Tutela e sicurezza del patrimonio culturale
Approccio multidisciplinare per l’analisi di fenomeni criminologici riguardanti i beni mobili del patrimonio archeologico: status quaestionis in Piemonte e Valle d’Aosta
di Giordana Amabili [*] e Cristian Lo Iacono [**]
Sommario: 1. Introduzione. - 2. Obiettivi e criticità. - 3. Procedure e normative. - 3.1. Procedure di tutela amministrativa e penale. - 3.2. Quadro normativo. - 4. Metodologia. - 4.1. Lo strumento di analisi. - 4.2. Definizione del metodo - 5. Analisi dei dati: gli illeciti commessi in Piemonte e Valle d’Aosta. - 6. Conclusioni.
Il Comando Carabinieri Tutela patrimonio culturale (Tpc) è un reparto dell'Arma dei Carabinieri preposto alla tutela del patrimonio culturale nazionale. La sua attività principale riguarda la prevenzione e la repressione dei reati in questo contesto normativo. La tutela del patrimonio culturale è di esclusiva competenza statale del Mic, strutturato localmente in Soprintendenze, suddivise in sette aree funzionali tra cui quella che riguarda il patrimonio archeologico. La normativa di tutela dei beni archeologici è incentrata sulla proprietà statale dei beni archeologici, per i quali i terzi proprietari hanno l'onere di dimostrare il loro legittimo possesso prima del 1909. A quell'epoca, infatti, è entrata in vigore la prima legge di tutela archeologica, la n. 364/1909, modificata e integrata nel 1939, nel 2004 e infine nel 2022, con successive specifiche norme amministrative e penali. Il territorio italiano, per le sue specificità geografiche e storiche, è caratterizzato da varie e numerose testimonianze archeologiche, provenienti dal sottosuolo e dalle acque interne e/o marine. L'aspetto cruciale dell'attività di tutela considerata, a partire dai recuperi effettuati a seguito di indagini abbinate al fondamentale lavoro degli archeologi, riguarda le procedure di individuazione dei canali e delle modalità illecite di approvvigionamento, utili a ricostruirne tempestivamente l'origine e la provenienza. Il presente contributo, basato su una metodologia multidisciplinare, presenta un'analisi delle attività di indagine per i reati che, relativi ai beni mobili del patrimonio archeologico, sono stati commessi in Piemonte e Valle d'Aosta (2005-2023).
Parole chiave: fenomeni criminologici; tutela dei beni culturali; multidisciplinarietà; procedure di archiviazione; Italia nord-occidentale.
Multidisciplinary approach for the analysis of criminological phenomena in criminal investigations involving archaeological heritage assets: status quaestionis in Piemonte and Valle d’Aosta
The Carabinieri Cultural Heritage Protection Command (Tpc) is a department of the Carabinieri responsible for safeguarding the national cultural heritage. Its main activity concerns the prevention and repression of crimes in this context of legislation. The protection of cultural heritage falls within the exclusive state competence of the MiC, structured locally in Superintendencies, divided into seven functional areas including that which concerns the archaeological heritage. The legislation for the protection of archaeological goods is centered on the state ownership of archaeological assets, for which third-party owners have the burden of proving their legitimate possession before 1909. In fact, at that time the first archaeological protection law came into force, the n. 364/1909, modified and integrated in 1939, in 2004 and finally in 2022, with subsequent specific administrative and criminal regulations. The Italian territory, due to its geographical and historical specificities, is characterized by various and numerous archaeological testimonies, coming from the subsoil and from internal and/or marine waters. The crucial aspect of the protection activity considered, starting from the recoveries carried out following investigations combined with the fundamental work of archaeologists, concerns the procedures for identifying the channels and the illegal methods of supply, useful for promptly reconstructing the origin and provenance. This contribution, based on a multidisciplinary methodology, presents an analysis of the investigation activities for crimes which, relating to the movable assets of the archaeological heritage, were committed in Piedmont and Aosta Valley (2005-2023).
Keywords: criminological phenomena; cultural property protection; multidisciplinarity; filing procedures; North-West Italy.
Il Comando Carabinieri Tutela patrimonio culturale (Tpc) è un reparto dell’Arma dei Carabinieri deputato alla protezione del patrimonio culturale nazionale. La sua missione, coerente con lo spirito della Costituzione (art. 9) si regge su due pilastri: la prevenzione e la repressione degli illeciti che violano le leggi in materia. Esso assolve a funzioni informative e di analisi, anche per le altre forze di Polizia, ed è organizzato sul territorio nazionale in un Reparto operativo, due gruppi, sedici nuclei e una sezione.
Per le indagini di Polizia giudiziaria (Pg) si avvale della “Banca Dati dei beni culturali illecitamente sottratti” (Bd), strumento normato all’art. 85 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42. Nella sfera preventiva il Tpc svolge, in via prioritaria, verifiche alle attività commerciali di settore, mercati e fiere compresi, sopralluoghi di sicurezza in musei, biblioteche e archivi, e controlli in aree archeologiche e paesaggistiche.
La tutela del patrimonio culturale rientra nell’esclusiva competenza del ministero della Cultura (Mic), organizzato localmente in soprintendenze a loro volta suddivise in aree funzionali tra cui quella che cura il patrimonio archeologico [1].
Questi enti espletano funzioni di catalogazione e tutela, autorizzano l’esecuzione di opere e lavori inerenti al patrimonio culturale, tra cui scavi archeologici, gestiscono e controllano i beni loro assegnati, autorizzando l’esecuzione di interventi conservativi e, non da ultimo, promuovono ricerche e studi. Tale azione amministrativa si esprime con atti specifici, quali autorizzazioni preventive (per scavi in concessione e procedure tecniche), nulla osta (per spostamenti e trasporti di beni) e vincoli (in caso emerga un interesse particolare).
Esse si occupano altresì di definire procedure come la verifica e la dichiarazione dell’interesse culturale di un bene, la determinazione del premio ritrovamento, la disposizione della custodia coattiva, i protocolli di vigilanza e ispezione [2].
In Italia vige la presunzione di appartenenza statale di ogni materiale proveniente dal sottosuolo, artt. 822-826 c.c. Il privato che detiene reperti archeologici, in caso di verifica delle autorità preposte, ha l’onere di provarne il legittimo possesso ante 1909, epoca in cui è entrata in vigore la prima legge di tutela archeologica, la legge 20 giugno 1909, n. 364, modificata e integrata nel 1939, nel 2004 e infine nel 2022, con successive norme amministrative ad hoc e, anche, con fattispecie penali specifiche.
L’Italia conserva un ingente patrimonio archeologico, in parte emergente, ma anche celato nel sottosuolo e nelle acque interne e marine. Le acquisizioni illecite di oggetti a esso afferenti sono determinate da modalità che, ravvisabili attraverso l’impiego di tecniche e strumenti diversificati, variano a seconda dei contesti ove tali manufatti originariamente si trovano. Gli scavi clandestini, svolti sulla terraferma, sembrano svolgersi secondo due distinti modi operandi: le ricerche abusive con il metal detector, documentate in prevalenza al nord della penisola, e le tecniche messe in atto dai “tombaroli” [3], attestate con più frequenza al centro-sud [4]. Un diverso approccio caratterizza invece i reperti conservati sotto le acque: in virtù della natura, del contesto di giacitura e delle peculiari modalità di prelievo, implicanti una certa organizzazione, essi sono assai raramente rinvenuti in modo fortuito, soprattutto quando recuperati in luoghi distanti dal mare. Riferibili a questo particolare ambito sono, per esempio, le anfore che, di varia tipologia e datazione, si ritrovano di frequente in raccolte illecite insieme a beni archeologici di altra natura [5].
In genere, chi scava illecitamente per depredare il sottosuolo utilizza, come gli archeologi, pale e picconi, e si avvale anche di attrezzi rudimentali come lo “spillone”, una sorta di sonda metallica: questi individui, impiegando in modo improprio tali strumenti, danneggiano in modo irreparabile la stratigrafia dei siti. Le azioni predatorie sono concentrate in territori circoscritti e familiari a questi scavatori che, in alcuni casi, hanno maturato una tale esperienza sul campo da poter scegliere, in base all’osservazione del terreno, dove sarà più fruttuoso operare. Le aree archeologiche, e più in generale, le zone aggredibili, possono custodire testimonianze rilevanti: sebbene si tratti di siti censiti, dotati anche di recinzioni a protezione del loro perimetro, non sono tuttavia sottoposti a vigilanza costante bensì periodica [6], rappresentando così un potenziale bacino di rifornimento per tali attività.
Le operazioni di ricerca e scavo illecite [7], condotte senza l’impiego del metodo stratigrafico [8], privano la collettività del valore informativo di questi luoghi, svelabile solo dallo studio della sovrapposizione nel tempo degli strati di terreno, naturali e antropici, e dall’analisi dei manufatti a essi riferibili: i dati acquisiti attraverso questa metodologia, opportunamente interpretati, consentono infatti la ricostruzione storica dell’occupazione umana di quell’area nel tempo.
