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Fondazioni e beni ecclesiastici di interesse culturale

A proposito di beni culturali ecclesiastici e fondazioni

di Lorenzo Casini [*]

Sommario: 1. Patrimonio culturale ecclesiastico e fondazioni: un legame virtuoso. - 2. L’importanza straordinaria dei beni culturali ecclesiastici. - 3. Quali prospettive per lo Stato?

About church cultural heritage and foundations
Moving from a recent volume focusing on ecclesiastical cultural property and foundations, the article examines some issues concerning the cultural heritage of ecclesiastical entities - such as their quantitative and qualitative dimensions - and indicates some possible lines of future intervention by the state, including fiscal incentives and digitization.

Keywords: Church cultural heritage; foundations; ecclesiastical cultural property; cultural property of religious interest.

1. Patrimonio culturale ecclesiastico e fondazioni: un legame virtuoso

I beni culturali della Chiesa hanno sempre rappresentato in Italia un ambito imprescindibile per comprendere le origini stesse del diritto del patrimonio culturale. Per certi versi, non è eccessivo parlare di “origini canoniche” del diritto del patrimonio culturale [1], rectius delle cose d’arte o di interesse storico e artistico: a partire dalle prime bolle papali del XV secolo [2], furono emanati numerosi provvedimenti di tutela delle cose d’arte, che trovarono sistemazione organica, il 7 aprile 1820, nel celebre editto del Camerlengo e Vescovo di Frascati Cardinale Bartolomeo Pacca (il c.d. “editto Pacca”), una vera e propria pietra miliare della normativa di tutela storico-artistica che ispirò tutta la legislazione successiva in Europa [3].

Quando si considera il patrimonio culturale ecclesiastico, però, occorre fare alcune precisazioni, anche in virtù della specificità dei rapporti tra la Santa Sede e lo Stato italiano in materia di beni culturali. Possono infatti distinguersi tre categorie di beni: a) i beni culturali di proprietà di enti ecclesiastici in Italia, soggetti sia alla normativa italiana, sia a quella canonica; b) i beni culturali di interesse religioso che si trovano in Italia, oggetto anche di specifiche disposizioni concordatarie [4]; c) i beni culturali situati sul territorio dello Stato della Città del Vaticano o negli immobili di cui agli artt. 15 e 16 del trattato fra la Santa Sede e l’Italia dell’11 febbraio 1929 [5]. Come si può notare, se nella prima categoria il fattore differenziante è rappresentato dal regime proprietario, nella seconda è dato dalla tipologia di bene, da cui deriva una normativa “speciale”; per la terza categoria, invece, rileva l’ubicazione territoriale.

Il recente libro curato da Valentina Dania e Lorenza Gazzerro, promosso dalla commissione per le Attività e Beni culturali dell’Associazione casse di risparmio italiane (Acri), si concentra sulla prima e quindi in parte anche sulla seconda di queste categorie, analizzando in particolare il ruolo che le fondazioni possono svolgere per una migliore tutela e una maggiore valorizzazione di questo patrimonio [6].

Questo importante contributo, che si inserisce nell’ambito di un più ampio progetto avviato dall’Acri nel 2018 [7], si segnala per la ricchezza di dati, casi di studio, testimonianze. Il testo, arricchito da un’introduzione di Marco Cammelli, si articola intorno a tre temi. Il primo è quello del riuso del patrimonio culturale degli enti ecclesiastici. Il secondo è quello del turismo religioso. Il terzo è infine quello del ruolo del terzo settore. Ogni tema vede quale tratto comune l’intervento delle fondazioni di origine bancaria.

Il libro conferma quindi il carattere virtuoso del legame tra beni ecclesiastici di interesse culturale e fondazioni, consentendo allo stesso tempo di formulare ulteriori riflessioni su due domande: perché è importante rafforzare questo legame? E quali sono le possibili linee di sviluppo, con particolare riguardo al ruolo dello Stato e del ministero della cultura?

