti gli altri –, ma soprattutto non offre alcun tipo di controllo parentale interno, pur nella compresenza assodata di titoli già vietati ai minori di 14 o 18 anni in occasione del passaggio in sala [23]. Una situazione decisamente inadeguata, ma che ci si auspica possa cambiare a breve, in quanto anche l’attuale esecutivo ha mostrato di averne preso pienamente consapevolezza: il contratto nazionale di servizio 2023-2028, stipulato dalla Rai con il ministero delle Imprese e del Made in Italy, prescrive all’art. 5-bis, comma 5 che “la Rai è tenuta ad attivare sulla piattaforma RaiPlay il servizio di parental control”, anche se ad oggi il precetto non si è ancora concretizzato.

La seconda problematica è invece molto più specifica per l’ordinamento italiano e riguarda il rispetto delle indicazioni dell’Agcom. Addentrandosi nelle pagine informative o nei cataloghi delle principali piattaforme ci si immaginerebbe di ritrovare la pedissequa riproduzione delle fasce d’età e dei criteri classificatori delineati dalla delibera n. 74/19/CONS, ma le aspettative sono presto disattese. Nei fatti la stragrande maggioranza dei fornitori preferisce rifarsi a sistemi personalizzati e tra loro completamente diversificati, a volte puramente autonomi, altre rispecchianti strutturazioni internazionali o inerenti al Paese d’origine della piattaforma (normalmente gli Stati Uniti) [24].

Allo stesso tempo viene sconfessata l’idea della tripartizione in base all’origine distributiva dell’opera, in quanto i paradigmi classificatori individuali vengono ordinariamente estesi in maniera omogenea e uniforme all’intero catalogo della singola piattaforma; inoltre, a restare lettera morta sono anche le prescrizioni concernenti le modalità di segnalazione [25]: si applica tendenzialmente un disclaimer nella scheda specifica del contenuto e all’inizio della visione – a volte integrante anche i contenuti sensibili dell’opera, che non sempre riproducono gli stessi descrittori tematici delle linee guida –, ma spesso di durata minore rispetto a quella richiesta dall’Autorità; ulteriore discrasia si nota nella classificazione delle serie Tv, dato che alcuni servizi prevedono singole indicazioni per ogni episodio (per esempio Amazon Prime Video), mentre altri preferiscono trattare la stagione nel suo complesso (come Netflix).

Per comprendere a pieno la multiforme ramificazione raggiunta dalle odierne sedi di propagazione del cinema online è utile richiamare alcuni esempi rappresentativi, partendo necessariamente dai player che attirano maggiormente l’attenzione degli utenti nella Penisola. Secondo il motore di ricerca JustWatch, il pubblico si concentra per il 76% su tre principali attori: Netflix (30%), Amazon Prime Video (28%) e Disney+ (18%) [26]. Di seguito si riportano le suddivisioni per classi d’età adottate dai tre servizi:

a)    Netflix: TUTTI, 7+, 10+, 13+, 16+, 18+ [27];

b)    Amazon Prime Video: TUTTI, 7+, 13+, 16+, 18+ [28];

c)    Disney+: 0+, 6+, 9+, 12+, 14+, 16+, 18+ [29].

È indiscutibile che il problema non sia tanto correlato all’incapacità dei singoli sistemi di tutelare i minori dai contenuti potenzialmente nocivi, dato che le citate piattaforme adottano delle fasce più articolate e specifiche di quelle richieste dal regolamento, ma si rileva piuttosto nell’enorme frammentazione derivante dall’autonomia conquistata, possibilmente confusionaria per lo spettatore.

A ciò va però aggiunto che esistono altri casi in cui la strutturazione dell’Agcom viene invece semplificata, rifacendosi alla quadripartizione dei provvedimenti emanabili nell’ordinario procedimento amministrativo (è il caso su tutti di AppleTv+ e Chili).

Un ulteriore variante è poi incarnata da Mubi, piattaforma dedicata al cinema d’autore, che non adotta l’identificazione classificatoria per fasce d’età ma predilige parametri più originali (Non classificato, Generale, Attenzione, Maturo, Per adulti [30]). Da un lato opera così in maniera avanguardistica, grazie al distacco dalla rigida e spesso inattuale correlazione tra dato anagrafico e livello di maturità dello spettatore, ma dall’altro rischia di non destinare chiare indicazioni agli utenti in un contesto storicamente abituato ad allinearsi ai suddetti parametri generalizzati.

4. Gli inaspettati risultati dell’evidenza empirica.

Dalla situazione sostanziale così delineata possono subentrare delle importanti conseguenze a livello concreto, che si traducono in un doppio rischio di squilibrio, specie quando l’azione classificatoria delle piattaforme conduce ad una modificazione della previa decisione amministrativa.

