“Il diritto dei beni culturali” – Papers Convegno OGIPaC (27 maggio 2021)
Verso una nuova governance nella circolazione internazionale dei beni culturali: contrastare la circolazione illecita con strumenti amministrativi e meccanismi di soft law idonei a regolarne l’esportazione
Sommario: 1. La circolazione degli oggetti di interesse culturale tra normativa nazionale e sovranazionale. - 2. Strumenti amministrativi e meccanismi di soft law di natura sovranazionale volti a contrastare il traffico illecito di beni culturali. - 2.1. Meccanismi di soft law: i Codici etici. - 3. Verso una nuova governance nella circolazione internazionale dei beni culturali.
Towards a new governance in the international circulation of cultural heritage: to contrast illicit circulation with administrative tools and soft law mechanisms able to regulate their export
This article intends to analyse the topic of art export controls putting into relation national and supranational legislation. After having illustrated the main goal and objective that each legislator aims to achieve by implementing this administrative function (while national legislation pursues the objective of preserving and constituting the national cultural heritage, the supranational one is aimed at preventing phenomena of illicit trafficking), the analysis addresses their comparison. More specifically, we try to highlight how much these two legislative levels are linked one to the other, while they are often presented as distinctly separate. In addition to this aspect, the article underlines the necessity for national and supranational legislators to implement effective administrative tools and soft power mechanisms in controlling the export of cultural property, while contrasting their illicit circulation. Ensuring the proper functioning of the administrative system, in fact, can often prove more important than intervening in the matter with new regulations or legislative reforms.
Keywords: Export of Cultural Property; Illicit Circulation; Soft Law Mechanisms; Unesco.
1. La circolazione degli oggetti di interesse culturale tra normativa nazionale e sovranazionale
Quando si parla di controllo alla circolazione internazionale dei beni di interesse culturale ci si riferisce a una circolazione di tipo transfrontaliero; un movimento che è internazionale per definitionem [1]. Possiamo affermare sin da subito che fintato un dipinto o un altro bene avente interesse storico, artistico, archeologico o antropologico circola all’interno del proprio territorio di origine, questioni relative alla protezione del patrimonio culturale nazionale non vengono in evidenza [2].
Attualmente, a livello mondiale lo scambio di beni di interesse culturale ha raggiunto cifre molto importanti, tanto nella sua connotazione di circolazione lecita (potendo quindi far riferimento ai numeri registrati dal mercato dell’arte a livello internazionale i quali, nel 2019, si attestavano sui 64 miliardi di dollari [3]) che di traffico illecito (si stima che il commercio illegale di reperti archeologici e opere d’arte produca un fatturato di 10 miliardi di dollari l’anno [4]).
Questi due indicatori quantitativi ben illustrano l’ampiezza della tematica cui andremo a trattare e sono rilevatori dei diversi interessi sottesi alla categoria dei beni di interesse artistico-storico-archeologico - afferenti non solo alla loro dimensione identitaria e culturale, bensì anche economica. Tanto lo sviluppo di un mercato dell’arte che vada incontro alle esigenze dei proprietari e collezionisti di beni avente un interesse culturale e opere d’arte, quanto le diverse modalità per contrastarne il traffico illecito rappresentano delle tematiche che pongono, oggi, delle sfide globali [5]. Si rende, quindi, sempre più necessaria la creazione di una rete di scambi transfrontalieri che segua delle regole comuni e che sia sottoposta a controlli condivisi tra gli Stati e gli altri attori coinvolti.
Oramai quasi tutti i paesi del mondo prevedono, all’interno del proprio ordinamento, un sistema di norme e regole volto a controllare la circolazione internazionale delle cose aventi un interesse culturale, ma non tutti questi sistemi normativi si somigliano tra loro o sono strutturati perseguendo un medesimo obiettivo politico-strategico. Le diverse declinazioni possibili all’interno delle regolamentazioni nazionali attualmente in vigore possono essere raggruppate e riassunte nelle due principali categorie identificate e rese note dagli scritti di John Henry Merryman. Si tratta della ben nota distinzione tra quei paesi che adottano un atteggiamento più conservativo nella protezione del proprio patrimonio culturale nazionale (le c.d. ‘source nations’) e quelle nazioni che, di converso, si contraddistinguono per politiche più liberali e maggiormente orientate a sostenere e incentivare il settore del mercato dell’arte (trattasi delle c.d. ‘market nations’).