Il prelevamento illecito avviene in maniera maldestra, spesso in orario notturno, con azioni serrate nell’intento di rastrellare più oggetti possibili e, in genere, la cernita di quanto sottratto è svolta in un secondo momento e in luoghi meno esposti. A testimonianza di tali procedure è spesso la presenza, in alcuni nuclei recuperati, di manufatti che, dal punto di vista estetico, non presentano particolari caratteristiche ma che costituivano in origine, con tutta probabilità, altri elementi di un corredo variamente composto.
Di solito, i reperti scavati illecitamente subiscono lo stesso destino, indipendentemente dal tipo acquirente, persona fisica o giuridica. Una volta “pagati”, attraverso varie modalità spesso non riscontrabili, essi generano e alimentano raccolte, detenute di frequente in private dimore. Talvolta chi acquista può identificarsi anche in un museo, pubblico o privato, e/o in altre organizzazioni culturali, eventualità che rende ardua la definizione delle trattative di compravendita. In questi casi, infatti, si configura una vera e propria “pulitura dei beni”: essi sono inseriti nei canali commerciali ufficiali al fine di eludere e/o mascherare la loro origine e provenienza [9].
Nella maggior parte delle situazioni non risulta un nesso diretto tra lo scavatore e l’acquirente finale, quale che sia, bensì il subentro di uno o più intermediari che, a seconda della tipologia, dell’importanza e del valore dei beni, conducono le trattative [10]. Queste figure, talvolta, si preoccupano anche della temporanea custodia dei reperti, occultando e curando il loro trasporto mediante canali illeciti, per aggirare i controlli degli Uffici Doganali, degli Uffici Esportazioni e delle Forze di Polizia [11].
Il presente contributo propone un’analisi preliminare delle indagini penali riguardanti i beni mobili del patrimonio archeologico, occorse in Piemonte e Valle d’Aosta a partire dall’entrata in vigore del d.lg. 42/2004, nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2005 e il 31 dicembre 2023.
È doveroso precisare che l’insieme dei dati potrebbe non riferire tutti gli eventi attestati nei territori considerati. Nella Bd possono infatti non essere confluiti altri illeciti che, non rilevati dal Tpc, non sono dunque considerati in questo esame: spiegano tale possibile lacuna l’assenza di notizia di reato, che può essere originata anche da altra Forza di Polizia di iniziativa e/o su segnalazione o denuncia di terzi, la mancanza di comunicazione della stessa, passaggio fondamentale per l’aggiornamento della Bd, e discrasie di varia natura nell’inserimento dei dati nel sistema.
Il primo intento si prefigge di illustrare i reati contestati: la fotografia di tale situazione è importante non solo per valutare l’incidenza degli illeciti alla luce delle indagini ma anche in riferimento alla loro distribuzione, osservandone dunque l’attestazione nelle province piemontesi e sul territorio valdostano.
Un secondo obiettivo concerne le condotte illecite esperite localmente e il loro rapporto con la popolazione residente correlato, in seconda analisi, anche alla presenza, nei medesimi territori, di aree archeologiche censite.
Infine, un terzo aspetto riguarda i beni definiti, in modo generico, “di importazione”, intendendo con tale locuzione tutto ciò che non proviene dal sottosuolo delle due regioni considerate perché prodotto, in antico, in altro luogo e/o, anche, recuperato in modo illecito dal sottosuolo di un altro contesto geografico e portato, in seguito, nei territori in esame.
I risultati conseguiti prefigurano la cornice di riferimento entro cui tentare l’individuazione dei possibili canali di approvvigionamento e, in ultimo, la ricostruzione della filiera irregolare, dall’appropriazione del manufatto alla sua permanenza, ancorché temporanea, nelle disponibilità degli individui a cui sono stati contestati i reati.
Come accennato, i corpora esaminati sono contraddistinti da affinità, in primo luogo la pertinenza al medesimo territorio, in quanto recuperati in operazioni condotte in Piemonte e Valle d’Aosta a partire dal 2005. Di tali gruppi, tuttavia, non è stato possibile risalire ai due momenti che ne caratterizzano la costituzione: la fase, o le fasi, in cui i manufatti sono stati estratti dal terreno, quando di provenienza locale, o sono giunti nel territorio, quando di importazione, e la fase, o le fasi, in cui gli stessi sono entrati a far parte del corpus poi recuperato.
Di frequente tali reperti confluiscono, in mancanza di titolo di possesso, in eredità e difficilmente queste dinamiche cronologiche, caratterizzanti i tempi di formazione delle raccolte a cui essi appartengono, risultano note. Tuttavia, è proprio questa condizione, nella maggior parte dei casi, a determinare l’emersione attraverso gli eredi che li detengono, sia perché il loro possesso è dichiarato autonomamente sia perché essi sono proposti inopinatamente in vendita.
La segnalazione alle autorità competenti o il tentativo di commerciare, che in linea di principio potrebbe configurare l’ipotesi delittuosa del reato di ricettazione [12], non costituiscono le sole casistiche determinanti un recupero: talvolta gli oggetti sono abbandonati, come nel caso di due frammenti di statue in bronzo di epoca romana che, negli anni Settanta del secolo passato, sono stati ritrovati nei pressi dei cassonetti dei rifiuti collocati all’ingresso della camera mortuaria di Aosta [13]. È verosimile inoltre che, in altre occasioni, essi possano essere distrutti, per evitare possibili conseguenze di natura sanzionatoria: sebbene non sia mai stata acclarata, tale evenienza è stata oggetto di riflessione tra le forze di polizia e i funzionari di Soprintendenza che, impegnati congiuntamente in azioni di tutela e vigilanza, si trovano di frequente a intervenire in operazioni nelle cui dinamiche tale modus può costituire un’azione concreta. Infine, in altri casi, i manufatti permangono in una condizione di fruizione esclusiva, contra legem, da chi ritiene, fallacemente, di averne diritto [14].
Il sottosuolo del centro-sud della penisola offre una varietà di produzioni che sono risultate, e risultano ancora oggi, appetibili per i collezionisti. La formazione del gusto, in rapporto alla conoscenza del mondo antico, è un fenomeno rilevante che, oggetto tuttora di riflessione e studio, si manifesta sin dalle epoche remote. Non è questo il contesto per considerare ciò che può aver influenzato, a livello singolo e/o sociale, l’interesse e la pulsione a raccogliere oggetti simili, o meno, per ambito culturale e/o di produzione, per morfologia e/o dimensione. Tuttavia si nota come, esaminando i cataloghi d’asta nazionali che propongono in vendita diverse tipologie di oggetti archeologici, proprio gli ambiti produttivi di queste aree della nostra penisola, soprattutto di cronologie riferibili al primo millennio a.C., siano rappresentati in modo pregnante [15].
Si ricorda inoltre la frequenza di casi in cui i reperti recuperati, frutto di eredità, derivino dai luoghi di nascita delle persone che li detenevano, a testimonianza di passioni e interessi propri delle generazioni precedenti. Nel territorio piemontese sono note le proporzioni del fenomeno dell’emigrazione interna, intenso dal dopoguerra e fino agli anni Settanta del Novecento: la provincia torinese è stata quella che, tra tutte le città italiane, ha registrato il maggior saldo migratorio. Il censimento del 1971 registra, tra i residenti nel capoluogo subalpino, 106.413 pugliesi, 77.589 siciliani, 44.723 calabresi, 35.489 campani e 22.813 lucani: una città nella città [16].
Tutti questi aspetti, differenti da un caso all’altro, rappresentano il substrato per la formazione dei corpora recuperati: essi, per loro natura, sfuggono a una definizione univoca, determinando quindi un elemento di variabilità e di instabilità nel sistema di acquisizione e interpretazione dei dati. Ciò non permette, perlomeno allo stato attuale, l'ideazione di un modello di accertamento che, teso a individuare le motivazioni determinanti le raccolte recuperate, risulti efficace e applicabile universalmente.
Connesse alle attività illecite e strettamente correlate tra loro sono, infine, le dinamiche che sottendono alla valutazione economica dei beni archeologici e alla possibile falsità di alcuni di essi: di ardua definizione non permettono di essere precisamente valutate in relazione alle riflessioni proposte ma, al contempo, non risulta comunque possibile ignorarne i risvolti.
L’attribuzione di un valore economico ai beni culturali è argomento complesso, oggetto di dibattito e studio in ambito ministeriale, universitario e presso i centri di ricerca deputati [17]. Per ciò che concerne il patrimonio archeologico, fermo restando i riferimenti della circolare ministeriale n. 251 del 12 gennaio 1994, non sussistono ulteriori criteri condivisi per definire tali stime [18] che, in linea di principio, potrebbero costituire un presupposto per quantificare il danno conseguente a una condotta antigiuridica nei termini di giusto risarcimento.