Diventa infatti possibile un forte danneggiamento alla tutela minorile ogniqualvolta il servizio decida di abbassare la valutazione commissoria per ragioni verosimilmente commerciali, suggerendo un accesso di pubblico anagraficamente più ampio di quello poco tempo prima previsto per la sala [31]; all’opposto, qualora la classificazione subisse un innalzamento peggiorativo, plausibilmente dovuto alla volontà di cautelarsi a fronte delle sanzioni comunque irrogabili dall’Agcom, si creerebbe uno sbilanciamento ostracizzante la libera manifestazione del pensiero, altrettanto capace di sconfessare l’accezione pubblicistica dell’equo bilanciamento richiesto. Per capire quale sia la rilevanza effettiva di queste eventualità è necessario addentrarsi nei cataloghi dei principali servizi streaming del panorama italiano, in modo da costruire un attendibile bilancio empirico [32].

Per quanto concerne la prima possibilità, si tratta in realtà di un caso poco diffuso. La rarità delle diminuzioni classificatorie fortifica l’idea di una certa responsabilizzazione degli operatori ormai raggiunta nei confronti della salvaguardia minorile, anche in un quadro di manifesto sviamento dalle imposizioni metodologiche normative.

Un’importante dimostrazione deriva dal fatto che spesso, quando ciò accade, difficilmente si genera un totale svuotamento dell’inibizione amministrativa: estremamente rappresentativo è il caso del film Niente di nuovo sul fronte occidentale (E. Berger, 2023), distribuito nei cinema con VM14 [33] ma presente su Netflix con l’indicazione 13+; tuttavia, è importante ricordare che il divieto vincolante ai minori di 14 anni nelle sale si riduce a 12 anni compiuti se il minore è accompagnato da un genitore o da un tutore, di conseguenza la discrasia tra le due valutazioni finisce per risultare nei fatti davvero minimale.

Il caso di specie rientra nella particolare tipologia delle opere direttamente prodotte da una piattaforma, considerazione che di base potrebbe rendere comprensibile (seppur non giustificabile) l’abbassamento in relazione ad una più elevata volontà di massimizzare i profitti, se non fosse che per altre pellicole di questo tipo la casistica più consistente risulta sorprendentemente quella opposta. La Commissione si è difatti dimostrata a più riprese decisamente meno severa: largo accesso nei cinema per Pinocchio (G. del Toro, M. Gustafson, 2022) e Maestro (B. Cooper, 2023), che invece Netflix qualifica rispettivamente 10+ e 13+, così come per Napoleon (R. Scott, 2023), 6+ per la Commissione e sconsigliato ai minori di 14 anni da AppleTv+; ancora, i VM14 applicati a The Killer (D. Fincher, 2023) e La società della neve (J.A. Bayona, 2023) sono trasformati su Netflix in 16+.

Discostandosi dalle produzioni originali, anche l’approdo di opere prioritariamente destinate alla sala nei cataloghi streaming produce più sovente uno spiazzante peggioramento delle scelte amministrative, non è chiaro se sempre in correlazione alle valutazioni autonome dei fornitori oppure in base alle precisazioni fatte dai detentori originali dei diritti al momento della cessione contrattuale o ancora perché a volte possa trattarsi di versioni diverse da quelle theatrical. Casi esemplificativi si ritrovano pressoché ovunque: da Netflix – Split (M. Night Shyamalan, 2016) e Scappa - Get Out (J. Peele, 2017), entrambi per tutti in sala che divengono 16+ sulla piattaforma –, ad Amazon Prime Video – Scarface (B. De Palma, 1983) da VM14 a 18+, Il grande Lebowsky (E. Coen, J. Coen, 1998) da T a 16+, Fidanzata in affitto (G. Stupnitsky, 2023) e Challengers (L. Guadagnino, 2024) da 6+ a 18+ – o ancora Disney+ – I Tenenbaum (W. Anderson, 2001), Tre manifesti a Ebbing, Missouri (M. McDonagh, 2017) e Birdman (A.G. Iñárritu, 2014), tutti da T a 16+. Per concludere l’elencazione, si deve poi richiamare il caso di alcuni titoli presenti contemporaneamente su più piattaforme e in ognuna con una classificazione diversa, incrementando così il pericolo di confondere gli spettatori relativamente all’adeguatezza del contenuto per determinate età: ad esempio, Il discorso del re (T. Hooper, 2010) si trova nei cataloghi di Now con la dicitura BA (Bambini accompagnati), ma anche di Timvision con 12+ e di Amazon Prime Video con 16+, mentre Bohemian Rhapsody (B. Singer, 2018) si rinviene su Netflix con 13+ e parallelamente su Disney+ con 16+; da specificare che entrambe le opere sono state originariamente distribuite nelle sale italiane con libero accesso al pubblico di ogni età.

