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La tutela dei beni culturali

La circolazione dei beni culturali immobili di proprietà pubblica a 20 anni dall’emanazione del Codice dei beni culturali: luci ed ombre

di Andrea Fantin [*]

Sommario: 1. Premessa. - 2. Il sistema tripartito di alienabilità dei beni culturali di proprietà pubblica. - 3. Le criticità nella circolazione dei beni di proprietà pubblica e le possibili soluzioni. - 3.1. In relazione alla verifica. - 3.2. In relazione alla tutela in sede di trasferimento. - 3.2.1. Enti no profit. - 3.2.2. In relazione ai diversi gradi di tutela contenuti nelle autorizzazioni. - 3.2.3. In relazione alle sanzioni civilistiche e penali. - 4. Conclusioni.

The circulation of immovable cultural properties owned by public 20 years after the issuing of the Code of cultural heritage: lights and shadows
This paper asks, twenty years after the enactment of the Code of Cultural Heritage, whether the rules on the circulation of publicly owned cultural goods have had the positive effect that the legislator hoped for and whether their application has highlighted critical issues on which intervene in anticipation of a possible future amendment to the Code.

Keywords: code of cultural heritage; rules on the circulation; publicly owned cultural goods.

1. Premessa

Il Codice Urbani del 2004 (decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42), come previsto dalla legge di delega, non si è limitato ad armonizzare le precedenti normative di settore, ma ha avuto il merito indiscusso di intervenire radicalmente su diversi istituti, risolvendo, da un lato, alcune criticità che si trascinavano fin dall’entrata in vigore della legge n. 1089/1939 e, dall’altro, disciplinando compiutamente la possibilità di alienazione del patrimonio culturale pubblico, sia pur vincolandola a determinate condizioni.

Tra le maggiori innovazioni normative introdotte dal codice devono sicuramente essere ricordate la previsione dell’obbligatorietà del procedimento di verifica dell’interesse culturale per i beni di proprietà pubblica prevista dall’art. 12, e le norme aventi ad oggetto la circolazione in ambito nazionale dei beni culturali di proprietà pubblica previste dagli artt. 53 ss.

Se dunque l’entrata in vigore del Codice dei beni culturali, a quasi vent’anni dalla sua emanazione, deve essere vista sicuramente con favore, non ci si può non domandare se le norme, aventi ad oggetto la circolazione dei beni culturali pubblici, tra le più discusse al momento della loro introduzione, abbiano avuto quell’effetto positivo che il legislatore auspicava.

Per poter verificare l’effettivo impatto di tali norme è tuttavia necessario preliminarmente tratteggiare per sommi capi le norme previste dagli artt. 53 ss. del codice che disciplinano i trasferimenti dei beni culturali di proprietà pubblica, per soffermarsi solo successivamente sulle criticità che l’applicazione in concreto di tali norme ha fatto inevitabilmente emergere.

La sezione I, del titolo I, al capo IV (artt. 53-57) del Codice disciplina quella che viene rubricata dal legislatore “Circolazione in ambito nazionale [1].

L’art. 53 pur confermando, al comma 1, la natura demaniale dei beni immobili di interesse culturale di proprietà degli enti territoriali, rientranti nelle tipologie di cui all’art. 822 c.c.” si allontana però significativamente dalla disciplina del Codice civile per quanto riguarda il regime giuridico di tali beni.

Tale divaricazione tra regime tradizionale dei beni demaniali dettato dal c.c. ed il regime speciale previsto per i beni pubblici culturali è sintetizzato dal comma 2, che stabilisce che i beni culturali appartenenti allo Stato, alle regioni e agli altri enti pubblici territoriali non possono essere alienati, né formare oggetto di diritti a favore di terzi “...se non nei limiti e con le modalità previsti dal presente codice”.

Tale ultimo inciso è di importanza centrale dal momento che sostituisce di fatto alla regola tradizionale dell’“inalienabilità assoluta” del demanio culturale, prevista dal c.c. e dal precedente T.U., con quello della alienabilità seppur limitata alle particolari condizioni e modalità contenute nel codice stesso agli articoli seguenti (artt. 55-57-bis).