Se quindi un sistema di monitoraggio, e un’eventuale autorizzazione preventiva, alle esportazioni a titolo permanente delle cose di interesse culturale è previsto dai diversi ordinamenti nazionali, è importante sin da subito sottolineare come questi ultimi non siano i soli a definire, nella sua complessità, la regolamentazione del settore. Risultano infatti estremamente rilevanti anche gli strumenti, più o meno cogenti a seconda della loro natura giuridico-normativa, emanati a livello comunitario [6] o sovranazionale [7]. A dimostrazione dell’importanza che nella sfera internazionale ha assunto la tematica del contrasto alla circolazione illecita di beni culturali possiamo citare nuovamente Merryman, il quale nel 1995 ha sottolineato come “dalla promulgazione della Convenzione UNESCO del 1970 ‘Concernente le misure da adottare per interdire e impedire l’illecita importazione, esportazione e trasferimento di proprietà di beni culturali’ il contributo più diffuso al crescente dialogo internazionale sul patrimonio culturale si è concentrato sul commercio illecito e sulle misure per contrastarlo o eliminarlo” [8]. Tale affermazione risulta ancora di grande attualità e l’insieme di norme internazionali emanate a partire dal 1970 a oggi non la smentiscono [9].
In questo, appena accennato, dualismo tra sfera nazionale e internazionale in tema di circolazione ed esportazione di beni aventi interesse culturale è possibile quindi intravedere una differenza tematica la cui ragione deve individuarsi nelle diverse responsabilità incombenti su ciascuna sfera legislativa. A livello di politica interna il controllo sulla circolazione internazionale di opere d’arte e altri beni aventi un interesse culturale è principalmente volto alla determinazione del patrimonio culturale nazionale e, quindi, alla preservazione di un’identità culturale, oltre che alla regolamentazione di un sistema che permetta lo sviluppo del commercio artistico e antiquario. L’intervento legislativo sovranazionale, invece, interviene negli scambi internazionali di beni aventi un interesse culturale per assicurare la liceità degli stessi e scongiurare l’insorgere di profitti irregolari provenienti dallo scambio di opere d’arte o reperti archeologici.
2. Strumenti amministrativi e meccanismi di soft law di natura sovranazionale volti a contrastare il traffico illecito di beni culturali
L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura (UNESCO), una delle più importanti organizzazioni internazionali in tema di salvaguardia del patrimonio culturale, nel 2006 ha adottato delle ‘Raccomandazioni volte a favorire la prevenzione del traffico illecito di antichità e beni di interesse culturale’. Nello specifico, le principali misure giuridiche che l’UNESCO invita ad adottare sono le seguenti [10]:
1. Aggiornare e/o rafforzare la legislazione nazionale in materia;
2. Ratificare le convenzioni internazionali;
3. Utilizzare gli strumenti predisposti dalle istituzioni sovranazionali.
Il primo punto rappresenta un invito volto agli Stati membri affinché si dotino di un apparato amministrativo e normativo in grado di garantire una corretta tutela del patrimonio culturale nazionale. Sebbene l’inevitabile eterogeneità che caratterizza i diversi ordinamenti nazionali, l’UNESCO auspica la presenza - all’interno delle legislazioni statali - di alcuni elementi considerati come essenziali, quali:
• una chiara definizione del concetto di patrimonio culturale rientrante nell’ambito di applicazione della normativa;
• un regime giuridico chiaramente definito che stabilisca quali categorie di beni non possano essere oggetto di esportazione definitiva;
• un sistema di elencazione che permetta di monitorare i beni culturali richiedenti di particolare tutela, siano essi in proprietà pubblica o privata.
