Corte costituzionale
Sentenza 6 novembre - 27 dicembre 2018, n. 245
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Giorgio Lattanzi; Giudici: Aldo Carosi, Marta Cartabia, Mario Rosario Morelli, Giancarlo Coraggio, Giuliano Amato, Silvana Sciarra, Daria de Pretis, Nicolò Zanon, Augusto Antonio Barbera, Giulio Prosperetti, Giovanni Amoroso, Francesco Viganò, Luca Antonini
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 4, comma 4, 5, comma 2, e 7 della regione Abruzzo 1° agosto 2017, n. 40 (Disposizioni per il recupero del patrimonio edilizio esistente. Destinazioni d'uso e contenimento dell'uso del suolo, modifiche alla legge regionale n. 96/2000 ed ulteriori disposizioni), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso spedito per la notifica il 9 ottobre 2017, depositato in cancelleria il 13 ottobre 2017, iscritto al n. 81 del registro ricorsi 2017 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell'anno 2017.
Visto l'atto di costituzione della regione Abruzzo;
udito nella udienza pubblica del 6 novembre 2018 il Giudice relatore Giancarlo Coraggio;
uditi l'avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri e l'avvocato Franco Francesco Fabio per la regione Abruzzo.
Ritenuto in fatto
1. Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato gli artt. 4, comma 4, 5, comma 2, e 7 della legge della regione Abruzzo 1° agosto 2017, n. 40 (Disposizioni per il recupero del patrimonio edilizio esistente. Destinazioni d'uso e contenimento dell'uso del suolo, modifiche alla legge regionale n. 96/2000 ed ulteriori disposizioni), disciplinanti il recupero dei vani e locali accessori e seminterrati, situati in edifici esistenti o collegati direttamente ad essi, da destinare ad uso residenziale, direzionale, commerciale o artigianale, e l'applicazione del piano demaniale marittimo regionale alle aree della riserva naturale "Pineta Dannunziana".
2. Secondo il ricorrente, l'impugnato art. 4, comma 4, violerebbe, in primo luogo, l'art. 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione, in relazione agli artt. 6, comma 3, 12 e 65, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale).
Deduce il Presidente del Consiglio dei ministri che la norma censurata individua i requisiti tecnici degli interventi di recupero, prevedendo, al comma 4, che "il recupero dei vani e locali di cui all'art. 2, comma 1, è ammesso anche in deroga ai limiti e prescrizioni edilizie degli strumenti urbanistici ed edilizi comunali vigenti, ovvero in assenza dei medesimi".
La disposizione, pertanto, eluderebbe l'obbligo di sottoporre tali interventi "a valutazione ambientale strategica, o almeno alla relativa verifica di assoggettabilità", previste dagli artt. 6, comma 3, e 12 del d.lg. n. 152 del 2006 (d'ora in avanti: codice dell'ambiente).
Inoltre, potendo determinare una deroga alle disposizioni degli strumenti urbanistici ed edilizi comunali che recepiscono la pianificazione di bacino, la disposizione censurata comporterebbe anche l'elusione della norma di cui all'art. 65, comma 4, del codice dell'ambiente, secondo cui "Le disposizioni del Piano di bacino approvato hanno carattere immediatamente vincolante per le amministrazioni ed enti pubblici, nonché per i soggetti privati, ove trattasi di prescrizioni dichiarate di tale efficacia dallo stesso Piano di bacino. In particolare, i piani e programmi di sviluppo socio-economico e di assetto ed uso del territorio devono essere coordinati, o comunque non in contrasto, con il Piano di bacino approvato".
3. L'art. 4, comma 4, della legge reg. Abruzzo n. 40 del 2017 contrasterebbe, in secondo luogo, con più principi fondamentali della legislazione statale in materia di governo del territorio, in violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost.
Esso sarebbe in contrasto, innanzitutto, con l'art. 2, comma 4, del d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), secondo cui i "comuni, nell'ambito della propria autonomia statutaria e normativa di cui all'art. 3 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, disciplinano l'attività edilizia".
