Individuazione dei beni culturali
Sulla legittimità della dichiarazione di interesse culturale, a seguito di verifica negativa, di un bene oggetto di trasformazioni (Nota a Tar Calabria, Catanzaro, sez. I, sentenza n. 623/2024)
di Salvatore Catizone [*]
Sommario: 1. La vicenda processuale. - 2. Rapporto tra procedimento di verifica e dichiarazione di interesse culturale. - 3. Le trasformazioni di un bene e la loro rilevanza ai fini della dichiarazione di interesse culturale. - 4. L’estensione spaziale del vincolo alla luce del principio di proporzionalità. - 5. Considerazioni conclusive.
Il presente contributo è un commento alla sentenza n. 623/2024 del Tribunale amministrativo regionale della Calabria, sede di Catanzaro, con cui è stata riconosciuta la legittimità del decreto del segretario regionale per la Calabria della Cultura, che aveva dichiarato di interesse particolarmente importante un immobile. La pronuncia in esame affronta due questioni intriganti. La prima è se il decreto impugnato possa essere qualificato come atto di riesame o di secondo grado, espressione dunque del potere di autotutela, rispetto a un precedente provvedimento di verifica negativa dell’interesse culturale. La seconda è se sia legittimo dichiarare di interesse particolarmente importante un immobile che ha subito varie trasformazioni architettoniche nel corso degli anni ed è composto anche da parti non riconducibili alla struttura originaria.
Parole chiave: interesse culturale; verifica negativa; successiva dichiarazione; autotutela; trasformazioni architettoniche.
On the legitimacy of the declaration of cultural interest, following negative verification, of a property subject to transformation (Note to Tar Calabria, Catanzaro, sez. I, sentence no. 623/2024)
This contribution is a commentary on ruling No. 623/2024 of the Regional administrative court of Calabria, Catanzaro, in which the legitimacy of the decree of the regional secretary for Culture of Calabria, which had declared a property to be of particularly important interest, was recognised. The ruling under review addresses two intriguing issues.The first is whether the contested decree can be qualified as an act of re-examination or of second instance, therefore an expression of the power of self-protection, with respect to a previous measure of negative verification of cultural interest. The second is whether it is legitimate to declare of particularly important interest a building that has undergone various architectural transformations over the years and is also composed of parts that cannot be traced back to the original structure.
Keywords: cultural interest; negative verification; subsequent declaration; self-protection; architectural transformations.
Gli interessanti spunti di riflessione contenuti nella recente pronuncia in commento nascono dalla complessità della vicenda a essa sottesa.
La società Investimenti immobiliari italiani (di seguito Invimit) ha impugnato innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sede di Catanzaro, il decreto del 30 marzo 2020 del segretario regionale per la Calabria dell’allora ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, con il quale, ai sensi degli artt. 10, comma 3, 13 e 14 del d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), l’immobile denominato “ex caserma Triggiani già convento delle clarisse di santa Chiara” [1] era stato dichiarato di interesse particolarmente importante e sottoposto a tutte le disposizioni di tutela contenute nel citato decreto legislativo.
Precedentemente, nel luglio del 2016, la società ricorrente aveva acquisito il complesso immobiliare a seguito di contratto di compravendita stipulato con l’allora proprietaria amministrazione provinciale di Catanzaro, la quale, in quanto ente pubblico territoriale, proprietario di un immobile di interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico, ad opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalisse ad oltre settanta anni (artt. 10, comma 1 e 12, comma 1, d.lg. n. 42/2004), al fine di poter alienare l’immobile, aveva dato impulso al procedimento di verifica dell’interesse culturale, a sua volta conclusosi nell’aprile del 2016, quando la commissione regionale per il patrimonio culturale costituita presso il segretariato regionale per la Calabria del Mibact aveva dichiarato non sussistente l’interesse culturale [2].
Successivamente, nel novembre del 2019, la locale soprintendenza, rilevato che i dati forniti dall’amministrazione provinciale di Catanzaro in sede di procedimento di verifica dell’interesse culturale presentavano incongruenze e inesattezze, aveva avviato il procedimento per la dichiarazione di interesse culturale dell’immobile, ai sensi degli artt. 10, comma 3, 13 e 14 del d.lg. n. 42/2004.
Il procedimento aveva poi portato all’adozione del decreto oggetto del giudizio innanzi al tribunale amministrativo. In particolare, la lamentata illegittimità di tale provvedimento si è basata su due motivi.
Secondo la parte ricorrente, in primo luogo, doveva essere qualificato come quale atto di riesame o di secondo grado rispetto al provvedimento di esclusione dell’interesse culturale e, conseguentemente, doveva ritenersi invalido sia qualora fosse stato sussunto sotto l’istituto dell’annullamento d’ufficio (art. 21-nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241) sia sotto quello della revoca (art. 21-quinquies della medesima legge), non sussistendo in alcun caso i relativi presupposti.
Inoltre, era viziato da difetto di istruttoria e sproporzionato, in quanto, da un lato, le alterazioni subite nel corso negli anni dall’edificio lo avevano privato dell’originaria impostazione architettonica, dall’altro non era comprensibile la decisone di appore il vincolo su tutto il complesso, quindi anche sulle parti non riconducibili alla sua struttura originaria.
2. Rapporto tra procedimento di verifica e dichiarazione di interesse culturale
Prima di procedere a una disamina della pronuncia e all’analisi delle motivazioni con cui sono stati rigettati i due motivi di ricorso, è essenziale riportare la principale differenza intercorrente tra gli istituti della verifica di interesse culturale e la dichiarazione di interesse culturale [3].