Bisogna comunque tenere a mente che le problematiche di sbilanciamento fin qui delineate divengono le uniche effettive solo nel momento in cui gli utenti decidano volontariamente di allinearsi ai frammentari sistemi di self regulation costruiti singolarmente dai vari servizi; se invece il genitore non segue le segnalazioni della piattaforma e soprattutto non adotta il filtro del parental control si raggiunge in automatico l’assoluta certezza di una totale vanificazione della protezione giovanile, in quanto tutti quei contenuti che nelle sale cinematografiche rimanevano interdetti a certe fasce d’età diventano magicamente accessibili a chiunque, senza alcun tipo di limitazione.

In ultima istanza, si deve altresì considerare un ulteriore aspetto fin qui appena accennato: le piattaforme hanno ormai cristallizzato un canale concorrenziale rispetto al tradizionale cinematografo, connotato da una tendenza sostitutiva della sala con lo streaming, oltretutto richiamata nella Relazione annuale sullo stato della concorrenza nel settore della distribuzione cinematografica dell’Agcm, datata dicembre 2023 [34].

In tale quadro, la discrasia classificatoria non sembra preoccupare il mondo giuridico, che difficilmente tollererebbe una così marcata autonomia dei gestori di servizi se rilevasse un qualche fattore potenzialmente antitrust. In realtà non ci sono ancora ricerche e indagini congrue a rischiarare su quale sia il peso della questione nelle dinamiche concorrenziali, anche se probabilmente non si tratterà mai di un fattore consolidante una posizione indebitamente favorevole per lo streaming; eppure nella disomogeneità un piccolo vantaggio sembra presente, soprattutto per la potenzialità esclusiva di raggiungere un’audience indiscriminata con qualunque contenuto, dato che soltanto le sale finiscono per risultare ancorate a rigidi obblighi etero-imposti.

Ragionare sull’idea di equiparare intelligentemente il più possibile i filtri d’accesso alla visione serve, oltre che ad evitare incoerenti sacrifici alla tutela minorile, anche a permettere ai due competitor di lottare completamente ad armi pari, facendo sì che solo la loro naturale attrattiva per il pubblico (la comodità e i prezzi delle piattaforme contro l’unicità e la condivisione sociale dell’esperienza in sala) permetta di definire se può trattarsi di mezzi complementari o se l’uno debba soccombere all’altro.

4.1. Tutela successiva e tutela atipica: il caso “Avetrana”

Alla luce dell’impianto normativo, risulta evidente come le valutazioni istituzionali nel settore siano totalmente incentrate, al pari delle televisioni, in una verifica puramente ex post espletabile dalla stessa Agcom. In ottemperanza della delega espressa dalla riforma del 2017, il regolamento si chiude infatti con una previsione (art. 18) che sancisce in definitiva il potere di vigilanza ed eventualmente sanzionatorio detenuto dalla stessa Autorità anche nei confronti dei fornitori di servizi streaming, attraverso un esplicito rinvio al Testo Unico precedentemente citato; tuttavia, a differenza del settore radiotelevisivo e nonostante le manifeste incongruenze evidenziate, in materia di tutela minorile non si rilevano casi specifici di sanzione emanata avverso un fornitore di servizi audiovisivi a richiesta.

Una delle caratteristiche indirette di tale impostazione risiede oltretutto nella capacità di favorire un vero e proprio controllo diffuso ai cittadini, tramite le segnalazioni che questi ultimi possono presentare per sospingere l’azione repressiva dell’Agcom, in maniera similare a quanto poteva accadere in passato nell’unico binario repressivo storicamente strutturato nell’ordinamento, quello penalistico [35]. Quest’ultimo ha creato numerosi problemi di strumentalizzazione dell’attività censoria nella seconda metà dello scorso secolo, rischio che però appare estremamente circoscritto nell’unica forma di tutela tipizzata per le piattaforme, in quante le sanzioni irrogabili hanno principalmente carattere pecuniario e sono comunque parametrate su basi decisamente più solide del sistema precedente. Ciononostante, un caso molto recente mette fortemente in discussione la presunta esclusività d’intervento della sola Autorità indipendente, nonché l’idea di una censura oppressiva superata e inestendibile al web.