Il d.p.r. n. 380 del 2001 (d'ora in avanti: testo unico dell'edilizia o TUE) avrebbe quindi ricondotto la competenza regolamentare dei comuni in materia urbanistica all'autonomia statutaria e normativa prevista dal citato art. 3 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali) ed avente ancoraggio costituzionale negli artt. 114 e 117, sesto comma, Cost.
La norma impugnata, inoltre, sarebbe in contrasto con gli artt. 4 e 7 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica), che attribuiscono ai comuni la pianificazione urbanistica e la disciplina delle disposizioni d'uso degli immobili.
Essa, ancora, nel consentire gli interventi di recupero anche in assenza degli strumenti urbanistici ed edilizi comunali, si porrebbe in contrasto con l'art. 9 del TUE, che individua l'attività edilizia realizzabile in assenza di tali strumenti.
4. L'art. 5, comma 2, della legge reg. Abruzzo n. 40 del 2017, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, viola l'art. 117, secondo comma, lett. s), Cost., in riferimento all'art. 65, comma 4, del codice dell'ambiente.
La disposizione impugnata, nel consentire la riconversione di vani accessori in destinazione d'uso residenziale, potrebbe infatti determinare un incremento del carico abitativo incompatibile con le prescrizioni del piano di bacino volte alla tutela dal rischio idrogeologico.
La norma censurata, in particolare, escluderebbe dall'ambito di applicazione della legge soltanto le aree soggette a vincolo di inedificabilità assoluta e, quindi, non quelle in cui il piano di bacino si limiti a vietare l'incremento del carico urbanistico.
Essa, inoltre, vieterebbe la riconversione solo nelle aree "ad elevato rischio idrogeologico", quando, invece, per ragioni di pubblica incolumità, simili interventi dovrebbero essere vietati in tutte le aree a rischio moderato (R1), medio (R2), elevato (R3) e molto elevato (R4).
5. L'impugnato art. 7, infine, violerebbe l'art. 117, secondo comma, lett. s) Cost., in riferimento all'art. 22, commi 1, lett. d), e 6, della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette).
Il ricorrente, premesso che la disciplina in materia di aree protette, sia statali che regionali, contenuta nella legge n. 394 del 1991 rientra nella competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela dell'ambiente, deduce che la regione non può derogare alle norme statali, ma solo "determinare, sempre nell'ambito delle proprie competenze, livelli maggiori di tutela", senza compromettere il punto di equilibrio tra esigenze contrapposte espressamente individuato dalla norma dello Stato.
La disposizione censurata, prevedendo che il piano marittimo regionale, ovvero quello comunale di recepimento, sono prevalenti "su ogni altra legislazione e/o normativa anche di tipo sovraordinato o ambientale", violerebbe l'art. 22, comma 1, lett. d), della legge n. 394 del 1991, secondo cui le attività svolte nelle aree protette regionali sono disciplinate da regolamenti adottati in conformità all'art. 11 della legge medesima.
La dichiarata prevalenza del piano marittimo regionale, ovvero di quello comunale di recepimento, contrasterebbe anche con l'art. 22, comma 6, della legge n. 394 del 1991, in forza del quale "Nei parchi naturali regionali e nelle riserve naturali regionali l'attività venatoria è vietata, salvo eventuali prelievi faunistici ed abbattimenti selettivi necessari per ricomporre squilibri ecologici. Detti prelievi ed abbattimenti devono avvenire in conformità al regolamento del parco o, qualora non esista, alle direttive regionali per iniziativa e sotto la diretta responsabilità e sorveglianza dell'organismo di gestione del parco e devono essere attuati dal personale da esso dipendente o da persone da esso autorizzate scelte con preferenza tra cacciatori residenti nel territorio del parco, previ opportuni corsi di formazione a cura dello stesso Ente".
6. Con memoria depositata nella cancelleria di questa Corte il 17 novembre 2017, si è costituita in giudizio la regione Abruzzo, chiedendo di dichiarare l'inammissibilità, ovvero, in via subordinata, l'infondatezza delle questioni sollevate.
7. La resistente eccepisce, in primo luogo, l'inammissibilità delle prime due questioni "per l'inadeguatezza delle argomentazioni esposte" e per "l'assoluto eccesso di genericità delle motivazioni".