2. L’importanza straordinaria dei beni culturali ecclesiastici

Le ragioni del perché è importante considerare il patrimonio culturale degli enti ecclesiastici e indagarne le modalità di valorizzazione con il sostegno del terzo settore sono evidenti. Possiamo qui limitarci a indicarne quattro.

Una prima è di matrice culturale e si collega a quanto sopra anticipato rispetto alle stesse origini del diritto del patrimonio culturale. La disciplina normativa sulle cose di interesse storico e artistico è nata grazie ai primi interventi dello Stato della Chiesa. Lo studio del patrimonio degli enti ecclesiastici, nonché dei modi con cui può essere destinato ad altri usi, rappresenta così un punto di osservazione privilegiato per comprendere numerosi problemi teorici e pratici del diritto del patrimonio culturale e del diritto amministrativo più in generale.

Una seconda ragione è genuinamente quantitativa. È sufficiente menzionare i dati del portale web dei beni culturali della Chiesa cattolica: si tratta di 12.464.108 beni catalogati, distribuiti in 226 diocesi, 2.351 istituti culturali e 15.663 famiglie, persone ed enti [8]. La straordinaria dimensione di questo patrimonio non è sempre percepita nella sua intera portata. Basta menzionare i rilievi che la Commissione europea ha formulato all’Italia durante l’iter di approvazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), relativi anche al fatto che vi fosse un numero eccessivo di chiese tra i beni oggetto di intervento [9].

Una terza ragione riguarda la qualità degli interventi di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale ecclesiastico [10]. Sotto questo aspetto, non mancano esempi molto positivi in cui il recupero e la destinazione di complessi o edifici religiosi a sede universitaria o comunque a centro di formazione si è rivelata essere un formidabile strumento di rigenerazione urbana e rilancio di quartieri o parti di città: sono i casi di Lucca, con il complesso di San Francesco dove ha una delle proprie sedi la Scuola Imt, o di Cremona, con la sede della Università Cattolica del Sacro Cuore presso l’ex convento di Santa Monica.

Una quarta ragione è invece di carattere emergenziale, sotto un duplice profilo. Innanzitutto, molti edifici di interesse religioso si trovano oggi in condizioni di degrado e di abbandono, con conseguente rischio anche di furto o saccheggio di questi luoghi. È una questione non nuova e che in altri paesi, come la Spagna, è dibattuta da diversi anni [11]. Vi è poi il tema della prevenzione antisismica, tenuto conto che gli edifici di interesse religioso, come chiese e campanili, sono purtroppo tra quelli che subiscono maggiori danni in caso di terremoti.

3. Quali prospettive per lo Stato?

Possono allora individuarsi alcune linee di sviluppo lungo le quali rafforzare il rapporto tra patrimonio culturale ecclesiastico e fondazioni.

Una prima direttrice attiene certamente alle politiche di recupero e riuso degli immobili. È infatti evidente che questo patrimonio può rappresentare un mezzo formidabile per interventi di recupero e riqualificazione urbana, come sopra evidenziato con riguardo alla destinazione ad attività educativa e formativa. Diviene quindi importante favorire e agevolare iniziative dirette non solo alla mappatura e al censimento di tali immobili, ma anche alla elaborazione di progetti di recupero e valorizzazione degli stessi. Ed è chiaro quanto qui diventi strategico il ruolo delle fondazioni e di tutti gli enti del terzo settore più in generale.

Una seconda direttrice coinvolge un’area precisa di intervento dell’amministrazione pubblica, vale a dire i cammini e gli itinerari [12]. Negli anni passati il ministero della Cultura ha investito su questo ambito, per esempio con la direttiva sull’anno dei cammini d’Italia del 2016 [13]. Dal punto di vista organizzativo, la creazione nel febbraio 2021 di un ministero del Turismo ha forse rallentato queste azioni, perché ha determinato una separazione istituzionale rispetto ad interventi di valorizzazione prima promossi dallo stesso ministero (tramite la Direzione generale Turismo). Peraltro, anche nello spacchettamento di competenze, una parte di fondi destinati ai cammini è comunque rimasta presso il ministero della Cultura. In ogni caso, al di là dell’assetto organizzativo, itinerari e cammini, anche in vista del prossimo Giubileo del 2025, sono un’area di azione importante in cui rafforzare il collegamento tra patrimonio culturale ecclesiastico e sostegno delle fondazioni.