2. Il sistema tripartito di alienabilità dei beni culturali di proprietà pubblica

Più precisamente il Codice dei beni culturali propone ora un sistema di circolazione tripartito o meglio su tre livelli per beni non appartenenti ai privati: a) beni assolutamente inalienabili indicati all’art. 54, comma 1 e 2 (beni c.d. riservati); b) alienabilità sotto stretta sorveglianza previa autorizzazione condizionata (“forte”) per i beni appartenenti al demanio (art. 55); c) alienabilità previa autorizzazione ministeriale “debole” per i beni culturali di proprietà degli enti pubblici non territoriali e enti no profit (art. 56).

Discende da quanto detto che oggi - fatta eccezione per i beni di cui all’articolo 54 - tutti gli atti di “alienazione” aventi ad oggetto beni culturali di proprietà di enti pubblici (territoriali e non) e di enti no profit potranno essere alienati previa specifica autorizzazione rilasciata dal ministero.

Se dunque l’art. 53, pone quella che oggi in ambito di beni culturali di proprietà pubblica deve considerarsi la regola generale dell’alienabilità “vincolata” declinata negli articoli 55 e 56 del d.lg. n. 42/2004, l’art. 54 elenca quelle categorie di beni culturali per i quali vige, tuttora, ma in via eccezionale, la regola tradizionale dell’inalienabilità assoluta.

Conseguenza è che l’inalienabilità assoluta precedentemente elemento caratterizzante ed esclusivo del bene demaniale oggi non dipende più né dalla natura del bene, né dalla sua appartenenza agli enti territoriali ma da una scelta di opportunità fatta a monte dal legislatore [2].

Non a caso per identificare tali beni, oggi non si utilizza più alcuna categoria tradizionale del Codice civile (beni demaniali o beni del patrimonio indisponibile) ma si preferisce classificarli - vista l’eterogeneità - con il termine di “beni riservati”.

Tra le categorie previste dall’art. 54, un discorso a sé stante, visto le conseguenze che discendono sul procedimento di alienazione/circolazione dei beni culturali pubblici, merita l’inserimento tra le categorie dei beni assolutamente inalienabili di quella individuata al comma 2, lett. a) dell’art. 54 relativa “...alle cose immobili appartenenti ai soggetti indicati all’art. 10, comma 1, che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre 70 anni, fino alla conclusione del procedimento di verifica previsto dall’articolo 12”.

Tale previsione risulta di importanza sistematica, dal momento che, se coordinata con la norma di cui all’art. 12 del Codice stesso che disciplina il procedimento di verifica dell’interesse culturale dei beni indicati all’art. 10, comma 1 (beni di proprietà degli enti pubblici territoriali e non ed enti no profit), sancisce il meccanismo introdotto dal legislatore attraverso cui si rende oggi obbligatorio il procedimento di verifica per tutti i beni culturali pubblici.

L’introduzione di tale istituto non solo ha definitivamente eliminato le problematiche legate all’individuazione dei beni culturali pubblici emerse nella vigenza delle precedenti normative di settore, ma garantisce oggi un vero e proprio onere a carico degli enti pubblici che vogliano procedere all’alienazione di parte del proprio patrimonio culturale.

Solo, infatti, dopo aver esperito il procedimento di verifica dell’interesse culturale, l’ente proprietario potrà procedere all’alienazione del bene che, se classificato come culturale verrà alienato secondo quanto previsto dagli artt. 55 e 56 del Codice, se viceversa, verificato privo di interesse, il bene verrà escluso dall’applicazione del Codice, classificato tra i beni appartenenti al patrimonio disponibile e di conseguenza liberamente alienabile.

Dall’analisi letterale del testo della norma emerge dunque un divieto di alienazione - a fini cautelari - di tutti i beni appartenenti ai soggetti indicati all’art. 10, comma 1, che presentino i requisiti di cui all’art. 54, comma 2 lett. a) [più di settant’anni e autore non più vivente] fino al giorno in cui il ministero non abbia stabilito l’effettiva valenza culturale del bene che deve essere alienato.