Per quanto riguarda nello specifico il settore privato, l’UNESCO raccomanda ai governi nazionali di predisporre un registro contenente le trascrizioni di tutte le attività commerciali e le transazioni private che abbiano a oggetto un bene di interesse storico, artistico o archeologico. La predisposizione di tali strumenti amministrativi garantirebbe l’attuazione - quanto mai auspicabile - di una stretta collaborazione tra attori pubblici e privati.
Nell’ultima raccomandazione l’UNESCO, infine, ribadisce l’importanza ricoperta da un corretto e capillare sistema di informazione, è infatti uno dei compiti più importanti di ogni Stato membro quello di promuovere la consapevolezza circa l’importanza del patrimonio culturale. Tale sensibilità verrà ostacolata laddove il legislatore nazionale non si impegni a rendere disponibile e conoscibile nel modo più trasparente e accessibile possibile il quadro legislativo atto a controllare il commercio e l’esportazione di oggetti di interesse culturale [11].
Se quelle finora menzionate rappresentano delle raccomandazioni di stampo primariamente teorico, su un livello maggiormente pratico l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura evidenzia tre aspetti, i quali vertono, rispettivamente, sulle risorse messe a disposizione, sull’efficacia dell’azione amministrativa e sull’accesso alle informazioni. A tal proposito, i paesi membri sono innanzitutto invitati a predisporre e a stanziare risorse finanziarie (e umane) sufficienti e adeguate a garantire un attento monitoraggio della circolazione internazionale dei beni culturali. Con particolare riferimento all’aspetto burocratico, si raccomanda ai governi nazionali di ideare e implementare una struttura amministrativa preposta al controllo della circolazione dei beni di interesse culturale che sia organizzata in modo tale da garantire lo svolgimento delle sue attività in maniera efficiente.
Il secondo ordine delle misure giuridiche suggerite dall’UNESCO sottolinea l’importanza delle convenzioni e dei trattati internazionali, invitando gli Stati membri a aderirvi e a ratificarne le norme all’interno delle rispettive legislazioni nazionali. I motivi per cui questi strumenti normativi internazionali sono considerati di massima importanza sono vari, e tra questi sicuramente vi rientra la capacità di accompagnare il legislatore nazionale con una serie di suggerimenti pratici e di principi generali elaborati da una pluralità di attori afferenti a discipline diverse. Inoltre, il momento di ratifica di una convenzione internazionale rappresenta un’importante fase di omologazione normativa in quanto gli Stati si impegnano a adottare regole e principi che saranno condivisi da altri paesi. Tale concetto è espresso dalle raccomandazioni UNESCO nei termini seguenti:
“L’avantage de ce régime uniforme est qu’il règlement directement ce qui fa l’objet de la convention au sein de tous les Etas parties - chacun suivant les mêmes règles de sorte qu’il n’y a ni désaccord ni surprise lorsqu’une action est engagée conformément à une disposition de la convention, contrairement à ce qui pourrait se passer en l’absence de conventions” [12].
Infine, la terza misura giuridica suggerita dall’UNESCO riguarda l’utilizzo di strumenti pratici ideati e messi a disposizione dalle istituzioni sovranazionali. Nello specifico, lo strumento in questione per quanto concerne la circolazione internazionale di oggetti di interesse culturale è un modello di certificato di esportazione sviluppato nel 2005 congiuntamente dall’UNESCO e dall’Organizzazione Mondiale delle Dogane (OMD). Tale certificato veniva elaborato con l’obiettivo di mettere a disposizione un documento pensato specificatamente per l’esportazione di beni aventi un interesse culturale in quanto molti erano, fino a quel momento, gli Stati che a tal fine utilizzavano un certificato generico - formulato indistintamente per qualsiasi tipologia merceologica. A ciò si aggiunga il fatto che un siffatto strumento pratico formulato a livello sovranazionale sarebbe riuscito (idealmente) nell’intento di uniformare le diverse tipologie di documenti già esistenti a livello nazionale, creando i presupposti per una semplificazione delle operazioni amministrative e doganali [13].