La valutazione è prevista nelle normative di Iccd [19] che, tra i vari campi delle schede e dei moduli inventariali, contemplano anche l’attribuzione di una stima del bene archeologico facente parte del patrimonio indisponibile dello Stato e, pertanto, per sua natura, non diversamente destinabile.
È opportuno ribadire che in Italia, alla luce della normativa vigente, piuttosto rigida se confrontata con quella di altri stati, non è vietato alienare reperti archeologici [20]. Il mercato di questi manufatti è, infatti, notoriamente più diffuso nei paesi ove vige un sistema giudiziario basato sul common law, sul principio giuridico dello stare decisis, con leggi di tutela differenti che, se non del tutto inesistenti, privilegiano il libero commercio risultando meno stringenti di quelle italiane. L’Italia ha confermato una politica dura nella salvaguardia del patrimonio culturale, anche sul versante internazionale, avendo ratificato nel 2015 la Convenzione de la Valletta e nel 2022 il Trattato di Nicosia [21], con i risultati che saranno trattati in seguito.
Quanto indicato incide anche sulle differenze di apprezzamento di un bene archeologico: laddove il mercato è più libero le stime e i prezzi seguono, con tutta probabilità, le dinamiche proprie dello stesso, in termini di fluttuazione di domanda/offerta, viceversa i criteri di valutazione terranno conto di altri aspetti, non facilmente rilevabili e indagabili.
La compresenza di queste prassi eterogenee, se da un lato non inficia le indagini certamente impatta sull’analisi dei dati che da esse sono desumibili e, anche, sulla comunicazione istituzionale conseguente, presentata in relazione al fenomeno degli scavi condotti senza autorizzazione e del commercio illegale dei beni archeologici.
Da considerare con altrettanta attenzione è la possibile falsità di questi beni, un fenomeno dai contorni non definiti, anch’esso oggetto di studio [22], e che, ampiamente diffuso con l’avvento del mercato antiquariale, risente delle fluttuazioni economiche, delle mode e dei gusti personali. Si tratta ancora di un tema non affrontabile in questa sede se non per le ragioni che, connotando le riflessioni conclusive, attengono ai reati, alla definizione appena trattata del valore economico e alla futura destinazione del bene.
La falsificazione dei beni d’arte era ed è perseguita con fattispecie specifiche: in precedenza dall’art. 178 d.lg. 42/2004, per ora dall’art. 518-quaterdecies c.p. (Contraffazione di opere d’arte).
Il valore economico di un bene, una volta accertata la sua falsità, si discosta di certo da quello assegnato all’originale. Se il falso non è identificato e viene immesso sul mercato, il valore a esso attribuito genera distorsioni non semplici da aggiustare che, per essere riallineate, meriterebbero l’adozione di criteri univoci, basati su parametri economici condivisi.
Nell'ambito del procedimento penale il bene di cui è stata acclarata la falsità è assoggettabile a confisca: permane, in questo senso, la ratio della legislazione ante 2022 che sanciva l’obbligatorietà dell’acquisizione coattiva dello stesso da parte della Pubblica Amministrazione, in vista della sua distruzione per evitarne l’immissione, o la reimmissione, sul mercato, a prescindere dalla condanna.
3.1. Procedure di tutela amministrativa e penale
Le perquisizioni e i sequestri sono gli strumenti operativi tipici per reprimere i crimini contro il patrimonio archeologico. Possono essere condotti a partire da una strategia investigativa coordinata dall’Autorità Giudiziaria (Ag) che si traduce in azione tattica sul campo, ovvero sul territorio dove si è consumato il reato, nei limiti dati da luogo e tempo e di responsabilità a carico di persona/e nota/e e/o da identificare. Si precisa che, prima dell’entrata in vigore dei delitti specifici nel codice penale, era assai rara, a livello generale, la possibilità di ricorrere a mezzi più incisivi per ricercare le prove, ovvero di attivare e impiegare metodi per individuare le fonti di prova, i soggetti e/o le cose dai quali è possibile ottenere elementi conoscitivi rilevanti per il procedimento come, per esempio, le intercettazioni telefoniche e/o ambientali. Il ricorso a tali supporti investigativi era possibile solo in presenza di gravi indizi di reato riferibili, in questi casi, a delitti commessi in concorso con quelli speciali [23].
La perquisizione e/o il sequestro possono essere eseguiti, come accennato, secondo due presupposti: per iniziativa della Pg per cui è necessaria la successiva convalida della Procura della Repubblica competente per territorio, entro le 48 ore successive; per decreto dell’Ag precedentemente informata con una notizia di reato redatta dalla Pg, dal funzionario di Soprintendenza nell’esercizio delle proprie funzioni, ovvero per denuncia di terzi [24]. Nel caso non si trattasse di una decisione autonoma del magistrato requirente, potrebbero essere state formulate nella stessa notizia criminis richieste di appositi decreti, quali mezzi di ricerca della prova del reato ipotizzato.
Successivamente al sequestro, è necessario schedare i beni recuperati: tale operazione non sempre si svolge secondo una procedura univoca, atteso che le modalità di attivazione degli archeologi, siano essi funzionari di Soprintendenza o liberi professionisti, avvengono in maniera diversa. Nel caso di attività congiunte, nella sfera amministrativa e penale, sussiste la possibilità che essa avvenga immediatamente, se non altro per una corretta compilazione del verbale di sequestro. I reperti sono sottoposti a un esame autoptico per definire anzitutto l’appartenenza ai beni archeologici e per ottenere le informazioni necessarie e/o funzionali alle indagini.
Al termine di tale analisi, il funzionario redige una relazione su quanto esaminato indicando definizione, classe di produzione e una cronologia più o meno circostanziata; talvolta sono riportate anche le misure e il peso dei reperti, mentre sistematicamente è effettuata una documentazione fotografica. Possono, già in questa fase, essere segnalati i casi di riproduzione, alterazione e/o contraffazione.
Il medesimo documento può essere stilato anche da un archeologo che svolge la libera professione, nominato nell’occasione Ausiliario di Pg. Il ricorso a tale figura rende più speditivi l’iter e le operazioni di accertamento nella fase di indagini preliminari, ovvero di iniziativa della Pg.
Per assicurare omogeneità e rapidità nelle procedure di esame dei beni recuperati e per disporre di un sistema di schedatura funzionale, omogeneo e normato secondo gli standard catalografici ministeriali è stata ravvisata, internamente al Tpc di Torino, la necessità di implementare una scheda dedicata che garantisca una corretta e puntuale acquisizione dei dati previo esame autoptico.
3.2. Quadro normativo
Le fattispecie di reato contestate dal Tpc di Torino nell’arco temporale 2005-2023 e collegate alle notizie di reato trasmesse da quell’ufficio di Pg all’Ag, con riferimento al Piemonte e alla Valle d’Aosta (Fig. 1), sono riferite alle seguenti violazioni penali: art. 175 d.lg. 42/2004 (Violazioni in materia di ricerche archeologiche) [25], art. 176 d.lg. 42/2004 (Impossessamento illecito di beni culturali appartenenti allo Stato) e art. 648 c.p. (Ricettazione).
È comunque opportuno tenere conto dell’inserimento nel codice penale del titolo VIII-bis “Dei delitti contro il patrimonio culturale” che, avendo ampliato il catalogo delle suddette ipotesi di reato, in precedenza e nella maggior parte dei casi di natura contravvenzionale, contempla varie norme incriminatrici di tipo delittuoso, di cui alcune inedite e altre riferibili alla legislazione complementare, e comprende circostanze attenuanti/aggravanti, cause di non punibilità e ipotesi di applicazione della confisca “allargata” [26].
Si presentano in questa sede, i riferimenti normativi che, in aderenza e in funzione degli obiettivi definiti e dell’analisi condotta, permettono di inquadrare le conclusioni proposte anche alla luce del novellato combinato disposto [27].
L’art. 175 d.lg. 42/2004 (Violazioni in materia di ricerche archeologiche) è stato integrato e collegato all’art. 707-bis c.p. (Possesso ingiustificato di strumenti per il sondaggio del terreno o di apparecchiature per la rilevazione dei metalli).
L’art 176 d.lg. 42/2004 (Impossessamento illecito di beni culturali appartenenti allo Stato) è stato abrogato e per contrastare la specifica condotta criminosa e sono stati introdotti l’art. 518-bis c.p. (Furto di beni culturali) e l’art. 518-ter c.p. (Appropriazione indebita di beni culturali).
La misura della confisca, ex art. 240-bis c.p. (Confisca in casi particolari), è stata integrata con le seguenti modificazioni: comma 1, le parole “e 517-quater” sono sostituite dalle seguenti “518-quater, 518-quinquies, 518-sexies e 518-septies”.
Le ipotesi di appropriazione e furto generiche sono state soppiantate da fattispecie delittuose specifiche definite negli articoli 518-bis c.p. (Furto di beni culturali), 518-ter c.p. (Appropriazione indebita di beni culturali), 518-quater c.p. (Ricettazione di beni culturali) e 518-quinquies c.p. (Impiego beni culturali provenienti da delitto).