Il riferimento è alla serie Tv Avetrana - Qui non è Hollywood (P. Mezzapesa, 2024), incentrata sulla ricostruzione della tragica vicenda dell’omicidio di Sarah Scazzi, risalente al 2010 e nell’opera affrontata dal punto di vista dei soggetti coinvolti. Inizialmente prevista per la diffusione su Disney+ in data 25 ottobre 2024, viene sospesa dal Tribunale di Taranto in seguito all’accoglimento di un ricorso cautelare d’urgenza, ex art. 700 del Codice di procedura civile, presentato da Antonio Iazzi, sindaco del comune che dà il nome alla serie. La richiesta è principalmente mirata, per dichiarazione dello stesso ricorrente, a salvaguardare la comunità locale dal rischio di un danno d’immagine, prospettando altresì la rettifica del titolo della serie. Il blocco preventivo di un’opera artistica ordinato da un giudice civile rappresenta un caso pressoché unico nella storia giudiziaria del Paese, basato su un bilanciamento ben diverso da quello che ordinariamente si prospetta in materia.

Il ricorso è infatti sostenuto da un diritto perfettamente riconosciuto dalla Corte costituzionale, un limite estrinseco capace di fomentare le restrizioni alla libertà espressiva, quello all’onore e alla reputazione dei soggetti rappresentati [36]; d’altro canto, nel mettere in scena fatti realmente accaduti, le potestà soggettive del cineasta possono considerarsi più stratificate, contemplando una mescolanza tra il diritto di cronaca e il principio di libertà artistica (art. 33 Cost.), che garantirebbe un più agevole discostamento dalla realtà descrittiva tramite la sintassi di un personale linguaggio cinematografico (pur non potendo stravolgere del tutto la verità dei fatti narrati) e la conseguente legittimità di un più esteso e giustificato “sacrificio dei valori del singolo individuo (onore, decoro, reputazione, identità personale)” [37]. In ogni caso, la vera criticità del provvedimento risiede nel fatto che l’accoglimento dell’istanza cautelare è avvenuto, sempre secondo quanto dichiarato, senza che né il ricorrente né il giudice abbiano previamente visionato l’opera, ma basandosi solo sul titolo e sull’ambientazione.

Tale mancanza genera alcune perplessità sull’attendibilità del provvedimento, in ordine soprattutto ai presupposti essenziali dell’art. 700 c.p.c.: se verosimilmente è possibile riscontrare l’esistenza di un fumus boni iuris del ricorrente, molto più complessa è la rilevazione di un’apparente lesione, specie senza un vaglio, seppur sommario, sul contenuto effettivo dell’oggetto attaccato; aspetto che si riflette sul riconoscimento del periculum in mora, considerando che la vacuità delle circostanze fattuali mina di conseguenza i caratteri di attualità, imminenza e irreparabilità del pregiudizio. Un’ordinanza cautelare che configura dunque un precedente capace, con grandi dubbi, di introdurre una nuova forma di valutazione preventiva del tutto atipica verso i prodotti audiovisivi di internet.

5. Quale direzione seguire?

Al termine di questa breve esplorazione, risulta evidente come il progresso tecnologico e la scarsa solidità legislativa abbiano generato una complessiva disciplina della classificazione raffigurabile come il contenuto caotico e informe di un dischiuso “vaso di Pandora”, che incrina la certezza e la coerenza del diritto. A questo punto, una riforma solida, estesa ed omogenea dell’intero settore web appare quanto mai auspicabile, perlomeno allo scopo di cancellare il pericolo che tutti gli sforzi finora compiuti vengano in un soffio e silenziosamente vanificati.

A questo, si aggiunga il fatto che il cinema in streaming è soltanto una piccola goccia nel mare magnum di insidie che compongono il caotico spazio virtuale nel quale i minori sono sempre più inglobati, un quantitativo di materiale audiovisivo composto da un intreccio incontrollabile di forme e contenuti di ogni genere, ormai pressoché impossibile da gestire attraverso un’azione esterna [38]. Come affrontare dunque un annoso problema che sembra soltanto potersi espandere nella rapidità frenetica dell’evoluzione tecnologica?

Una soluzione si potrebbe forse ritrovare in un cambio totale di approccio, grazie ad un veicolo già schematicamente abbozzato nell’ordinamento: l’istruzione. Proprio il cinema negli ultimi anni ha subito un sempre maggior coinvolgimento come strumento educativo, tramite l’integrazione in appositi progetti scolastici richiesti direttamente dalla legge n. 220/2016 [39]; tuttavia, nell’esplicazione concreta di questa lungimirante e ammirevole spinta si rilevano due importanti criticità. In primo luogo, il Piano Nazionale Cinema e Immagini per la Scuola, che prevede l’attivazione di bandi per lo stanziamento di fondi pubblici adibiti a progetti di educazione all’immagine [40], ha permesso l’introduzione di un approccio innovativo nel settore, ma che permane ancora troppo risibile: gli ultimi dati ufficiali disponibili, relativi all’anno scolastico 2022/2023, dimostrano che, nonostante l’elevato aumento di progetti finanziati (701 totali, +130% rispetto al 2019), il numero di studenti raggiunti appare estremamente basso in rapporto al valore della materia (appena 646.106, pari al 7,6% della popolazione studentesca) [41].

