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Fondazioni e beni ecclesiastici di interesse culturale

Turismo religioso e valorizzazione del patrimonio culturale religioso

di Antonio G. Chizzoniti [*]

Sommario: 1. Interventi legislativi statuali, normativa regionale e interventi locali. - 2. Dal turismo sociale, al turismo religioso culturale attraverso le norme speciali per gli enti e le associazioni religiose. - 3. La questione della competenza legislativa in tema di turismo. - 4. Il codice del turismo del 2011 e le norme di interesse religioso. - 5. Le funzioni amministrative e il ruolo del privato. - 6. Turismo religioso e patrimonio culturale immateriale di interesse religioso. - 7. Il catalogo dei cammini religiosi italiani. - Nota bibliografica essenziale.

Religious tourism and the valorisation of the religious cultural heritage
The assay analyzes the evolution of the religious tourism legislation and the enforcing of links with the valorization of cultural heritage into the actions of regions and central legislator. Thought the evolution from the Social Tourism to the Cultural Tourism are explored the new forms of promotion of the material and immaterial cultural heritage with a special attention to the cultural and religious paths.

Keywords: religious tourism; religious cultural heritage; cultural and religious paths; tourism legislation.

1. Interventi legislativi statuali, normativa regionale e interventi locali

Se “pellegrinaggio” e “ritiro spirituale” possono essere riconosciuti come antesignani della dimensione religiosa di un fenomeno del tutto caratterizzato dalla sua modernità quale è il ‘turismo’, il loro richiamo non è sufficiente a marcare in maniera certa i confini di ciò che oggi viene comunemente indicato come “turismo religioso”. Una sottolineatura questa ancor più significativa se l’attenzione viene posta sulle implicazioni giuridiche di tale fenomeno al fine di tracciarne i confini normativi che lo regolamentano e analizzare l’oramai vastissimo complesso di interventi ad esso correlati. Chiare sono le connessioni tra turismo e dimensione religiosa, particolarmente con riferimento alle attività pastorali della Chiesa cattolica. Ma altrettanto evidenti sono le difficoltà di definire i confini di un fenomeno in forte espansione e che ha impegnato negli ultimi decenni il legislatore nazionale e quello regionale in una azione non solo tesa alla regolazione, ma anche, se non soprattutto, di indirizzo del fenomeno turistico religioso assecondandone l’evoluzione verso una visione sempre più correlata con la tutela del patrimonio culturale di interesse religioso.

2. Dal turismo sociale, al turismo religioso culturale attraverso le norme speciali per gli enti e le associazioni religiose

Soffermarsi sul processo di profonda trasformazione del senso del “viaggio a motivazione religiosa”, un fenomeno sociale chiaramente influenzato dalla concomitante evoluzione del turismo da momento elitario a movimento di massa a forte strutturazione industriale, aiuta a comprendere lo sviluppo del sistema legislativo riconducibile al turismo religioso, condizionato da alcune questioni. Anzitutto dal legame genetico dei primi interventi con il così detto ‘turismo sociale’ che molto probabilmente ha anche indirizzato la questione del rapporto tra attività di religione e di culto e attività turistica verso un ambito che potremmo definire “industriale”, concentrato su questioni quali l’organizzazione dei viaggi a motivo religioso, la sicurezza dei viaggiatori-pellegrini, la concorrenza con gli operatori turistici professionali (tour organizer, tour operator, travel agent) o la regolamentazione delle professioni turistiche.

Se ciò ha consentito un plus di attenzione (anche legislativa) per un settore (quello del turismo religioso) in fase di crescita (anche di identità) ma non di facile ed immediato inquadramento, d’altro canto ha comportato qualche incertezza ben evidenziata anche nello scarto che è maturato tra le definizioni larghe di turismo religioso proprie delle scienze del turismo e quelle più anguste enucleabili a partire dal complesso normativo di riferimento.

Il passaggio alla dimensione giuridica richiede un pur sintetico approfondimento storico-legislativo partendo dal concetto di turismo che emerge in tale ambito quale “insieme delle relazioni socio-culturali ed economiche originate dal viaggio o dal soggiorno temporaneo in luoghi diversi dalla normale residenza”. Perché proprio nello sviluppo della normativa possiamo bene cogliere l’evoluzione del turismo da fenomeno prevalentemente elitario culturale, a evento di massa riconducibile al diritto al riposo derivante dallo sforzo psico-fisico lavorativo. Pur senza un forte legame strutturale è nell’ambito della normativa relativa al turismo sociale che si innestano i primi interventi legislativi che interessano quello che con il tempo verrà individuato come turismo religioso. È la legge 21 marzo 1958, n. 326 che nel dettare regole circa le strutture ricettive complementari a carattere turistico-sociale ricomprende in esse le case per ferie: “complessi ricettivi stabili sommariamente attrezzati per ospitare, in periodi determinati, i dipendenti di amministrazioni o aziende pubbliche o private e i soci di associazioni ed organizzazioni aventi esclusivo fine di assistenza sociale”.

