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Osservatorio sulla giurisprudenza del Consiglio di Stato
in materia di beni culturali e paesaggistici

a cura di Giancarlo Montedoro [*]

Sommario: 1. Beni culturali. - 2. Beni paesaggistici.

1. Beni culturali

Cons. St., Sez. VI, 13 luglio 2021, n. 5302 - Pres. Montedoro, Est. Ponte - Im tema di interventi soggetti ad autorizzazione.

Non si può ritenere che l’ambito oggettivo di estensione del vincolo debba ricavarsi esclusivamente dalla sua motivazione. Ciò in quanto in sede di motivazione, l’amministrazione può limitarsi a menzionare, anche a titolo esemplificativo, soltanto alcuni degli elementi caratteristici da cui può desumersi il particolare valore storico-artistico del relativo immobile, inteso nel suo insieme.

Il fatto che la motivazione del decreto impositivo del vincolo faccia specifico e prevalente riferimento ad alcune caratteristiche esterne dell’edificio non è di per sé sufficiente per ritenere che il vincolo sia circoscritto alle sole parti ivi indicate. Anzi, la specificazione, oltre a rafforzare la motivazione del valore del bene, costituisce una ragione ulteriore della necessità di garantire un contesto di tutela adeguato anche alle singole peculiarità del bene.

Cons. St., Sez. VI, 30 giugno 2021, n. 4941 - Pres. De Felice, Est. Caputo - In tema di denuncia di ritrovamento di oggetti di interesse archeologico.

Il termine di ventiquattro ore per la denuncia di ritrovamento di cui agli artt. 90 e 92 del decreto legislativo n. 42 del 2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) decorre dal rinvenimento di oggetti riconosciuti e/o riconoscibili “d’interesse archeologico” ex art. 10 del medesimo decreto legislativo.

Ontologicamente, la norma prende in considerazione non oggetti naturali ma artefatti materiali che siano espressione d’epoca remota, tratti identitari d’opera umana sopravvissuti nel corso dei secoli: in definitiva l’artefatto presuppone, per sua natura, che se ne percepisca - dapprima, nel momento del rinvenimento da parte dello scopritore, intuitivamente, in seguito, da parte degli studiosi, epistemologicamente - il suo valore archeologico. Il profilo percettivo della qualitas rei (relativamente al suo valore archeologico) è essenziale per stabilire il temine di decorrenza della denuncia di ritrovamento.

Teleologicamente, l’obbligo di denuncia entro le ventiquattro ore risponde all’esigenza di impedire che gli oggetti di valore culturale rinvenuti siano trafugati o danneggiati.

Cons. St., Sez. VI, 7 giugno 2021, n. 4318 - Pres. Santoro, Est. Pannone - In tema di dichiarazione di interesse culturale.

Il giudizio che presiede all’imposizione di una dichiarazione di interesse (c.d. vincolo) culturale è connotato da un’ampia discrezionalità tecnico-valutativa, poiché implica l’applicazione di cognizioni tecniche specialistiche proprie di settori scientifici disciplinari della storia, dell’arte e dell’architettura, caratterizzati da ampi margini di opinabilità. L’apprezzamento compiuto dall’amministrazione preposta alla tutela è quindi sindacabile, in sede giudiziale, esclusivamente sotto i profili della logicità, coerenza e completezza della valutazione, considerati anche per l’aspetto concernente la correttezza del criterio tecnico e del procedimento applicativo prescelto, ma fermo restando il limite della relatività delle valutazioni scientifiche, sicché, in sede di giurisdizione di legittimità, può essere censurata la sola valutazione che si ponga al di fuori dell’ambito di opinabilità, affinché il sindacato giudiziale non divenga sostitutivo di quello dell’amministrazione attraverso la sovrapposizione di una valutazione alternativa, parimenti opinabile.

Cons. St., Sez. VI, 30 giugno 2021, n. 4923 - Pres. Montedoro, Est. Lamberti - In tema di tutela di valori storici-artistici (c.d. vincolo indiretto) per finalità di tutela paesaggistica.

Ai sensi dell’art. 45 del decreto legislativo n. 42 del 2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) “Il Ministero ha facoltà di prescrivere le distanze, le misure e le altre norme dirette ad evitare che sia messa in pericolo l’integrità dei beni culturali immobili, ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro”. La norma demanda all’amministrazione di delimitare con intensità variabile, non predeterminata, le misure più idonee a preservare il valore ed il significato che il bene colturale rappresenta nel territorio nel quale è collocato.