La disciplina circolatoria dei beni di proprietà pubblica è poi completata dal contenuto degli artt. 55 e 56 che delineano le regole generali per tutti i restanti beni culturali di proprietà pubblica, prevedendo un’alienabilità c.d. “vincolata” previa autorizzazione del ministero della Cultura che detta le condizioni da imporre all’acquirente ai fini di tutela e valorizzazione del bene trasferito.

La realizzazione e cogenza del contenuto del provvedimento ministeriale che ammette l’alienazione, sono oggi garantiti dall’art. 55-bis comma 2, che impone, al Sovraintendente, la trascrizione presso i registri immobiliari dell’autorizzazione alla vendita contenente gli obblighi gravanti sull’acquirente del bene immobile culturale.

Attraverso l’obbligatorietà della trascrizione, avente natura dichiarativa [3], il legislatore garantisce così l’opponibilità di tali vincoli anche nei confronti dei futuri successivi acquirenti.

Di fatto gli obblighi gravanti sul primo acquirente acquistano natura reale “marchiando” indelebilmente il bene ed obbligando all’adempimento anche tutti i futuri successivi acquirenti.

3. Le criticità nella circolazione dei beni di proprietà pubblica e le possibili soluzioni

L’architettura delle norme del Codice brevemente analizzate aveva dunque come auspicio quello di permettere, a fianco ai procedimenti eccezionali di dismissione di massa di beni pubblici che hanno caratterizzato i primi anni duemila (Patrimonio Spa/Scip) [4] anche quella di garantire una dismissione di singoli beni culturali di proprietà pubblica dando tuttavia certezza che questi beni sarebbero stati tutelati e gestiti nel miglior modo possibile anche una volta diventati di proprietà privata.

Sicuramente sia l’obbligatorietà del procedimento di verifica, che garantisce che nessun bene fuoriesca dal patrimonio pubblico se prima non venga accertata la natura culturale, con conseguente assoggettamento a tutte le tutele previste dal Codice, sia l’obbligatorietà della trascrizione nei registri immobiliari dell’autorizzazione ministeriale sono state scelte lungimiranti.

In tal modo infatti si garantisce, da un lato, un controllo molto forte su tentativi azzardati di dismissione del patrimonio culturale da parte degli enti proprietari e dall’altra l’opponibilità degli obblighi contenuti nell’autorizzazione a tutti i futuri aventi causa, anche successivamente alla fuoriuscita del bene dalla proprietà pubblica.

Nonostante questi indubbi meriti l’applicazione della normativa in questi 20 anni, come è normale che sia, ha evidenziato alcune criticità che si ritiene necessario evidenziare di seguito, per punti, anche in previsione di una possibile futura novella del Codice stesso.

3.1. In relazione alla verifica

Benché il termine oggettivo previsto per imporre ai proprietari l’obbligo di verifica (70 anni) sia sicuramente necessario per garantire l’applicazione omogenea e non discrezionale della norma, l’esperienza pratica, alla luce dei fatti, ha dimostrato che tale termine, già allungato da 50 a 70 anni [5], è forse ancora troppo breve o quanto meno, impone al legislatore la sua revisione a determinate scadenze.

Oggi, infatti, immobili anche recenti (del 1952) devono necessariamente essere assoggettati al procedimento di verifica anche nel caso in cui, ictu oculi, non rivestano alcun interesse culturale, con inevitabile aggravio di tempo e denaro.

Un’ulteriore criticità relativa al procedimento di verifica può essere individuata nel fatto che il legislatore non abbia previsto un meccanismo che permetta di accertare se su determinati beni, oggetto di possibile alienazione, sia già stata effettuata una verifica dell’interesse culturale e se questa abbia dato esito negativo.

Il problema oggi è meno sentito, ma in futuro poter verificare direttamente l’esistenza di una valutazione negativa, già effettuata dal ministero, potrebbe rendere più efficiente e sicuro il sistema, evitando che sul medesimo bene si instaurino procedimenti inutili.