La prima poggia sulla presunzione legale relativa secondo cui le cose indicate dall’art. 10, comma 1, del d.lg. n. 42/2004 [4], che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni, sono sottoposte alle disposizioni della seconda parte del codice fino a quando non sia appunto stata effettuata la verifica ad opera dei competenti organi del ministero, d’ufficio o su richiesta formulata dai soggetti cui le cose appartengono.
La seconda accerta e dichiara l’interesse richiesto dall’art, 10, comma 3, d.lg. n. 42/2004 nelle cose menzionate dalla stessa norma [5].
Ciò premesso, il primo motivo di ricorso è stato dichiarato infondato sulla base delle seguenti argomentazioni.
È stato innanzitutto escluso che con il provvedimento impugnato l’amministrazione abbia esercitato il potere di autotutela, con tale locuzione intendendosi una nuova valutazione delle medesime circostanze di fatto e di diritto poste alla base del provvedimento oggetto di riesame [6], mancando una simmetria della qualità delle due valutazioni. Infatti, è ormai principio consolidato in giurisprudenza [7] e in dottrina [8] quello secondo cui la verifica dell’interesse culturale prevista dall’art. 12, comma 2, del d.lg. n. 42/2004 per le cose di cui al precedente comma è basata su presupposti diversi rispetto alla prevista dal successivo art. 13 per le cose di cui all’art. 10, comma 3.
La prima è finalizzata a verificare la sussistenza di un “interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico”, che il legislatore non ha in alcun modo aggettivato [9], mentre la seconda accerta la sussistenza sempre di un interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico, il quale deve essere tuttavia “particolarmente importante”.
Sulle ragioni di tale differenza, basti considerare l’esigenza di contemperare gli interessi del privato, che vede significativamente limitato l’utilizzo e lo sfruttamento di un bene di cui sia dichiarato l’interesse culturale, con l’interesse pubblico alla preservazione del bene che presenta un interesse culturale: il punto di equilibrio tra le indicate, contrapposte, esigenze è stato quindi individuato dal legislatore nella possibilità di sottoporre a tutela i beni privati solo quando l’interesse culturale sia particolarmente qualificato.
Le medesime esigenze non si confrontano, invece, quando il bene sia di proprietà pubblica, e ciò spiega la ragione per cui per i beni culturali pubblici è sufficiente anche un interesse non qualificato affinché siano sottoposti a tutela.
Si tratta di una scelta coerente con il rilievo primario che la nostra Costituzione accorda alla tutela del patrimonio culturale e paesaggistico rispetto agli altri interessi pubblici compresenti [10].
È proprio quest’ultimo elemento che consente di affermare che nel caso di specie non vi sia alcun esercizio di potere di autotutela, atteso che il provvedimento impugnato non è stato adottato sulla base di una mera rivisitazione delle vicende originarie (che non costituiscono, dunque, le ragioni alla base della dichiarazione), ma si fonda sulla condivisione delle risultanze tecniche contenute nella relazione istruttoria allegata [11].
Questo passaggio della sentenza merita di essere approfondito.
La tesi del ricorrente era evidentemente fondata sul contenuto dell’art. 12 del d.lg. n. 42/2004, il quale, pur non descrivendo il provvedimento conclusivo del procedimento di verifica, ne disciplina gli effetti ai commi 4, 5, 6 e 7 [12].
Ad avviso di chi scrive, il contenuto di tali norme conferma la correttezza delle valutazioni compiute nella pronuncia in commento in ordine all’insussistenza di esercizio di potere di autotutela.
Nel caso di verifica avente esito positivo (comma 7), il provvedimento che accerti l’interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico costituisce atto amministrativo espresso di conferma della presunzione legale relativa di sussistenza dell’interesse culturale [13], su cui non è ammessa più alcuna prova contraria su richiesta dell’interessato.
Per tale ragione, il legislatore ha equiparato tale accertamento alla dichiarazione ai sensi dell’articolo 13, a un atto di accertamento avente effetto costituivo [14] dell’applicazione del regime di tutela a tempo indeterminato, cosicché il bene resta “definitivamente” sottoposto alle disposizioni del titolo primo della parte seconda del d.lg. n. 42/2004.
Invece, nel caso di verifica avente esito negativo (comma 4), come avvenuto nel caso di specie, poiché questa rappresenta la prova contraria che fa venire meno la presunzione legale relativa di sussistenza dell’interesse culturale, il bene è escluso dall’applicazione delle disposizioni del suddetto titolo [15], ma il legislatore, in questo caso, non ha specularmente qualificato tale esclusione come “definitiva”.
Ciò comporterebbe, come suggerisce l’avverbio “definitivamente”, che mentre gli effetti della verifica positiva, in quanto scaturenti da un provvedimento amministrativo ad efficacia durevole, sarebbero caducabili solo a seguito di nuova valutazione di senso contrario da parte dell’amministrazione nell’esercizio del potere di revoca, l’esito negativo della verifica implicherebbe invece un’esclusione “semplice e non definitiva” dall’applicazione delle disposizioni del titolo primo della parte seconda del d.lg. n. 42/2004, senza tuttavia impedire che lo stesso bene possa essere nuovamente ricondotto nell’alveo delle disposizioni del codice non solo tramite un provvedimento di secondo grado in autotutela, ma anche attraverso la dichiarazione ai sensi dell’art. 13, sussistendone i relativi presupposti [16], che, per l’immobile de quo, sono l’interesse particolarmente importante e l’appartenenza a soggetto diverso da quelli indicati all’art. 10, comma 1, d.lg. n. 42/2004.
