Corte costituzionale
Sentenza 14 aprile - 20 maggio 2021, n. 101
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Giancarlo Coraggio; Giudici: Giuliano Amato, Silvana Sciarra, Daria de Pretis, Nicolò Zanon, Franco Modugno, Augusto Antonio Barbera, Giulio Prosperetti, Giovanni Amoroso, Francesco Viganò, Luca Antonini, Stefano Petitti, Angelo Buscema, Emanuela Navarretta, Maria Rosaria San Giorgio,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 2, e 2, comma 1, della legge della regione autonoma Sardegna 21 febbraio 2020, n. 3 (Modifiche alle leggi regionali n. 45 del 1989 e n. 8 del 2015 in materia di Piano di utilizzo dei litorali), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 23-28 aprile 2020, depositato in cancelleria il 28 aprile 2020, iscritto al n. 43 del registro ricorsi 2020 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 20, prima serie speciale, dell’anno 2020.
Visto l’atto di costituzione della regione autonoma Sardegna;
udito nella udienza pubblica del 13 aprile 2021 il Giudice relatore Franco Modugno;
uditi l’avvocato dello Stato Ettore Figliolia per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Mattia Pani per la regione autonoma Sardegna, in collegamento da remoto, ai sensi del punto 1) del decreto del Presidente della Corte del 16 marzo 2021;
deliberato nella camera di consiglio del 14 aprile 2021.
Ritenuto in fatto
1. Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con ricorso notificato il 23-28 aprile 2020, depositato il 28 aprile 2020 e iscritto al reg. ric. n. 43 del 2020, ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 2, e 2, comma 1, della legge della regione autonoma Sardegna 21 febbraio 2020, n. 3 (Modifiche alle leggi regionali n. 45 del 1989 e n. 8 del 2015 in materia di Piano di utilizzo dei litorali), recanti modifiche, rispettivamente, alla legge della regione autonoma Sardegna 22 dicembre 1989, n. 45 (Norme per l’uso e la tutela del territorio regionale) e alla legge della regione autonoma Sardegna 23 aprile 2015, n. 8 (Norme per la semplificazione e il riordino di disposizioni in materia urbanistica ed edilizia e per il miglioramento del patrimonio edilizio). Entrambi gli articoli impugnati violerebbero gli artt. 9 e 117, secondo comma, lettere l), m) ed s), della Costituzione, l’art. 3 della legge costituzionale 26 febbraio 1948 n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), nonché l’art. 146 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137) (d’ora in poi, anche: cod. beni culturali).
2. L’art. l, comma 2, modifica l’art. 22-bis della legge reg. Sardegna n. 45 del 1989, sul Piano di utilizzo dei litorali (PUL). Con la lettera b), incide sul comma 6 dell’art. 22-bis, aggiungendo il seguente periodo: “[l]e aree e le strutture assentite con titolo concessorio demaniale permangono invariate per posizionamento, superficie, oggetto e utilità turistico-ricreative esercitate, come previsto dal relativo titolo, sino alla scadenza dello stesso”. Le lettere c) e d) modificano, invece, il comma 9 dell’art. 22-bis. Detto comma 9 prima stabiliva che “[...] la localizzazione delle strutture di cui al comma 3 è ammessa, compatibilmente con le previsioni contenute negli strumenti urbanistici comunali, per un periodo non superiore a quello della stagione balneare, salva la differente durata già prevista da legittimi titoli abilitativi, autorizzatori e concessori. In assenza di PUL è inoltre consentita la realizzazione, senza limiti temporali, di strutture di facile rimozione della superficie non superiore a 30 mq e connesse a corridoi di lancio, finalizzate all’esercizio di attività sportive direttamente connesse all’uso del mare; tali strutture sono compatibili con ogni destinazione di zona omogenea e non soggiacciono ai relativi parametri; rimane impregiudicata la possibilità del PUL di sopprimere o rivedere il posizionamento di tali strutture”. Per effetto dell’art. 1, comma 2, lettera c), della legge reg. Sardegna n. 3 del 2020, esso vede abrogato il periodo che limitava la localizzazione delle strutture di cui al comma 3 alla stagione balneare e, inoltre, per effetto dell’art. 1, comma 2, lettera d), della legge regionale impugnata, viene modificato con l’inserimento della previsione secondo cui “le aree e le strutture assentite con titolo concessorio demaniale permangono invariate per posizionamento, superficie, oggetto e utilità turistico-ricreative esercitate, come previsto dal relativo titolo, sino alla scadenza dello stesso. Possono essere assentite variazioni a richiesta del concessionario solo e limitatamente a quanto previsto dal Codice della navigazione”.
2.1. Secondo il ricorrente, la novella normativa di cui all’art. 1, comma 2, lettere b), c) e d), produrrebbe un duplice effetto pregiudizievole delle norme costituzionali e interposte evocate quali parametri. Infatti, da un lato, sarebbero rese permanenti strutture precarie e mobili di carattere stagionale, assoggettate, in forza dell’autorizzazione paesaggistica, all’obbligo di smontaggio al termine della stagione balneare, incidendo sul contenuto dell’autorizzazione paesaggistica previamente rilasciata. Le disposizioni si porrebbero in contrasto con l’art. 146 cod. beni culturali ove assegna all’autorizzazione paesaggistica valenza di atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire e ad altri titoli edilizi o urbanistici. Da un altro lato, tali previsioni inciderebbero sull’efficacia temporale dell’autorizzazione paesaggistica, “uniformandola in ogni caso a quella della concessione demaniale marittima”, in violazione del comma 4 dell’articolo indicato. Peraltro, le disposizioni regionali impugnate contrasterebbero con quanto previsto al punto A.28 dell’Allegato A del d.p.r. 13 febbraio 2017, n. 31 (Regolamento recante individuazione degli interventi esclusi dall’autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata), secondo cui, una volta rilasciata l’autorizzazione paesaggistica per le strutture stagionali, queste possono essere smontate e rimontate periodicamente, per la durata dell’autorizzazione, senza necessità di munirsi ogni volta di autorizzazione ad hoc.