La soluzione, ad avviso di chi scrive, potrebbe essere facilmente realizzata o implementando con una sezione specifica l’attuale servizio on line “Vincoli in rete” [6] del ministero della Cultura che consente, già ora, di accertare la presenza dei vincoli esistenti oppure introducendo, con una novella normativa, la trascrizione anche del provvedimento negativo attestante la non culturalità del bene, intervenendo sull’art. 12, comma 7.

Un’ultima considerazione merita la scelta fatta del legislatore di prevedere che i procedimenti di individuazione si concludano con un silenzio inadempimento.

Nonostante, infatti, non si debbano dimenticare le critiche e i motivi [7] che hanno indotto il legislatore a sostituire, con l’attuale previsione del silenzio inadempimento, l’originaria formulazione dell’articolo 12 del Codice che prevedeva un silenzio significativo (silenzio-assenso), sorge il dubbio che anche tale norma necessiti un ripensamento rispetto alla formulazione in vigore.

Il rilascio di un provvedimento di verifica dell’interesse culturale e della successiva autorizzazione all’alienazione in caso di esito positivo della verifica, infatti, alla luce dell’attuale previsione normativa possono avere una durata anche di 240 giorni (120 giorni per la verifica e 120 giorni per la successiva autorizzazione).

Alla luce di quanto detto se il silenzio assenso non rappresenta certo la soluzione per i rischi sopra evidenziati, l’accorciamento dei tempi previsti per la conclusione del procedimento, renderebbe sicuramente più efficiente il sistema, garantendo da un lato agli enti proprietari di alienare il bene in tempi più brevi, evitando inevitabili ripercussioni economiche dovute a ritardi e dall’altro responsabilizzerebbe maggiormente le Sovraintendenze.

3.2. In relazione alla tutela in sede di trasferimento

3.2.1. Enti no profit

Come visto in precedenza le tutele oggi previste per i beni di appartenenza pubblica vengono estese anche ai beni culturali di proprietà degli enti no profit di natura civilistica aventi personalità giuridica.

Pertanto, anche una fondazione o un’associazione riconosciuta devono oggi prima di poter alienare un bene avente più di 70 anni e di autore non più vivente attendere la conclusione del procedimento di verifica e successivamente ottenere l’autorizzazione alla vendita.

In questo caso si ritiene che il codice risenta ancora della vecchia impostazione della legge n. 1089/1939 nella quale la necessità di controllo sugli enti privati era dovuta essenzialmente al particolare periodo storico.

Non bisogna dimenticare infatti che anche gli acquisti inter vivos e mortis causa di tali enti, fino al 1997 [8] erano soggetti al controllo statale così come prevedeva l’art. 17 del Codice civile, oggi abrogato.

Si ritiene pertanto auspicabile che, anche su tale punto, il legislatore intervenga con una specifica novella che escluda dall’obbligo della verifica e della preventiva autorizzazione tutti gli enti civilistici senza fine di lucro aventi personalità giuridica, parificando, in tal modo, quest’ultimi alle società commerciali e alle associazioni non riconosciute che sono già escluse dall’applicazione degli artt. 12 e 53 ss. del Codice dei beni culturali.

A ciò si aggiunga che i limiti, oggi previsti per le fondazioni e associazioni riconosciute ai sensi della normativa del c.c., devono intendersi estesi automaticamente anche a tutti i nuovi enti che acquisiranno la personalità giuridica ai sensi del d.lg. n. 117/2017, dovendosi ritenere che la locuzione “persone giuridiche private senza fine di lucro” ricomprenda anche i nuovi enti costituiti ai sensi del Codice del terzo settore.

Da ultimo si segnala la necessità di prevedere, espressamente, in un apposito articolo, l’obbligo per le Sovraintendenze sia di procedere entro un dato termine, al frazionamento delle aree nelle quali siano rinvenuti nel sottosuolo beni immobili di interesse storico artistico sia di formalizzare con un provvedimento il loro passaggio al demanio statale così come previsto dall’art. 91 del Codice [9].

La previsione di un provvedimento espresso, che decreti l’acquisizione del bene immobile al demanio, unitamente all’obbligo di trascrizione dello stesso presso i registri immobiliari, garantirebbe infatti maggiore certezza ai traffici giuridici oltre a dare compiuta attuazione all’art. 91 del Codice.