Nel caso in esame, l’adozione di questo secondo tipo di provvedimento ha dunque escluso la sussistenza di esercizio del potere di autotutela da parte dell’amministrazione procedente, la quale ha accertato una qualità intrinseca del bene, l’interesse particolarmente importante, che l’esito negativo della verifica volta all’accertamento del diverso interesse semplice non ha fatto venire meno [17].Sulla base di quanto fin qui esposto, deve essere altresì precisata la portata di un principio, riportato in alcune sentenze [18], tra cui quella in commento, secondo cui “La disposizione di cui all’art. 12 d.lg. n. 42/2004 ha introdotto, cautelarmente, un vincolo culturale in forza di una presunzione di legge, superabile soltanto a seguito di una verifica negativa, in quanto finalizzata all’esclusione dell’interesse culturale e, conseguentemente, al definitivo esonero dall’applicazione delle disposizioni di tutela dei beni culturali”.
Nel caso di verifica negativa, a essere definitiva è solo l’inoperatività, con effetto retroattivo [19], della c.d. presunzione di culturalità, prevista per le cose indicate all’articolo 10, comma 1, che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni, non potendosi invece escludere, come già sopra precisato, che lo stesso bene possa essere nuovamente sottoposto alle disposizioni di tutela codicistiche [20].
Ma la motivazione della sentenza si spinge oltre, dimostrando che, pur accogliendo le tesi della società ricorrente, le stesse sarebbero comunque infondate.
Infatti, anche se si qualificasse il provvedimento gravato come espressione del potere di autotutela, questo non sarebbe né un atto di annullamento d’ufficio (a) né di revoca (b), dal momento che, nello stesso:
a - non si può evincere che si sia voluto rimuovere un vizio di legittimità della precedente verifica negativa [21], potendosi invece affermare che l’amministrazione procedente abbia voluto produrre ex novo autonomi effetti giuridici [22], riconoscendo la sussistenza [23] di quell’interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolarmente importante in capo a un bene immobile appartenente a un privato, che, per effetto della dichiarazione e a partire dalla stessa, sarà sottoposto alle prescritte disposizioni di tutela;
b - non si dà atto né del “mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell’adozione del provvedimento”, né dell’emersione di “sopravvenuti motivi di pubblico interesse”, né di una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario che giustifichino la rimozione degli effetti determinati dal provvedimento di primo grado.
Sulla non configurabilità del provvedimento impugnato come espressione del potere di annullamento d’ufficio non sembrano esserci molti dubbi, mancando i presupposti della violazione di legge, dell’eccesso di potere o dell’incompetenza di cui all’art. 21-octies, legge n. 241/1990, richiamato dall’art. 21-nonies, comma 1.
È infatti fuor di dubbio che il provvedimento conclusivo del procedimento di verifica dell’interesse culturale sia immune dai vizi sopra elencati, né nel provvedimento impugnato si dà atto dell’intenzione di voler rimuovere tali vizi.
Del resto - si ribadisce - anche il richiamo alla precedente istruttoria, svolta sulla base dei dati erronei forniti dall’amministrazione provinciale di Catanzaro, è mero antecedente storico del provvedimento impugnato, che non si basa su di essa, ma sui dati della relazione tecnica.
Non può dunque dirsi che si sia voluto eliminare il vizio di difetto di istruttoria. Può invece risultare (ma solo apparentemente) più problematico sostenere che col provvedimento impugnato non si sia voluto revocare il provvedimento conclusivo del procedimento di verifica dell’interesse culturale a causa di “sopravvenuti motivi di pubblico interesse, mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell’adozione del provvedimento o, salvo che per i provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario”.
In realtà, a ben vedere, nel decreto impugnato non è dato evincere un mutamento della situazione fattuale in ordine al bene considerato, dal momento che le caratteristiche dell’immobile non sono cambiate dopo il provvedimento di verifica negativa.
Quanto invece al nuovo e diverso apprezzamento di interessi pubblici (sopravvenuti e originari), neppure questo si rinviene, atteso che, in questo ambito, aderendo all’orientamento maggiormente affermato in giurisprudenza [24], l’attività dell’amministrazione assume sostanzialmente carattere ricognitivo e conoscitivo (si veda l’art. 3, comma 1, d.lg. n. 42/2004) e non volitivo e decisionale [25], non implicando una scelta tra diverse soluzioni possibili per il perseguimento di un determinato interesse pubblico.
Ed è proprio la circostanza che nell’attività volta alla imposizione del vincolo siano assenti profili di carattere eminentemente volitivi e decisionali che consente di qualificare tale attività non come esercizio di discrezionalità amministrativa in senso lato, ma, invece, come esercizio di discrezionalità tecnica in senso proprio [26].
Infatti, mentre la discrezionalità amministrativa comporta sia la necessaria valutazione e ponderazione di interessi, sia un potere di scelta in ordine all’agire, da esercitarsi nel rispetto delle regole giuridiche e non giuridiche applicabili al caso concreto, altrettanto non avviene in sede di esercizio di discrezionalità tecnica.
In tale ultimo caso, la valutazione dell’interesse pubblico da raggiungere, con le relative modalità, è stata effettuata, in maniera vincolante, dal legislatore, che ha affidato all’amministrazione un’attività, esercizio di discrezionalità tecnica, di valutazione dei fatti posti dalla legge a presupposto dell’operare, nello specifico la conformità della cosa valutata ad un modello astratto alla stregua di criteri estetico-culturali.