Così, sarebbe invasa la competenza esclusiva statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. in materia di tutela del paesaggio; sarebbe, altresì, violata la competenza di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., dato che l’autorizzazione paesaggistica rientrerebbe nei livelli essenziali delle prestazioni pubbliche. La regione autonoma Sardegna esorbiterebbe, di conseguenza, dagli spazi di competenza a essa riservati nell’art. 3 dello statuto speciale, specie perché, nell’esercizio delle sue competenze, dovrebbe osservare le norme che lo Stato detta in materia di tutela del paesaggio e di livelli essenziali delle prestazioni. Inoltre, le previsioni censurate sottrarrebbero all’autorità giudiziaria penale la possibilità di reprimere gli abusi paesaggistici, impedendo di imporre lo smontaggio delle strutture stagionali previsto dalle autorizzazioni paesaggistiche, e consentendo, insomma, “il mantenimento dei manufatti dopo la scadenza del titolo”: sarebbe, dunque, anche invasa la potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordinamento penale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
3. L’art. 2, comma 1, lettera a), della legge reg. Sardegna n. 3 del 2020 introduce, all’art. 43 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, sul posizionamento delle strutture al servizio della balneazione, il comma 1-bis, il quale prevede che “[i]l posizionamento delle strutture di facile rimozione a scopo turistico-ricreativo è ammesso per l’intero anno solare, al fine di favorire la destagionalizzazione della stagione turistica a condizione che l’operatore, entro il 31 ottobre di ciascun anno, programmi e comunichi, ai sensi dell’ordinanza balneare periodica, un minimo di 10 mesi di operatività sui dodici mesi successivi. L’operatività così programmata può essere comunque ridotta in relazione alle previsioni meteoclimatiche. L’efficacia delle autorizzazioni edilizie e paesaggistiche relative a strutture precarie a scopo turistico ricreativo, ubicate nella fascia dei 300 (trecento) metri dalla battigia marina, ha durata pari a quella della concessione demaniale e, al di fuori del demanio, fino al perdurare della relativa esigenza”. Inoltre, l’art. 2, comma 1, lettera b), abroga l’art. 43, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015 il quale prevedeva, in via transitoria, che, in assenza di PUL, il permesso di costruire strutture a servizio della balneazione non potesse avere durata superiore a quella della stagione balneare.
3.1. Nella tesi del ricorrente, anche con questa novella legislativa si vorrebbe ottenere la stabilità di opere destinate, in base all’autorizzazione paesaggistica, a essere stagionalmente rimosse e si vorrebbe al contempo manipolare l’efficacia temporale dell’autorizzazione paesaggistica, equiparandola in ogni caso a quella della concessione demaniale marittima o addirittura “fino al perdurare della relativa esigenza”, ovvero “sine die”, per la porzione di territorio fuori dal demanio. Per queste ragioni, si violerebbero gli stessi parametri dinanzi evocati: l’art. 146 cod. beni culturali, l’art. 9 e l’art. 117, secondo comma, lettere l), m) ed s), Cost. e l’art. 3 dello statuto speciale. Questa Corte avrebbe, infatti, chiaramente affermato che l’art. 146 cod. beni culturali costituisce “norma di grande riforma economico-sociale” - la quale, in quanto tale, s’impone al legislatore sardo (sono citate le sentenze n. 189 del 2016 e n. 238 del 2013) - e che non è permesso alla legge regionale abbassare gli standard di tutela ambientale (è citata la sentenza n. 66 del 2018). Questa Corte avrebbe altresì affermato che la valenza dell’autorizzazione paesaggistica costituisce espressione della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni riservata alla legislazione dello Stato.
4. Nel costituirsi in giudizio, la regione autonoma Sardegna ha eccepito l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso. La resistente muove dall’assunto che essa dispone di competenza esclusiva in materia di edilizia e urbanistica, come altre regioni a statuto speciale, e che questa Corte avrebbe ritenuto in più occasioni (sono citate le sentenze n. 51 del 2006 e n. 308 del 2013) che tale competenza sia estesa alla tutela del paesaggio. Essendo quest’ultima strettamente connessa alla materia dell’edilizia e dell’urbanistica, come testimonierebbe l’art. 6 del d.p.r. 22 maggio 1975, n. 480 (Nuove norme di attuazione dello statuto speciale della regione autonoma della Sardegna), non sarebbe revocabile in dubbio che le leggi sarde possano, nell’esercizio delle proprie competenze, incidere pure su beni paesaggistici, senza sconfinare nelle materie di esclusiva pertinenza statale.