La giurisprudenza ha precisato che il vincolo indiretto concerne la c.d. cornice ambientale di un bene culturale. Ne deriva che non è il solo bene in sé a costituire oggetto della tutela ma l’intero ambiente potenzialmente interagente con il valore culturale, che può richiedere una conservazione particolare. In questo senso il canone di verifica del corretto esercizio del potere deve avvenire secondo un criterio di congruenza, ragionevolezza e proporzionalità. Tali criteri sono tra loro strettamente connessi e si specificano nel conseguimento di un punto di equilibrio identificabile nella corretta funzionalità dell’esercizio del potere che deve essere congruo e rapportato allo scopo legale per cui è previsto. Il vincolo indiretto può essere apposto per consentire di comprendere l’importanza dei luoghi in cui gli immobili tutelati dal vincolo diretto si inseriscono mediante la loro conservazione pressoché integrale.

L’avvenuta edificazione di un’area non costituisce ragione sufficiente per recedere dall’intento di proteggere i valori estetici o paesaggistici ad essa legati, in quanto l’imposizione del vincolo comporta l’imposizione al proprietario delle cautele e delle opere necessarie proprio in funzione della conservazione del bene e per la cessazione degli usi incompatibili con la conservazione dell’integrità dello stesso.

Il c.d. vincolo indiretto non ha contenuto prescrittivo tipico, per essere rimessa all’autonomo apprezzamento dell’amministrazione la determinazione delle disposizioni utili all’ottimale protezione del bene principale, fino all’inedificabilità assoluta, se e nei limiti in cui tanto è richiesto dall’obiettivo di prevenire un vulnus ai valori oggetto di salvaguardia.

Le valutazioni volte alla tutela storico artistica, tra le quali è compreso il vincolo indiretto, operano su di un piano differente, esterno e sovraordinato rispetto a quello urbanistico, come si desume chiaramente dall’art. 45 comma 2 del decreto legislativo n. 42 del 2004, secondo il quale gli enti pubblici territoriali recepiscono le prescrizioni nei regolamenti edilizi e negli strumenti urbanistici. La giurisprudenza con riferimento al rapporto tra tutela dei valori culturali e paesaggistici e pianificazione urbanistica, sulla base dell’art. 9 Cost., ha affermato la prevalenza dell’impronta unitaria della tutela culturale e paesaggistica sulle determinazioni urbanistiche, pur nella necessaria considerazione della compresenza degli interessi pubblici intestati alle due funzioni.

Cons. St., Sez. VI, 10 maggio 2021, n. 3663 - Pres. Montedoro, Est. Ponte - In tema di tutela indiretta di un bene culturale.

In tema di prescrizioni di tutela indiretta del bene culturale previste dal c.d. codice dei beni culturali e del paesaggio, l’art. 45 attribuisce all’amministrazione la funzione di creare le condizioni affinché il valore culturale insito nel bene possa compiutamente esprimersi, senza altra delimitazione spaziale e oggettiva che non quella attinente alla sua causa tipica, che è di prescrivere le distanze, le misure e le altre norme dirette ad evitare che sia messa in pericolo l’integrità dei beni culturali immobili, ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro, secondo criteri di congruenza, ragionevolezza e proporzionalità. Ne deriva che il limite di legittimità in cui si iscrive l’esercizio di tale funzione debba essere ricercato nell’equilibrio che preservi, da un lato, la cura e l’integrità del bene culturale e, dall’altra, che ne consenta la fruizione e la valorizzazione dinamica.

Tali criteri sono tra loro strettamente connessi e si specificano nel conseguimento di un punto di equilibrio identificabile nella corretta funzionalità dell’esercizio del potere di vincolo: perciò il potere che si manifesta con l’atto amministrativo deve essere esercitato in modo che sia effettivamente congruo e rapportato allo scopo legale per cui è previsto. Scopo legale che, nel caso del vincolo indiretto, concerne la cosiddetta cornice ambientale di un bene culturale: ne deriva che il limite di legittimità in cui si iscrive l’esercizio di tale funzione deve essere ricercato nell’equilibrio che preservi, da un lato, la cura e l’integrità del bene culturale e, dall’altra, che ne consenta la fruizione e la valorizzazione dinamica.