Le condotte sanzionate in precedenza con le contravvenzioni di cui all’art. 639 c.p. (Deturpamento e imbrattamento di cose altrui) e art. 733 c.p. (Danneggiamento al patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale), sono ora perseguibili dall’ipotesi delittuosa di cui all’art. 518-duodecies c.p. (Distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito di beni culturali e paesaggistici).
Tornando ai casi oggetto specifico di analisi, il delitto di ricettazione generica è stato ipotizzato in due casi (Fig. 1) in relazione al reato presupposto di cui all’art. 175 d.lg. 42/2004 e agli artt. 10-91 dello stesso, che definiscono rispettivamente il bene culturale e le sue caratteristiche di appartenenza al demanio o del patrimonio indisponibile dello Stato ai sensi degli artt. 822-826 c.c. La qualità di “bene culturale” e l’appartenenza statale dei reperti archeologici è stata ribadita anche dalla Cassazione civile in merito alla rivendica della proprietà che grava sul detentore [28]; inoltre si rilevano, parimenti, i principi cardine della specialità e dell’irretroattività della legge [29].
La ricettazione dei reperti archeologici è attualmente prevista dall’art. 518-quater c.p. (Ricettazione di beni culturali).
L’art. 176 d.lg. 42/2004, abrogato, era la fattispecie contestata in luogo di quelle considerate de quo, fatto salvo il caso in cui gli indagati non fossero colti nella flagranza di reato [30]. La condotta materiale riferita all'articolo in esame era sovrapponibile a quella del furto comune e articolabile, nel caso, in quelle tipiche della ricettazione e del riciclaggio. Tuttavia, le connesse pene edittali, attesa la particolarità della sottrazione ab origine di un bene culturale, erano inferiori rispetto a quelle riferibili al furto comune. Questo aspetto è formalmente superato con l’adozione dell’art. 518-bis (Furto di beni culturali) e dell’art. 518-ter c.p. (Appropriazione indebita di beni culturali) [31].
In un orizzonte di tutela rivolto alle espressioni culturali più rappresentative dell’antichità e delle attestazioni storico-artistiche diffuse sul territorio nazionale, è stato in introdotto, illo tempore, un reato ad hoc, distinto dal danneggiamento aggravato: nei termini di configurabilità, tale illecito, di cui all’art. 733 c.p. (Danneggiamento al patrimonio archeologico, storico o artistico della nazione), non può prescindere dalla rilevanza culturale del bene stesso, definita sotto vari aspetti, tipologia dell’opera, localizzazione e rarità [32].
In aggiunta a questi delitti, sono stati introdotti l’art. 707-bis c.p. (Possesso ingiustificato di strumenti per il sondaggio del terreno o di apparecchiature per la rilevazione dei metalli) e quello presupposto ai fini della responsabilità da reato degli enti, con gli artt. 25-septiesdecies c.p. (Delitti contro il patrimonio culturale) e 25-duodevicies c.p. (Riciclaggio di beni culturali e devastazione e saccheggio di beni culturali e paesaggistici).
Dal punto di vista operativo, è inoltre garantita la possibilità, per gli ufficiali di Pg, di compiere operazioni sotto copertura, art. 9 legge 16 marzo 2006, n. 146, ad alcune delle nuove fattispecie, in particolare, l’art. 518-sexies c.p. (Riciclaggio di beni culturali) e l’art. 518-septies c.p. (Autoriciclaggio di beni culturali).
Per tornare ai casi di specie, al netto dell’esito delle procedure recuperatorie che, a definizione del procedimento, si concludono generalmente con il conferimento del bene archeologico allo Stato [33], non è tuttavia spesso possibile stabilire, con precisione, le varie condotte in capo a soggetti noti e, nello specifico, definire:
- quando, dove e chi abbia eseguito la ricerca e/o lo scavo non autorizzato e l’entità del danno cagionato al sito in relazione a tali attività;
- chi materialmente abbia ceduto il bene/i prelevato/i indebitamente durante tali azioni;
- dove, quando e con quali modalità di cessione il bene sia entrato nella sfera di possesso del detentore che, nella quasi totalità dei casi, non coincide con chi lo ha cercato e prelevato illecitamente dal luogo di giacitura;
- la spontanea consegna alla Pg, soprattutto in caso di eredità [34].
A fortiori, pesa l’inesatta o mancata conoscenza, ab origine, del luogo di consumazione del reato (scavi, ricerche e prelievi) anche in relazione alla decorrenza tra il primo atto compiuto fino alla scoperta della detenzione dei manufatti.
Questa messe di elementi si riverbera, inevitabilmente, sui procedimenti giudiziari, dalla prima fase investigativa fino all’esito del procedimento penale istruendo che, solitamente, si definisce per estinzione del reato per morte del reo, prescrizione o archiviazione per mancata idoneità degli elementi acquisiti nel corso delle indagini preliminari a sostenere l'accusa in giudizio ovvero in caso di autore rimasto ignoto e non identificato.
Per completare la casistica dei reati, si evidenzia infine la sporadica contestazione del danneggiamento della stratigrafia dei siti da dove i reperti sono stati prelevati, fatto salvo per i casi in cui le condotte siano state puntualmente segnalate, con l’indicazione dei responsabili e delle circostanze di tempo e luogo, ovvero individuate dalla Pg durante i controlli sul territorio o, per esempio, attraverso il monitoraggio della rete web.
Occorrerà valutare l’efficacia dell’enforcement alla luce della nuova normativa penale, riguardo l’applicabilità concreta e guardare alla futura giurisprudenza in base ai casi che si presenteranno sebbene si possa sostenere, in prima istanza, come tale impianto possa rientrare in una più ampia strategia preventiva e di deterrenza, date le pene più dure se confrontate con quelle del passato [35].
4.1. Lo strumento di analisi
Un modello inventariale, rispondente alle esigenze espresse in precedenza, è attualmente in via di sperimentazione presso il Tpc di Torino: esso è compilato dai militari del Nucleo o dall’Ausiliario di Pg e, in seguito, acquisito ed eventualmente completato dai funzionari del Mic preposti.
La sua definizione si basa su un adattamento del modulo inventariale (Minv vers. 4.01), rilasciato da Iccd nel marzo 2023 [36], per rispondere a esigenze di omogeneità di acquisizione dei dati, rapidità di compilazione e successiva integrazione e verifica di quanto inserito. Lo standard ministeriale utilizzato a modello prevede un numero ristretto di campi, funzionali all’identificazione e alla descrizione sommaria di tre categorie di beni afferenti al patrimonio culturale: i beni archeologici, i demoetnoantropologici e gli storico-artistici [37].
La nuova scheda, da esso mutuata, è stata elaborata in formato Excel ed è articolata in dieci ambiti con campi compilabili attraverso thesauri terminologici dedicati e specifici: essi sono strutturati sia attraverso un vocabolario chiuso (menù a tendina) sia mediante sezioni liberamente editabili. Il tracciato inventariale prevede settori per l’inserimento di informazioni riferite alla procedura penale e alla definizione e descrizione del bene in tutte le sue caratteristiche, formali, produttive, cronologiche e dimensionali; sono presenti campi per descrivere lo stato in cui esso versa al momento dell’esame sia dal punto di vista conservativo, e delle caratteristiche della superficie che ne suggeriscono la supposta provenienza illecita, sia dal punto di vista della provenance [38], quando nota. In relazione alle formulazioni precedenti, si è deciso di non prevedere il campo per l’inserimento del valore patrimoniale, dato che sarà integrato in seguito, al termine dell’iter processuale, quando il bene sarà definitivamente assegnato all’ente che ne curerà la tutela e la valorizzazione [39].
Queste schede, redatte in modo speditivo dagli operanti, risultano, come già anticipato, facilmente acquisibili dai funzionari del Mic incaricati. L’annotazione delle misure e di alcuni dettagli dello stato di conservazione, in unione alla documentazione fotografica, realizzata secondo le indicazioni fornite da ICCD, permettono di visualizzare e riconoscere il reperto, attraverso le sue caratteristiche morfologiche e stilistiche, consentendo altresì il completamento rapido delle sezioni mancanti e/o la validazione di quelle già compilate in precedenza.
Lo strumento, ideato per essere di supporto alle operazioni di schedatura necessarie all’espletamento della procedura giudiziaria, risulta fondamentale anche per la conoscenza del bene stesso. Stante quanto disposto dall’art. 17 d.lg. 42/2004 le procedure di catalogazione costituiscono attività imprescindibili e necessarie per apprendere la natura del bene e, conseguentemente, tutelarlo in modo efficace.
4.2. Definizione del metodo
Dovendo determinare i risvolti criminologici, è parso significativo impostare una metodologia di analisi degli illeciti incentrata su competenze distinte e proprie dei due ambiti coinvolti nello studio: da un lato chi si occupa di studiare i materiali archeologici dal punto di vista di tipologia, funzione e ambito culturale di origine, dall’altro chi si dedica, con modalità declinate in azioni diversificate, alla protezione di tali beni da possibili condotte delittuose.