4.1. La difesa regionale eccepisce, infatti, in via preliminare, che il ricorso sarebbe inammissibile, perché il ricorrente non avrebbe tenuto in debita considerazione le norme statutarie attributive di competenza alla regione nelle materie trattate dagli articoli impugnati: la regione autonoma Sardegna avrebbe disciplinato aspetti urbanistici ed edilizi delle concessioni demaniali marittime, ambito che “necessariamente è pure correlato alla indispensabile tutela paesaggistica”.
4.2. La regione eccepisce inoltre, in via preliminare, l’inammissibilità del ricorso per difetto d’interesse e per carenza di motivazione sull’interesse concreto all’impugnazione, che inficierebbe l’ammissibilità delle questioni per oscurità della motivazione. Mancherebbe la rappresentazione dei danni che le norme censurate produrrebbero sul bene tutelato.
4.3. Nel merito, la difesa regionale rileva l’infondatezza delle censure rivolte agli artt. 1 e 2 della legge regionale impugnata.
4.4. Quanto al primo motivo di ricorso, la regione autonoma Sardegna afferma che la disciplina di cui all’art. 1, comma 2, lettere b), c) e d), della legge reg. Sardegna n. 3 del 2020 non riguarderebbe l’autorizzazione paesaggistica. Ritenendola necessaria per il corretto inquadramento delle disposizioni impugnate nel contesto normativo in cui sono inserite, essa propone una disamina dell’intero contenuto dell’art. 22-bis della legge reg. Sardegna n. 45 del 1989. I primi tre commi - stabilendo che il PUL è lo strumento con cui i comuni disciplinano l’utilizzazione delle aree demaniali marittime con finalità turistico-ricreative, nonché gli interventi per la costruzione di parcheggi o strutture di facile rimozione a servizio della balneazione, della ristorazione e delle attività ludico-ricreative connesse all’uso del mare - preludono al comma 4, che dispone che gli interventi predetti sono compatibili con ogni destinazione di zona omogenea, previo rilascio, se necessario, dell’autorizzazione paesaggistica. Il comma 5, poi, prevede che “[i]l posizionamento delle strutture disciplinate all’interno del PUL è ammesso nei litorali urbani e nei litorali metropolitani senza limiti temporali. Al di fuori dei litorali urbani e metropolitani il posizionamento delle strutture di facile rimozione a servizio della balneazione e della ristorazione, preparazione e somministrazione di bevande ed alimenti è ammesso nel periodo compreso tra il 1° aprile e il 31 ottobre; nel caso le stesse siano connesse a strutture ricettive o sanitarie prossime ai litorali il posizionamento è ammesso per il periodo di esercizio della struttura principale. I parcheggi e il posizionamento delle strutture di facile rimozione finalizzate all’esercizio di attività sportive e ludico-ricreative direttamente connesse all’uso del mare sono ammessi senza limiti temporali”. Al comma 6, si afferma che le strutture presenti permangono invariate sino alla scadenza del titolo che le aveva originariamente assentite. I commi 7 e 8 definiscono i litorali urbani e quelli metropolitani, mentre il comma 9 si occupa del posizionamento di strutture di facile rimozione in assenza di PUL: le norme impugnate inseriscono una previsione simile a quella del comma 6, per cui le aree e strutture, già assentite con titolo concessorio demaniale, possono permanere e esercitare le attività sino alla scadenza dei titoli abilitativi.
Da questo quadro, secondo la resistente, deriverebbe l’infondatezza delle censure, dal momento che le norme non si occuperebbero certo di autorizzazione paesaggistica - né della stabilità di strutture autorizzate come stagionali né della sua durata - bensì della pianificazione demaniale del comune, stabilendo che esso non prescinda, in fase di nuova programmazione, dallo stato delle concessioni in essere. Sarebbe, in tal senso, da sottolineare che il comma 4 dell’art. 22-bis espressamente prevede la richiesta di autorizzazione paesaggistica, ove necessario, per la realizzazione degli interventi di cui al comma 3. Invece, ciò su cui si appunta parte delle censure del ricorrente - l’intento di rendere permanenti le strutture poste sul litorale - era già previsto al comma 5 dell’art. 22-bis, che non è stato mai impugnato. D’altronde, anche in altre regioni vigerebbero norme di analogo tenore, che consentono di mantenere durante l’anno strutture che siano facilmente amovibili (sono citate la legge della regione Puglia 23 giugno 2006, n. 17, recante “Disciplina della tutela e dell’uso della costa” e la legge della regione Campania 7 agosto 2014, n. 16, recante “Interventi di rilancio e sviluppo dell’economia regionale nonché di carattere ordinamentale e organizzativo − collegato alla legge di stabilità regionale 2014”).