Questo richiamo consentirà in fase di attuazione l’applicazione di regole speciali anche alle strutture di accoglienza gestite da enti ecclesiastici per i propri fedeli. Sarà la successiva legge 17 marzo 1983, n. 217 “Legge quadro per il turismo e interventi per il potenziamento e la qualificazione dell’offerta turistica” a richiamare espressamente l’esperienza religiosa: l’art. 10, nel ribadire uno spazio di specialità per le attività delle associazioni senza scopo di lucro che operano a livello nazionale per finalità ricreative, culturali e sociali, accosterà a queste ultime le finalità religiose consentendo “esclusivamente per i propri associati” l’esercizio delle attività turistiche e ricettive a condizioni decisamente più favorevoli rispetto a quelle dettate per gli imprenditori turistici. Due gli elementi che paiono assimilare il turismo religioso al turismo sociale nella visione del legislatore: quello più evidente è la comune dimensione popolare (quasi in contrapposizione al carattere elitario proprio del turismo culturale), un secondo non meno interessante, anche se meno manifesto, è probabilmente la riconducibilità delle attività di religione (anche quelle turistiche) nell’alveo dell’assenza di scopo di lucro.

In quella che può essere definita la prima stagione della legislazione sul turismo religioso saranno le Regioni a svilupparne i contenuti (in ragione della ripartizione di competenze proposta dall’art. 117 della Costituzione nella sua formulazione iniziale), con provvedimenti indirizzati principalmente alla regolamentazione della attività ricettive così dette extra-alberghiere e dell’organizzazione di viaggi del turismo “sociale” al quale viene assimilato quello gestito da enti ecclesiastici e associazioni religiose (per i propri fedeli, ma non solo).

Già sul finire di questa prima fase, all’interno di quella che è stata riconosciuta come la seconda generazione della legislazione regionale sul turismo religioso, si incominciano ad intravedere interessi e campi di intervento che meglio disegnano l’attuale visione del turismo religioso prospettando una bipartizione di ambiti di interesse. Vengono così proposti interventi promozionali di spesa legati all’organizzazione di eventi di rilievo nazionale ed internazionale (Giubileo) o alla tutela e valorizzazione di beni (anche immateriali) o complessi culturali con chiari riferimenti religiosi. Con una sorta di ritorno alle origini si inizia a comprendere come una corretta contestualizzazione del concetto di turismo religioso passi per la connessione tra dimensione religiosa (pellegrinaggi, viaggi) e aspetti culturali oltre che ambientali.

Se dunque in una prima lettura per “turismo religioso” era stato opportunamente identificato il “settore del turismo caratterizzato dal fine di religione e culto”; oggi è possibile meglio precisarne il significato attraverso una calibrazione dell’impatto dell’aggettivo “religioso”, una specificazione quest’ultima che non sempre presuppone una motivazione strettamente fideistica. Infatti, la religiosità può incidere sul fenomeno turistico oltre che per motivazioni cultuali, anche per aspetti del tutto avulsi da questi: può ritenersi turismo religioso quello riconducibile alla gestione organizzativa di enti e strutture religiose, o tale per la natura dei luoghi meta del viaggio (santuari) o del soggiorno (monasteri e luoghi di ritiro spirituali), o ancora per la predominanza dei beni culturali di interesse religioso visitati o anche per la dimensione spirituale dei percorsi/cammini interessati. È l’esperienza di questi ultimi anni a spingere in favore di una definizione larga e onnicomprensiva così da ritenere “religioso” ogni forma di turismo influenzato da tale aspetto per i suoi contenuti (mete, itinerari/cammini, patrimonio culturale e ambientale) o per le sue forme organizzative oltre che per le motivazioni.

Come si è già segnalato il passo che sposta il centro d’attenzione del turismo religioso dal mero riferimento alle attività turistiche gestite dalle organizzazioni religiose cattoliche a momento di propulsione e promozione culturale è identificabile nelle iniziative della Conferenza episcopale italiana. È la stessa Chiesa cattolica, che pur rivendicando per le attività dei suoi enti che possono apparire sovrapponibili a quelle imprenditoriali turistiche (organizzazioni di pellegrinaggi, campi estivi, ritiri spirituali, gestione di strutture ricettive, ecc.) uno spazio di specialità, grazie anche alla crescente consapevolezza del significato pastorale del turismo, svilupperà una intensa attività di approfondimento con la predisposizione di importanti documenti tesi ad “incrementare lo studio e la conoscenza approfondita della complessità e della varietà del fenomeno turistico secondo i diversi profili pastorali, ecumenici, sociali, culturali, educativi, ambientali, economici” e “individuare e determinare obiettivi generali e particolari della pastorale nei vari settori, con particolare attenzione alle aree di maggior flusso turistico”.

L’evoluzione e il contesto di fondo del sistema “turismo religioso” dal punto di vista giuridico - e forse anche da quello più sistematico-strutturale - è stato inequivocabilmente agevolato e al contempo involontariamente influenzato dalla complessa vicenda della ripartizione delle competenze legislative ed amministrative in tema di turismo che conviene molto sinteticamente ricordare, sempre tenendo nella dovuta considerazione la parallela questione della ripartizione delle competenze relativamente alla tutela, valorizzazione e promozione del patrimonio culturale e della cultura in generale.