La censura di illegittimità costituzionale dell'art. 4 della legge reg. Abruzzo n. 40 del 2017, in particolare, sarebbe generica ed apodittica, priva di alcun percorso motivazionale a sostegno delle ragioni per cui la "deroga ai limiti e prescrizioni edilizie degli strumenti urbanistici" comporterebbe l'elusione dell'obbligo di sottoporre a valutazione ambientale strategica (VAS) i previsti interventi di recupero, la elusione delle previsioni dei piani di bacino recepite negli strumenti urbanistici comunali e la violazione della riserva regolamentare dei comuni in materia urbanistica.
Le prime due censure sarebbero inammissibili anche per la loro "contraddittorietà sotto il profilo dell'esatta individuazione del thema decidendum", perché il ricorrente, pur avendole riferite esclusivamente al comma 4 dell'art. 4 e al comma 2 dell'art. 5 della legge reg. Abruzzo n. 40 del 2017, avrebbe poi concluso per la declaratoria d'illegittimità costituzionale dei citati articoli nella loro interezza.
8. Nel merito, quanto alla prima censura rivolta all'art. 4, comma 4, di violazione della competenza statale in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, per elusione dell'obbligo di sottoposizione a VAS, o almeno alla relativa verifica di assoggettabilità, e perché derogatoria delle disposizioni degli strumenti urbanistici ed edilizi che recepiscono la pianificazione di bacino, la resistente ritiene che essa poggi su una interpretazione errata della norma, assunta senza considerare la misura di salvaguardia prevista dal legislatore regionale.
Osserva la regione Abruzzo come il comma 4 faccia espressamente salve le previsioni del comma 3, ai sensi del quale "Tutti gli interventi di recupero devono rispettare le norme antisismiche, di sicurezza e antincendio vigenti, nonché quelle relative all'efficienza energetica, alla tutela dell'ambiente e dell'ecosistema".
Secondo la resistente, pertanto, la deroga ai limiti e alle prescrizioni edilizie degli strumenti urbanistici ed edilizi contemplata dal comma 4 presuppone sempre e comunque il rispetto della normativa in materia di tutela ambientale, il che implica l'impossibilità di eludere le procedure di VAS o di verifica di assoggettabilità previste dagli artt. 6 e 12 del codice dell'ambiente.
Sotto altro profilo, poi, non sarebbe agevole comprendere come la mera modifica di destinazione d'uso di vani esistenti possa comportare la necessità di una nuova VAS rispetto ai piani e programmi in base ai quali siano stati già realizzati gli immobili di cui quei vani fanno parte.
Gli interventi di recupero disciplinati dalla legge regionale in questione, infatti, non implicherebbero nuovo consumo di suolo mediante l'esercizio di attività di nuova edificazione ma solo il recupero di locali accessori e vani seminterrati già presenti nel tessuto edilizio, con esclusione di opere che comportino modifiche delle altezze esterne del fabbricato esistente e della sagoma delle costruzioni.
Nella maggior parte dei casi l'applicazione della normativa regionale potrebbe comportare solo un mutamento di destinazione d'uso del locale, consentito esclusivamente all'interno della medesima categoria funzionale tra quelle previste dall'art. 23-ter, comma 1, del TUE (art. 2, comma 1, della legge reg. Abruzzo n. 40 del 2017).
In ogni caso, la regione Abruzzo ribadisce che il rispetto della normativa ambientale e, più in generale, di quella nazionale vigente in subiecta materia, è assicurato, oltre che dal citato art. 4, comma 3, anche dall'art. 1 della medesima legge regionale n. 40 del 2017, a mente del quale "La presente legge detta disposizioni volte a promuovere, nel rispetto della normativa statale vigente, il recupero del patrimonio edilizio esistente", e dall'art. 3, comma 2, ai sensi del quale "Restano comunque ferme le prescrizioni in materia poste da norme ambientali o paesaggistiche nazionali e regionali".