4.5. Pure in relazione al secondo motivo di ricorso, la difesa regionale rileva l’infondatezza delle censure. Con l’introduzione del comma 1-bis dell’art. 43 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, il legislatore regionale non violerebbe le norme interposte e costituzionali, atteso che non disporrebbe alcuna ultrattività delle autorizzazioni paesaggistiche: si riferirebbe invece al titolo concessorio demaniale, che può ora avere ad oggetto attività espletate nell’arco dell’anno, favorendo la destagionalizzazione del turismo. Secondo la difesa della regione, la legge impugnata, laddove prevede che “l’efficacia delle autorizzazioni edilizie e paesaggistiche relative a strutture precarie a scopo turistico ricreativo, ubicate nella fascia dei 300 (trecento) metri dalla battigia marina, ha durata pari a quella della concessione demaniale e, al di fuori del demanio, fino al perdurare della relativa esigenza”, non avrebbe “la finalità e/o la capacità di determinare una modificazione della efficacia/durata dell’atto di compatibilità paesaggistica, atteso che la norma, invece, si limita ad operare, in termini generali ed astratti e di coordinamento”. Comunque sia, qualora il titolo demaniale avesse un’efficacia più lunga di quella del titolo paesaggistico, il titolare della concessione sarebbe onerato di chiedere una nuova autorizzazione paesaggistica per la restante durata del titolo demaniale, anche a seguito dell’entrata in vigore della disciplina censurata. La difesa della resistente richiama, infine, alcune decisioni del Consiglio di Stato che suffragherebbero la legittimità di titoli demaniali che consentano attività anche non stagionali, pur nella necessità di richiedere l’autonomo nullaosta paesaggistico, che potrebbe imporre modalità di esercizio delle attività medesime (per esempio, obblighi di smontaggio e rimontaggio di strutture, in relazione alle peculiarità dell’area paesaggistica): sono citate le sentenze della sezione sesta 12 dicembre 2019, n. 8455, 13 febbraio 2018, n. 899, 4 novembre 2013, n. 5293 e 18 settembre 2013, n. 4642.
In ultimo, la previsione di cui all’art. 2, comma 1, lettera b), della legge reg. Sardegna n. 3 del 2020, secondo la difesa regionale, recando solamente l’abrogazione di una norma di natura transitoria, legata a un termine ampiamente spirato, non potrebbe produrre gli effetti lamentati dal ricorrente.
La regione autonoma Sardegna conclude chiedendo la declaratoria di inammissibilità o di infondatezza delle questioni riferite alla violazione dell’art. 146 cod. beni culturali e dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., ritenendo che l’inammissibilità o l’infondatezza di queste determini il venir meno degli altri profili di censura.
5. In prossimità dell’udienza, l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato una memoria per confutare gli argomenti difensivi spesi dalla regione.
5.1. In primo luogo, essa pone in evidenza che l’eccezione di inammissibilità del ricorso per mancata considerazione delle competenze che lo statuto di autonomia conferisce in via esclusiva alla regione sarebbe priva di pregio: la valutazione sull’illegittimo esercizio della competenza legislativa in materia di edilizia e urbanistica, di cui all’art. 3, primo comma, lettera f), dello statuto, da parte della regione atterrebbe, in tesi, al merito della controversia, non rilevando quale requisito di ammissibilità del giudizio.
5.2. In secondo luogo, pure le ulteriori eccezioni d’inammissibilità del ricorso - per carenza d’interesse ad agire e per difetto di motivazione - sarebbero prive di fondamento. Per un verso, infatti, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, l’interesse, nei giudizi in via principale, consisterebbe nella tutela delle competenze legislative attribuite dalla Costituzione, a prescindere dalla prova dei danni concreti che derivano dall’esercizio di quelle competenze; per l’altro verso, il ricorso statale soddisferebbe senz’altro il minimum argomentativo richiesto dalla Corte al fine di ritenere sufficientemente motivate le censure.
5.3. Quanto al merito, la memoria presentata dal ricorrente insiste nell’affermare che le norme impugnate inciderebbero sul contenuto e sull’efficacia dell’autorizzazione paesaggistica. L’Avvocatura generale precisa, inoltre, che la legge reg. Puglia n. 17 del 2006, citata nell’atto di costituzione in giudizio, risulta oggi abrogata. Sottolinea, peraltro, che il suo art. 4-bis è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo perché prevedeva che il mantenimento, per tutto l’anno, di strutture di facile rimozione sui litorali avvenisse in deroga ai vincoli previsti dalla legislazione in materia paesaggistica e ambientale: le disposizioni impugnate nel presente giudizio presenterebbero gli stessi profili di illegittimità costituzionale.
Riferendosi, in particolare, al tenore letterale dell’art. 43 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, come modificato dalle norme impugnate, la difesa statale contesta l’argomento speso dalla regione resistente, secondo cui le disposizioni si limiterebbero ad operare “in termini generali ed astratti e di coordinamento”. Sarebbe chiaro che tali previsioni siano invece dirette ad assicurare la stabilità di opere precarie sottoposte a vincolo paesaggistico, che devono essere rimosse al termine della stagione balneare. D’altra parte, sarebbe insostenibile che il richiamo all’efficacia dell’autorizzazione paesaggistica sia stato previsto solo “in astratto”, senza incidere sull’obbligo del titolare di richiedere una nuova autorizzazione alla scadenza di quella in essere: l’efficacia dell’autorizzazione paesaggistica sarebbe, invece, richiamata proprio al fine di uniformarla alla durata del titolo concessorio. La giurisprudenza amministrativa richiamata nell’atto di costituzione sarebbe, peraltro, inconferente, perché si tratterebbe di pronunce attinenti alla normativa pugliese, dapprima dichiarata incostituzionale e poi conformatasi alle norme statali sulla tutela del paesaggio.
Sulla base di tali argomenti, l’Avvocatura generale conclude tornando a chiedere che sia dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, e 2, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 3 del 2020 per violazione di tutti i parametri evocati nel ricorso.