3. La questione della competenza legislativa in tema di turismo

Una importante notazione che emerge con evidenza dalla, pur sintetica, ricostruzione dello sviluppo delle competenze normative relative al turismo è l’iniziale sconnessione con i temi propri della tutela e valorizzazione del patrimonio culturale. Una sensibilità che invece si è progressivamente intensificata grazie alla consapevolezza dello stretto legame tra le due questioni e che ha in parte variato e indirizzato le modalità e le forme di intervento relative al comparto del turismo religioso, non a caso frequentemente accostato a quello culturale.

Nella sua formulazione originale l’art. 117 della Costituzione ricomprendeva “il turismo e l’industria alberghiera” all’interno delle così dette competenze concorrenti riconosciute alle Regioni. La già segnalata legge quadro sul turismo n. 217 del 1983 e in particolare il richiamo da essa proposto all’art. 10 (turismo sociale) e al comma 11 dell’art. 6 (case per ferie) dell’esperienza religiosa finirono col porre le basi per un sistema legislativo caratterizzato da una produzione normativa regionale copiosa, ma ampiamente ripetitiva (leggi fotocopia). Ciò farà si che fino alla riforma costituzionale del 2001, pur potendosi riscontrare disposizioni nazionali e sovranazionali (poche) che concorrono allo sviluppo della normativa sul turismo religioso, è la legislazione di produzione regionale che presenta una assoluta preminenza con un appiattimento sull’estensione dei privilegi riconosciuti in favore del turismo sociale anche a quello religioso.

Ugualmente in questa che possiamo definire la prima fase (di nascita e assestamento) della legislazione sul turismo religioso non mancano comunque i richiami (pochi, ma significativi) da parte di legislatori regionali più sensibili ad ulteriori aspetti del fenomeno - come nel caso della l.r. Liguria 11 settembre 1997, n. 39 Interventi della Regione Liguria in occasione del giubileo dell’anno 2000 - quali la formazione professionale e la progettazione e realizzazione di itinerari turistico-religiosi.

Questa ripartizione di competenze tra centro e periferie viene modificata dalla riforma costituzionale del 2001 che nel novellato art. 117 non ripropone il turismo e l’industria alberghiera tra le materie di competenza ripartita/concorrente e omettendone del tutto il riferimento, ai sensi del 4 comma, ne attribuisce proprio alle Regioni la piena potestà legislativa. Una scelta che trova completamento nella conseguente redistribuzione delle relative funzioni amministrative regolate dal successivo art. 118. Ma prima di qualche considerazione a riguardo è utile soffermarsi brevemente sulla discutibile vicenda legislativa sviluppatasi a ridosso dell’entrata in vigore della riforma del 2001 con l’approvazione della legge n. 135 il 29 marzo 2001 che sostituiva la precedente e già richiamata legge quadro sul turismo n. 217 del 1983. La contrapposizione tra la rinnovata legge cornice statuale e la riserva esclusiva della materia “turismo” al legislatore regionale era il segno di un nodo non sciolto.

Sarà la Corte costituzionale nel 2003 con la sentenza n. 197 a proporre una lettura di equilibrio che, confermando il ruolo delle Regioni, riconoscerà comunque l’“esigenza di un esercizio unitario a livello statale di determinate funzioni ammnistrative, al fine di aumentare i flussi turistici”, una necessità che secondo la Consulta “abilita lo Stato a disciplinare siffatto esercizio per legge”, tenuto conto che “i principi di sussidiarietà ed adeguatezza possono giustificare una deroga al normale riparto di competenze contenuto nel Titolo V della parte II della Costituzione ... a condizione che la valutazione dell’interesse pubblico sottostante all’assunzione di funzioni regionali da parte dello Stato sia proporzionata, assistita da ragionevolezza alla stregua di uno scrutinio stretto di costituzionalità e rispettosa del principio di leale collaborazione con le Regioni”.

Dal punto di vista di nostro interesse, constatato il mantenimento di una quota di competenza statale, è importante notare che se da un lato la legge n. 135 del 2001 all’art. 7 (imprese turistiche e attività professionali) comma 9 riproponeva per il turismo religioso la già sperimentata relazione con il turismo sociale, dall’altro con la previsione all’art. 5 dei “sistemi turistici locali”, definiti dalla norma “ambiti territoriali appartenenti anche a Regioni diverse, caratterizzati dall’offerta integrata di beni culturali, ambientali e attrazioni turistiche”, attraverso il riconoscimento di una forte connessione tra turismo e territorio spianava la strada ad un approccio che si rivelerà particolarmente significativo per l’affermarsi di un nuovo concetto di turismo anche in ambito culturale e religioso.

Occorrerà attendere il varo del “Codice del turismo” ad opera del decreto legislativo n. 79 del 2011 per una più concreta e completa rilettura di questi aspetti che integrando competenze centrali e locali, nel rispetto della ripartizione costituzionale (art. 117 Cost.), proporrà una programmazione non frammentata in grado di contribuire strategicamente alla promozione del sistema turistico italiano.