In caso di rinvenimento di reperti archeologici sotto edifici già esistenti, infatti, si è rilevato nella pratica che le Sovraintendenze si limitino, in alcuni casi, ad apporre un vincolo diretto sull’intero mappale che rappresenta l’area di sedime dell’intero edificio oggetto di rinvenimenti archeologici.

Tale prassi, in assenza di effettiva delimitazione dell’area nella quale siano stati individuati i reperti archeologici, determina non poche difficoltà in fase di trasferimento, non essendoci alcuna certezza su quali siano i beni alienabili previa autorizzazione e quali invece debbano considerarsi inalienabili in quanto già acquisiti al demanio dello Stato.

3.2.2. In relazione ai diversi gradi di tutela contenuti nelle autorizzazioni

Di difficile comprensione, fin dall’emanazione del codice, risulta anche la scelta fatta dal legislatore di differenziare il grado di tutela a seconda che un medesimo bene culturale sia oggetto di vendita da parte di un ente territoriale o da parte di un ente pubblico non territoriale o di un ente morale privato.

Lo stesso identico bene, infatti, a seconda dell’appartenenza vede ridurre il contenuto obbligatorio dell’autorizzazione, scomparendo, per i beni culturali di proprietà di un ente pubblico non territoriale, tutti gli obblighi di valorizzazione a carico dell’acquirente.

L’art. 56, infatti - a differenza di quanto previsto dall’attuale articolo 55 in caso di alienazione di beni culturali demaniali - prevede che l’autorizzazione debba indicare solamente: 1) “la destinazione d’uso in atto” dell’immobile oggetto di trasferimento; 2) “il programma delle misure necessarie ad assicurare la conservazione del bene”; 3) “le modalità di fruizione pubblica del bene anche in rapporto con la situazione conseguente alle precedenti destinazioni d’uso” escludendo dal contenuto obbligatorio “gli obiettivi di valorizzazione che si intendono perseguire con l’alienazione del bene e le modalità e i tempi previsti per il loro conseguimento” [art. 55 lett. c)] e “la destinazione d’uso prevista, anche in funzione degli obbiettivi di valorizzazione da conseguire” [art. 55 lett. d)] non sono mai considerati contenuto obbligatorio né della richiesta di autorizzazione né conseguentemente dell’autorizzazione stessa.

Non si capisce per quale motivo la tutela del medesimo bene culturale in caso di alienazione debba degradare in relazione all’appartenenza ad un ente territoriale o ad un ente pubblico non territoriale o un ente privato morale visto che la tutela dovrebbe essere a protezione del valore intrinseco del bene e non dettato dalla natura del titolare del diritto di proprietà sullo stesso.

Sempre in relazione al diverso grado di tutela previsto dal legislatore in relazione all’alienazione di beni culturali di proprietà pubblica si deve segnalare la mancata estensione dell’art. 55-bis a tutte le ipotesi di alienazioni di beni culturali pubblici.

L’art. 55-bis impone, tra gli altri, quale ulteriore forma di tutela nei confronti del bene che viene trasferito dal pubblico al privato, l’obbligo di inserire nell’atto di alienazione, avente ad oggetto un bene culturale demaniale, una clausola risolutiva espressa ai sensi dell’art. 1456 c.c.; clausola da azionare nel caso in cui l’acquirente del bene immobile culturale risultasse inadempiente agli obblighi contenuti nell’autorizzazione.

Tale obbligo di inserimento, senza un apparente motivo giuridico, scompare completamente nel caso di trasferimento di beni culturali di proprietà di enti pubblici non territoriali (art. 56) come pure di beni culturali non demaniali di proprietà di enti territoriali diminuendo conseguentemente la tutela dello Stato nei confronti di possibili inadempimenti dei nuovi proprietari, riproponendosi anche per tale mancanza le medesime considerazioni fatte in precedenza in relazione al contenuto delle autorizzazioni.

Così facendo, infatti, viene meno quella doppia garanzia prevista dal legislatore all’art. 55-bis che alla tutela sostanziale del bene culturale demaniale trasferito, ottenuta mediante l’imposizione all’acquirente di determinati obblighi che ne limitano la disponibilità affianca per i beni demaniali anche un rimedio specifico attraverso cui rendere effettiva la garanzia patrimoniale in caso di inadempimento.