La strutturazione di tale inedito approccio ha dovuto considerare sia le criticità descritte in precedenza sia i differenti livelli di dettaglio dei dati. Questi ultimi infatti sono da un lato riferibili ad attività investigative diverse, condotte da agenti/ufficiali di Pg specializzati coadiuvati da professionisti differenti, e dall’altro risultato di un metodo di acquisizione disomogeneo e non coordinato. La sperimentazione del sistema di schedatura appena descritto non solo ha permesso di creare un modulo omogeneo e condiviso di inventariazione dei beni recuperati ma ha, di fatto, anche fornito la base per le riflessioni proposte in questa sede.
Nell’ottica di rispondere a quanto premesso, è stato ideato il modello di gestione incentrato sui dati riferiti ai recuperi, presenti nella Bd, e su quelli derivati dall’esame dei manufatti sequestrati e schedati attraverso il modulo sperimentale. L’analisi di tutte queste informazioni, opportunamente elaborate secondo un sistema di acquisizione organizzato in ambiti tematici, ha permesso di generare grafici e statistiche che, come sarà presentato in seguito, consentono di rispondere agli obiettivi stabiliti.
Questa metodologia si configura quale primo tentativo di interrogazione di un corpus ingente di informazioni che, oculatamente analizzato, può suggerire strategie per prevedere gli effetti e gli sviluppi di alcuni fenomeni criminologici. Se infatti le considerazioni finora elaborate sono centrate su un numero definito di recuperi, sarà interessante verificare se i trend individuati si manterranno tali anche a seguito dell’inserimento nel sistema così strutturato di nuovi input derivanti da futuri eventi.
Occorre infine anche soppesare se, con le dovute e necessarie modifiche per quanto concerne l’individuazione dei campi utili all’analisi, tale metodologia possa essere sfruttabile per l’esame di medesimi fenomeni aventi tuttavia per oggetto altre categorie di beni del patrimonio culturale, quali, per esempio, i demoetnoantropologici o gli storico-artistici.
5. Analisi dei dati: gli illeciti commessi in Piemonte e Valle d’Aosta
Allo stato attuale dell’esame, tra il 1° gennaio 2005 e il 31 dicembre 2023, sono documentati 75 recuperi, avvenuti nel solo Piemonte mentre non risulta alcun illecito occorso in Valle d’Aosta. Tuttavia, dei due furti acclarati, uno si è verificato nella regione autonoma a Saint-Pierre nel 2006 mentre il secondo è avvenuto presso il Centro studi e museo d’arte preistorica (Cesmap) di Pinerolo nel 2014. Nel primo caso, durante la costruzione di alcune villette, la scoperta di una necropoli dell’età del ferro ha necessitato lo svolgimento di un’indagine archeologica: l’illecito ha riguardato la sottrazione, da una delle sepolture rinvenute, di una fibula in metallo con vaghi in pasta vitrea. Nel secondo caso, il furto ha riguardato la sottrazione di alcuni manufatti ceramici dal deposito interno al centro. In entrambi gli eventi, i beni sottratti risultano, al momento della disamina, ancora da ricercare.
Per quanto attiene ai reati, a cui sono seguiti i recuperi in esame, il grafico (Fig. 1) ne illustra la distribuzione su base provinciale, testimoniando come Torino e territorio di pertinenza siano i contesti in cui sono attestate tutte le tipologie riscontrate.
Fig. 1. Consegne e illeciti in Piemonte e Valle d’Aosta (elaborazione a cura degli autori).
In ogni provincia è l'impossessamento illecito di beni culturali a essere maggiormente documentato, mentre le violazioni in materia di ricerche archeologiche, il secondo reato in termini numerici, non è noto per le aree di Asti e di Biella. In relazione a quanto già affermato, sono di interesse i due casi di danneggiamento di beni culturali in altrettanti cantieri, ad Arona (NO) e a Verrua Savoia (TO), quest’ultimo nell'ambito di una cava di materiale litico.
Mantenendo la suddivisione provinciale, pare utile rapportare gli illeciti commessi alla popolazione residente nel territorio. I dati Istat, aggiornati al 1° gennaio 2024, vedono Torino e provincia con i numeri più elevati, con 2.203.353 abitanti, seguono Cuneo, con 582.194, Alessandria, con 406.831 e Novara, con 364.046.
Osservando il grafico, si riscontra come, anche in riferimento al numero di illeciti, corrispondano le medesime province. La situazione non si presenta, invece, analogamente allineata per i restanti territori: al quinto posto per numero di abitanti risulta Asti, con 207.785, seguono Biella, con 168.707, Vercelli, con 165.821 e il Verbano-Cusio-Ossola, con 153.844 mentre, se si osservano i dati presentati, al quinto posto per numero di reati contestati è il Verbano, seguono Vercelli e, in ultimo, Asti e Biella, con la stessa attestazione.
In merito ai diciotto casi di violazioni in materia di ricerche archeologiche si osserva che solo in sette occasioni è stata segnalata la presenza di metal detector: se si escludono i due casi documentati nella provincia torinese, uno nell’area archeologica urbana della Porta Palatina, e il secondo occorso nel territorio di Chieri, i restanti sono avvenuti in località pedemontane (Susa, Giaveno, Borgosesia) o collinari (Cherasco).
Un altro tema riguarda la provenienza dei beni archeologici recuperati [40] che, come in parte già anticipato, ha consentito la distinzione dei beni in: “locali”, quando riferibili al territorio, perché prelevati tramite attività di ricerca illecita e/o perché associati, in ragione di determinate caratteristiche, a produzioni antiche ivi ubicate; “di importazione”, quando realizzati in manifatture e/o riferibili ad ambiti culturali non locali e, nella maggior parte dei casi, identificati nelle zone del centro e sud Italia. In relazione alla provenienza dei recuperi, si precisa come alcune raccolte comprendono anche manufatti di altre aree del Mediterraneo (tre casi) e del sud e centro America (quattro casi).
Si segnala che, non costituendo reato, non sono stati considerati i rinvenimenti fortuiti di beni archeologici [41] e i sequestri di soli beni numismatici, attesa la definizione che ne dà l’art. 13 d.lg. 42/2004, “le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolarmente importante, appartenenti a soggetti diversi da quelli indicati al comma 1”. Inoltre, per la parte che in questa sede interessa, al comma 4, lettera b), è esplicitato che “[...] le cose di interesse numismatico che, in rapporto all’epoca, alle tecniche e ai materiali di produzione, nonché al contesto di riferimento, abbiano carattere di rarità o di pregio”. Ciò indica che i beni numismatici, per rientrare nella categoria anzi indicata, a differenza di quelli archeologici, devono riunire due qualità: il carattere di rarità o pregio. Tali elementi, accertati in virtù di un esame condotto da uno specialista, non sempre sono espressi nella documentazione esaminata.
Il bene numismatico può tuttavia essere ritenuto alla stregua di un reperto archeologico secondo la previsione per cui “le cose [...] da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo o sui fondali marini, appartengono allo Stato [...]” [42], eventualità considerata nel presente studio.
Infine, per quanto attiene il possesso illecito contestato, si segnalano i recuperi avvenuti in case d’asta, gallerie d’arte e mercati dell’antiquariato. Si tratta di sette casi che, diluiti nell’arco temporale considerato, comprendono tutti questi contesti commerciali costituenti il mercato di riferimento, cosiddetti dealers. L’aspetto di interesse risiede nelle distinte tipologie di possesso dei reperti archeologici recuperati in queste sedi. Se infatti il loro ritrovamento avviene nell’ambito di mercati e gallerie essi sono confluiti, in origine, nella sfera di possesso del venditore; diversamente le case d’asta, offrendo un servizio di intermediazione, non hanno il possesso dei beni trattati che resta di terzi i quali hanno conferito a questi soggetti commerciali un mandato di vendita.
I corpora recuperati non sempre si sono presentati distinti nei due raggruppamenti indicati, locali e di importazione: come è immaginabile, alcune raccolte presentavano infatti manufatti del territorio e di altre aree della penisola o di fuori nazione. Si puntualizza che, per circa il 12% di essi, il vaglio della documentazione non ha permesso l’acquisizione di tali dati specifici, non formalmente espressi in sede di verbale.
Il grafico (Fig. 2) illustra, per Torino e provincia, una sostanziale omogeneità in termini di attestazioni, situazione che si presenta analoga per Novara. Per quanto riguarda Alessandria, Asti, Cuneo, Vercelli e il Verbano-Cusio-Ossola sono i beni locali a essere maggiormente rappresentati mentre per Biella si notano corpora di manufatti di sola importazione.
Fig. 2. L’origine dei beni archeologici recuperati nel corso delle attività (elaborazione a cura degli Autori).
Appare infine significativo concentrarsi sul recupero di un corpus di beni di importazione presenti nel torinese ma provenienti dalla Sicilia. Le notizie acquisite in merito evidenziano come, in mancanza di informazioni sull’origine dei beni, la motivazione della progressiva costituzione di un gruppo di oggetti, sviluppata nel tempo e nello spazio, sia, nella maggior parte dei casi esaminati, sconosciuta.