Il c.d. “vincolo indiretto” non ha contenuto prescrittivo tipico, per essere rimessa all’autonomo apprezzamento dell’ amministrazione la determinazione delle disposizioni utili all’ottimale protezione del bene principale - fino all’inedificabilità assoluta - se e nei limiti in cui tanto è richiesto dall’obiettivo di prevenire un vulnus ai valori oggetto di salvaguardia (integrità dei beni, difesa della prospettiva e della luce, cura delle relative condizioni di ambiente e decoro), in un ambito territoriale che si estende fino a comprendere ogni immobile, anche non contiguo, la cui manomissione si stimi potenzialmente idonea ad alterare il complesso delle condizioni e caratteristiche fisiche e culturali connotanti lo spazio circostante.

L’imposizione del vincolo indiretto costituisce espressione della discrezionalità tecnica dell’amministrazione, sindacabile in sede giurisdizionale solo quando l’istruttoria si riveli insufficiente o errata o la motivazione risulti inadeguata o presenti manifeste incongruenze o illogicità anche per l’insussistenza di un’obiettiva proporzionalità tra l’estensione del vincolo e le effettive esigenze di protezione del bene di interesse storico-artistico, e si basa sull’esigenza che lo stesso sia valorizzato nella sua complessiva prospettiva e cornice ambientale, onde possono essere interessate dai relativi divieti e limitazioni anche immobili non adiacenti a quello tutelato purché allo stesso accomunati dall’appartenenza ad un unitario e inscindibile contesto territoriale.

Se è vero che l’imposizione dei vincoli in oggetto è conseguente ad una valutazione ampiamente discrezionale dell’amministrazione, questa soggiace a precisi limiti enucleabili nel generale concetto di logicità e razionalità dell’azione amministrativa (onde evitare che la vincolatività indiretta, accessoria e strumentale potesse trasformarsi in una vincolatività generale e indifferenziata); al principio di proporzionalità (congruità del mezzo rispetto al fine perseguito), alla specifica valutazione dell’interesse pubblico “particolare” perseguito ed alla necessità che nella motivazione provvedimentale sia chiaramente espressa l’impossibilità di scelte alternative meno onerose per il privato gravato del vincolo indiretto.

La Corte europea dei diritti dell’uomo ha chiarito che la classificazione di un’area come rilevante dal punto di vista culturale ed archeologico - ed il conseguente divieto di edificazione che venga eventualmente disposto senza indennizzo alcuno - trova giustificazione nella necessità di proteggere il patrimonio culturale ed archeologico - esso riguardando una collettività ben più vasta di quella che si trova nel territorio ove lo stesso materialmente ricade.

Cons. St., Sez. VI, 1° marzo 2021, n. 1730 - Pres. Santoro, Est. Maggio - In tema di dichiarazione di interesse culturale storico-artistico (c.d. vincolo diretto).

Il giudizio che presiede all’imposizione di una dichiarazione di interesse culturale storico-artistico particolarmente importante (c.d. vincolo diretto), ai sensi degli artt. 10, comma 3, lett. a), 13 e 14 del decreto legislativo n. 42 del 2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), è connotato da un’ampia discrezionalità tecnico-valutativa, poiché implica l’applicazione di cognizioni tecnico-scientifiche specialistiche proprie degli ambiti disciplinari interessati (della storia, dell’arte e dell’architettura ecc.) caratterizzati da ampi margini di opinabilità. Ne consegue che l’accertamento compiuto dall’amministrazione preposta alla tutela è sindacabile, in sede giudiziale, esclusivamente sotto i profili della ragionevolezza, proporzionalità, adeguatezza, logicità, coerenza e completezza della valutazione e della falsità di presupposti.

2. Beni paesaggistici

Cons. St., Sez. VI, 12 luglio 2021, n. 5262 - Pres. Montedoro, Est. Orsini - In tema di condonabilità di opere edilizie in aree sottoposte a vincolo.

Con riferimento alla condonabilità di opere edilizie situate in aree vincolate deve essere data continuità alla giurisprudenza amministrativa che, proprio in riferimento all’articolo 32, comma 27, lettera d), del decreto-legge n. 269 del 2003, ha chiarito che devono intendersi espressamente escluse dal condono edilizio le opere realizzate successivamente alla istituzione del vincolo e che conseguentemente sono condonabili soltanto le opere realizzate su immobili assoggettati a vincolo dopo la loro realizzazione e soltanto per esse si pone l’esigenza della verifica delle ulteriori congiunte condizioni della conformità urbanistica.