Ma prima di analizzare i contenuti del Codice del turismo del 2011 più di nostro interesse è utile ricordare che nel decennio a cavallo tra la riforma costituzionale del 2001 e l’entrata in vigore del Codice del turismo del 2011 nella legislazione regionale sul turismo si va consolidando (anche sulla spinta dell’evento giubilare del 2000) il ricorso alla dizione “turismo religioso” principalmente in ambito di programmazione e pianificazione della promozione turistica regionale con particolare riguardo agli “itinerari turistico religiosi” anche infra regionali di cui si dirà più avanti. Ciò grazie anche alla collaborazione sviluppata con la Chiesa cattolica e i suoi enti rappresentativi sul territorio e in particolare con le Conferenze episcopali regionali che in molti casi saranno protagoniste di questa nuova stagione del turismo religioso con la sottoscrizione di appositi accordi/intese nella scia della collaborazione ampiamente sviluppata nel settore della tutela e valorizzazione del patrimonio culturale religioso.

4. Il codice del turismo del 2011 e le norme di interesse religioso

Ricordato che la Corte Costituzionale con la sentenza n. 80 del 2012 ha dichiarato incostituzionale parte delle norme del decreto legislativo n. 79 del 2011 che non rispondevano ad un reale interesse nazionale e perciò in contrasto con la ripartizione delle competenze prevista dall’art. 117 della Costituzione dopo la novella del 2001, scorrendo il ricco articolato (ritenuto costituzionalmente legittimo) del Codice del turismo con le lenti del lettore interessato al fenomeno del ‘turismo religioso’ è possibile intravedere in esso una sorta di continuità nell’evoluzione con alcuni elementi di vera innovazione.

La continuità nell’evoluzione va senz’altro identificata nelle norme relative alle imprese alberghiere (art. 4) e alle professioni turistiche (art. 6) per le quali rimane confermato quel meccanismo previsto dall’art. 10 della Legge quadro del 1983 e riproposto anche dalla successiva Legge quadro del 2001 secondo il quale alle “associazioni che operano nel settore del turismo giovanile e per finalità ricreative, culturali, religiose, assistenziali o sociali” è consentito l’esercizio delle attività di impresa di cui all’articolo 4, “nel rispetto delle medesime regole e condizioni, esclusivamente per gli associati, anche se appartenenti ad associazioni straniere aventi finalità analoghe e legate fra di loro da accordi di collaborazione”. Per queste che il codice definisce “imprese turistiche senza scopo di lucro” continua a valere lo schema sperimentato per il c.d. “turismo sociale” valevole anche per l’associazionismo di matrice religiosa (strutture turistiche extralberghiere, case per ferie, ostelli, organizzazione viaggi per i soli associati, guide turistiche ad hoc, ecc.).

La parte innovativa va invece ad impattare con l’aspetto maggiormente dinamico del turismo religioso quello funzionale e promozionale che si inserisce in una nuova visione del territorio, aggregato non più esclusivamente su base geografica, ma per similitudini, tra le quali spiccano la dimensione culturale e quella religiosa. È il titolo V “Tipologie di prodotti turistici e relativi circuiti nazionali di eccellenza” a occuparsi di questa rilettura dell’intervento per lo sviluppo turistico del territorio che propone una prima distinzione tra Circuiti nazionali di eccellenza “corrispondenti ai contesti turistici omogenei o rappresentanti realtà analoghe e costituenti eccellenze italiane, nonché veri e propri itinerari tematici lungo tutto il territorio nazionale” (art. 23 del Codice) e i Sistemi turistici locali definiti in questo caso dalle singole Regioni (art. 23, in parte ritenuto incostituzionale e perciò abrogato dalla Corte costituzionale con la sent. n. 80 del 2012).

Accanto a questa distinzione che potremmo definire quantitativa/dimensionale l’art. 23, 2° comma del Codice del 2011 ne aggiunge una ulteriore qualitativa/funzionale indicando i criteri attraverso i quali “si definiscono i circuiti nazionali di eccellenza, i percorsi, i prodotti e gli itinerari tematici omogenei che collegano Regioni diverse lungo tutto il territorio nazionale” tra i quali vengono indicati il “turismo della cultura” (lett. d) e il “turismo religioso” (lett. e). Al primo il Codice dedica il capo II “Turismo culturale” il cui art. 24 propone una definizione implicita disponendo che “Nel rispetto dell’articolo 9 della Costituzione e del codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro delegato, di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali, promuove la realizzazione di iniziative turistiche finalizzate ad incentivare la valorizzazione del patrimonio storico - artistico, archeologico, architettonico e paesaggistico presente sul territorio italiano”, promuovendo ed utilizzando strumenti di programmazione negoziata per la valorizzazione del patrimonio culturale in ambito turistico, garantire flussi turistici e assicurare la fruibilità del patrimonio culturale (art. 25). È questo uno spazio di intervento allo stesso tempo conosciuto e da sviluppare anche lungo sentieri poco esplorati. Così, il passaggio da una cultura dei beni a quella del patrimonio culturale sposta e molto l’attenzione sulla connessione con le attività turistiche nel cui ambito, ad esempio, il patrimonio immateriale assume un suo significato peculiare.

Manca una norma parallela relativa al turismo religioso, ma come si è avuto modo di segnalare, la legislazione, in particolare quella regionale, è oramai sufficientemente chiara a riguardo.