Considerato in diritto
1. Con il ricorso indicato in epigrafe, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato parte della legge della regione autonoma Sardegna 21 febbraio 2020, n. 3 (Modifiche alle leggi regionali n. 45 del 1989 e n. 8 del 2015 in materia di Piano di utilizzo dei litorali), in riferimento agli artt. 9 e 117, secondo comma, lettere l), m) ed s), della Costituzione, all’art. 3 della legge costituzionale 26 febbraio 1948 n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), nonché all’art. 146 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137) (d’ora in poi, anche: cod. beni culturali). Essa reca norme volte alla destagionalizzazione del turismo, che modificano, a tale fine, disposizioni di leggi regionali anteriori. Interviene, in particolare, sulla localizzazione delle strutture turistico-ricreative a servizio della balneazione, incidendo sulle previsioni secondo le quali la localizzazione di tali strutture sui litorali deve avvenire, di regola, nella sola stagione balneare. Il ricorso si fonda sull’assunto che la finalità di favorire il turismo durante l’intero anno sia perseguito in violazione delle norme sull’autorizzazione paesaggistica; provvedimento - quest’ultimo - che è obbligato a richiedere e osservare chiunque intenda fare uso del bene paesaggistico tutelato dalla legge: in questo caso, si tratta dei territori costieri sardi entro i trecento metri dalla linea di battigia (art. 142 cod. beni culturali).
1.1. Con il primo motivo di ricorso, è impugnato l’art. 1, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 3 del 2020, che modifica l’art. 22-bis della legge della regione autonoma Sardegna 22 dicembre 1989, n. 45 (Norme per l’uso e la tutela del territorio regionale). Detto art. 22-bis disciplina i Piani di utilizzo dei litorali (PUL); le modifiche censurate si appuntano sui commi 6 e 9. Come visto in dettaglio nel Ritenuto in fatto, per effetto dell’art. 1, comma 2, lettera b), della legge regionale impugnata, al comma 6 è stabilito che, nel PUL, le aree e le strutture assentite con titolo concessorio demaniale permangano invariate, come posizionate e per l’utilità turistico-ricreativa esercitata in forza del relativo titolo, sino alla scadenza dello stesso. Al momento dell’adozione del PUL, dunque, il comune deve tener conto delle strutture assentite e delle attività già in esercizio. Per effetto dell’art. 1, comma 2, lettera c), della legge regionale impugnata, il comma 9, sulla regolazione transitoria in assenza di PUL, è stato modificato con l’abrogazione della previsione per cui la localizzazione delle strutture di facile rimozione a servizio della balneazione e ristorazione, o di attività ludico-ricreative connesse all’uso del mare, è ammessa per un periodo non superiore a quello della stagione balneare, salva la differente durata già prevista da legittimi titoli abilitativi, autorizzatori e concessori. Inoltre, per effetto dell’art. 1, comma 2, lettera d), della legge regionale impugnata, nello stesso comma 9 è stata inserita la previsione, simile a quella di cui al comma 6, per cui, finché i comuni non approvino il PUL, le strutture assentite permangano come previsto dal relativo titolo concessorio.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, è impugnato l’art. 2, nel suo unico comma, della legge reg. Sardegna n. 3 del 2020: questo modifica l’art. 43 della legge della regione autonoma Sardegna 23 aprile 2015, n. 8 (Norme per la semplificazione e il riordino di disposizioni in materia urbanistica ed edilizia e per il miglioramento del patrimonio edilizio), che riguarda propriamente, come indicato nella rubrica, il posizionamento delle strutture a servizio della balneazione. Con l’art. 2, comma 1, lettera a), della legge regionale impugnata, è inserita, all’art. 43, la previsione per cui “[i]l posizionamento delle strutture di facile rimozione a scopo turistico-ricreativo è ammesso per l’intero anno solare, al fine di favorire la destagionalizzazione della stagione turistica”, a condizione che si assicuri un minimo di dieci mesi di operatività, e che l’efficacia delle autorizzazioni edilizie e paesaggistiche relative alle dette strutture, ubicate nella fascia dei trecento metri dalla battigia marina, “ha durata pari a quella della concessione demaniale e, al di fuori del demanio, fino al perdurare della relativa esigenza”. Con l’art. 2, comma 1, lettera b), della legge regionale impugnata, inoltre, è abrogata la previsione secondo cui il permesso di costruire strutture a servizio della balneazione può avere durata non superiore a quella della stagione balneare.
1.3. La principale censura formulata nel ricorso, rivolta a entrambi gli articoli impugnati, è volta a denunziare che questi interventi normativi avrebbero l’effetto, da un lato, di rendere stabili strutture soggette a prescrizione di rimozione stagionale secondo la relativa autorizzazione paesaggistica, dando agio a chi svolge attività turistico-ricreative sulle spiagge di derogare agli obblighi in essa contenuti; dall’altro lato, prorogherebbero ex lege l’efficacia temporale dell’autorizzazione paesaggistica “uniformandola in ogni caso a quella della concessione demaniale marittima” o, fuori dal demanio marittimo, “sine die”.
Si deduce, così, la violazione dell’art. 146 cod. beni culturali - che costituisce una “norma di grande riforma economico-sociale”, vincolante anche per le regioni ad autonomia speciale - e, di conseguenza, il contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., che riserva alla competenza legislativa statale la materia della tutela dell’ambiente e del paesaggio. È, altresì, dedotta la violazione dell’art. 9 Cost., che afferma il principio di tutela del paesaggio nazionale; dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., in quanto l’autorizzazione paesaggistica rientrerebbe tra i livelli essenziali delle prestazioni pubbliche, affidati alla competenza esclusiva dello Stato; dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., poiché - legittimando la permanenza di opere soggette a obbligo di rimozione stagionale - s’impedirebbe all’autorità giudiziaria di reprimere gli abusi paesaggistici, così incidendo sulla competenza statale in materia di ordinamento penale; dell’art. 3 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), che attribuisce alla regione la competenza legislativa in materia di edilizia e urbanistica, prescrivendo, però, il rispetto delle norme statali “di grande riforma economico-sociale”.