In via ulteriormente gradata - prosegue la sentenza - anche se il provvedimento impugnato fosse qualificato come atto di annullamento o di revoca, lo stesso sarebbe immune dalle censure invocate dalla ricorrente, dal momento che:
1 - quanto al mancato apprezzamento di un interesse pubblico concreto ed attuale, sono opportunamente evidenziate le ragioni che giustificano la salvaguardia del bene, come meglio si esporrà nel successivo paragrafo;
2 - quanto al mancato apprezzamento degli interessi del soggetto privato, dalla lettura sistematica delle norme del codice, emerge che la dichiarazione di interesse culturale di cui all’art. 13, comma 1, è l’esito di un procedimento, caratterizzato da ampia discrezionalità tecnica, volto ad accertare se il bene possieda o meno una determinata caratteristica, e, in caso di esito positivo dell’accertamento, governato dalla sola applicazione di regole di giudizio tecnico, tale determinazione non deve essere ponderata con gli interessi del privato proprietario, il quale può solamente presentare osservazioni una volta ricevuta la comunicazione di avvio del procedimento [27].
Nel caso in esame, Invimit ha omesso di presentare le suddette osservazioni;
3 - quanto al decorso del tempo, premesso il dato oggettivo dei quasi quattro anni trascorsi tra i due provvedimenti (aprile 2016 - marzo 2020), è ragionevole ritenere che il potere provvedimentale non si sia consumato, atteso che l’amministrazione provinciale di Catanzaro, in fase di avvio del procedimento volto alla verifica di cui all’art. 12, comma 2, ha presentato una documentazione carente, piena di errori ed inesattezze [28] che hanno determinato l’erroneo esito negativo della verifica [29].
3. Le trasformazioni di un bene e la loro rilevanza ai fini della dichiarazione di interesse culturale
Anche il secondo motivo di ricorso è stato dichiarato infondato, dal momento che i rilevi contenuti nella motivazione del provvedimento impugnato e nella relazione illustrativa a esso allegata sono risultati immuni dalle censure formulate dalla società ricorrente. Nello specifico, quest’ultima aveva eccepito che l’edificio, interessato, anche in tempi recenti, da interventi edilizi, avrebbe perso la sua originaria impostazione architettonica e che non fosse coerente col canone di proporzionalità dichiarare di interesse culturale l’intera struttura e non invece le sole parti riconducibili alla chiesa e al convento di epoca medioevale.
Le argomentazioni con cui il collegio ha rigettato le suddette doglianze sono di particolare interesse.
Innanzitutto, viene evidenziato che, sebbene non possa negarsi che l’immobile sia stato oggetto di trasformazioni, queste non ostano alla dichiarazione di interesse culturale. Al contrario, le suddette trasformazioni, non avendo intaccato la conformazione della struttura originaria dell’edificio, hanno reso quest’ultimo una testimonianza attuale e concretamente evocativa delle vicende storiche, religiose e sociali della città, nonché meritevole di protezione [30].
Le trasformazioni che si sono succedute negli anni vengono dunque valorizzate, secondo un ragionamento, che potremmo definire di “resistenza storica”, in ragione del quale la resistenza (appunto) di elementi architettonici, che richiamano l’originaria struttura e conformazione di un edificio, alle trasformazioni ad opera o meno dell’uomo, conforta [31], e non contrasta, l’esistenza di un interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolarmente importante [32].
Del resto, le esigenze di tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico diventano sempre più impellenti quanto più è a rischio l’integrità del bene da tutelare [33].
In definitiva, il fatto che si siano succedute nel tempo modifiche o aggiunte al complesso originario non integra di per sé motivo sufficiente per poter ritenere il giudizio espresso dalla Soprintendenza illegittimo per illogicità, incongruenza o, in generale, per sviamento.
A conferma di ciò, in una diversa vicenda processuale, in cui l’entità delle alterazioni subite dalla costruzione era tale da non consentire la lettura delle caratteristiche architettoniche primigenie, il Tar Sicilia, Catania, con la sentenza 2 marzo 2017, n. 414, ha ritenuto legittimo il provvedimento della Soprintendenza con cui era stato concluso negativamente il procedimento di dichiarazione dell’interesse culturale [34].
4. L’estensione spaziale del vincolo alla luce del principio di proporzionalità
È stato ritenuto insussistente anche il vizio di proporzionalità della decisione di adottare il provvedimento con riguardo all’intero immobile.
Infatti, se è vero che tutto il complesso è riconducibile alla chiesa e al convento medioevali, allora è ragionevole che il complesso stesso sia qualificato come un unicum [35], cosicché la dichiarazione non avrebbe potuto riguardare solo parti di questo [36].
Sull’argomento, si segnala una pronuncia del Consiglio di Stato (sez. VI, sentenza 7 gennaio 2022, n. 54) [37], che contiene un’analisi estremamente interessante sull’estensione della dichiarazione di interesse culturale alla luce del dato normativo, a partire da un’interpretazione letterale dello stesso.
Già la legge 20 giugno 1909, n. 364, all’art. 1, assoggettava alle sue disposizioni “le cose immobili e mobili che abbiano interesse storico, archeologico, paletnologico o artistico”, nella loro interezza e non solo le parti di esse nelle quali fosse stato rinvenuto, in via diretta, l’interesse culturale.
Di uguale tenore erano le norme della legge 1° giugno 1939, n. 1089 [38]. Poiché le due fonti citate non distinguevano in alcun modo tra beni il cui interesse culturale fosse determinato da singoli dettagli o parti e beni che avessero il suddetto interesse in sé considerati, deve ritenersi che anche il legislatore avesse inteso assoggettare alle norme in essa contenute i beni dichiarati di interesse culturale intesi nella loro interezza, sul presupposto che l’interesse culturale, ancorché in concreto originato da un singolo dettaglio, assume il particolare significato di cui si intende tramandare memoria solo se valutato nel contesto del bene originario, rischiando altrimenti di perdersi, almeno in parte, la comprensione di esso [39].