A rendere l’educazione all’immagine un privilegio per pochi, un vezzo quasi elitario, contribuisce probabilmente anche il fatto che si tratta di operazioni formative puramente eventuali, dipendenti dall’impulso volontario dei singoli istituti scolastici o di Enti del Terzo Settore – tenuti oltretutto ad affrontare una complessa fase burocratica e senza sicurezza di vedersi approvata la domanda [42] –, quando invece non sembra erronea l’idea che una materia d’insegnamento così importante per le nuove generazioni dovrebbe permeare di base ogni programma scolastico, di qualunque ordine e grado. In seconda battuta, è consequenzialmente molto dubbia la capacità attuale dei progetti di concorrere alla tutela minorile, favorendo lo sviluppo attivo e costruttivo dei mezzi di autoprotezione.

Oltre alla scarsità, non è infatti nemmeno chiara la funzionalità dei programmi (tra di loro frammentati e differenziati anche per proposte di metodo), concentrandosi le raccolte statistiche esclusivamente sull’apporto quantitativo e non qualitativo. Ciò dipende verosimilmente dalla tendenza dello Stato a mantenere i due binari che coinvolgono cinema e minori, quello educativo e quello della classificazione, completamente distinti e separati, senza ragionare sull’intersecazione tra i due e sul contributo potenzialmente rivoluzionario che la formazione dei giovani potrebbe garantire a Madame Anastasia.

È necessario prendere atto del fatto che l’aiuto a costruire uno scudo autoprotettivo, donando ai giovani strumenti quali il pensiero critico e la capacità di discernimento, passa dall’inesorabile superamento dei programmi scolastici più tradizionali, tramite la strutturazione di un diffuso e permeante perimetro multifattoriale e interdisciplinare, che non si limiti a progetti saltuari: l’educazione all’immagine e alla fruizione dei contenuti, l’educazione all’affettività e alla sessualità, la sensibilizzazione ragionata sugli abusi e le dipendenze, una narrazione dialogica tra passato e presente su discriminazioni e violenza; insomma, una serie di insegnamenti che portino gli studenti di ogni età a ragionare sulle tematiche che li circondano e non solo a recepire passivamente delle nozioni.

Una progettualità nella quale proprio la Pubblica Amministrazione potrebbe assumere un ruolo direttivo e organizzativo e che, è lampante, può risultare benefica per l’edificazione di una cittadinanza consapevole e responsabile; difatti, è automatica l’intersecazione con sfide giuridiche ben più importanti del minoritario ruolo di Madame Anastasia, che ne rimane comunque una diretta beneficiaria: si può solo immaginare quanto una corazza del genere possa condurre il minore ad orientarsi nell’intero complesso audiovisivo che lo circonda, attraendo tutti i media già esistenti e adattandosi facilmente alle innovazioni intravedibili del prossimo futuro, grazie ad una flessibilità ed una dinamicità impossibili da perpetrare con la rigidità legislativa, per di più notoriamente in incessante ritardo rispetto al progresso tecnologico.

Si tratta di una sfida importante per uno Stato che fino ad ora ha preferito concentrarsi maggiormente sul dettare delle indicazioni che facciano presagire un’azione concreta, ma poi dimostratesi disfunzionali nella realtà. Una tendenza politica radicata e che di certo non riguarda soltanto l’apparato culturale, facente ricadere l’istituto della classificazione in un baratro di dispositivi di sicurezza utili a rassicurare illusoriamente la popolazione, ma del tutto incapaci di toccare il problema alla radice. Il discorso vale per internet e parimenti per le sale cinematografiche, considerando che per esse non si è mai cercata un’alternativa all’etero-imposizione censoria (seppur ridimensionata largamente), considerandola aprioristicamente indispensabile e non investendo di conseguenza sull’apparato educativo, che potrebbe ragionevolmente portare in futuro alla trasformazione del divieto vincolante in un mero suggerimento [43].