2. La regione autonoma Sardegna ha, preliminarmente, eccepito l’inammissibilità del ricorso, rilevando che esso non avrebbe tenuto conto delle competenze che l’art. 3, primo comma, lettera f), dello statuto attribuisce al legislatore regionale. Infatti, come stabilito nelle norme di attuazione dello stesso statuto (art. 6 del d.p.r. 22 maggio 1975, n. 480, recante “Nuove norme di attuazione dello statuto speciale della regione autonoma della Sardegna”), nel disciplinare l’edilizia e l’urbanistica, le leggi sarde potrebbero occuparsi anche di profili attinenti alla tutela paesaggistica del territorio, talché la legge reg. Sardegna n. 3 del 2020 rappresenterebbe legittima attuazione delle norme statutarie.
2.1. L’eccezione non è fondata.
Il ricorso statale, infatti, deduce la violazione dell’art. 3 dello statuto speciale, sostenendo che la legge parzialmente impugnata contrasti con un istituto di uniforme applicazione, disciplinato dalla legislazione dello Stato, di cui lo stesso art. 3 imporrebbe il rispetto.
2.2. La regione rileva, altresì, l’inammissibilità del ricorso per carenza d’interesse all’impugnazione, derivante dalla mancata dimostrazione dei danni che la legge regionale arrecherebbe al bene tutelato. L’assenza di un interesse concreto all’impugnazione, inoltre, comporterebbe l’oscurità delle censure, le quali risulterebbero non adeguatamente motivate.
2.3. Nemmeno questi rilievi colgono nel segno.
La giurisprudenza di questa Corte ha, infatti, costantemente affermato che l’interesse a proporre l’impugnazione, nel giudizio in via principale, consiste nella tutela delle competenze legislative per come ripartite nella Costituzione: il corretto inquadramento delle competenze legislative rappresenta, in questo senso, l’utilità che ci si attende dalla pronuncia richiesta (ex plurimis, sentenze n. 56 del 2020, n. 178 del 2018 e n. 195 del 2017). Nel caso di specie, è, peraltro, indicato con chiarezza qual è il pregiudizio che l’illegittimo esercizio delle competenze regionali determinerebbe sui beni sottoposti a vincolo: nella tesi del ricorrente, le disposizioni impugnate consentirebbero, infatti, di mantenere le strutture sugli arenili oltre i limiti prescritti dall’autorizzazione paesaggistica, recando un danno visibile al valore paesaggistico delle spiagge. E il ricorso descrive, seppur sinteticamente, le ragioni per cui, ove fosse accertato il contrasto con la legge statale sulla tutela paesaggistica, risulterebbero violati gli ulteriori parametri costituzionali evocati.
3. Passando al merito delle questioni, giova richiamare brevemente le norme evocate quali parametro interposto di costituzionalità, perché utili alla definizione delle questioni promosse, sia con il primo, sia con il secondo motivo del ricorso.
Il contenuto precettivo dell’art. 146 cod. beni culturali riguarda chiunque intenda intervenire, in ogni modo potenzialmente significativo, sui beni sottoposti a vincolo paesaggistico, e ciò indipendentemente dalla regolazione edilizia e urbanistica vigente sul territorio regionale. L’art. 146, infatti, rivolgendosi direttamente ai “proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili ed aree di interesse paesaggistico, tutelati dalla legge, a termini dell’articolo 142 [...]”, impone di non “distruggerli, né introdurvi modificazioni che rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione”; prescrive “l’obbligo di presentare alle amministrazioni competenti il progetto degli interventi che intendano intraprendere” e il dovere di “astenersi dall’avviare i lavori fino a quando non ne abbiano ottenuta l’autorizzazione”. L’art. 146 cod. beni culturali prosegue affermando che l’autorizzazione paesaggistica “costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio”, e che “[l]’autorizzazione è efficace per un periodo di cinque anni, scaduto il quale l’esecuzione dei progettati lavori deve essere sottoposta a nuova autorizzazione”.
La legge statale, dunque, definisce il valore prioritario dell’autorizzazione paesaggistica e ne prescrive i termini di efficacia. Nelle parole della Corte di legittimità, “l’autorizzazione dell’ente preposto alla tutela del vincolo” costituisce, appunto, “un presupposto dell’efficacia” di qualsiasi altro titolo che abiliti a utilizzare il bene paesaggistico, posto che “il permesso di costruire legittima l’esecuzione di interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio secondo la relativa disciplina e dando concreta attuazione alle scelte operate con gli strumenti di pianificazione, l’autorizzazione paesaggistica concerne una valutazione circa l’incidenza di un intervento sull’originario assetto dei luoghi soggetti a particolare protezione, mentre la concessione demaniale consente il godimento del bene demaniale entro i limiti stabiliti dal provvedimento” (Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenza 30 luglio 2013, n. 32966).
4. L’impugnazione dell’art. 1, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 3 del 2020 deve intendersi riferita alle sole lettere b), c) e d), cui si rivolgono le censure del ricorrente e cui va, pertanto, circoscritto l’oggetto del giudizio.