Il legame tra turismo culturale e religioso è forte e trova il suo elemento di connessione proprio nel patrimonio culturale di interesse religioso, con una propensione all’inclusione anche del patrimonio immateriale specie con riferimento agli itinerari turistici religiosi. Non a caso alcune Regioni (es. Campania, Liguria, Piemonte, Toscana, Veneto) fin da subito hanno proposto una lettura normativa del fenomeno necessariamente congiunta (turismo culturale religioso). Più che di sovrapposizione si può parlare di intersezioni tra due dimensioni che per molti aspetti trovano un reciproco completamento con il comune denominatore del territorio e delle esperienze storiche culturali e religiose in esso radicate. Rimangono in ogni caso le distinzioni non esaurendosi entrambi l’uno nell’altro. Va inoltre sottolineato come il turismo religioso, specie nella sua estrinsecazione della valorizzazione di cammini e itinerari, si proponga anche come punto di riferimento per il turismo ambientale (rectius: turismo della natura e faunistico, art. 22, 2° comma lett. f) e art. 29 del Codice del turismo). L’esempio della tutela del Parco dei Sacri Monti proposto dalle Regioni Piemonte e Lombardia e della stessa Via Francigena è emblematico e non meno significativo è l’impegno della Chiesa cattolica a favore dei Parchi culturali ecclesiastici.

5. Le funzioni amministrative e il ruolo del privato

Detto della potestà legislativa, va segnalato che dal punto di vista delle funzioni amministrative la formulazione dell’art. 118, 1° comma della Costituzione, come novellato dalla riforma del 2001, secondo il quale queste vanno “attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza” non manca di impattare anche in relazione alle competenze sul turismo. Queste vengono attratte verso la Regione in forza della riserva legislativa, ma motivi di adeguatezza e differenziazione giustificano una competenza amministrativa anche statuale (Corte costituzionale, sentenza n. 90 del 2006) ovviamente solo in relazione ai compiti che, nel rispetto del principio di sussidiarietà, non possano essere riconosciuti a livello locale per ragioni di adeguatezza. Ne deriva per le Regioni, inoltre, un obbligo di conferimento agli enti locali salvo il mantenimento o l’attrazione verso altri soggetti per ragioni di adeguatezza differenziazione. In questo quadro va collocata la legge n. 56 del 2014 (meglio conosciuta come Legge Delrio) che a completamento (seppur tardivo) della riforma Costituzionale del 2001 ha provveduto ad un riordino delle funzioni amministrative con un impatto peculiare sulle Province (in fase di smantellamento, mai per altro realizzato, ed ora in odore di rilancio).

Sono state numerose le Regioni che in sua applicazione hanno rimodulato anche le funzioni amministrative (tra centro e periferia) relative al governo del turismo. Una spinta è stata data al ruolo dei Comuni e alle aggregazioni locali (unioni di comuni, città metropolitane) presenti su territori ad alta vocazione turistica, grazie anche all’esercizio dell’autonomia statutaria comunale, specie per la gestione e la promozione turistica locale. Se alle Regioni spettano i compiti di programmazione, tutte le funzioni di promozione, informazione e comunicazione vanno riposte a valle con una partecipazione attiva nella fase di attuazione dei programmi regionali o intraregionali da parte anche dell’associazionismo e dei privati (sussidiarietà orizzontale).

Quanto in particolare a questi ultimi è importante rimarcare la funzione degli enti religiosi ed in particolare della Chiesa cattolica che assumono un ruolo determinante in quanto possessori/proprietari di gran parte del patrimonio culturale interessato dalle dinamiche proprie del turismo religioso, di soggetti attivi nelle azioni di promozione e valorizzazione di un patrimonio materiale e immateriale e più in generale titolari del patrimonio spirituale. Agli enti religiosi si sono affiancati con una presenza sempre più incisiva, gli stakeholder del sistema turistico: imprenditori, associazioni di categoria, fondazioni, associazioni di promozione culturale, enti del terzo settore, privati cittadini che sperimentano l’importanza della partecipazione alla costruzione di un sistema-territorio che attraverso lo strumento del turismo religioso sta scoprendo il valore del proprio patrimonio culturale e spirituale.

6. Turismo religioso e patrimonio culturale immateriale di interesse religioso

Possiamo dunque affermare che le modifiche legislative ed amministrative hanno indirizzato una rilettura del “turismo religioso” che guarda ad una dimensione più ampia e propositiva e un considerevole impegno regionale e locale per uno sviluppo concreto di questa declinazione dell’attività turistica.

Dalla lettura del documento “Cammini e turismo lento” presentato in occasione dell’audizione alla 7a Commissione del Senato della Repubblica dei rappresentanti della Commissione Politiche del Turismo della Conferenza delle Regioni e Province Autonome il 18 maggio 2021, nel dar conto delle numerose iniziative sviluppate a partire dal Progetto interregionale “Cammini della fede” (2003-2007) e poi proseguito con il Progetto interregionale “Via Francigena” (2004-2007), fino al progetto “Atlante dei Cammini d’Italia”, oltre ad emergere l’impegno economico e organizzativo cresciuto intorno ad una idea, ben si comprende la peculiarità di un disegno che insieme allo sviluppo economico guarda alla valorizzazione culturale ed identitaria oltre che spirituale e di fede. Un piano che però nella sua declinazione ha posto interrogativi sui confini del tutelabile e sui limiti del valorizzabile. Non vi è dubbio che buona parte di ciò che è stato inteso (per lo meno dal legislatore soprattutto regionale) come turismo religioso ruoti intorno ad alcuni eventi e più recentemente al tema degli itinerari (cammini) religiosi. Questo è stato un buon punto di partenza; l’analisi della legislazione regionale ha bene evidenziato gli innesti che via via hanno allargato i confini del progetto per incorporazione: dei temi propri della valorizzazione del patrimonio culturale prima e di quello ambientale successivamente.