Una terza direttrice è la leva fiscale. In questo caso lo strumento che in futuro potrebbe maggiormente potenziare la tutela e la valorizzazione dei beni culturali ecclesiastici, anche grazie al coinvolgimento delle fondazioni, è l’Art-bonus. Nata nel 2014, questa importante agevolazione fiscale ha trovato negli anni sempre maggior applicazione. Inoltre, seppur esso trova il proprio ambito oggettivo di applicazione limitatamente ai beni di appartenenza pubblica (e dunque, per i beni ecclesiastici, quelli legati al Fondo edificio di culto - Fec), non sono mancati casi di estensione anche a beni appartenenti a enti ecclesiastici. Ciò si è verificato in due modi. In sede legislativa, vi sono state norme speciali, come quella per il sisma dell’ottobre 2016 [14] o quella per l’inondazione a Venezia nell’autunno 2019 [15], che hanno espressamente ampliato l’ambito di applicazione dell’Art-bonus a interventi di restauro o recupero di beni di interesse religioso. In sede applicativa, invece, il requisito di appartenenza pubblica previsto dalla legge è stato ritenuto sussistente anche in presenza di un qualsiasi diritto reale da parte di un soggetto pubblico (come nel caso di un diritto di superficie o usufrutto). Inoltre, per agevolare le erogazioni liberali in denaro, sono state ammesse dall’Agenzia delle entrate anche modalità più snelle per la realizzazione dei lavori, proprio nel caso di donazioni da parte di fondazioni di origine bancaria [16]. Sarebbe dunque importante che in futuro lo Stato valutasse con attenzione la possibilità di portare a regime l’applicazione dell’art-bonus anche per i beni culturali ecclesiastici.

Una quarta direttrice, da ultimo, attiene alla necessità di stabilire collegamenti più efficaci tra i cataloghi, così da avere un dialogo effettivo tra Stato e Chiesa anche sotto questo aspetto [17]. A fronte dei sempre maggiori investimenti nella digitalizzazione del patrimonio culturale, risulta non più procrastinabile lo sviluppo di una piena ed effettiva integrazione tra le diverse “reti”, in modo da colmare uno dei ritardi più evidenti che ancora oggi caratterizzano la gestione del patrimonio culturale in Italia, ossia la mappatura e l’inventariazione.

 

Note

[*] Lorenzo Casini, professore ordinario di Diritto amministrativo nella Scuola IMT Alti Studi di Lucca, Piazza S. Ponziano 6, 55100 Lucca, lorenzo.casini@imtlucca.it.

[1] Il richiamo qui è allo scritto di G. Le Bras, Les origines canoniques du droit administratif, in L’évolution du droit public. Études offertes à Achille Mestre, Paris, Sirey, 1956, pag. 395 ss. Sul tema, si leggano anche E. Caparros, Les racines institutionelles des droits occidentaux dans le droit ecclésiastique, in Ius eccl., 1995, pag. 425 ss., e C. Larrainzar, Le radici canoniche della cultura giuridica occidentale, ibidem, 2001, pag. 23 ss. Osserva, comunque, S. Cassese, La costruzione del diritto amministrativo: Francia e Regno Unito, in Trattato di diritto amministrativo. Diritto amministrativo generale, I, Milano, Giuffrè, 2003, pag. 1 ss., che “per quanti precedenti siano stati cercati negli antichi imperi idraulici, cinesi e mesopotamici e nel diritto canonico, il diritto amministrativo si sviluppa solo nel secolo XIX, in Stati con ordinamenti maturi, che esistono da tre a cinque secoli” (pag. 4).