Anche dalle norme contenute nel d.lg. n. 42/2004 emerge che oggetto della dichiarazione di interesse culturale non può che essere una cosa mobile o immobile, intesa nella sua interezza, poiché, solo intendendolo nell’indicata accezione, il sintagma “cosa di interesse culturale” assume il medesimo significato in tutte le disposizioni: il singolo elemento di interesse culturale, contenuto in una “cosa” non potrebbe, infatti, essere oggetto di autonoma iscrizione o trascrizione in pubblici registri ed è anche evidente, dall’art. 14, che il legislatore opera una chiara distinzione tra la “cosa di interesse culturale” e “gli elementi di identificazione e di valutazione della cosa”, in tal modo specificando che la dichiarazione di interesse culturale, ed il particolare regime di tutela che da essa discende, investe un bene nella sua interezza, a cagione della presenza in esso di particolari elementi.
D’altra parte, tale dirimente emergenza fattuale corrisponde al generale criterio di logica e di esperienza per cui, salvo che non sia diversamente stabilito, i palazzi storici, che usualmente identificano un complesso unitario, quand’anche formato da successive stratificazioni e addizioni, devono presumersi vincolati nel loro insieme, stante l’esigenza che tali beni siano assoggettati a tutela nella loro interezza, a prescindere dal maggiore o minore pregio storico e artistico delle loro singole parti.
Diversamente, la storicità del vincolo, che si riferisce al valore testimoniale dell’unità complessiva del manufatto, perderebbe ragione [40].
In questo paragrafo finale, si ritiene opportuno fare cenno a un ulteriore aspetto della vicenda oggetto della sentenza annotata, ossia se sussista e attraverso quali strumenti vada garantita un’esigenza di tutela del terzo acquirente dei beni indicati dall’art. 10, comma 1, d.lg. n. 42/2004.
Pur non potendosi negare che dagli artt. 1, 2 e 13 e dalla sistematica del Titolo I del d.lg. n. 42/2004 non emerga alcuno spazio all’interno del quale, ai fini della dichiarazione del pregio culturale di un bene, affiorino anche gli interessi secondari del privato proprietario, poiché, nella logica seguita dal legislatore, si tratta di un procedimento volto all’accertamento di una qualità che il bene possiede e che non può certo venire meno in considerazione di eventuali interessi secondari riconducibili all’utilizzazione e agli oneri di conservazione del bene, non ci si può comunque esimere dall’interrogarsi se il terzo acquirente subisca un pregiudizio risarcibile qualora il bene sia stato preventivamente sottoposto a verifica negativa, quest’ultima abbia avuto esito negativo, egli abbia fatto affidamento su tale esito e sia poi intervenuta una dichiarazione di interesse culturale.
È necessario un distinguo.
Se il procedimento di verifica dell’interesse culturale si è concluso negativamente sulla base di dati corretti, il terzo acquirente non può lamentare alcun danno a causa di tale provvedimento, se il bene, dopo il negozio traslativo, sia stato dichiarato di interesse culturale.
Se, invece, il procedimento di verifica si è concluso negativamente sulla base di dati erronei forniti dalla pubblica amministrazione proprietaria e, una volta alienato, il bene è stato successivamente dichiarato di interesse culturale e tale dichiarazione è stata ritenuta legittima, come nel caso di specie, è ipotizzabile per il terzo acquirente un danno risarcibile da parte della pubblica amministrazione proprietaria [41] nel caso in cui sia accertata l’illegittimità del provvedimento negativo di conclusione della verifica [42], unitamente agli altri presupposti.
Note
[*] Salvatore Catizone, dottorando di ricerca di Diritto amministrativo presso l’Università degli Studi “Magna Græcia” di Catanzaro, Viale Europa, 88100 Catanzaro, salvatore.catizone@studenti.unicz.it.
[1] Situata nel centro di Catanzaro, l’ex caserma Triggiani è stata realizzata sul sedime dell’ex monastero di santa Chiara e dell’annesso convento delle clarisse, risalenti al XIII secolo, e ha ospitato gli uffici dell’arma dei Carabinieri dal 1872.
[2] Il provvedimento conclusivo del procedimento di verifica può essere consultato qui: https://www.weboggi.it/Cronaca/negato-l-interesse-storico-culturale-dell-ex-caser/.
[3] Per un inquadramento dottrinale, si vedano, rispettivamente, A. Barletta, Art. 12, e A. Zucchelli, Artt. 13-16, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, (a cura di) M.A. Sandulli, Milano, 2019, pag. 137 ss. e 147 ss.
[4] “Sono beni culturali le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico”, ed è proprio la sussistenza di tale interesse l’oggetto della verifica.
[5] Tra queste rientrano “le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolarmente importante, appartenenti a soggetti diversi da quelli indicati al comma 1”.
[6] R. Garofoli e G. Ferrari, Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2010, pag. 1020, definiscono l’autotutela decisoria c.d. spontanea come la funzione di riesame e di nuova valutazione delle situazioni di fatto e di diritto poste alla base del provvedimento amministrativo.
[7] Ex multis si veda Cons. St., sez. VI, 16 luglio 2015, n. 3560, e 4 agosto 2023, n. 7542.
[8] M. Brocca, L’individuazione dei beni culturali e il ruolo della partecipazione procedimentale (nota a Consiglio di Stato, sez. VI, decisione 5 ottobre 2004, n. 6483), in Aedon, 2005, 1, e A. Mignozzi, La prelazione quale strumento di fruizione dei beni culturali alla collettività, in Obbligazioni e Contratti, 2009, 2, pag. 166.