Per le stesse ragioni sarebbe infondata la censura di illegittimità dell'art. 4, comma 4, della legge reg. Abruzzo n. 40 del 2017, per violazione dell'art. 65 del codice dell'ambiente: anche in questo caso l'osservanza delle previsioni dei piani di bacino recepite negli strumenti urbanistici sarebbe garantito dal richiamo operato nel comma 3 dell'art. 4 al rispetto delle norme ambientali, e, prima ancora, dal carattere immediatamente vincolante delle disposizioni di piano, strumento di pianificazione sovraordinato agli altri.
Andrebbe considerato, infine, che la deroga censurata dal ricorrente non riguarda gli strumenti urbanistici in senso stretto e quindi la pianificazione del territorio, ma è circoscritta "ai limiti e alle prescrizioni edilizie".
9. In relazione alla censura di contrasto della norma regionale con i principi fondamentali della legislazione statale in materia di governo del territorio di cui al testo unico dell'edilizia, la regione afferma che l'intera legge reg. Abruzzo n. 40 del 2017 è rispettoso dell'autonomia e delle competenze comunali.
L'art. 5, comma 1, della medesima legge regionale, infatti, demanda proprio ai comuni la facoltà di decidere, in piena discrezionalità, l'an e il quomodo di attuazione delle relative previsioni, e l'art. 3, comma 1, prevede che i comuni, in fase applicativa, restano competenti per la gestione dei procedimenti amministrativi, atteso che gli interventi di recupero sono consentiti "previo rilascio del titolo abilitativo edilizio richiesto per il tipo di intervento".
La deroga prevista dalla norma censurata, inoltre, riguarderebbe solo le prescrizioni comunali aventi carattere meramente tecnico-edilizio e non quelle di natura più propriamente urbanistica né tantomeno gli strumenti di pianificazione.
Nemmeno potrebbe dirsi violato l'art. 2, comma 4, del TUE, poiché la disposizione censurata sarebbe estranea anche alla disciplina edilizia in senso stretto e non inciderebbe sulla riserva regolamentare in capo ai comuni.
10. Parimenti priva di pregio sarebbe la censura di violazione dell'art. 9 del testo unico dell'edilizia riguardante la possibilità di effettuare interventi di recupero anche "in assenza di strumenti urbanistici ed edilizi comunali".
Il citato art. 9, infatti, disciplina la tipologia di interventi edilizi consentiti "nei comuni sprovvisti di strumenti urbanistici", individuati in quelli previsti "dalle lettere a), b), e c) del primo comma dell'articolo 3", ossia quelli di "manutenzione ordinaria, straordinaria e di restauro e risanamento conservativo".
Gli interventi di recupero disciplinati dalla legge regionale andrebbero ricompresi proprio in tale ultima categoria, come definita dal legislatore statale, trattandosi di iniziative implicanti opere minimali che comportano meri mutamenti di destinazione d'uso interni alla medesima categoria funzionale, con eventuali piccole opere edilizie di adeguamento ma senza stravolgimento dell'organismo edilizio nel suo complesso.
11. Con riferimento alla questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, comma 2, della legge regionale n. 40 del 2017, la regione Abruzzo osserva che secondo il ricorrente esso sarebbe in contrasto con l'art. 65, comma 4, del codice dell'ambiente e quindi con l'art. 117, secondo comma, lett. s), Cost., sotto due distinti profili: 1) la riconversione ad uso residenziale dei vani accessori potrebbe determinare un carico di incremento abitativo incompatibile con le prescrizioni del piano di bacino; 2) la norma escluderebbe dall'ambito di applicazione della legge regionale solo "le aree soggette a vincoli di inedificabilità assoluta", ovvero quelle "ad elevato rischio idrogeologico", mentre gli interventi previsti dovrebbero essere vietati in tutte le aree a rischio moderato (R1), medio (R2) e molto elevato (R4).
Quanto al primo profilo, la resistente osserva che la norma censurata, lungi dal mettere in discussione la prevalenza dei piani di bacino o di settore rispetto agli atti pianificatori subordinati, si limita a fissare soglie minime di tutela e salvaguardia connesse sia al vincolo di inedificabilità assoluta posto dagli atti di pianificazione territoriale e non necessariamente legato a situazioni di rischio o pericolosità (ad esempio, il divieto di edificabilità previsto dai piani dei parchi), sia al rischio idrogeologico.