Bisogna riconoscere l’esigenza di agire e seguire una linea che si espanda ben oltre le frontiere del cinema o della cultura, inondando il diritto e le politiche pubbliche di reale democraticità. Provarci vuol dire integrare un lavoro non facile ma nemmeno impossibile, perfettamente alla portata degli attuali mezzi statali, per cui però serve una marcata forza di volontà; in assenza, Madame Anastasia rimane inesorabilmente dispersa nel fiume cibernetico del web e difficilmente si può offrire ai minori uno strumento con cui crescere in modo sano e proficuo, rispettandone i bisogni e valorizzandone al meglio i diritti.

 

Note

[*] Simone Loi, dottore in Giurisprudenza presso l’Università Statale di Milano, loisimone12@gmail.com.

[1] Sulla base di quest’ultima e del suo regolamento esecutivo (decreto del Presidente della Repubblica 11 novembre 1963, n. 2029) vi erano quattro alternative provvedimentali: rilascio del nulla osta senza limitazione oppure condizionato con divieto ai minori di 14 o 18 anni, richiesta di tagli alla pellicola, diniego di nulla osta.

[2] Per un approfondimento storiografico relativo alla censura cinematografica e il successivo passaggio al sistema movie rating si vedano N. Bassi, La censura cinematografica fra valori costituzionali e giurisdizione di merito del giudice amministrativo, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 2013, 4, pag. 921 ss.; M. Ramajoli, Cinema e libertΰ: dalla censura preventiva al movie rating system, in Aedon, 2018, 1; N. Canzian, Storia di un lungo addio: la censura cinematografica nell’esperienza italiana, in MediaLaws, 2024, 1, pag. 32 ss.; M. Immordino, A. Contieri, La disciplina giuridica dello spettacolo, Giappichelli, Torino, 2023, pag. 437 ss.; M. Giusti, Dalla censura alla classificazione delle opere: il cinema dà l'addio a Madama Anastasia?, in Riv. trim. dir. pubbl., 2020, 2, pag. 515 ss.

[3] La tutela dei minori è comunque un onere dello Stato desumibile implicitamente dal dettato costituzionale e, in seguito alle evoluzioni nomofilattiche della Corte costituzionale, anche concepibile come un elemento compositivo dello stesso buon costume, che resta l’unico limite intrinseco alla libera manifestazione del pensiero ex art. 21 della Carta; sul punto cfr. M. Immordino, A. Contieri, La disciplina giuridica dello spettacolo, cit., pag. 448 ss.; N. Canzian, Storia di un lungo addio, cit., pag. 47.

[4] Il procedimento amministrativo e le funzioni della Commissione sono strutturati agli artt. 2-3 del d.lg. n. 203/2017, mentre per quanto concerne i criteri ci si riferisce al regolamento integrato nel decreto direttoriale 5 agosto 2021, n. 2203.

[5] Per quanto riguarda i festival sono i rappresentanti legali dell’ente organizzatore ad occuparsi della classificazione, in ossequio all’art. 5, comma 2, d.lg. n. 203/2017; le emittenti televisive adottano invece un apposito sistema interno e autonomo soltanto per i prodotti originali, mentre sono tenute a rispettare i provvedimenti amministrativi qualora il film sia stato precedentemente distribuito nei cinema, con restrizioni orarie per la trasmissione dei VM14 e divieto assoluto di diffusione per i VM18.

[6] Sostitutivo del precedente art. 34 del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, e in attuazione della direttiva 2007/65/CE.

[7] Per un’analisi puntuale di tale legge e dei relativi decreti delegati cfr. L. Casini, "Il nastro dei sogni"? Il diritto (pubblico) del cinema e dell'audiovisivo, in Aedon, 2017, 3.

[8] Questo solo per quanto riguarda i videogiochi, rinviando implicitamente al sistema Pegi (Pan European Game Information).

[9] Figura dell’iconografia satirica storicamente utilizzata come personificazione della censura cinematografica: è rappresentata da un’anziana signora che stringe un enorme paio di forbici e appare per la prima volta nei giornali francesi di fine Ottocento (storica l’illustrazione di André Gill sulla rivista L’eclipse). Il nome è probabilmente ispirato a Papa Anastasio I, censore della letteratura contrastante il cristianesimo, anche se non vi sono fonti certe in merito.

[10] M. Caporale, L’Agcom e la legge sul settore cinematografico e audiovisivo. Le opere audiovisive destinate al web, in Media Laws, 2018, 3, pag. 424 ss.; l’autrice cita a tal proposito la sentenza 11 maggio 2017, n. 104 della Corte costituzionale, consolidante l’idea di illegittimità della subdelega richiamata.

[11] Con leggere modifiche apportate dalla delibera n. 358/19/CONS del 18 luglio 2019.