[9] G. Sciullo, La verifica dell’interesse culturale, in Aedon, 2004, 1, evidenzia come di tale assenza di aggettivazione si dia atto anche nella relazione di accompagnamento al codice.
[10] A.C. Nazzaro, Nuovi beni tra funzione e dogma, in Contratto e Impresa, 2013, 4-5, pag. 1041: “La ragione che potrebbe spiegare una simile differenza potrebbe ritrovarsi nella distinzione stessa tra beni pubblici e privati o meglio tra proprietà pubblica e privata laddove la prima, com’è noto, è funzionalizzata alla soddisfazione di interessi collettivi e risulta con maggiore facilità assoggettabile ad un regime vincolistico”. Tali rilevi sono stati condivisi anche in giurisprudenza da Cons. St., sez. VI, 4 agosto 2023, n. 7542.
[11] Peraltro, in una vicenda analoga, il Tar Campania, Napoli, sez. VII, 26 aprile 2022, n. 2805, era giunto a identiche conclusioni: “L’attivazione (ex officio) del procedimento ex artt. 13 e 14 d.lg. cit. volto alla dichiarazione di interesse culturale particolarmente importante (ai sensi dell’art. 10, comma 3), non implica - evidentemente - un ‘ripensamento’ da parte dell’autorità tutoria rispetto alla già ritenuta inesistenza dell’interesse storico ai sensi dell’art. 10, comma 1, d.lg. cit., da estrinsecare attraverso il paradigma dell’art. 21-quinquies o 21-nonies legge 241/1990”.
[12] “4. Qualora nelle cose sottoposte a verifica non sia stato riscontrato l’interesse di cui al comma 2, le cose medesime sono escluse dall’applicazione delle disposizioni del presente Titolo. 5. Nel caso di verifica con esito negativo su cose appartenenti al demanio dello Stato, delle regioni e degli altri enti pubblici territoriali, la scheda contenente i relativi dati è trasmessa ai competenti uffici affinché ne dispongano la sdemanializzazione qualora, secondo le valutazioni dell’amministrazione interessata, non vi ostino altre ragioni di pubblico interesse. 6. Le cose di cui al comma 4 e quelle di cui al comma 5 per le quali si sia proceduto alla sdemanializzazione sono liberamente alienabili, ai fini del presente codice. 7. L’accertamento dell’interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico, effettuato in conformità agli indirizzi generali di cui al comma 2, costituisce dichiarazione ai sensi dell’articolo 13 ed il relativo provvedimento è trascritto nei modi previsti dall’articolo 15, comma 2. I beni restano definitivamente sottoposti alle disposizioni del presente Titolo”.
[13] N. Aicardi, Commento all’art. 12, in Commentario del Codice dei beni culturali e del paesaggio, (a cura di) G. Trotta, G. Caia e N. Aicardi, in Le nuove leggi civili commentate, 2005, 5-6, pag. 1144: “L’interesse culturale del bene non è più, cioè, soltanto legalmente presunto, ma è effettivamente accertato”.
[14] Si veda successiva nota n. 25.
[15] Sugli esiti del procedimento di verifica si veda N. Aicardi, Commento all’art. 12, cit., pag. 1142.
[16] Così C. Volpe, Art. 12, in Commentario al codice dei beni culturali e del paesaggio, (a cura di) G. Leone e A.L. Tarasco, Padova, 2006, pag. 158, che cita R. Tamiozzo, La legislazione dei beni culturali e paesaggistici, Milano, 2004, pag. 52: “Anche se nulla giustamente dispone al riguardo il codice, deve ritenersi che tale determinazione (negativa n.d.r.) finale del procedimento di verifica non possa in nessun caso precludere all’amministrazione preposta alla tutela dei beni culturali di intervenire in un qualsiasi momento successivo alla conclusione della verifica negativa per sottoporre il bene verificato negativamente ad un autonomo provvedimento che dichiari l’interesse del bene in virtù di elementi documentali e documentati medio tempore acquisiti, idonei a dimostrare che, contrariamente a quanto ritenuto nel momento di effettuazione della verifica, il bene è invece meritevole di tutela”. In giurisprudenza, Cons. St., sez. VII, 3 novembre 2023, n. 9538: “L’esercizio del potere di vincolo della Soprintendenza non incontra alcun termine di perenzione”.
[17] Si consideri che l’interesse culturale del bene non viene creato dal provvedimento amministrativo, che si limita a riconoscerlo, rivelarlo e dichiararlo pubblicamente, ma esiste fin dall’origine. Così A. Mansi, La tutela dei beni cultuali e del paesaggio, Padova, 2004, pag. 100 ss., e A. Pontrelli, Art. 13, in Commentario al codice dei beni culturali e del paesaggio, (a cura di) A.M. Angiuli e V. Caputi Jambrenghi, Torino, 2005, pag. 75.
[18] A partire da Cons. St., sez. VI, 12 febbraio 2015, n. 769.
[19] N. Aicardi, Commento all’art. 12, cit., pag. 1142.
[20] In senso conforme, Tar Friuli Venezia-Giulia, sez. I, 28 agosto 2013, n. 438: “L’interesse ai sensi dell’art. 10, comma 3, lett. d) non era pertanto accertabile nell’ambito della verifica ex art. 12: procedimento di verifica che si è concluso con esito negativo in data 6 marzo 2006, senza che questo potesse in alcun modo precludere la possibilità di imposizione di vincoli ai sensi della lettera d) dell’art. 10, comma 3, che, è applicabile a prescindere dal regime proprietario dell’immobile e non richiede il presupposto della cosiddetta storicizzazione”.