Per quanto riguarda la formulazione del certificato d’esportazione in esame, trattasi di un documento di facile compilazione che richiede di inserire sia le generalità del proprietario del bene e del destinatario dell’esportazione, sia i dati identificativi del bene. La combinazione di queste informazioni mira a una precisa identificazione del bene che varcherà i confini di uno o più paesi, nonché la sua registrazione presso gli uffici doganali che potranno tenere traccia dei vari passaggi. Una siffatta attività di monitoraggio rappresenta sicuramente un fondamentale strumento per prevenire la circolazione illecita di beni di interesse artistico e archeologico, oltre a permettere una corretta identificazione del paese d’origine dell’oggetto grazie alla creazione di una catena di informazioni.
Per quanto riguarda l’effettivo utilizzo di tale certificato d’esportazione, gli unici dati a disposizione sono quelli riportati in un rapporto realizzato nel 2009 da parte degli uffici UNESCO [14]. Dall’analisi di questo documento è quindi possibile venire a conoscenza di come, in seguito alla sua elaborazione avvenuta nel 2005, sia l’UNESCO che l’OMD abbiano inviato il modello di certificato d’esportazione ai rispettivi Stati membri raccomandandone l’adozione. In seguito a tale invio, e dopo un periodo di due anni necessario per valutarne l’efficacia, nel settembre 2007 gli stessi paesi sono stati invitati a fornire una valutazione circa l’effettivo utilizzo e la validità del certificato in esame. La valutazione è stata svolta sulla base delle quarantatré risposte pervenute [15] e si può anticipare sin da subito che non è stata positiva. I feedback ricevuti, infatti, mettevano in evidenza il fatto che la maggior parte degli Stati disponesse già di un certificato o di una licenza specificamente redatti per l’esportazione di beni opere d’arte o altri beni di interesse culturale. Ventotto risposte su un totale di trentanove hanno infatti riferito che il certificato di esportazione in uso nel paese era stato elaborato già in precedenza dalle autorità nazionali, spesso anche in modo abbastanza difforme rispetto al modello predisposto dall’UNESCO e dall’OMD. A ciò si aggiunga la casistica di quei paesi in cui l’esportazione di beni aventi interesse culturale è totalmente vietata, non rendendosi quindi necessario, a tal fine, alcun tipo di certificato.
Per quanto riguarda i pro e i contra circa la validità del certificato di esportazione internazionale, le risposte e i suggerimenti espressi variano da paese a paese e riflettono, in parte, la situazione amministrativa propria di ognuno. Vi sono esempi di Stati che hanno trovato il documento eccessivamente lungo e di difficile compilazione: è il caso della Costa Rica e del Burkina Faso che hanno riportato come sarebbe risultato estremamente complesso adempiere a tale obbligazione amministrativa, specialmente qualora lo stesso individuo fosse intenzionato a richiedere l’autorizzazione a esportare più di un bene allo stesso tempo. Di converso si possono leggere le opinioni espresse da Stati che, pur riconoscendo la potenziale importanza di tale strumento per combattere e prevenire il traffico illecito dei beni di interesse culturale - soprattutto per la sua vocazione internazionale e per la funzione di omologazione normativa che sarebbe riuscito ad assicurare, non si dichiaravano disposti a sostituire la documentazione adottata già da tempo a livello nazionale.
2.1. Meccanismi di soft law: i Codici etici
Nell’insieme degli strumenti atti a prevenire il traffico illecito di beni culturali, oltre a quelli di natura amministrativa si segnalano anche meccanismi di soft law quali i codici etici adottati da diverse istituzioni, prime fra tutte quelle museali o aventi a che fare con il commercio di oggetti di interesse artistico e antiquario [16].
Nel 1999 il Comitato Intergovernativo per la Promozione del Ritorno dei Beni Culturali nei propri Paesi di Origine o la Restituzione in Caso di Appropriazione illecita ha adottato un documento intitolato ‘Codice etico internazionale dell’UNESCO per i commercianti di beni culturali’ [17]. Quest’ultimo si compone di otto articoli, tra i quali il primo enuncia il principio fondamentale da rispettare, secondo il quale:
“I commercianti professionisti di beni culturali non importeranno, esporteranno o trasferiranno la proprietà beni quando hanno ragionevoli motivi per ritenere che siano stata rubati, alienati illegalmente, scavati clandestinamente o esportati illegalmente”.