Alla luce di quanto presentato, tenendo conto degli aspetti critici non pienamente inquadrabili con la metodologia definita, è comunque possibile pervenire a conclusioni in linea con gli intenti prefissati.
Osservando la distribuzione dei reati sul territorio, è evidente come il capoluogo piemontese e la sua provincia costituiscano, in rapporto anche al numero di abitanti, il contesto dove sono avvenuti più recuperi. A tale situazione è opportuno aggiungere il dato riferito al censimento delle aree archeologiche distribuite nelle due regioni di competenza che testimonia, con 14 siti, la predominanza del medesimo areale (Fig. 3).
Fig. 3. Attestazione delle aree archeologiche in Valle d’Aosta e Piemonte (elaborazione a cura degli Autori).
Non si può prescindere dalla dislocazione del Nucleo Tpc di Torino, con sede nel capoluogo piemontese, quale parametro influente su quanto definito in termini di prossimità e che si ripercuote, più o meno direttamente, sulle attività istituzionali devolute.
Analogamente, questo assetto corrisponde con l’organizzazione delle Soprintendenze, che hanno sede nelle province più popolate: Torino (Sabap per la Città metropolitana di Torino), Alessandria (Sabap per le provincie di Alessandria, Asti e Cuneo) e Novara (Sabap per le provincie di Biella, Novara, Verbano-Cusio-Ossola e Vercelli); caso a parte la Soprintendenza della Regione autonoma Valle d’Aosta che, con sede nel capoluogo, è competente per l’intera regione.
L’ipotesi di influenza della compresenza istituzionale, in relazione alla popolazione e al maggior controllo, è disattesa proprio dalla Valle d’Aosta che, con una popolazione di circa 34.000 abitanti nel capoluogo e 123.000 nel territorio e una presenza di ben 10 aree archeologiche, si colloca per questi elementi al secondo posto dopo il capoluogo piemontese: se si esclude il furto, avvenuto a Saint-Pierre, nessun altro evento risulta tuttavia denunciato o segnalato.
Eppure, a dimostrazione della complessità di acquisizione di dati e del loro successivo esame, è risaputo che nel territorio regionale siano stati probabilmente condotti scavi non autorizzati. A esemplificazione si cita il progetto Interreg italo-svizzero, “Alpis Poenina. Une voie à travers l’Europe” che, tra il 2000 e il 2006, ha visto lo svolgimento di campagne archeologiche gestite dalla Soprintendenza valdostana al Plan de Jupiter, colle del Gran San Bernardo, ubicato a 2.400 m s.l.m. sul suolo italiano, al confine con quello svizzero.
L’area archeologica, nota dalla metà del XIX secolo, era stata oggetto già in passato di indagini in quanto recante testimonianze preromane e dell’organizzazione stradale e infrastrutturale di epoca romana, con la presenza di due mansiones e un tempio fondato sulla roccia, conseguente alla nascita, nel 25 a.C., di Augusta Praetoria. Le operazioni preliminari, precedenti allo scavo stratigrafico in estensione, permisero di individuare nell’area anomalie compatibili, come riportato nelle relazioni pubblicate dagli archeologi, con lo svolgimento di scavi clandestini: praticati in seguito all’individuazione di manufatti metallici, si presume tramite metal detector, tali attività compromisero in primis la stratigrafia, impedendo la documentazione, e minarono lo stato di conservazione dei muri degli edifici allora intercettati e, in parte, distrutti [43].
In relazione al reato di violazioni in materia di ricerche archeologiche, l’impiego del metal detector è un elemento ricorrente nei casi in cui è stato ravvisato il reato specifico. I dati acquisiti indicano come tale pratica si svolga soprattutto in aree poco antropizzate e controllate, specie in zone montane, più raramente nei siti archeologici censiti e nelle loro vicinanze. Gli obiettivi di queste ricerche sono i metalli preziosi, come l’oro e l’argento, le monete, le armi e i vari militaria. Tuttavia, nel corso di queste azioni, sono prelevati anche manufatti di altro genere, in metalli meno nobili e leghe e, talvolta, in altri materiali, come terracotta, vetro e osso, non individuati dallo strumento ma prelevati contestualmente dal terreno, come dimostrato dall’esame dei corpora formatisi con questa modalità e in seguito recuperati.
La ricerca condotta e i dati acquisiti, inducono ad avvalorare l’ipotesi in premessa: le modalità di impossessamento illecito di beni archeologici si differenziano in base alle aree della penisola ove esse sono documentate. È possibile dunque sostenere che, nelle regioni in esame, il modus operandi privilegi l’utilizzo di strumenti per reperire oggetti metallici e non sembri suggerire una strategia di ricerca conseguente a una conoscenza del potenziale archeologico che, più o meno noto, risulta celato nel sottosuolo di tali territori. Viceversa, la peculiarità propria del centro-sud Italia, dove si attesta una maggior concentrazione di siti archeologici, sembra abbia contribuito allo sviluppo, nel tempo, di un’attitudine criminale focalizzata sulla scelta dei reperti, in particolare quelli ceramici. In tali zone, i tombaroli dimostrano inoltre di conoscere bene il territorio, di essere organizzati nella conduzione della propria attività e, forse anche in ragione di tali aspetti, di individuare con capacità ed efficacia dove scavare e cosa prelevare per ricavarne maggiore profitto in fase di vendita [44].
L’assenza e/o la scarsa definizione dei dati riferibili alle modalità di acquisizione dei reperti archeologici non permettono, in generale, di stabilire i canali di approvvigionamento illecito. Tale paradigma è profilato dal caso che, già citato in precedenza e occorso nel 2016, si riferisce a un sequestro eseguito in un comune del torinese: gli oggetti erano custoditi, senza titolo, nell’abitazione privata di un libero professionista, entrato in loro possesso dopo la morte del padre il quale, prima del trasferimento in Piemonte, aveva lavorato in Sicilia, nei primi anni Cinquanta del Novecento, come addetto alla posa di cavi e strutture elettriche [45].
La ricostruzione dei fatti, basata su sommarie informazioni circa la provenienza, difetta però dell’esatto riferimento temporale, del luogo di prelievo e delle modalità esecutive. Non essendo stato possibile fornire all’Ag un quadro probatorio in relazione al reato di impossessamento, come accade di frequente, la posizione del detentore è stata archiviata per intervenuta prescrizione mentre i reperti archeologici sono stati conferiti allo Stato. Per gli stessi motivi è comunque vanificata anche la possibilità di avviare ulteriori ricerche e studi su tali beni finalizzati a definire il preciso contesto d’origine.
Il caso in questione esemplifica da un lato quanto spesso derivi da tali illeciti un danno incommensurabile per il patrimonio archeologico nel suo insieme, e dall’altro consente di focalizzare l'attenzione sull’importanza di un’appropriata metodologia di analisi che consideri tutti i dati a disposizione, opportunamente acquisiti.
Sono numerosi i recuperi censiti aventi oggetti di ambito magno greco e/o siceliota, per i quali non affiora il motivo della loro presenza nel corpus. Risulta invece questo il solo caso in cui è noto come l’individuo abbia ereditato i manufatti da un congiunto che, a sua volta, li ha prelevati, forse direttamente, o li ha avuti/acquistati da terzi ma che, in ogni caso, colloca i medesimi nell’area nota e dove costui lavorava. Ciò dimostra come il solo esame dei reperti, l’individuazione dei luoghi della loro produzione e dell’ambiente culturale a cui essi si riferiscono, non siano elementi sufficienti per ricomporre correttamente la filiera di approvvigionamento. I manufatti in questione, pur essendo stati prodotti in antico da zone diverse del sud della penisola, sono stati prelevati da siti ignoti ma siciliani e, successivamente, portati in Piemonte.
Tale concatenazione di attività appare davvero di complessa determinazione se la si pondera anche in virtù dei tempi di formazione delle raccolte che, nel caso specifico, possono essere circoscritti ma che, in genere, non si conoscono se non per il riferimento al termine di costituzione della raccolta stessa, collegato alla data del recupero e/o alla morte di chi l’ha costituita.
Solo esaminando in modo integrato i vari aspetti si può sciogliere la vexata quaestio e approcciare la definizione di un percorso di approvvigionamento, ovvero impostare lo studio di questo articolato fenomeno, in considerazione anche delle criticità descritte in precedenza come, si ricorda, la formazione del gusto, riferito non solo al luogo di residenza e allo status sociale e culturale del detentore ma correlato e dipendente anche alle e dalle varie epoche storiche.
Tutto ciò deve infine essere anche ricondotto ai territori in esame che, per loro natura, non sono sorgenti di beni “di importazione”.
In relazione a quanto espresso, osservato nel caso specifico, si rileva come la ricerca debba indirizzarsi sulla considerazione non di una singola modalità ma di più modalità di acquisizione, filtrate attraverso gli aspetti delineati.