4.1. Le questioni non sono fondate, perché le disposizioni impugnate non determinano, nel contesto normativo in cui s’inseriscono, l’effetto temuto dal ricorrente.
Come detto, l’art. 22-bis della legge reg. Sardegna n. 45 del 1989 disciplina i Piani di utilizzo dei litorali: questi costituiscono uno strumento di pianificazione comunale, avente ad oggetto l’utilizzazione delle aree demaniali marittime con finalità turistico-ricreative. Più precisamente, i PUL disciplinano gli interventi per la costruzione di parcheggi e strutture a servizio della balneazione, della ristorazione e delle attività ludico-ricreative connesse all’uso del mare (comma 3), prevedendo che, ove necessario, tali interventi si realizzino dopo aver ottenuto l’autorizzazione paesaggistica (comma 4). Il posizionamento delle strutture previste in tali Piani, inoltre, è consentito nei litorali urbani e metropolitani senza limiti di tempo, mentre fuori da essi è ammesso nel periodo tra il 1° aprile e il 31 ottobre, fermo restando che “il posizionamento delle strutture di facile rimozione finalizzate all’esercizio di attività sportive e ludico-ricreative connesse all’uso del mare” è, comunque sia, ammesso senza limiti temporali (comma 5). Visto che non tutti i comuni sardi hanno adottato il proprio PUL, l’art. 22-bis detta anche norme sulle attività dei titolari delle concessioni demaniali marittime già esistenti e valide “in assenza di PUL”.
L’art. 1, comma 2, lettere b), c) e d), della legge reg. Sardegna n. 3 del 2020 ha modificato l’art. 22-bis, ai commi 6 e 9, eliminando la limitazione all’utilizzo delle strutture rimovibili sui litorali nella sola stagione balneare e permettendo, in astratto, il posizionamento delle strutture stesse per tutto l’anno. Inoltre, ha previsto che il PUL tenga conto delle concessioni già in essere, nei limiti di quanto stabilito nei titoli abilitativi e autorizzatori, e che, in assenza di Piani, le attività assentite siano mantenute e proseguano, in forza del titolo concessorio.
4.1.1. Il legislatore sardo ha disciplinato materie sulle quali ha competenza legislativa - edilizia, urbanistica e gestione delle concessioni con finalità turistico-ricreative che comportino il posizionamento di strutture di facile rimozione su beni del demanio marittimo (art. 3, primo comma, lettera f, dello statuto; artt. 40 e 41 della legge della regione autonoma Sardegna 12 giugno 2006, n. 9, recante “Conferimento di funzioni e compiti agli enti locali”) - e non ha previsto deroghe alla legge statale sull’autorizzazione paesaggistica, che è invece espressamente richiamata nell’art. 22-bis, comma 4, della legge reg. Sardegna n. 45 del 1989.
Nell’art. 22-bis della legge reg. Sardegna n. 45 del 1989, dunque, non sono state introdotte norme che consentano al titolare della concessione - nel caso in cui l’autorizzazione paesaggistica imponga la rimozione stagionale dei manufatti - di mantenere, invece, questi ultimi sul litorale per tutto l’anno. Non v’è, inoltre, riferimento alcuno alla proroga dell’efficacia della autorizzazione paesaggistica sino alla scadenza della concessione demaniale.
4.1.2. Si può osservare, in proposito, che non esiste incompatibilità tra la legislazione regionale che consenta il posizionamento di manufatti per l’intero anno e la legislazione statale sulla tutela dei beni paesaggistici, se la prima garantisce che l’attuazione della seconda sia, senza eccezioni, assicurata.
Ogni tratto di costa possiede caratteristiche peculiari: sulla base di queste, l’autorità preposta alla tutela del vincolo è chiamata a stabilire le prescrizioni cui l’interessato deve adempiere per utilizzare il bene senza danneggiarne il valore paesaggistico. Di conseguenza, nel caso in cui, in relazione alle specificità dell’intervento proposto e dell’area vincolata, detta autorità rilasci un’autorizzazione paesaggistica con obblighi di rimozione stagionale del manufatto, l’interessato dovrà rimuoverlo alla fine della stagione balneare e procedere a riposizionarlo l’anno successivo, per tutta la durata dell’autorizzazione. Per le operazioni di smontaggio e rimontaggio periodico di strutture stagionali munite di autorizzazione paesaggistica non occorre ottenere, ogni volta, provvedimenti autorizzatori, come previsto nel punto A.28, Allegato A, del d.p.r. 13 febbraio 2017, n. 31 (Regolamento recante individuazione degli interventi esclusi dall’autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata).
4.1.3. Il posizionamento di strutture per l’esercizio delle attività svolte in regime di concessione demaniale marittima, di cui all’art. 1, comma 2, lettere b), c) e d), della legge reg. Sardegna n. 3 del 2020, dunque, s’intende condizionato all’osservanza dell’art. 146 cod. beni culturali, dato che, nel contesto normativo descritto, quest’ultimo non trova ostacoli applicativi. Questa Corte ha, d’altronde, già avuto modo di affermare che gli istituti di protezione ambientale e paesaggistica validi su tutto il territorio nazionale trovano applicazione, ove non derogati, pur in assenza di specifici o reiterati richiami da parte della legislazione regionale (in tal senso, da ultimo, sentenze n. 54 e n. 29 del 2021, n. 258 del 2020).