Nelle zone sottoposte a vincolo paesistico, sia esso assoluto o relativo, è consentita la sanatoria dei soli abusi formali.

Cons. St., Sez. VI, 8 luglio 2021, n. 5197 - Pres. Santoro, Est. De Luca - In tema di immobili individuati dagli strumenti urbanistici comunali, sottoposti a speciale tutela per motivi paesaggistici o storico-culturali.

All’interno della pianificazione urbanistica devono trovare spazio anche esigenze di tutela ambientale ed ecologica, tra le quali spicca proprio la necessità di evitare l’ulteriore edificazione e di mantenere un equilibrato rapporto tra aree edificate e spazi liberi. Ciò in quanto l’urbanistica, ed il correlativo esercizio del potere di pianificazione, non possono essere intesi, sul piano giuridico, solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, così offrendone una visione affatto minimale, ma devono essere ricostruiti come intervento degli enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo ed armonico del medesimo, per cui l’esercizio dei poteri di pianificazione territoriale ben può tenere conto delle esigenze legate alla tutela di interessi costituzionalmente primari. In tale contesto, spetta all’ente esponenziale effettuare una mediazione tra i predetti valori e gli altri interessi coinvolti, quali quelli della produzione o delle attività antropiche più in generale, che comunque non possono ritenersi equiordinati in via assoluta.

L’amministrazione comunale, già in via generale, nel regolare lo sviluppo del proprio ambito territoriale, ben può tenere conto delle esigenze di tutela ambientale e paesaggistica, alla cui realizzazione condizionare le future trasformazioni urbanistiche ed edilizie incidenti su contesti sensibili.

Cons. St., Sez. VI, 6 luglio 2021, n. 5152 - Pres. Montedoro, Est. Mathà -Sull’inammissibilità di sanatorie urbanistico edilizie in aree perimetrate a parco: inammissibilità dei pareri postumi dell’Ente Parco e natura preventiva dell’autorizzazione di cui all’art. 13 della legge quadro sulle aree protette.

L’Adunanza Plenaria n. 17 del 2016, nel salvare il silenzio assenso di cui all’art. 13 della legge n. 394 del 1991 (Legge quadro sulle aree protette) ha sottolineato la “specialità” della disciplina sui parchi come aree di protezione integrale della natura nelle quali vale il principio della c.d. ecologia profonda che implica la conservazione integrale della natura e limitati interventi di antropizzazione conformi alla pianificazione del Parco. In particolare, ha evidenziato che il nulla osta dell’art. 13 della legge n. 394 del 1991 ha ad oggetto la previa verifica di conformità dell’intervento con le disposizioni del piano per il parco (che - a norma dell’art. 12 - persegue la tutela dei valori naturali ed ambientali affidata all’Ente parco) e del regolamento del parco (che - a norma dell’art. 11 - disciplina l’esercizio delle attività consentite entro il territorio del parco). Quegli atti generali rappresentano gli strumenti essenziali e indefettibili della cura dell’interesse naturalistico e ambientale in ragione della quale è istituito il parco con il suo “speciale regime di tutela e di gestione”. Essi disciplinano in dettaglio e per tutto il territorio del parco gli interventi e le attività vietati e quelli solo parzialmente consentiti, le loro ubicazioni, destinazioni, modalità di esplicazione e così via, secondo un disegno organico inteso a “la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale”.

A differenza di una valutazione di compatibilità, la detta verifica di conformità - che solo accerta la conformità degli interventi concretamente prospettati alle figure astrattamente consentite - non comporta un giudizio tecnico-discrezionale autonomo e distinto da quello già dettagliatamente fatto e reso noto, seppure in via generale, mediante gli strumenti del Piano per il parco e del Regolamento del parco.