3.2.3. In relazione alle sanzioni civilistiche e penali

L’art. 164 del Codice prevede oggi che le “alienazioni, le convenzioni e gli atti giuridici in genere, compiuti contro i divieti stabiliti dalle disposizioni del Titolo I della Parte seconda, o senza l’osservanza delle condizioni e modalità da esse prescritte, sono nulli. Resta salva la facoltà del Ministero di esercitare la prelazione ai sensi dell’articolo 61, comma 2”.

Come sostenuto dalla prevalente dottrina [10] in realtà la violazione delle norme previste in materia di prelazione culturale nel caso di alienazione di un bene culturale non configurano una nullità ma un’inopponibilità/inefficacia del trasferimento del bene culturale nei confronti dello Stato.

D’altra parte, se così non fosse, non avrebbe senso né il comma 2 del medesimo articolo che prevede che lo Stato mantenga la possibilità di esercitare la prelazione sulla base dell’atto di trasferimento non denunciato, né l’art. 62, comma 4 che stabilisce “Nei casi in cui la denuncia sia stata omessa o presentata tardivamente oppure risulti incompleta, il termine indicato al comma 2 è di novanta giorni ed i termini stabiliti al comma 3, primo e secondo periodo, sono, rispettivamente, di centoventi e centottanta giorni. Essi decorrono dal momento in cui il Ministero ha ricevuto la denuncia tardiva o ha comunque acquisito tutti gli elementi costitutivi della stessa ai sensi dell’’articolo 59, comma 4”.

Un adeguamento in tal senso dell’art. 164 che precisi chiaramente non trattarsi di nullità sarebbe fortemente auspicabile.

Infine, un cenno merita l’abrogazione - ad opera dell’articolo art. 5, comma 2, legge n. 22 del 2022 - dell’art. 173 (violazioni in materia di alienazione) che disciplinava le conseguenze penali in caso di violazione delle norme previste dal Codice aventi ad oggetto la circolazione dei beni culturali.

Da più parti era stata chiesta, a mio avviso giustamente, la depenalizzazione delle violazioni aventi ad oggetto l’alienazione dei beni culturali in violazione delle norme previste dal Titolo III che prevedevano la reclusione fino ad un anno e la multa da euro 77,469 a euro 1.549,50 a per: “a) chiunque, senza la prescritta autorizzazione, alienasse i beni culturali indicati negli articoli 55 e 56; b) chiunque, essendovi tenuto, non presentasse, nel termine indicato all’articolo 59, comma 2, la denuncia degli atti di trasferimento della proprietà o della detenzione di beni culturali; c) l’alienante di un bene culturale soggetto a diritto di prelazione che effettuasse la consegna della cosa in pendenza del termine previsto dall’articolo 61, comma 1”.

La richiesta di sostituire il reato con una sanzione amministrativa non solo non è stata accolta ma la legge n. 22 del 2022, introducendo un nuovo articolo nel Codice penale il 518-novies, ha inasprito le pene precedentemente previste punendo con la reclusione da sei mesi a due anni e con la multa da euro 2.000 a euro 80.000).

Tali sanzioni - almeno in riferimento ai punti b) e c) del nuovo articolo 518-novies - appaiono francamente esagerate e rischiano di determinare un ingorgo giudiziario con la conseguenza di veder prescritti gran parte dei procedimenti penali.

4. Conclusioni

Per concludere ritengo che la normativa del Codice in materia di circolazione resti un’ottima normativa. Sicuramente necessita di alcuni interventi correttivi come è normale che sia tutte le volte che una legge sconta le difficoltà dell’applicazione in concreto, tuttavia le garanzie previste e i meccanismi introdotti per imporre al proprietario privato la realizzazione delle finalità costituzionali previste dall’art. 9 della Costituzione si sono dimostrate alla prova dei fatti efficaci, disegnando un sistema nel quale lo Stato da proprietario diventa garante e controllore della realizzazione di progetti di tutela, valorizzazione e fruizione che, non infrequentemente, lo Stato non si era dimostrato in grado di portare a compimento.