[2] Sono le bolle Etsi de cunctarum di Martino V del 1425 (che istituì la carica dei “Maestri delle strade”, figure simili agli edili romani), Cum almam nostram urbem di Pio II del 1462 (che proibì di demolire, distruggere, danneggiare gli antichi edifici pubblici e i loro resti) e Cum provida di Sisto IV del 1474 (che vietò lo spoglio di marmi ed altri ornamenti dalle chiese).

[3] Come scrisse Ernst Pariset nel 1891: “tout ce que nous voulons rétenir de ce rapide examen des édits si remarquables de Pie VII, contresignés par les cardinaux Doria et Pacca, c’est que notre loi de 1887 doit reconnaître qu’elle à été de beaucoup devancée par cette legislation extrêmement logique et complète, et qui peut servir de modèle a tout ce que l’on cherchera établir à l’avenir” (riportato da L. Parpagliolo, Codice delle antichità e degli oggetti d’arte, II ed., Roma, Libreria dello Stato, 1932, I, pag. 39).

[4] La dizione “bene culturale di interesse religioso” è stata usata per la prima volta, in sede normativa, nell’Accordo del 1984 tra l’Italia e la Santa Sede (articolo 12). Sul punto, G. Sciullo, I beni culturali della Chiesa cattolica nel Codice Urbani, in Aedon, 2020, 2.

[5] Come, per esempio, le basiliche patriarcali di San Giovanni in Laterano, di Santa Maria Maggiore e di San Paolo, con gli edifici annessi, il palazzo pontificio la Villa Barberini di Castel Gandolfo o gli immobili appartenenti alla Sacra congregazione di Propaganda Fide.

[6] È il volume Acri, Fondazioni e beni ecclesiastici di interesse culturale. Sfide, esperienze, strumenti, (a cura di) V. Dania e L. Gazzero, Bologna, Il Mulino, 2023.

[7] Si v. Acri, Beni ecclesiastici di interesse culturale. Ordinamento, conservazione, valorizzazione, Bologna, Il Mulino, 2022, nonché gli scritti di G. Sciullo, A. Tomer e A.G.M. Chizzoniti e A. Gianfreda in Aedon, 2021, 3.

[8] https://beweb.chiesacattolica.it/?l=it_IT.

[9] Testimonianza diretta dell’Autore.

[10] Sul tema, si legga da ultimo D. Dimodugno, Gli edifici di culto come beni culturali in Italia. Nuovi scenari per la gestione e il riuso delle chiese cattoliche tra diritto canonico e diritto statale, Università degli Studi di Torino, Torino, 2023.

[11] L. Amineddoleh, The Protection of Abandoned Cultural Heritage in Spain, in Aedon, 2012, 3.

[12] In argomento, A. Chizzoniti e A. Gianfreda, Il turismo religioso: nuove dimensioni per la valorizzazione del patrimonio culturale, in Aedon, 2020, 2.

[13] https://storico.beniculturali.it/mibac/multimedia/MiBAC/documents/feed/pdf/Direttiva%202016-imported-56667.pdf.

[14] Articolo 17, comma 1, del decreto-legge 17 ottobre 2016, n. 189, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 dicembre 2016, n. 229.

[15] Articolo 3-sexies, del decreto-legge 24 ottobre 2019, n. 123, convertito, con modificazioni, nella legge 12 dicembre 2019, n. 156.

[16] Risoluzione n. 87/E Roma, 15 ottobre 2015, su art. 1, d.l. 31 maggio 2014, n. 83 - Credito di imposta per favorire le erogazioni liberali a sostegno della cultura, c.d. “Art Bonus” - Quesito: fondazioni bancarie (disponibile qui: https://artbonus.gov.it/Risoluzione%20n.%2087E%20del%2015%20ottobre%202015_Ris87e%20del%2015.10.15%20(2).pdf).

[17] A. Longhi, Patrimonio di interesse religioso: scenari territoriali di conoscenza, interpretazione e pianificazione, in Acri, Fondazioni e beni ecclesiastici di interesse culturale. Sfide, esperienze, strumenti, cit., pag. 195 ss.

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