La nuova sfida passa, come segnalato nel documento “Cammini e turismo lento”, per la digitalizzazione e le incertezze della smaterializzazione.

La questione dell’immaterialità è interrogativo che ha impegnato studiosi e legislatori che si sono occupati del patrimonio culturale. La Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale adottata dall’UNESCO nel 2003 e ratificata dall’Italia nel 2007 ha sciolto il nodo della configurabilità (anche giuridica) proponendo all’art. 2 una definizione (per “patrimonio culturale immateriale” s’intendono le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, il know-how - come pure gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali associati agli stessi - che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale) a partire dalla quale è opportuno provare a immaginare possibili declinazioni in ambito religioso.

Ad oggi nella lista del Patrimonio immateriale è presente la celebrazione della Perdonanza Celestiniana, una tradizione medievale comprendente riti e celebrazioni collegati ad una identità culturale della comunità della città e della provincia dell’Aquila, e prima ancora erano state inserite “Le feste delle Grandi Macchine a Spalla”, processioni cattoliche caratteristiche di alcune città italiane. Nella definizione e identificazione del patrimonio culturale di interesse religioso giocano due elementi a competenza distinta: statuale per il primo (patrimonio culturale) e confessionale per il secondo (interesse religioso). L’aggiunta dell’immaterialità sposta e molto confini e metodologie identificative. Intanto l’immaterialità è maggiormente adeguata alla spiritualità e inoltre si incontra bene con una aconfessionalizzazione della dimensione religiosa di questa parte di patrimonio culturale. Si radica più che nella “religione” nella tradizione religiosa come testimonianza avente valore di civiltà.

I percorsi intrapresi nel consolidamento del turismo religioso sono un ottimo contesto per sperimentare forme di valorizzazione di patrimonio culturale immateriale di interesse religioso. I cammini della fede (itinerari turistico religiosi) non sono tali per la materialità del percorso e neppure per i beni culturali materiali che possono concettualmente inglobare (museo a cielo aperto) ma per il significato spirituale, culturale identitario ed esperienziale che propongono: aspetti propri dell’immaterialità. Come dimostrato dai piani regionali di promozione turistica non è necessario un riconoscimento giuridico (bene culturale materiale ex art. 10 del Codice Urbani) per innestare una esperienza religiosa (festività, processioni, riti, territori legati alla fede, ecc.) in una azione di valorizzazione del patrimonio culturale a scopo di promozione turistica.

Un esempio può essere letto nella legge regionale Puglia 25 gennaio 2018, n. 1 “Interventi per la valorizzazione dei rituali festivi legati al fuoco” che riconosce e valorizza i rituali festivi legati al fuoco, come espressioni del patrimonio storico e culturale della comunità regionale, e quali strumenti di sviluppo dell’immagine turistica regionale. Si tratta di “rappresentazioni rievocative di rilevanti avvenimenti storici e religiosi, incentrati sulla unicità del fuoco, come elemento identitario” e “celebrazioni che ripropongono, esaltano e sponsorizzano usi, costumi e tradizioni proprie dell’immagine e della identità regionale ... caratterizzate da particolare valore storico, religioso e culturale” (art. 2). Il legislatore pugliese ha poi predisposto un apposito regolamento regionale 25 febbraio 2019, n. 8 per l’attuazione e l’erogazione dei contributi dei contenuti questo provvedimento legislativo.

Di grande utilità potrà essere il ricorso al concetto di patrimonio culturale proposto dall’art. 2 della Convenzione Quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società (Convenzione di Faro 2005) ratificata dall’Italia con la legge 1 ottobre 2020, n. 133, secondo la quale esso “è un insieme di risorse ereditate dal passato che alcune persone considerano, a prescindere dal regime di proprietà dei beni, come un riflesso e un’espressione dei loro valori, credenze, conoscenze e tradizioni in continua evoluzione. Esso comprende tutti gli aspetti dell’ambiente derivati dall’interazione nel tempo fra le persone e i luoghi”. I punti forti della “condivisione” di “resources inherited” aprono la strada ad un sistema, forse giuridicamente meno forte e strutturato, ma sicuramente più duttile e funzionale per la modulazione degli interventi che dal turismo religioso sviluppino forme di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale religioso.

E non meno utile pare il richiamo fatto, sempre dall’art. 2 alla “comunità patrimoniale”, un nuovo soggetto costituito “da persone che attribuiscono valore ad aspetti specifici del patrimonio culturale, che essi desiderano, nel quadro dell’azione pubblica, mantenere e trasmettere alle generazioni future”. Al di là della difficoltà di determinare concretamente in cosa possa concretizzarsi è evidente l’intento di sviluppare esperienze partecipative dal basso (di cittadinanza attiva) tanto nelle azioni di tutela e valorizzazione, quanto nella più impegnativa e innovativa azione di identificazione di ciò che possa ritenersi parte del patrimonio culturale. Le esperienze di partecipazione già sperimentate nell’ambito della tutela e valorizzazione del patrimonio culturale religioso tra enti pubblici ed enti religiosi, allargati all’associazionismo e ai privati cittadini potranno essere un buon punto di partenza per una ricognizione delle possibili forme di declinazione di “comunità patrimoniale” e il campo del turismo religioso un interessante palestra nel cui ambito sperimentare nuove forme di promozione.