Secondo l’interpretazione dell’Adunanza Plenaria n. 17 del 2016, “Questi strumenti, dettando i parametri di riferimento per la valutazione dei vari interventi, inverano l’indispensabile e doverosa cura degli interessi naturalistico-ambientali. I limiti di cui si tratta sono del resto intesi essenzialmente alla preservazione del dato naturalistico e si esplicano per lo più in valutazioni generali di tipo negativo con l’indicazione di opere reputate comunque incompatibili con quella salvaguardia. Sicché detti strumenti assorbono in sé le valutazioni possibili e le traducono in precetti per lo più negativi (divieti o restrizioni quantitative), rispetto ai quali resta in concreto da compiere una mera verifica di conformità senza residui margini di apprezzamento. Il che è reso ontologicamente possibile dall’assenza, rispetto all’interesse naturalistico, di spazi per valutazioni di tipo qualitativo circa l’intervento immaginato: si tratta qui infatti, secondo una distinzione di base ripetutamente presente in dottrina a proposito delle varie declinazioni della tutela ambientale, di salvaguardare l’”ambiente-quantità”, il che tecnicamente consente questo assorbimento, negli atti generali e pianificatori, della cura dell’interesse generale. Questi strumenti così definiscono ex ante le inaccettabilità o limiti di accettabilità delle trasformazioni che altrimenti caratterizzerebbero un congruo giudizio di compatibilità rispetto a quella salvaguardia.”

L’art. 13 della legge quadro n. 394 del 1991 subordina il rilascio di concessioni o autorizzazioni relative ad interventi, impianti od opere al nulla-osta dell’Ente parco che ne verifica la compatibilità con la tutela dell’area naturale protetta (comma 1) ma non riguarda opere in sanatoria. Si tratta infatti di evitare che l’antropizzazione del Parco segua una logica casuale e connotata dalla creazione di stati di fatto quale quella che connota talvolta inevitabilmente lo sviluppo urbano, una volta introdotta la regola generale di ammissibilità delle valutazioni postume (art. 36 del T.U. edilizia).

Con specifico riguardo alla natura del nulla-osta si evidenzia come esso sia, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, “atto diverso dall’autorizzazione paesaggistica agli interventi, agli impianti e alle opere da realizzare, in quanto atto endoprocedimentale prodromico rispetto al rilascio dell’autorizzazione stessa” (Corte cost., sentenza 29 dicembre 2004, n. 429) dotato di una sua autonomia essendo l’interesse naturalistico ambientale diverso da quello paesaggistico.

Mentre la valutazione paesaggistica postuma è prevista, entro certi limiti e in specifici casi, dall’art. 167, comma 4, del decreto legislativo n. 42 del 2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) secondo le procedure di cui al successivo comma 5, nulla di analogo è prescritto per il nulla osta ad interventi nell’ambito dei parchi. Se ne deve desumere la radicale inammissibilità dei pareri postumi dell’Ente Parco e la natura preventiva dell’autorizzazione di cui all’art. 13 della legge quadro sulle aree protette.

Il nulla-osta si inserisce, nella trama normativa della legge quadro, come punto terminale di contatto, come elemento di congiunzione tra le esigenze superiori della protezione naturalistica e le attività economiche e sociali e va letto coordinandolo con le altre previsioni di meccanismi operativo-funzionali. In un’area integralmente protetta, infatti, sono vietate tutte quelle attività che non siano espressamente consentite dal piano e dettagliatamente disciplinate nel relativo regolamento. Ne deriva che il legislatore, stante la prioritaria esigenza di salvaguardia e tutela di valori costituzionalmente rilevanti quali l’ambiente e la natura oggetto di protezione integrale nell’ambito delimitato dal Parco, ha costruito il nulla-osta come atto necessariamente destinato a precedere il rilascio di provvedimenti abilitativi puntuali che riguardino un singolo, specifico intervento da valutarsi preventivamente.

La differenza tra immobili o aree oggetto di puntuale tutela paesaggistica e le aree integralmente protette, rimesse alla tutela tramite specifici Enti Parco, e le finalità di tutela, in funzione all’antropizzazione del territorio, non consentono quindi un’applicazione della sanatoria prevista nell’art. 36 del D.P.R. n. 380 del 2001. Del resto, appare in più che sostenibile e non illogica l’esegesi che differenzia i beni oggetto della tutela (ambiente ed edilizia) piuttosto che quella che generalizza le valutazioni postume sulla base del combinato disposto della norma contenuta nell’art. 36 del citato D.P.R. con l’art. 13 della legge quadro sulle aree protette (legge n. 394 del 1991).