 

Note

[*] Andrea Fantin, ricercatore confermato di Diritto amministrativo presso l’Università di Bologna, Via Zamboni 33, 40126 Bologna, andrea.fantin@unibo.it.

[1] Al riguardo si precisa che il legislatore ha utilizzato il termine circolazione in due diverse accezioni a seconda che si faccia riferimento alla circolazione dei beni culturali in ambito nazionale o in ambito internazionale, Sul punto si rimanda a, C. Barbati, M. Cammelli, L. Casini, G. Piperata, G. Sciullo, Diritto del patrimonio culturale, Bologna, Il Mulino, 2020, pag. 164 nel quale si precisa: “La ‘Circolazione in ambito nazionale’ tratta della circolazione dei diritti relativi al bene culturale, in particolare laddove ammesso del trasferimento del diritto di proprietà. La ‘Circolazione in ambito internazionale’ si occupa dell’uscita dal (o dell’ingresso nel) territorio nazionale del bene culturale. Sicché può ricorrere circolazione del diritto sul bene senza circolazione del bene e viceversa”.

[2] Al riguardo sia consentito rinviare ad A. Fantin, I beni immobili culturali di proprietà pubblica: aspetti pubblicistici, Padova, Cedam, 2008, pag. 202 ss. nel quale al riguardo si precisa che: “... salvo rare eccezioni espressamente previste dal legislatore, non esiste più né un demanio storico artistico caratterizzato dall’inalienabilità né un demanio caratterizzato dalla necessaria appartenenza ad un ente pubblico territoriale. Se con l’emanazione del Codice civile la natura pubblica o privata del proprietario del bene aveva assunto un ruolo determinante nel definire il regime giuridico del bene stesso, l’attenzione è ora rivolta ad imporre al proprietario, indipendentemente dal fatto sia un soggetto pubblico o privato, una serie di vincoli che garantiscano la destinazione e il godimento collettivo del bene culturale. Ciò che in precedenza si riteneva potesse essere fatto solo dall’ente territoriale, viene ora affidato al privato che contribuisce attivamente alla realizzazione delle finalità pubbliche previste dal Codice dei beni culturali. Più precisamente con il Codice dei Beni Culturali, lo Stato impone ora ai privati, che vogliano rendersi acquirenti di beni di valore storico artistico di proprietà pubblica una serie di vincoli da rispettare ed obblighi da adempiere [tra i quali spicca quello che siano ‘assicurate la tutela e la valorizzazione’ del bene alienato (art. 55, comma 1, lett. a), prevedendo contemporaneamente, in attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale, la promozione e il sostegno del concorso di questi alla valorizzazione in genere del patrimonio culturale (art. 6, comma 3). Non sembra pertanto, alla luce di quanto emerso, azzardato concludere che nel caso dei beni culturali di proprietà dell’ente territoriale trasferiti a privati si possa oggi parlare di vero e proprio ‘demanio privato’, dal momento che, oggi, è il privato, sia pure sotto il controllo del soggetto pubblico, che diventa ‘custode’ e ‘guardiano’ della conservazione, dell’integrità e del mantenimento della destinazione d’uso più appropriata per il bene culturale trasferito”.

[3] Sulla diversa natura della trascrizione nelle precedenti leggi di settore si rinvia a: A. Sandulli, Natura e funzione della notifica e della pubblicità delle cose private di interesse storico artistico qualificato, in Riv. trim. dir. Proc. Civ., 1954, pag. 1022 ss.; T. Alibrandi, P. Ferri, I beni culturali ed ambientali, 2001, Milano, Giuffrè, pag. 269 ss.; G. Sciullo, Commento all’art. 8, in La nuova disciplina dei beni culturali ed ambientali, (a cura di) M. Cammelli, Bologna, Il Mulino, 2000, pag. 47; in relazione alla natura della pubblicità immobiliare nel Codice dei beni culturali G. Sciullo, in Diritto e Gestione del patrimonio culturale, A.A.V.V., Bologna, Il Mulino, 2003, pag. 37.