Dopo la sua adozione l’UNESCO ha incoraggiato i suoi Stati membri a diffondere e condividere il documento con le associazioni nazionali dei commercianti di antichità e opere d’arte in modo che potessero conoscerne il contenuto e farlo proprio.
Un ulteriore meccanismo di soft law da tenere in considerazione è la “Lista rossa degli oggetti culturali a rischio: strumenti pratici per frenare il traffico illegale di beni culturali” prodotta dal Consiglio internazionale dei musei (ICOM). La Lista Rossa “presenta le categorie di beni culturali che possono essere oggetto di furto e traffico” con lo scopo di “aiutare le persone, le organizzazioni e le autorità, come la polizia o i funzionari doganali, a identificare gli oggetti a rischio e impedire che siano illegalmente venduto o esportato” [18]. L’ICOM ha iniziato a lavorare sul contenuto della lista nel 2000 con l’aiuto di esperti che monitorano a livello interno la circolazione dei beni aventi un interesse culturale dentro e fuori i confini nazionali.
Tale elenco può essere interpretato come un supporto al commercio delle opere d’arte e degli altri beni avente interesse culturale in quanto non contiene una lista di oggetti che sono già stati oggetto di furto o esportazione illecita, al contrario: “i beni culturali raffigurati negli elenchi sono oggetti inventariati all’interno delle collezioni di istituzioni riconosciute. Servono a illustrare le categorie di beni culturali più vulnerabili al traffico illecito” [19]. In quanto tale, dunque, tale strumento può rientrare tra quegli esempi ideati per contrastare e prevenire la circolazione illecita degli oggetti artistici e archeologici regolandone l’esportazione lecita.
3. Verso una nuova governance nella circolazione internazionale dei beni culturali
Nei precedenti paragrafi si è cercato di mettere in evidenza come molte di quelle misure che vengono indicate quali necessarie per contrastare la circolazione illecita dei beni artistici o archeologici in realtà incidono su quella che possiamo indicare come ‘circolazione lecita’, ovverosia l’uscita definitiva di un bene culturale al di fuori dei confini del proprio stato di origine - soggetta, in determinare circostante, ad autorizzazione preventiva da parte dell’autorità amministrativa competente.
In apertura si è fatta menzione del fatto che se quasi tutti i paesi al mondo sono dotati di una legislazione nazionale volta a controllare la circolazione internazionale dei beni di interesse culturale, non tutte queste regolamentazioni sono strutturate perseguendo gli stessi obiettivi politici o implementate con le medesime modalità. Nel tracciare le differenze tra questi diversi approcci si è da tempo avanzata l’ipotesi per la quale una legislazione molto protezionistica potrebbe causare, quale effetto indesiderato, un aumento della circolazione illecita di beni culturali [20]. Questa ipotesi appare, però, essere parziale. Se non è questa la sede per indagarne a fondo la veridicità, sembra perlomeno importante sottolineare l’importanza di non volgere (e limitare) l’attenzione solamente al dato normativo, tralasciando altri aspetti parimenti importanti quali la struttura amministrativo-burocratica individuata come responsabile per la sua implementazione, nonché l’effettiva efficacia dei controlli effettuati. Come viene anche evidenziato nelle raccomandazioni che l’UNESCO ha fornito per prevenire fenomeni di traffico illecito di beni culturali, accanto al dato normativo è necessario che i diversi Stati si dotino di un modello di governance (qui individuata attraverso la lente dell’organizzazione amministrativa e dell’adozione di strumenti di soft law) che permetta, ad esempio, di predisporre e attuare un sistema di informazione che sia capillare, accessibile (sia nella comprensione delle norme in materia sia di facile reperibilità) e aggiornato (tanto rispetto alla legislazione in vigore quanto ai dati inerenti la sua implementazione).