7. Il catalogo dei cammini religiosi italiani

Scavando nella mastodontica legge 30 dicembre 2021, n. 234 “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2022 e bilancio pluriennale per i triennio 2022-2024”, mostro giuridico ad una sola testa (articolo unico), ma dai mille tentacoli (ben 1013 commi e ben superiori rinvii normativi), giunti al comma963 ci si imbatte nella istituzione presso il Ministero del turismo di “un fondo per i cammini religiosi, con una dotazione di 3 milioni di euro per il 2022, per il rilancio e la promozione turistica dei percorsi cosiddetti ‘cammini religiosi’ e il recupero e la valorizzazione degli immobili che li caratterizzano”. A distanza di sei mesi il Ministero del Turismo con il Decreto 23 giugno 2022 “Misure attuative del ‘Fondo per i cammini religiosi’ di cui all’articolo 1, comma 963, della Legge 30 dicembre 2021, n. 234” è intervenuto anzitutto definendo, cosa debba intendersi per cammini religiosi: “itinerari escursionistici a tema religioso o spirituale, percorribili esclusivamente o prevalentemente a piedi o con altre forme di turismo lento e sostenibile, di livello interregionale e regionale” (art. 1).

Ha poi destinato le risorse del Fondo ad azioni per il rilancio e la promozione turistica dei cammini religiosi, finalizzate all’ideazione e attuazione di una strategia di comunicazione coordinata del prodotto turistico nazionale “Cammini religiosi” a cura del Ministero del turismo - Direzione Generale della Valorizzazione e della Promozione turistica (artt. 2, lett. a e 4) e ad azioni per il recupero e la valorizzazione degli immobili pubblici presenti sui percorsi dei Cammini religiosi, volte ad arricchire l’offerta degli itinerari con servizi per la sosta, la permanenza, lo svago dei visitatori a cura dei soggetti proprietari degli immobili pubblici oggetto delle azioni (artt. 2, lett. b e 4).

Quanto poi alle misure attuative esse vengono individuate dall’art. 5: “nell’ideazione e attuazione di una strategia di comunicazione che coordini e metta a sistema le iniziative di promozione dei “Cammini religiosi” e ne valorizzi una fruizione integrata” (attuata dalla Direzione Generale della Valorizzazione e della Promozione turistica del Ministero del turismo (lett. a); nella “promozione di iniziative volte ad arricchire l’offerta turistica dei Cammini religiosi con servizi per la sosta, la permanenza, lo svago del visitatore, localizzati all’interno di immobili pubblici totalmente o parzialmente inutilizzati”, misura attuata mediante avviso pubblico per la selezione di progetti per il recupero e la valorizzazione di tali immobili (lett. b).

A completamento di questo rilevante intervento, in attuazione di dette misure (in particolare quelle ex art. 5, lett. a) il Ministero del Turismo il 28 novembre 2022 ha pubblicato un “Avviso pubblico per manifestazione di interesse all’inserimento nel ‘Catalogo dei cammini religiosi italiani’”. Si tratta di un atto che supera ampiamente la valenza normativa indicata in rubrica, proponendosi come oggetto la costituzione di un vero e proprio registro (Catalogo dei cammini religiosi italiani), lettura corroborata dalla espressa omissione di un termine finale per la presentazione delle domande di iscrizione (art. 4, 3° comma). Obiettivo dichiarato è quello di “qualificarne la fruizione a fini turistici e sviluppare un’azione di valorizzazione e comunicazione coordinata e mirata che dia attuazione alle strategie di promozione nazionali a partire dalle misure attuative del “Fondo per i cammini religiosi” di cui all’articolo 5, comma 1, del Decreto 23 giugno 2022 del Ministro del Turismo” (art. 1, 1° comma), con le finalità di “individuare e diffondere buone prassi relative all’organizzazione e alla gestione dell’esperienza di fruizione turistica attraverso i cammini religiosi” (art. 1, 3° comma).

Per l’iscrizione nel Catalogo i singoli cammini religiosi, proposti dai soggetti di cui all’art. 3 (enti pubblici, soggetti privati, enti del terzo settore, enti religiosi civilmente riconosciuti), dovranno possedere almeno tre dei requisiti individuati dall’art. 2:

a) presenza di un tracciato pedonale definito e pienamente percorribile che privilegi strade inibite al traffico veicolare o a scarso traffico veicolare;

b) georeferenziazione del percorso;

c) presenza di un logo del cammino che ne caratterizzi gli strumenti di comunicazione, informazione e segnaletica, nonché ogni altro supporto, anche digitale, utile all’esperienza di viaggio;

d) presenza di segnaletica direzionale e informativa dedicata al cammino;

e) disponibilità di un sito internet dedicato al cammino;

f) presenza di servizi di supporto al turista/viandante/pellegrino, compresi ristoro e alloggio;

g) possibilità per il turista/viandante/pellegrino di acquisire e utilizzare uno o più documenti (anche in forma digitale) che certifichino l’avvenuto pellegrinaggio per l’intero percorso o per parte di esso (c.d. testimonium e credenziale del pellegrino);

h) presenza di uno o più soggetti che svolgano attività di destination management, di promozione del cammino e della sua manutenzione, di gestione e aggiornamento del sito internet dedicato al cammino, nonché del rilascio e gestione di credenziale e testimonium.