Nel tentare tale definizione, non ci si dovrà dunque solo concentrare sulla motivazione alla base delle scelte di costituzione di una raccolta, quanto più canalizzare gli sforzi per la strutturazione di un sistema che, mettendo in interrelazione, in modo oculato, i vari aspetti descritti, permetta di definire queste prassi sulla base di affinità tra i casi esaminati. Saranno queste affinità che, attraverso il sistema stesso, potranno favorire l’emersione di trend grazie ad esse individuabili.
Se tale risultato fosse rapportato a livello provinciale e incrociato con le modalità note di vendita illecita, in esercizi commerciali, fiere, mercati e frequentazioni di siti web, forse, su scala territoriale, le differenti modalità di acquisizione potrebbero essere perlomeno intraviste.
Con riferimento all’esame dei reperti archeologici e della loro definizione, si prevede che l’adozione di un sistema di schedatura omogeneo, rispondente agli standard catalografici ministeriali, comporterà la decrescita del valore del “non determinato” che, allo stato attuale della disamina, non consente di osservare la distribuzione precisa dei due raggruppamenti. Ciò influisce sull’analisi della composizione delle raccolte, detenute illecitamente e in seguito recuperate, in riferimento alla loro presenza sul territorio, determinando così una visione solo parziale delle loro attestazioni.
Come anticipato, sarà cruciale verificare se gli andamenti così definiti, ancorché parziali, rimarranno tali a distanza di tempo e, soprattutto, se l’adozione delle procedure di inventariazione condivise potrà determinare, o meno, una loro variazione.
Occorre infine sottolineare come il sistema di schedatura, nei campi ideati per la registrazione delle caratteristiche della superficie dei manufatti, costituisca una modalità di supporto anche per l’individuazione del reato. L’applicazione della procedura ha determinato l’acquisizione di dati che, riferiti a tali caratteristiche, suggeriscono una possibile provenienza illecita del manufatto nel corpus oggetto di verifica: fratture generate da strumenti dotati di punta, presenza di concrezioni di varia natura, individuazione di numeri o codici inventariali. La loro registrazione sistematica, favorita dall’impiego di un vocabolario ad hoc, ha permesso di rilevare una sorta di costante che pare suggerire l’attestazione di alcune di esse su oggetti simili, tipologicamente e/o per ambito di produzione o culturale di riferimento, seppur afferenti a recuperi diversi.
Per concludere, la procedura ideata, in virtù della quale è stato possibile presentare questo primo status quaestionis, promuove e rafforza la condivisione delle competenze, privilegiando un approccio multidisciplinare: essa definisce un metodo di ricerca e di operatività che, in un senso più vasto e profondo, contribuisce in egual misura allo sviluppo della conoscenza e alla salvaguardia del patrimonio culturale.
Note
[*] Giordana Amabili, PhD in Archeologia Classica, Assegnista di ricerca, Dipartimento di Studi Storici, Università di Torino, Via Sant'Ottavio 20, 10124 Torino, giordana.amabili@unito.it.
[**] Cristian Lo Iacono, dottore in Scienze Politiche, cristianloiacono@gmail.com.
[1] Per quanto attiene le due regioni considerate, in Piemonte sono presenti tre Soprintendenze archeologia belle arti e paesaggio (Sabap), in particolare la Sabap per la città metropolitana di Torino, la Sabap per le provincie di Alessandria, Asti e Cuneo e la Sabap per le provincie di Biella, Novara, Verbano-Cusio-Ossola e Vercelli, decreto ministeriale 23 gennaio 2016, n. 44. In Valle d’Aosta esiste la Soprintendenza per i beni e le attività culturali in quanto la gestione amministrativa delle “antichità e belle arti” è trasferita, in virtù dell’autonomia speciale, legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4, all'Assessorato competente in materia di tutela dei beni culturali in ottemperanza alle disposizioni vigenti, art. 38 legge regionale 16 maggio 1978, n. 196, art. 1 legge regionale 8 marzo 1993, n. 11 di modifica della legge regionale 10 giugno 1983, n. 56 e dell'art. 8 d.lg. 42/2004.
[2] Qualora le attività amministrative e/o preventive non siano sufficienti ad assicurare la regolare osservanza delle disposizioni di legge in materia e si dovessero rilevare violazioni, ci si riferisce alla materia penale specifica.
[3] Il termine, coniato in riferimento alla profanazione delle tombe etrusche ubicate tra Toscana e Lazio, intende identificare un individuo che ricerca e scava illecitamente sepolture antiche con lo scopo di asportare da esse manufatti da vendere a collezionisti e amatori, come esemplificato in L. Rupi Paci, Tombaroli si nasce, Firenze, 1992; L. Perticarari, A.M. Giuntani, I segreti di un tombarolo, Milano, 1986; Intervista a un “tombarolo” - The Journal of Cultural Heritage Crime, consultato il 30 giugno 2024.
[4] La maggior parte delle aree archeologiche censite è collocata al sud, 50,8% sul totale del territorio nazionale, mentre il 30,7% insiste su Sardegna e Sicilia (Report Istat 2017); la definizione “area archeologica” è, in questo caso, coerente con la previsione ex art. 101 d.lg. 42/2004.
[5] Banco di Skerki, il tesoro sommerso da tutelare, in rivistanatura.com (consultato il 7 luglio 2024) e S. Tusa e F. Agneto (a cura di), Memorie di Mare un mare di memorie. La soprintendenza del Mare dal Giass al progetto Arrows, Regione Siciliana - Assessorato dei beni culturali e dell’identità siciliana, 2015.
[6] Tale vigilanza si esprime in due direzioni, attraverso le attività amministrative specifiche delle Soprintendenze e tramite il controllo delle Forze di Polizia stanti sul territorio. Queste ultime operano con modalità di prevenzione di portata generale in riferimento a quei contesti che sono definiti obiettivi sensibili perché più esposti a un rischio di aggressione criminale.
[7] Il Mic può rilasciare la concessione di ricerca e scavo, ex artt. 88-89 d.lg. 42/2004 e delle relative circolari ministeriali nn. 24/2012, 8/2013, 3/2015 e, in particolare, le nn. 6 e 21 del 2016.
[8] Per un’introduzione al metodo stratigrafico si vedano Ph. Barker, Techniques of Archaeological Excavations, London, 1977; E.C. Harris, Principles of Archaeological Stratigraphy, London, 1979; A. Carandini, Storie della terra, Torino, 1991, 2 ed.; R. Francovich, D. Manacorda (eds), Lo scavo archeologico: dalla diagnosi all’edizione, Firenze, 1990; G. Leonardi (ed.), Processi formativi della stratificazione archeologica, Padova, 1992; S. Pallecchi, Archeologia delle tracce, Roma, 2008. Il Mic, attraverso l'Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione (Iccd), infra nota 19, ha normato la redazione della documentazione da produrre nel corso di un’indagine archeologica, Normative - Iccd - Istituto centrale per il catalogo e la documentazione.
[9] Infra, nota 46.
[10] Come ricostruito in M. Luniddi, Etnografia dei tombaroli della Tuscia, Roma, 2019.
[11] Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, “Attività Operativa” (report annuali dal 2015 al 2023), consultato l’11 luglio 2024.
[12] Infra, par. 3.2.
[13] L’indicazione è riportata sulla documentazione di accompagnamento dei manufatti in questione.
[14] A tale proposito, è doveroso ricordare la liceità di possesso di beni archeologici qualora essi siano stati ottenuti o acquistati con modalità conformi alla normativa di tutela, dimostrandone il lecito possesso ante 1909, in base alle prescrizioni amministrative ex artt. 62-63-64 d.lg. 42/2004, ovvero acquistati regolarmente, anche in stati esteri, sempre con documentazione sull’origine e provenienza al loro ingresso in Italia, come prevede l’art. 72 d.lg. 42/2004.
[15] A tale proposito, si confrontino on-line i cataloghi di alcune case d’asta quali, a titolo esemplificativo, Pandolfini (Firenze, Poggio Bracciolini, Milano e Roma), Babuino (Roma), Bertolami (Roma), Il Ponte (Milano).
[16] A. Castagnoli, Torino dalla ricostruzione agli anni Settanta, Milano, 1995; S. Musso, Lo sviluppo e le sue immagini. Un’analisi quantitativa. Torino, 1945-1970, in La città e lo sviluppo. Crescita e disordine a Torino 1945-1970, (a cura di) F. Levi, B. Maida, Milano, Franco Angeli Editore, 2002, pag. 39 ss.
[17] In generale, si vedano G. Sirchia, La valutazione economica dei beni culturali, Roma, 2000; M. Mazzanti, Metodi e strumenti di analisi per la valutazione economica del patrimonio culturale, Milano, 2003. Una comparazione tra Francia e Italia in AA.VV., La valorisation économique des biens culturels locaux en France et en Italie, Atti del Convegno internazionale (Tolosa, 21 novembre 2014), in Aedon, 2016.