Si è cercato di mettere in evidenza l’esistenza di una serie di strumenti amministrativi e meccanismi di soft law di natura internazionale che talvolta, nel dibattito pubblico inerente a queste tematiche, tendono a soccombere o a passare in secondo rilievo rispetto a tipici meccanismi di hard law. In tale contesto, nel momento in cui tanto il legislatore nazionale quanto quello internazionale intervengono per modificare, riformare o aggiornare il settore in esame appare quindi rilevante soffermarsi sulla valutazione e interrogarsi sull’effettiva efficacia dell’apparato burocratico-amministrativo esistente prima di procedere a una revisione legislativa.
Un maggior livello di uniformazione regolamentare (per quanto riguarda l’organizzazione amministrativa e la documentazione utilizzata per consentire la fuoriuscita di un’opera d’arte o di altro bene di interesse culturale al di fuori del proprio paese d’origine) per lo meno tra i paesi che aderiscono alle stesse convenzioni internazionali in materia sarebbe auspicabile. Si è avuto modo di constatare come alcuni tentativi che muovevano in questa direzione si siano, in passato, rivelati fallimentari. Il caso del certificato di esportazione elaborato nel 2005 dall’UNESCO e dall’OMD è sicuramente esemplificativo di quella tradizionale ‘gelosia’ che i diversi Stati hanno nei confronti della gestione del proprio patrimonio culturale nazionale. Così come da un punto di vista legislativo tale settore può considerarsi di competenza quasi esclusivamente interna, se non per aspetti che possono e devono essere coordinati a livello internazionale, anche a livello amministrativo evidentemente si riscontra la stessa difficoltà a livello statale nel delegare l’elaborazione di strumenti, documenti e procedure a un’istituzione sovranazionale. Un maggiore coordinamento da parte di organizzazioni internazionali sarebbe quindi auspicabile e potrebbe assumere diverse forme che non andrebbero a interferire con l’autonomia politica e normativa del legislatore nazionale. Quest’ultimo, infatti, potrebbe beneficiare dalla conoscenza di best practices adottate in altri contesti e poi raccolte elaborate e messe a disposizione da istituzioni internazionali, così come dallo scambio - sempre agevolato da queste ultime - di dati, analisi e documenti di natura diversa. Tale predisposizione potrebbe avere il beneficio di permettere l’elaborazione di politiche pubbliche che siano maggiormente basate su evidenze tecnico-analitiche, oltre a facilitare e incoraggiare la produzione, nonché la messa a disposizione, di informazioni e dati che faciliterebbero una maggiore conoscenza e approfondimento della regolamentazione in materia da parte dei diversi attori interessati [21].
In ultima analisi, l’obiettivo di questo scritto era quello di porre l’attenzione su quelle misure e su quegli strumenti non normativi utilizzati per contrastare la circolazione illecita dei beni di interesse culturale, in modo tale da comprendere in quale misura questi coincidano (o possano coincidere) con meccanismi adottati nel controllo all’esportazione dei medesimi beni. Spesso, infatti, si associa il contrasto al traffico di beni artistici con situazioni di instabilità politico-sociale-amministrativa, mentre sarebbe auspicabile prestare maggiore attenzione anche ai molti contesti caratterizzati da una stabilità governativa. Molto spesso i temi del controllo all’esportazione e della prevenzione contro il traffico illecito sono trattati come due tematiche distinte e afferenti a due domini completamente diversi, quando invece possono rivelarsi come due facce della stessa medaglia.
Note
[1] Per un’analisi approfondita delle conseguenze giuridiche relative alla circolazione internazionale delle opere d’arte e altri beni culturali si veda K. Siehr, International art trade and the law, Leiden, Nijhoff, 1993.
[2] Anche la circolazione dei beni culturali a livello nazionale in Italia è soggetta a normative specifiche, quali - ad esempio - l’obbligo di informare l’autorità competente su ogni passaggio di proprietà o la possibilità per lo Stato di esercitare un diritto di prelazione ogni volta che il bene viene venduto.
[3] Cfr. l’Art Market Report 2020 stilato da Art Basel, disponibile online al sito: https://artbasel.com/discover/the-art-market/overview.
[4] Così come indicato da dati ufficiali UNESCO, cfr. https://en.unesco.org/news/real-price-art-international-unesco-campaign-reveals-hidden-face-art-trafficking.