[21] Se così fosse, premesso che l’annullamento d’ufficio determina la caducazione dell’atto di primo grado con efficacia retroattiva, si sarebbe dovuto provvedere a far accertare e dichiarare la nullità, ai sensi dell’art. 164 del d.lg. n. 42/2004, del contratto di compravendita.
[22] Pur non espressamene citata, è richiamato il principio della sentenza del Tar Campania, Napoli, sez. VII, 26 aprile 2022, n. 2805.
[23] Se il provvedimento impugnato fosse stato atto di annullamento d’ufficio o di revoca, si sarebbe limitato a far venir meno (in termini negativi) l’atto di primo grado, nonché i suoi effetti. Nel caso di specie, non c’è traccia di questo intento, anzi, si può riscontrare il fine di produrre (in termini positivi) degli effetti giuridici per mezzo della dichiarazione di interesse culturale, del tutto indipendenti rispetto a quelli scaturenti dal provvedimento di conclusone del procedimento di verifica.
[24] Da ultimo, Cons. St., sez. VII, 3 novembre 2023, n. 9538.
[25] Su questo aspetto, in un primo momento giurisprudenza e dottrina (T. Alibrandi e P. Ferri, I beni culturali e ambientali, Milano, 2001, pag. 269) avevano sostenuto la tesi della natura costitutiva della dichiarazione, ma ormai è di gran lunga prevalente l’orientamento secondo cui l’atto di accertamento ha una natura meramente dichiarativa di una qualità oggettiva del bene, in esso intrinsecamente presente. In giurisprudenza si veda Cons. St., sez. VI, 3 aprile 2003, n. 1718. In dottrina, invece, R. Tamiozzo, Effetti della natura dichiarativa del vincolo di interesse culturale sulla tutela dei beni immobili e, in particolare, delle zone archeologiche, in Rassegna dell’Avvocatura dello Stato, n. 1/1992, pag. 84 ss.; M. Ainis e M. Fiorillo, L’ordinamento della cultura, Milano, 2003, pag. 115, e A. Maglieri, art. 13, in Il codice dei beni culturali e del paesaggio, (a cura di) M. Cammelli, Bologna, 2004, pag. 121. Per F. Saitta, Commento all’art. 13, in Commentario del Codice dei beni culturali e del paesaggio, cit., pag. 1148, si tratta di un accertamento costituivo, dal momento che l’interesse culturale preesiste all’accertamento, a cui è subordinato l’assoggettamento del bene al regime vincolistico.
[26] F. Saitta, Commento all’art. 13, cit., pag. 1150, afferma la coesistenza di discrezionalità pura e tecnica, configurando un’ipotesi di discrezionalità mista.
[27] Tar Friuli-Venezia Giulia, 4 aprile 2023, n. 138: “Proprio in ragione della natura non oggettiva dei relativi esiti (e della ridotta sindacabilità che ne consegue), tali valutazioni devono però essere adottate nel contraddittorio con gli interessati e, quindi, nell’ambito di un procedimento aperto ad una effettiva interlocuzione sugli aspetti tecnici considerati ai fini del vincolo. La tutela del privato, compressa a valle dai ridotti margini del sindacato giudiziale sul provvedimento, deve essere pienamente garantita a monte, nel corso dell’istruttoria”.
[28] Ad esempio, la datazione del complesso viene erroneamente riportata “in un periodo successivo al 1900”.
[29] F. Saitta, Riflessioni sull’annullamento d’ufficio “tardivo”, in Giur. it., 2022, 4, pag. 933, il quale richiama Cons. St., sez. IV, 18 marzo 2021, n. 2329: “Il superamento del rigido limite temporale di 18 mesi per l’esercizio del potere di autotutela di cui all’art. 21-nonies, legge 241/1990, deve ritenersi ammissibile, a prescindere da qualsivoglia accertamento penale di natura processuale, tutte le volte in cui il soggetto segnalante abbia rappresentato uno stato preesistente diverso da quello reale. Viene in rilievo, in questi casi, una fattispecie non corrispondente alla realtà determinata da dichiarazioni false o mendaci la cui difformità, se frutto di una condotta di falsificazione penalmente rilevante (indipendentemente dal fatto che siano state all’uopo rese dichiarazioni sostitutive), dovrà scontare l’accertamento definitivo in sede penale; se induttiva, invece, di una falsa rappresentazione dei fatti, può essere rilevante al fine di superamento del termine di 18 mesi anche in assenza di un accertamento giudiziario della falsità, purché questa venga accertata inequivocabilmente dall’amministrazione con i propri mezzi”.
[30] Tar Lazio, Roma, sez. II-quater, 30 ottobre 2018, n. 10465: “Non rileva che il bene abbia subito, nel tempo, alterazioni rispetto alla sua originaria configurazione, in quanto la tutela storico-artistica protegge non già un’opera dell’ingegno dell’autore, ma ‘un’oggettiva testimonianza materiale di civiltà’”, citando Cons. St., sez. VI, 14 ottobre 2015, n. 4747, nella quale si aggiunge che tale testimonianza di civiltà “ben può risultare da interventi successivi e sedimentati nel tempo, tali da dar luogo ad un manufatto storicamente complesso e comunque diverso da quello originario”.
[31] In un altro caso di bene che aveva subito delle trasformazioni nel tempo, si veda Cons. St., sez. VI, 16 luglio 2015, n. 3560: “La meritevolezza del bene viene dunque individuata, sotto il profilo architettonico, nel suo valore di significativa testimonianza di un’epoca almeno ottocentesca e, sotto il profilo storico, nella leggibilità dell’originaria configurazione dell’edificio, ampiamente documentata dalla ricca bibliografica storica della cittadina. Proprio la salvaguardia di tale leggibilità - osserva il Collegio - giustifica la finalità di tutela che, a norma dell’art. 1, comma 2, del codice, concorre a preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territorio”.