Non rileva in alcun modo l’istituto dell’accertamento di conformità che rimane di applicazione generale anche per le aree soggette a vincoli ma non oggetto di protezione integrale. Ragioni di tutela così ampie - come nel caso di aree integralmente protette - non ammettono sanatorie su opere realizzate senza titolo. L’interpretazione rigorosa dell’art. 13 della legge sulle aree protette ammette, quindi, solo nulla osta preventivi.

Cons. St., Sez. IV, 18 maggio 2021, n. 3864 - Pres. Giovagnoli, Est. D’Angelo -In tema di pianificazione comunale e di pianificazione paesaggistica.

La pianificazione comunale è preordinata alla gestione della vocazione urbanistica delle diverse zone, mentre quella paesaggistica tende a conformare le diverse aree, salvaguardando i valori di tutela ambientale. Di conseguenza, solo qualora lo strumento urbanistico generale contrasti con i limiti posti dal piano territoriale paesaggistico quest’ultimo prevarrà, essendo prevalenti non tanto le sue prescrizioni quanto gli interessi di tutela dallo stesso garantiti.

D’altra parte, se ai sensi dell’art. 145, comma 3, del decreto legislativo n. 42 del 2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) gli strumenti urbanistici comunali non possono contemplare condizioni peggiorative rispetto alle disposizioni del piano paesaggistico, gli stessi possono pur sempre disciplinare le aree vincolate con previsioni che tutelano anche il profilo ambientale e paesaggistico in modo più favorevole.

In sede di pianificazione urbanistica le scelte relative alla destinazione di singole aree non necessitano di apposita motivazione, salvo che sussistano particolari situazioni che abbiano creato aspettative o affidamenti, con conseguente inapplicabilità della disciplina della motivazione degli atti amministrativi di cui all’art. 3 della legge n. 241 del 1990, essendone esentati gli atti a contenuto generale e, dunque, anche quelli pianificatori generali.

Cons. St., Sez. VI, 8 aprile 2021, n. 2858 - Pres. Montedoro, Est. Tarantino - In tema di diniego di autorizzazione paesaggistica.

Il diniego di autorizzazione paesaggistica anche in sanatoria non può limitarsi a contenere valutazioni apodittiche e stereotipate, ma deve specificare le ragioni del rigetto dell’istanza ovvero esplicitare i motivi del contrasto tra le opere da realizzarsi e le ragioni di tutela dell’area interessata dall’apposizione del vincolo. Non basta, quindi, la motivazione del diniego fondata su una generica incompatibilità, non potendo l’amministrazione limitare la sua valutazione al mero riferimento ad un pregiudizio ambientale, utilizzando espressioni vaghe e formule stereotipate.

Cons. St., Sez. IV, 14 aprile 2021, n. 3067 - Pres. Maruotti, Est. Gambato Spisani - In tema imposizione di un vincolo in aree degradate.

In termini generali, vale il principio per cui l’avvenuta edificazione di un’area o il suo degrado non costituiscono ragione sufficiente per escludere l’imposizione di un vincolo, e a maggiore ragione il giudizio di incompatibilità di un intervento con il vincolo esistente, che in sintesi va a limitare i danni ulteriori ed a proteggere quanto rimasto dell’originario valore paesaggistico.

Cons. St., Sez. VI, 15 febbraio 2021, n. 1389 - Pres. Montedoro, Est. Ponte - In tema di annullamento in autotutela dell’autorizzazione paesaggistica.

In linea generale, costituisce ius receptum il principio per cui l’autorizzazione paesaggistica può essere annullata in autotutela, ai sensi degli art. 21-octies e 21-nonies della legge n. 241 del 1990, e sue successive modificazioni e integrazioni, laddove sussistano ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati.

Deve ritenersi illegittimo il provvedimento recante annullamento del precedente parere favorevole di compatibilità paesaggistica, non preceduto da avviso di avvio del procedimento in favore del destinatario dell’autorizzazione paesaggistica, ove non risulti che quest’ultimo abbia avuto conoscenza del procedimento (di secondo grado) ovvero che, pur in mancanza della comunicazione di avvio, vi abbia partecipato. La natura discrezionale del provvedimento di annullamento di ufficio - che può essere emanato solo all’esito di una valutazione comparativa dei contrapposti interessi coinvolti - rende tale garanzia procedimentale non obliterabile, dovendosi assicurare al privato la possibilità di rappresentare gli interessi di cui è portatore, in particolare quelli relativi ad un apprezzabile consolidamento della propria posizione giuridico-soggettiva, affinché questi vengano adeguatamente valutati dall’amministrazione. Analoghe considerazioni vanno estese in relazione al ritiro in autotutela del titolo edilizio.