[5] Cfr. L. Casini, “Italian hours”: The globalization of cultural property law, International Journal of constitutional law, vol. 9, 2011; dello stesso autore The Future of (International) Cultural Heritage Law, editoriale, International Journal of constitutional law, vol. 16, 2018.
[6] La letteratura che indaga la regolamentazione sul controllo all’esportazione dei beni avente interesse culturale all’interno della dimensione europea è vasta; è possibile far riferimento, tra gli altri, ai seguenti riferimenti bibliografici: J.E. Putnam, Common markets and cultural identity: cultural property export restrictions in the European Economic Community, The University of Chicago legal forum, 1992; M.P. Chiti, Beni culturali e comunità europea, Giuffrè, Milano, 1994; D. Voudouri, Circulation et protection des biens culturels in l’Europe sans frontieres, in Revue du Droit Public et de la Science Politique en France et à l’etranger, vol. 2, 1994; P. Paone (a cura di), La protezione internazionale e la circolazione comunitaria dei beni culturali mobili, Editoriale Scientifica, Napoli, 1998; M. Costanza (a cura di), Commercio e circolazione delle opere d’arte, Cedam, Padova, 1999; M.A. Schwarzenberg, Tutela e circolazione infra-comunitaria del patrimonio culturale, Maggioli editore, Santarcangelo di Romagna, 2000; L.V. Prott, The international movement of cultural objects, in International Journal of Cultural Property, vol. 12, 2, 2005; A. Biondi, The Merchant, the Thief & the Citizen: The Circulation of Works of Art Within the European Union, in Common Market Law Review, vol. 34, 1997; G. Magri, La circolazione dei beni culturali nel diritto europeo: limiti e requisiti di restituzione, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2011; M. Cornu, L’Europe des biens culturels et le marché, in Journal du droit international, 2002; M. Graziadei e B. Pasa, Il mercato unico europeo e il patrimonio culturale: la protezione dei tesori nazionali in Europa, in A. Jakubowsi, K. Hausler, F. Fiorentini (a cura di), Cultural heritage in the European Union. A critical inquiry into law and policy, Brill Nijhoff, 2019.
[7] Per quanto riguarda la letteratura in tema di circolazione internazionale dei beni culturali si veda, tra gli altri: A. Lanciotti, La Circolazione dei beni culturali nel diritto internazionale privato e comunitario, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1996; M. Frigo, La circolazione internazionale dei beni culturali. Diritto internazionale, diritto comunitario e diritto interno, Giuffrè, Milano, 2007; C. Sotis, CB D’Argentine, Circolazione dei beni culturali mobili e tutela penale: un’analisi di diritto interno, comparato ed internazionale, Giuffrè, Milano, 2015; F. Fiorentini, New Challanges for the global art market: the enforcement of cultural property law in international trade, in Property law perspectives III, (a cura di) A. Appers (a cura di), Intersentia, 2015.
[8] Cfr. J.H. Merryman, A licit international trade in cultural objects, in International Journal of Cultural Property, vol. 4, 1995, pag. 13; ripubblicato in J.H. Merryman, Thinking about the Elgin marbles. Critical essays on Cultural Property, Art and Law, Wolters Kluwer, 2009, pag. 244.
[9] Tra la bibliografia in materia relativa al traffico illecito di beni culturali, si vedano: N. Brodie, J. Doole, P. Watson, Stealing history: the illlicit trade in cultural material, McDonald Institute, Cambridge, 2000; L.V., Prott, Biens culturels volés ou illicitement exportés: commentaire relatif à la Convention d’UNIDROIT 1995, UNESCO, Paris, 2000; N. Brodie, K.W. Tubb, Illicit Antiquities: the Theft of Culture and the Extinction of Archaeology, Taylor & Francis, 2003; F. Desmarais (a cura di), Countering Illicit Traffic in Cultural Goods: The Global Challenge of Protecting the World Heritage, ICOM, Parigi, 2015; J. Ulph, I. Smith, The illicit trade in art and antiquities, Hart Publishing, 2012.