[32] Nel provvedimento impugnato si evidenzia che “I valori storici che la struttura rappresenta sono narrati, nonostante le trasformazioni occorse nei secoli, dalle spazialità interne, che rimandano all’originaria chiesa di santa Chiara ed all’annesso convento delle clarisse, così come dalla permanenza di elementi architettonici corrispondenti all’originaria struttura (superfici voltate, passaggi ad arco, pilastri, ecc.) che, quindi, risulta ancora intuibile al di là delle sovrastrutture moderne” e che “le stratificazioni rinvenibili nel complesso, a loro volta ascrivibili a diverse fasi, funzioni e ruoli che la struttura ha assunto nel corso dei secoli nell’ambito della storia urbana locale (da quelle originarie corrispondenti al trecento a quelle più recenti novecentesche), rappresentano un valore storico che è necessario salvaguardare”.
[33] Si pensi, con riferimento alla vicenda della pronuncia in esame, al caso in cui altri e più incisivi rimaneggiamenti dell’immobile avessero fatto scomparire l’originario assetto architettonico. Infatti, non è casuale che nella comunicazione di avvio del procedimento si legga: “Ritenuto che, per conservare le caratteristiche morfologiche, spaziali e materiche ancora - si noti bene l’uso di tale avverbio, n.d.r. - riconoscibili in quanto espressione di valori storici presenti nelle parti non rimaneggiate, gli immobili dovranno essere sottoposte a tutela ai sensi dell’art. 13 del d.lg. 42/2004 e s.m.i.”.
[34] Nel caso opposto, Tar Abruzzo, Pescara, sez. I, 30 ottobre 2024, n. 315: “Le trasformazioni che hanno interessato un edificio non assumono rilevanza alcuna ai fini della procedura di verifica dell’interesse culturale o ai fini della dichiarazione di interesse cultuale, purché, come nel caso di specie, l’edificio non subisca, nella sua connotazione essenziale, una radicale alterazione nelle originarie caratteristiche architettoniche secondo la configurazione assunta a seguito degli interventi succedutisi”.
[35] Per un collegamento col problema delle trasformazioni intervenute nel corso del tempo, si veda C. Volpe, Art. 12, cit., pag. 121: “Non è possibile distinguere tra le parti antiche e quelle rimaneggiate di un immobile, allo scopo di sottrarre queste ultime al vincolo, nel caso in cui il complesso da vincolare costituisca un’unica testimonianza artistica e storica che si è voluto salvaguardare nel suo insieme; ciò specialmente se i rimaneggiamenti si sono integrati con le caratteristiche architettoniche dell’edificio”.
[36] Tar Lazio, Roma, sez. II-quater, 30 ottobre 2018, n. 10465: “L’ampiezza dell’estensione del vincolo storico-artistico non comporta di per sé alcun profilo di eccesso di potere, secondo la giurisprudenza, potendo anche tale vincolo essere posto su un’ampia estensione quando la finalità sia quella di conservare la consistenza materiale del bene nella sua interezza”.
[37] Per una massima della sentenza, Rivista giuridica dell’edilizia, 2022, 2, pag. 545, e https://www.ambientediritto.it/giurisprudenza/consiglio-di-stato-sez-6-7-gennaio-2022-n-54/.
[38] Interessante, in particolare, era l’art. 13, il quale, nel prevedere che “Chi dispone e chi esegue il distacco di affreschi, stemmi, graffiti, iscrizioni, tabernacoli ed altri ornamenti di edifici, esposti o non alla pubblica vista, deve ottenere l’autorizzazione dal ministro per l’educazione nazionale, anche se non sia intervenuta la notifica del loro interesse”, implicitamente consentiva la dichiarazione di interesse culturale con riferimento a singoli e specifici elementi architettonici, caratterizzati dal fatto di essere suscettibili di distacco dall’edificio e di non perdere, per effetto del distacco, la propria autonoma funzione decorativa. Tale norma, dunque, contemplava un’eccezione la quale conferma che fuori dai casi in essa indicati la dichiarazione di interesse culturale, pronunciata ai sensi della legge n. 1089/1939, colpiva, di norma e automaticamente, l’intero bene, mobile o immobile, in cui era contenuto l’elemento di interesse culturale.
[39] Il tutto salvo diversa ed espressa previsione limitativa contenuta nel provvedimento di dichiarazione, la quale, tuttavia, potrebbe rendere particolarmente difficoltosa la gestione del vincolo.
[40] Cons. St., sez. VI, 16 aprile 2015, n. 1942.
[41] Sulla quale grava un dovere di leale collaborazione istituzionale nel procedimento di verifica dell’interesse culturale, rafforzato dalla previsione di cui all’art. 1, comma 3, d.lg. n. 42/2004.
[42] Sul sindacato giurisdizionale avente ad oggetto questo tipo di provvedimento, si veda Tar Abruzzo, Pescara, 13 gennaio 2017, n. 28: “La verifica in ordine all’esistenza di un interesse culturale (artistico, storico, archeologico o etnoantropologico) particolarmente importante, ai sensi dell’art. 12, d.lg. n. 42/2004, è prerogativa esclusiva dell’Amministrazione preposta alla gestione del vincolo e può essere sindacata in sede giurisdizionale solo in presenza di profili di incongruità ed illogicità di evidenza tale da far emergere l’inattendibilità della valutazione tecnico discrezionale compiuta”.