[12] A norma dell’art. 2, d.lg. n. 203/2017, per le sale le alternative sono: T, 6+ (non adatto ai minori di sei anni, ma non vietato), 10+ (introdotta dall’art. 7, comma 3, d.l. 27 dicembre 2024, n. 201 e anch’essa non vincolante), VM14 e VM18.

[13] Quest’ultimo indica le opere non adatte ai minori di 18 anni a diffusione ristretta, termine che ricomprende “le modalità adottate dai fornitori di servizi di media audiovisivi a richiesta che consentano di escludere che i minori vedano o fruiscano i servizi attraverso l’imposizione di un sistema di controllo specifico e selettivo e di relativa segnaletica di avvertenza” (definizione da P. Sammarco, L’intervento dell’Agcom sulla classificazione delle opere audiovisive destinate al web e dei videogiochi, in Il diritto di autore, 2019, 3, pag. 372 ss.); la categoria rimane comunque puramente formale, non rilevandosi nella sostanza una differenza rispetto all’ordinario 18+.

[14] Artt. 8-10, delibera n. 74/19/CONS.

[15] Dalla comunicazione 8 novembre 2023 (https://www.agcom.it/provvedimenti/comunicazione-8-novembre-2023).

[16] Statuita a livello sovranazionale nel campo compositivo dei diritti del minore, su tutti dall’art. 2 del I Protocollo addizionale alla CEDU e dagli artt. 5, 14 e 18 della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 1989.

[17] Risalenti al 2023 e le cui conclusioni sono correttamente sintetizzate in italiano da T. Ciulli, Ma il parental control è efficace? Ecco le strategie alternative, in Agenda Digitale, 2 maggio 2024 (https://www.agendadigitale.eu/sicurezza/privacy/minori-e-digitale-il-parental-control-e-efficace-ecco-le-strategie-alternative/).

[18] Numerosi studi scientifici reperibili in rete segnalano l’impossibilità di statuire definitivamente sulla capacità dello strumento di prevenire dai rischi di internet; inoltre, particolarmente significativa la conclusione della eSafety Commissioner del governo australiano, che sul proprio sito sottolinea come nessun sistema di controllo parentale possa considerarsi efficace al 100% (https://www.esafety.gov.au/parents/issues-and-advice/parental-controls).

[19] David Smahel, Hana Machackova, Giovanna Mascheroni, Lenka Dedkova, Elisabeth Staksrud, Kjartan Ólafsson, Sonia Livingstone and Uwe Hasebrink, EU Kids Online 2020. Survey results from 19 countries, pag. 113 (https://www.eukidsonline.ch/files/Eu-kids-online-2020-international-report.pdf).

[20] Alfabetizzazione mediatica e digitale a tutela dei minori: comportamenti, opportunità e paure dei navigatori under 16, 15 febbraio 2024 (https://www.mimit.gov.it/it/notizie-stampa/consumo-dei-media-digitali-e-comportamenti-dei-minori-presentati-i-risultati-della-ricerca-promossa-dal-mimit-con-la-collaborazione-scientifica-delluniversita-cattolica-di-milano).

[21] Da specificare che i due report si rifanno a campioni numericamente diversi, ma a fasce d’età molto simili (9-16 anni il primo, 8-16 il secondo).

[22] Il 75% dei bimbi tra 6 e 9 anni usa già lo smartphone. E 2 italiani su 5 soffrono di 'nomofobia', in La Repubblica, 6 febbraio 2023 (https://www.repubblica.it/tecnologia/2023/02/06/news/giovani_uso_smartphone_ricerca_swg-386719936/).

[23] Un sistema completo e articolato è invece integrato nel servizio RaiPlay Yoyo, che però di base presenta solo contenuti specificamente dedicati ai bambini.

[24] Un raro caso di allineamento alle previsioni regolamentari è quello di Infinity+, servizio di Mediaset, come si rileva dalla pagina informativa dedicata (https://mediasetinfinity.mediaset.it/info/opere-web-misure-per-la-tutela-dei-minori_s24).

[25] Nel regolamento Agcom si parla di appositi pittogrammi, trasformati con le linee guida in un “disclaimer fisso della durata complessiva di 12 secondi, di cui i primi 3 secondi a schermo intero; nei successivi 9 secondi il disclaimer è inserito come testo scorrevole in una porzione limitata del video, comunque ben visibile e leggibile”.

[26] I dati si riferiscono al primo trimestre del 2024 e sono riportati da A. Biondi, Streaming, Netflix guida il mercato in Italia fra nuovi player e offerte con spot, in ilSole24Ore.com, 8 aprile 2024 (https://www.ilsole24ore.com/art/streaming-netflix-guida-mercato-italia-nuovi-player-e-offerte-spot-AFYcnZOD).