[4] Per una più approfondita disamina dei procedimenti di dismissione dei primi anni 2000 si rinvia a M. Renna, Privatizzazioni e beni pubblici, in Pubblica Amministrazione e privatizzazioni dopo gli anni 90, un primo bilancio, (a cura di) M. Cammelli e G. Sciullo, Rimini, 2004; D. Sorace, Cartolarizzazione e regime dei beni pubblici, in Aedon, 2003, 1; G. Napolitano, La Patrimonio s.p.a. tra passato e futuro: verso la scomposizione del regime demaniale e la gestione privata dei beni pubblici?, Intervento al Convegno dell’associazione italiana dei professori di Diritto Amministrativo, Firenze 2-3 ottobre 2003, in Associazione Italiana dei professori di Diritto Amministrativo, Annuario 2003, Milano, Giuffrè, pag. 251 ss.

[5] L’articolo 1, comma 175, della legge 4 agosto 2017, n. 124, ha infatti disposto la sostituzione all’articolo 12, comma 1, e all’articolo 54, comma 2, lett. a) della parola: “cinquanta” con: “settanta”, in relazione all’obbligo di verifica per i beni immobili di proprietà degli enti indicati all’art. 10, ossia enti pubblici territoriali, enti pubblici non territoriali ed enti privati con personalità giuridica.

[6] Il servizio introdotto dal Piano eGov 2012 del ministero per la Pubblica Amministrazione e l’innovazione ha previsto un programma di interventi per l’innovazione digitale nel settore dei beni culturali. Tra le altre possibilità il servizio consente all’utente di effettuare una ricerca per dati catastali sui beni oggetto di vendita per verificare l’esistenza di un vincolo già imposto. Il predetto servizio è accessibile alla pagina http://vincoliinrete.beniculturali.it/VincoliInRete/vir/utente/login#.

[7] Al riguardo si ricorda che l’originaria formulazione del Codice che prevedeva la formazione di un silenzio assenso (alla vendita) in caso di decorrenza dei 120 giorni previsti per la conclusione del procedimento di verifica, in caso di mancata risposta espressa da parte del ministero, suscitarono grandissime critiche di una parte della dottrina che adombrava pericoli di dismissioni non controllate del patrimonio culturale Cfr. A. Barletta, Art. 12, in Codice dei Beni culturali e del Paesaggio, (a cura di) M.A. Sandulli, Milano, Giuffrè, 2006, pag. 131. In ragione di tali critiche il legislatore con il d.lg. n. 156/2006 “Disposizioni correttive ed integrative del d.lg. n. 42/2004 in relazione ai beni culturali” intervenne sostituendo al silenzio assenso il silenzio inadempimento.

[8] Più precisamente l’art. 13 della legge 15 maggio 1997, n. 127 (Misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo), ha abrogato, il regime autorizzatorio previsto dall’art. 17 cod. civ., dalla legge 21 giugno 1896, n. 218 e dalle altre disposizioni che prescrivevano l’autorizzazione per l’acquisto e l’alienazione di immobili o per l’accettazione di donazioni, di eredità o di legati da parte di persone giuridiche, associazioni e fondazioni.

[9] L’art. 91 del Codice prevede espressamente che: “Le cose indicate nell’articolo 10, da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo o sui fondali marini, appartengono allo Stato e, a seconda che siano immobili o mobili, fanno parte del demanio o del patrimonio indisponibile, ai sensi degli articoli 822 e 826 del codice civile”.

[10] Cfr. G. Casu, Codice dei beni culturali. Prime riflessioni, in Studi e materiali, 2004, 2, pag. 686 ss. e spec. 712; C. Lomonaco, Denuncia tardiva del trasferimento di un bene culturale ed effetti del decorso del termine, quesito CNN 528-2006/C, in Studi e materiali, 2007, 1, pag. 805; A. Pischetola, Circolazione dei beni culturali e attività notarile, in Quaderni della Fondazione Italiana del Notariato, 2006, pag. 53; G. Leone e A.L. Marasco, Commentario al codice dei beni culturali e del paesaggio, Padova, 2006.

 

 

 



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