Cons. St., Sez. II, 12 febbraio 2021, n. 1287 - Pres. Castriota Scanderbeg, Est. Guarracino - In tema di sanatoria tacita.

In materia urbanistica, dal combinato disposto degli artt. 32, 33 e 35 della legge n. 47 del 1985 si desume il principio secondo cui non sono suscettibili di sanatoria tacita gli immobili siti in aree sottoposte a vincolo paesaggistico-ambientale, in difetto del parere positivo espresso dell’autorità competente alla gestione del vincolo.

Cons. St., Sez. VI, 4 febbraio 2021, n. 1041 - Pres. Santoro, Est. De Luca - In tema di sopravvenienza di un vincolo di protezione.

Nel caso di sopravvenienza di un vincolo di protezione, l’amministrazione competente ad esaminare l’istanza di condono ai sensi della legge n. 47 del 1985 (nonché della successiva legge n. 724 del 1994) deve acquisire il parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo sopravvenuto, la quale deve pronunciarsi tenendo conto del quadro normativo vigente al momento in cui esercita i propri poteri consultivi.

Il procedimento preordinato al rilascio del condono o della sanatoria, ai sensi dell’art. 32 legge n. 47 del 1985, è subordinato al parere favorevole dell’autorità preposta alla tutela del vincolo a prescindere dall’epoca della sua introduzione; sicché, il previo ottenimento del parere favorevole è necessario anche per opere eseguite prima dell’apposizione del vincolo.

Per quanto sussista l’onere procedimentale di acquisire il necessario parere in ordine alla assentibilità della domanda di sanatoria - a prescindere dall’epoca d’introduzione del vincolo - l’autorità preposta deve esprimere non una valutazione di conformità delle opere alle predette previsioni, trattandosi di un vincolo non esistente al momento della loro realizzazione, bensì un parere di compatibilità dell’intervento edilizio abusivo con le esigenze di protezione sottese all’apposizione del vincolo.

Quando le previsioni di tutela sono sopraggiunte alla realizzazione dell’intervento edilizio, la valutazione paesaggistica non potrebbe compiersi come se l’intervento fosse ancora da realizzare, e ciò è tanto più vero nei casi in cui le previsioni di tutela successivamente sopraggiunte ad integrare la disciplina dell’area risultano incompatibili con la tipologia dell’intervento già realizzato.

Il vincolo sopravvenuto non può considerarsi una condizione ex se preclusiva e insuperabile alla condonabilità degli edifici già realizzati, dovendo l’amministrazione valutare se vi sia compatibilità tra le esigenze poste a base del vincolo - anche sulla salvaguardia della pubblica incolumità - e la permanenza in loco del manufatto abusivo.

Cons. St., Sez. VI, 18 gennaio 2021, n. 535 - Pres. De Felice, Est. De Luca - In tema di titolo abilitativo.

Ai fini della formazione del titolo abilitativo per silentium sono necessari sia il pagamento dell’oblazione e degli oneri di concessione dovuti, sia il deposito di tutta la documentazione prevista per la sanatoria, non potendo altrimenti determinarsi l’effetto sanate per il decorso del termine previsto dall’art. 39, comma 4, della legge n. 724 del 1994.

Non sono suscettibili di sanatoria tacita gli immobili siti in aree sottoposte a vincolo paesaggistico-ambientale, essendo all’uopo in ogni caso richiesto il parere espresso dell’autorità competente alla gestione del vincolo.

In relazione alla mancanza del parere reso dall’autorità preposta alla gestione del vincolo paesaggistico, la legge non contempla eccezioni in termini di “visibilità” - o meno - delle opere al fine di escludere la necessità di acquisire il parere di cui all’art. 32 della legge n. 47 del 1985 di competenza dell’autorità preposta alla vigilanza sui vincoli ambientali-paesaggistici, il che è di per sé dirimente per ritenere comunque necessario il parere dell’autorità competente, potendo incidere la tipologia di abuso sull’esito della valutazione paesaggistica, ma non sulla sua necessità.

 

 

[*] Con la collaborazione della dott.ssa Vania Talienti.

 

 

 

 



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