[27] https://help.netflix.com/it/node/2064.

[28] https://www.primevideo.com/help?nodeId=GFGQU3WYEG6FSJFJ.

[29] https://help.disneyplus.com/it/article/disneyplus-it-it-content-ratings.

[30] https://it.help.mubi.com/article/654-come-faccio-a-verificare-se-un-film-tratta-temi-sensibili.

[31] L’art. 2, comma 1, lettera b), numero 2) del decreto ministeriale 14 luglio 2017, n. 303 (come modificato dal decreto ministeriale 12 luglio 2023, n. 251) statuisce il tempo che deve intercorre tra la distribuzione nei cinema e la proposizione dell’opera online, tramite le cosiddette “finestre di programmazione”: centocinque giorni dalla data di prima proiezione in pubblico, ridotto a sessanta giorni se l’opera è programmata in meno di ottanta schermi e dopo i primi ventuno giorni ha ottenuto un numero di spettatori inferiore a cinquantamila.

[32] Tutte le informazioni classificatorie di seguito richiamate si riferiscono ad una consultazione dei cataloghi delle piattaforme avvenuta nel mese di ottobre 2024.

[33] Le classificazioni amministrative sono rinvenibili all’interno del database della Direzione generale cinema e audiovisivo (https://cinema.cultura.gov.it/database-nuova-classificazione/); per quelle antecedenti la riforma ci si può invece riferire ad una seconda banca dati sempre presente sul medesimo sito (https://cinema.cultura.gov.it/database-nulla-osta-film/) oppure a quella strutturata dal progetto Italia Taglia (https://www.italiataglia.it/search/1944_2000), che riporta anche le motivazioni dei visti censura.

[34] Nello specifico a pagina 3; la relazione è consultabile sul sito dell’Autorità (https://www.agcm.it/dotcmsdoc/relazioni-annuali-cinema/rel_distr_cinematografica_2023.pdf).

[35] L’art. 528 del Codice penale (oggi depenalizzato) permetteva alle Procure di agire nei confronti delle pubblicazioni con carattere di oscenità, previsione nella prassi spesso tradottasi in sequestri preventivi dei film già autorizzati dalla Commissione ministeriale in vista di giudizi processuali, che nella maggior parte dei casi finivano poi con l’assolvere le pellicole e i loro autori. Per un approfondimento a riguardo cfr. M. Ramajoli, Cinema e libertΰ, cit.; M. Immordino, A. Contieri, La disciplina giuridica dello spettacolo, cit., pag. 453 ss.

[36] Corte cost., 27 marzo 1974, n. 86.

[37] A. Tomanelli (a cura di), Cinema e diritto di cronaca, in Difesa dell’informazione, 2007 (http://www.difesadellinformazione.com/125/cinema-e-diritto-di-cronaca/).

[38] Basti vedere i tentativi di regolamentazione dell’accesso ai siti pornografici: proprio a tal proposito l’Agcom ha avviato, con delibera n. 61/24/CONS del 6 marzo 2024, una consultazione pubblica per l’approvazione di nuove modalità tecniche adibite all’accertamento della maggiore età online, dalla quale è scaturito uno schema di provvedimento che suggerisce l’adozione di sistemi basati su applicativi di identità digitale, attualmente non ancora implementati e la cui funzionalità è tutta da dimostrare, considerando anche la necessità di armonizzazione con le previsioni a tutela della privacy.

[39] Art. 3, comma 1, lettera f) e art. 10, comma 1, lettera h).

[40] In attuazione delle leggi 13 luglio 2015, n. 107, e n. 220/2016; una descrizione dettagliata dei progetti attivabili e dei possibili beneficiari è rinvenibile al sito della Direzione generale cinema e audiovisivo (https://cinema.cultura.gov.it/cosa-facciamo/sostegni-economici/linee-di-sostegno/promozione/cinema-per-la-scuola/).

[41] Dati pubblicati il 31 agosto 2023 in occasione di un incontro nell’ambito dell’80° Mostra del Cinema di Venezia (https://cinemaperlascuola.istruzione.it/wp-content/uploads/2023/08/Slide_31agosto23_cinemaperlascuola-def.pdf).

[42] Per l’a.s. 2022/2023, gli stessi dati indicano un tasso di approvazione del 66%.

[43] Come già accade in alcuni paesi stranieri, ad esempio i Paesi Bassi, il Belgio e gli Stati Uniti; un puntuale approfondimento su questi sistemi e un loro confronto con quello italiano si rinviene in M. Giusti, Dalla censura alla classificazione delle opere, cit., passim.

 

 

 



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