[18] In riferimento al caso italiano si vedano G. Carettoni, Aspetti dell’estimo dei monumenti archeologici, dei palazzi antichi e delle opere d’arte, in La scienza estimativa e il suo contributo per la valutazione e la tutela dei beni artistici e culturali, Atti del VII Incontro del Centro Studi di Estimo (Firenze, 13 gennaio 1977), Firenze, 1978, pagg. 25-29; N. Degrassi, Valutazione dei resti archeologici (con particolare riferimento ai resti di epoca romana), in Antichità e Belle Arti, anno VII, n. 9-10, settembre-ottobre 1983, pagg. 1-2; A. Privitera, La stima dei beni archeologici, in EuNomika - Rivista scientifica del CSC, 5 gennaio 2021.
[19] L’Iccd è un istituto del Mic dotato di autonomia scientifica e amministrativa, afferente all’Istituto centrale per la digitalizzazione del patrimonio culturale - Digital library. In base al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 24 giugno 2021, n. 123 e al decreto ministeriale 3 febbraio 2022, n. 46, tra i vari compiti, si occupa anche di coordinare, promuovere e gestire il Catalogo generale dei beni culturali, diffondendo norme e standard internazionali, garantendone l’uniformità e producendo strumenti terminologici di controllo, si veda Iccd, consultato il 15 luglio 2024.
[20] Supra, nota 14.
[21] Per una riflessione circa la coerenza tra la proposta di riforma normativa italiana e le leggi internazionali si veda L. D’Agostino, Dalla “vittoria di Nicosia” alla “navetta” legislativa: i nuovi orizzonti normativi nel contrasto ai traffici illeciti di beni culturali, in Riv. tri. dir. pen. cont., 2018, 1, pagg. 78-92.
[22] Tra i vari contributi si veda G. Calcani (a cura di), Falso! Il patrimonio culturale e la difesa dell’autenticità. Atti del Convegno interdisciplinare (Roma, 25-27 ottobre 2018), Quaderni del Master Esperti nelle attività di valutazione e di tutela del patrimonio culturale, Roma, 2020.
[23] Artt. 266-267-293 c.p.p. La disciplina specifica è stata novellata con l’introduzione del decreto-legge 30 dicembre 2019, n. 161, convertito nella legge 28 febbraio 2020, n. 7.
[24] In ambedue le casistiche, l’esecuzione prevede sempre la redazione di verbali dettagliati che, sottoscritti da tutti gli intervenuti, sono inoltrati all’Ag; essi possono, altresì, essere oggetto di riesame, entro 10 giorni, dalla parte interessata o da terzi aventi diritto.
[25] Corte cass., sez. III, 26 novembre 2015, n. 51681, a conferma di precedenti pronunce, per cui il reato contravvenzionale specifico si configurerebbe a prescindere dalla presenza o meno di un sito archeologico.
[26] Art. 240-bis c.p. (Confisca in casi particolari). Nei casi di condanna o di applicazione della pena su richiesta a norma dell'art. 444 c.p.p., per taluno dei delitti previsti dall'art. 51, comma 3-bis, c.p.p., dagli artt. (omissis) 518-quater, 518-quinquies, 518-sexies e 518-septies (omissis) c.p. Nei casi previsti dal primo comma, quando non è possibile procedere alla confisca del denaro, dei beni e delle altre utilità di cui allo stesso comma, il giudice ordina la confisca di altre somme di denaro, di beni e altre utilità di legittima provenienza per un valore equivalente, delle quali il reo ha la disponibilità, anche per interposta persona.
[27] Per un commento alla nuova normativa si confrontino, tra gli altri, G.P. Demuro, I delitti contro il patrimonio culturale nel codice penale: prime riflessioni sul nuovo titolo VIII-bis, in Sist. pen., 29 aprile 2022, pagg. 1-34; L. Mazza (a cura di), Le disposizioni in materia di reati contro il patrimonio culturale, Pisa, 2022; R. Nodari, Lineamenti di tutela penale dei beni culturali. La transizione dal Codice Urbani alla Legge 22/2022, Viterbo, 2022; N. Recchia, Una prima lettura della recente riforma della tutela penalistica dei beni culturali, in Aedon, 2022, 2.
[28] Corte cass., sez. II, 26 aprile 2017, n. 10303, inerente la presunzione di proprietà statale nelle azioni giudiziali di rivendica di beni archeologici provenienti dal suolo nazionale e alla derivante inversione dell’onere della prova.
[29] Corte cass., sez. unite, 21 gennaio 2011, n. 1963.
[30] Corte cass., sez. III, 24 ottobre 2006, n. 39109, ha affermato il principio che “ai fini della configurabilità del reato di impossessamento illecito di beni culturali appartenenti allo Stato, di cui all’art. 176 del d.lg. 42/2004, non è necessaria la preesistenza di un provvedimento che dichiari l’interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico delle cose delle quali il privato sia trovato in possesso, atteso che i beni di cui all’'art. 10 del citato d.lg. 42/2004 appartengono allo Stato sulla base del semplice accertamento del loro interesse culturale, salvo che il possessore non fornisca la prova della legittima proprietà degli stessi”.
[31] In merito all’art. 518-bis c.p. si veda D. Colombo, Osservazioni in tema di furto di beni culturali, in Aedon, 2023, 1.
[32] Corte cass., sez. II, 3 maggio 2007, n. 16893.
[33] Corte cass., sez. II, 26 aprile 2017, n. 10303.
[34] A cui seguirà il sequestro penale di iniziativa, art. 321, comma 3-bis, c.p.p., con i connessi accertamenti da inoltrare all’Ag.
[35] Per una riflessione in merito si veda A. Visconti, La repressione del traffico illecito di beni culturali nell’ordinamento italiano. Rapporti con le fonti internazionali, problematiche applicative e prospettive di riforma, in Leg. pen., 19 dicembre 2021, pagg. 1-66.
[36] Normative - ICCD - Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione.
[37] La definizione di questo strumento è inquadrata all’interno di un progetto di tesi, dal titolo “La schedatura di beni archeologici recuperati nel corso di indagini penali: metodologie di catalogazione condivisa a beneficio del law enforcement culturale”, finalizzato al completamento del percorso di alta formazione in Archeologia giudiziaria e crimini contro il patrimonio®, 2023-2025, promosso dal CSC-Centro Studi Criminologici di Viterbo. Tale modello inventariale è stato concepito dalla scrivente, Giordana Amabili in collaborazione con Cristian Lo Iacono, autori del presente contributo, e, successivamente, condiviso con Francesca Garanzini, funzionario archeologo della Sabap per le provincie di Biella, Novara, Verbano-Cusio-Ossola e Vercelli.
[38] La provenance è il resoconto storico dei passaggi di proprietà di un bene culturale e d’arte. Si basa essenzialmente su una ricerca documentale e storica, finalizzata a ricostruire le vicende che, a seconda dei casi, possono essere note o restare sconosciute. In generale la storia di un bene culturale, quando documentata e tracciata correttamente, deve comprendere i vari passaggi di proprietà, testimoniati dalle transazioni commerciali, lo storico delle movimentazioni e dei prestiti, la certificazione di autenticità, i pareri e le valutazioni riferibili alla presenza del bene stesso in mostre e in cataloghi o in altre pubblicazioni. Questi aspetti sono fondamentali per attestare l’autenticità del bene, la sua proprietà e la sua valutazione, non solo per quanto attiene le regole di trasparenza del mercato ma anche per la corretta tenuta delle collezioni private/pubbliche, comprese quelle delle istituzioni museali. È di assoluta rilevanza qualora il bene venga sottratto e, una volta recuperato, debba essere restituito. Si veda, a riguardo, la Convenzione Unidroit del 24 giugno 1995, ratificata dall’Italia il 7 giugno 1999.
[40] Si precisa che tale suddivisione si basa sull’esame della documentazione redatta da un archeologo, nella maggior parte dei casi funzionario di Soprintendenza.
[41] Art. 90 d.lg. 42/2004 (Scoperte fortuite): con scoperta fortuita si intende la circostanza scevra da ogni attività di ricerca e dell'intenzionalità del ritrovamento.
[42] A conforto di ciò è bene tenere presente anche il pronunciamento dell’organo supremo della giustizia che si è espresso in un caso in termini convergenti con il contenuto della legge di tutela, Corte cass., sez. III, 28 luglio 2017, n. 37861.
[43] AA. VV., Une voie à travers l’Europe, Actes du Séminaire de clôture (Fort de Bard, 11-12 avril 2008), Aoste, 2008, pagg. 40, 42, 43, 55-57.
[44] Si v. Necropoli spunta nelle campagne del Sannio: 88 sepolture scampate ai tombaroli, in The Journal of Cultural Heritage Crime, consultato il 3 agosto 2024.
[45] Come dichiarato dal diretto interessato, non essendovi altra documentazione probante, è tuttavia risultato congruente con la tipologia dei reperti sequestrati, ascrivibili proprio alle produzioni delle zone interessate.
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