Ai Cammini religiosi inseriti nel Catalogo verrà data “opportuna visibilità” all’interno del portale italia.it, mettendo in atto così quella spinta alla digitalizzazione indispensabile per una promozione efficace. Anche perciò i contenuti del portale, “in aderenza al protocollo di interoperatività del Tourism Digital Hub”, saranno alimentati ed aggiornati con la collaborazione di soggetti proponenti l’iscrizione che sono così chiamati ad una azione di costante tutoraggio rispetto al singolo cammino (art. 6); un impegno che fa eco alle “comunità patrimoniali” di cui all’art. 2 della Convenzione di Faro.

L’avviso pubblico prevede all’art. 5 un’apposita istruttoria per la valutazione delle manifestazioni d’interesse svolta dal Ministero del Turismo da concludersi entro 30 giorni dalla data di ricezione (ferma restando possibilità di richiesta di integrazioni e/o chiarimenti) e il conseguente inserimento finale nel catalogo (art. 6).

La predisposizione di un Catalogo dei cammini religiosi italiani è senza alcun dubbio una iniziativa positiva che si inserisce in un percorso di potenziamento e valorizzazione dell’idea innovativa di turismo religioso che si è venuta consolidando negli ultimi decenni, grazie alle spinte provenienti sia dall’esterno con le azioni di tutela e promozione di tradizionali itinerari religiosi quali il Camino de Santiago o la via Francigena radicati nel territorio e nella spiritualità europea, sia per le iniziativa non meno decisive sviluppate in Italia come già ricordato tanto a livello centrale, quanto a livello regionale.

Per comprendere gli effetti della istituzione di questo innovativo registro occorrerà attendere la sua concreta messa in opera, ma fin da ora è possibile domandarsi come lo stesso andrà ad integrarsi con le molte altre iniziative del medesimo tenore che sono state poste in essere a livello regionale. Ad esempio l’“Atlante digitale dei Cammini d’Italia” con la costruzione del portale internet Camminiemiliaromagna.it sviluppato da Apt Servizi dell’Emilia Romagna nel 2015 in accordo con l’Assessorato al Commercio e Turismo regionale nell’ambito del progetto “Turismo Esperienziale dei Cammini e delle Vie di Pellegrinaggio”, o il “Registro della Rete dei cammini del Friuli-Venezia Giulia” prestito dalla legge regionale 9 dicembre 2016, n. 21 “Disciplina delle politiche regionali nel settore turistico” come modificata dalla Legge di Stabilità 2021 del 30/12/2020; o ancora i dati derivanti dal “Progetto interregionale Itinerari della fede - Cammini della Fede” cui hanno aderito le regioni Lazio, Umbria, Molise, Abruzzo e Calabria negli anni dal 2005 al 2007; e quelli della mappatura (consultabile in parte sul sito www.turismo.marche.it) degli itinerari turistico religiosi censiti dalla Regione Marche. Sarà necessaria una intelligente azione di coordinamento per creare le giuste sinergie tra la spinta (e relativi finanziamenti) posta in essere a livello centrale dal Ministero del turismo e le già numerose azioni e attività realizzate o in divenire promosse da gran parte delle Regioni (con relativi finanziamenti).

Lascia, infine, qualche perplessità la creazione e la tenuta di un archivio caratterizzato religiosamente a totale gestione statale che non prevedere la presenza obbligatoria di una autorità religiosa - costituzionalmente competente a certificare tali qualificazioni ex artt. 7, 1° comma e 8, 2° comma Cost. - per lo meno nella fase di riconoscimento del cammino. Una assenza che potrebbe per assurdo portare all’iscrizione di un cammino “religioso” non riconosciuto come tale dalla confessione religiosa/religione interessata. Ma come già rilevato in questo ambito decisamente peculiare occorrerà probabilmente ragionare sulla opportunità di una parziale aconfessalizzazione dell’aggettivazione religiosa per meglio radicare le iniziative interessate ad una eredità culturale il più includente possibile.

Nota bibliografica essenziale

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A.G. Chizzoniti, Profili giuridici dei beni culturali di interesse religioso, Tricase (LE), Libellula, 2008.

A.G. Chizzoniti, Gli itinerari turistico-religiosi giubilari tra turismo e cultura, in Aedon, 1999, 1.

A.G. Chizzoniti, Il turismo religioso tra normativa statale e normativa regionale, in Codice del turismo religioso, a cura di A.G. Chizzoniti, Milano, Giuffrè, 1999, pp. 1-37.

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V. Franceschelli, F. Morandi (a cura di), Manuale di diritto del turismo, Torino, Giappichelli, 2022.

 

Note

[*] Antonio Giuseppe Maria Chizzoniti, professore ordinario di Diritto ecclesiastico e canonico presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, Largo A. Gemelli 1, 20123 Milano, antonio.chizzoniti@unicatt.it.

 

 

 



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