[10] Cfr. Mesures juridiques et pratiques contre le trafic illicite des biens culturels, manuale pubblicato dall’UNESCO, Section des normes internationales, Division du patrimoine culturel, 2006.
[11] L’UNESCO ha creato nel 2005 un database delle legislazioni nazionali riguardanti il patrimonio culturale ‘(...) al fine di mettere a disposizione uno strumento che consenta un accesso facile e gratuito alle leggi sul patrimonio culturale attualmente in vigore nei diversi paesi membri, nonché una rapida consultazione di altre norme e regolamenti culturali nazionali pertinenti ‘. È disponibile al seguente link: https://en.unesco.org/news/unesco-database-national-cultural-heritage-laws-updated.
[12] Cfr. Mesures juridiques et pratiques contre le trafic illicite des biens culturels, cit., pag. 8.
[13] Il modello di certificato è disponibile sul seguente sito web: http://www.unesco.org/new/en/culture/themes/illicit-trafficking-of-cultural-property/legal-and-practical-instruments/unesco-wco-model-export-certificate/#:~:text=United%20Nations-,UNESCO%20%2D%20WCO%20Model%20Export%20Certificate,illicit%20trafficking%20in%20cultural%20property.
[14] Si ringrazia Edouard Planche, capo dell’Unità Cultura dell’UNESCO, per aver fornito il “Rapport sur l’utilisation du modele de certificate d’exportation UNESCO-OM “ realizzato nel maggio 2009. Le informazioni riguardanti la mancanza di ulteriori dati ufficiali in merito all’utilizzo del certificato di esportazione sono state fornite dallo stesso Edouard Planche nel corso di un’intervista condotta dall’autrice nel luglio 2018.
[15] Le risposte ricevute sono arrivate dai seguenti Stati: Andorra; Angola; Argentina; Australia; Azerbaigian; Bhutan; Brunei Darussalam; Burkina Faso; Chile; Colombia; Costa Rica; Croazia; Cipro; Cuba; El Salvador; Etiopia; Finlandia; Gabon; Ghana; Israele; Italia; Giappone; Giordania; Kenya; Kuwait; Malesia; Messico; Monaco; Mongolia; Montenegro; Mozambico; Nuova Zelanda; Norvegia; Papua Nuova Guinea; Serbia; Svizzero; Tailandia; Unione europea; Macedonia; Tunisia; Tacchino; Zambia.
[16] Per una panoramica di tali meccanismi di soft law implementati dai musei, vedere: P.J. O’Keefe, Codes of ethics: form and function in cultural heritage management, in International Journal of Cultural Property, vol. 7, numero 1, 1998, pagg. 32-51; M. Frigo, Regole etiche e codici d’onore relativi alle attività museali: un supporto complementare all’approccio di diritto internazionale privato relativo alla circolazione dei beni culturali, in International Journal of Cultural Property Law, vol. 16, numero 1, 2009, pagg. 49-66.
[17] Il testo completo dell’International Code of Ethics for Dealers in Cultural Property è disponibile online al sito: http://www.unesco.org/new/en/culture/themes/illicit-trafficking-of-cultural-property/legal-and-practical-instruments/unesco-international-code-of-ethics-for-dealers-in-cultural-property/.
[18] Cfr. la dichiarazione ufficiale dell’ICOM è reperibile su https://icom.museum/en/our-actions/heritage-protection/red-lists/.
[19] Ibidem.
[20] Fra tutti, J.H. Merryman, Two ways of thinking about cultural property, in The American Journal of International Law, Vol. 80, No. 4, 1986, pagg. 831-853. In particolare pag. 847-848 “A further criticism of retentive cultural nationalism is that by prohibiting or unduly restricting a licit trade in cultural property, source nations assure the existence of an active, profitable and corrupting black market. Historically, the tighter the export control in the source nation, the stronger has been the pressure to form an illicit market”.
[21] Tra i diversi attori possono rientrarvi tanto i responsabili della produzione normativa e regolamentare quanto coloro che sono chiamati alla sua implementazione, nonché i privati interessati a esportare un opera d’arte o un bene avente interesse culturale e gli studiosi della materia che intendono sviluppare studi, ricerche e analisi sul tema.