In tali termini, le questioni promosse nel primo motivo del ricorso non sono fondate.
5. A simili esiti non si può pervenire in riferimento alle censure formulate nel secondo motivo del ricorso, a cagione, sia della diversità del contenuto delle disposizioni impugnate, sia del contesto normativo all’interno del quale esse sono inserite.
Occorre esaminare partitamente le questioni dell’art. 2, comma 1, lettera a), della legge reg. Sardegna n. 3 del 2020 e le questioni dell’art. 2, comma 1, lettera b), della stessa legge regionale.
5.1. Le questioni dell’art. 2, comma 1, lettera a), nella parte in cui modifica l’art. 43 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015 sono fondate. Il comma 1-bis del menzionato art. 43, introdotto dalle disposizioni impugnate, viola l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione all’art. 146 cod. beni culturali, e l’art. 3 dello statuto speciale.
Nel nuovo comma 1-bis è stabilito che “il posizionamento delle strutture di facile rimozione a scopo turistico-ricreativo è ammesso per l’intero anno solare”. Dalla formulazione letterale della disposizione si evince che il legislatore regionale autorizza ex lege il posizionamento delle strutture sugli arenili, dietro comunicazione di almeno dieci mesi di operatività. Si tratta, infatti, di un’asserzione, rivolta a chicchessia, per cui il mantenimento di tali manufatti in situ per tutto l’anno è senz’altro ammesso, e che, proprio per questo, è lesiva dell’art. 146 cod. beni culturali.
Si deve, inoltre, considerare che nell’art. 43 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015 non sono altrove presenti riferimenti alla necessità dell’autorizzazione paesaggistica. Anzi, l’unico richiamo testuale a tale autorizzazione è inserito nella disposizione in cui si è stabilito che la sua efficacia, per le strutture ubicate nella fascia dei trecento metri dalla battigia marina, è prorogata sino alla scadenza del titolo concessorio demaniale, e, fuori dal demanio, “fino al perdurare della relativa esigenza”, in palese violazione dell’art. 146, comma 4, cod. beni culturali, che ne definisce l’efficacia temporale quinquennale (si veda, con riferimento a una legge della regione Siciliana, la sentenza n. 172 del 2018). Nemmeno all’esito di una ricerca sul piano sistematico è possibile rintracciare riferimenti alla necessità di ottenere l’autorizzazione al posizionamento delle strutture per tutto l’anno. All’interno della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015 - sul riordino di varie funzioni edilizie e urbanistiche - l’art. 43, di cui si tratta, è il solo articolo del Capo III, appositamente dedicato al posizionamento delle strutture a servizio della balneazione, nel Titolo III su “[d]isposizioni transitorie, abrogazioni e disposizioni finali”.
5.1.1. “Il mantenimento delle opere precarie in questione” - come questa Corte ha già affermato - non può certo avvenire “in mancanza della necessaria positiva valutazione di compatibilità paesaggistica” (sentenza n. 232 del 2008), potendosi determinare uno sfruttamento delle coste che svilirebbe le loro bellezze naturali. È chiaro che, in assenza del controllo periodico delle autorità paesaggistiche preposte alla tutela del vincolo, la legge regionale che permette di posizionare, per tutto l’anno, le strutture turistico-ricreative, può produrre un danneggiamento, indiscriminato, del valore preminente connaturato al litus maris.
Per le su esposte ragioni, va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, lettera a), della legge reg. Sardegna n. 3 del 2020, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione all’art. 146 cod. beni culturali - che reca “norme di grande riforma economico-sociale”, valide anche per le regioni a statuto speciale (ex plurimis, sentenze n. 172 del 2018 e n. 189 del 2016) - e dell’art. 3 dello statuto speciale.
È assorbito l’esame degli ulteriori profili di censura.
5.2. Le questioni dell’art. 2, lettera b), della legge reg. Sardegna n. 3 del 2020, invece, non sono fondate.
La disposizione impugnata prevede l’abrogazione dell’art. 43, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, secondo cui “in via transitoria il permesso di costruire per la realizzazione delle strutture di cui al comma 1 non può avere durata superiore a quella della stagione balneare”. Tale intervento normativo non ha capacità lesiva della competenza statale ex art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., riguardando esclusivamente il permesso di costruire: un titolo edilizio, la cui disciplina ricade nella competenza del legislatore sardo.
per questi motivi
La Corte costituzionale
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, lettera a), della legge della regione autonoma Sardegna 21 febbraio 2020, n. 3 (Modifiche alle leggi regionali n. 45 del 1989 e n. 8 del 2015 in materia di Piano di utilizzo dei litorali), che aggiunge il comma 1-bis all’art. 43 della legge della regione autonoma Sardegna 23 aprile 2015, n. 8 (Norme per la semplificazione e il riordino di disposizioni in materia urbanistica ed edilizia e per il miglioramento del patrimonio edilizio);
2) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, lettere b), c) e d), della legge reg. Sardegna n. 3 del 2020, promosse, in riferimento agli artt. 9, 117, secondo comma, lettere l), m) ed s), della Costituzione e all’art. 3 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), nonché in relazione all’art. 146 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;
3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, lettera b), della legge reg. Sardegna n. 3 del 2020, promosse, in riferimento agli artt. 9, 117, secondo comma, lettere l), m) ed s), Cost. e all’art. 3 dello statuto speciale, nonché in relazione all’art. 146 del d.lg. n. 42 del 2004, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.