Il rispetto delle prescrizioni contenute nel piano di bacino - prosegue la regione Abruzzo - è in ogni caso garantito dal richiamo, operato nel comma 3 dell'art. 4 della legge regionale, all'osservanza delle norme in materia di sicurezza e tutela ambientale, tra le quali è sicuramente annoverabile l'art. 65, comma 4, del codice dell'ambiente; nonché dalla stessa natura immediatamente vincolante del piano di bacino medesimo.
Le stesse considerazioni conducono, secondo la resistente, alla infondatezza anche del secondo profilo di censura: la prevista esclusione dell'applicabilità della legge regionale alle aree a "rischio elevato" non può valere, di per sé, a precludere l'operatività delle vincolanti prescrizioni di piano nelle altre aree qualificate a rischio medio, moderato e molto elevato.
12. Con memoria depositata il 16 ottobre 2018 il Presidente del Consiglio dei Ministri ha replicato alle eccezioni avversarie, evidenziando l'ammissibilità del ricorso, stante la completezza delle argomentazioni poste a sostegno delle censure, nonché ribadendo la sua fondatezza per le ragioni già esposte nell'atto introduttivo.
Considerato in diritto
1. Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato gli artt. 4, comma 4, 5, comma 2, e 7 della legge della regione Abruzzo 1° agosto 2017, n. 40 (Disposizioni per il recupero del patrimonio edilizio esistente. Destinazioni d'uso e contenimento dell'uso del suolo, modifiche alla legge regionale n. 96/2000 ed ulteriori disposizioni), disciplinanti il recupero dei vani e locali accessori e seminterrati e l'applicazione del piano demaniale marittimo regionale alle aree della riserva naturale "Pineta Dannunziana".
1.1. Con riferimento all'art. 4, comma 4, il ricorrente lamenta la violazione dell'art. 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione, in relazione agli artt. 6, comma 3, 12 e 65, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale); nonché dell'art. 117, terzo comma, Cost., in relazione all'art. 2, comma 4, e 9 del d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) e agli artt. 4 e 7 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica).
1.1.1. Più in particolare, secondo l'Avvocatura generale dello Stato, la disposizione censurata − nel prevedere che il recupero dei vani e locali di cui all'art. 2, comma 1 (ossia dei vani e locali accessori situati in edifici esistenti o collegati direttamente ad essi ed utilizzati anche come pertinenze degli stessi e dei vani e locali seminterrati) "è ammesso anche in deroga ai limiti e prescrizioni edilizie degli strumenti urbanistici ed edilizi comunali vigenti, ovvero in assenza dei medesimi" − determina, in primo luogo, l'elusione dell'obbligo di sottoporre tali interventi alla "valutazione ambientale strategica, o almeno alla relativa verifica di assoggettabilità", di cui agli artt. 6, comma 3, e 12 del d.lg. n. 152 del 2006 (d'ora in avanti: codice dell'ambiente).
Essa, in secondo luogo, consentirebbe di derogare alle previsioni del piano di bacino recepite negli strumenti urbanistici comunali, in violazione dell'art. 65, comma 4, del codice dell'ambiente, secondo cui "Le disposizioni del Piano di bacino approvato hanno carattere immediatamente vincolante per le amministrazioni ed enti pubblici, nonché per i soggetti privati, ove trattasi di prescrizioni dichiarate di tale efficacia dallo stesso Piano di bacino. In particolare, i piani e programmi di sviluppo socio-economico e di assetto ed uso del territorio devono essere coordinati, o comunque non in contrasto, con il Piano di bacino approvato".
1.1.2. L'art. 4, comma 4, poi, violerebbe l'art. 117, terzo comma, Cost., perché sarebbe in contrasto con il principio fondamentale della materia del governo del territorio posto dall'art. 2, comma 4, del d.p.r. n. 380 del 2001 (d'ora in avanti: testo unico dell'edilizia o TUE) che attribuisce ai comuni la disciplina dell'attività edilizia.
La norma impugnata, inoltre, sarebbe in contrasto con gli artt. 4 e 7 della legge n. 1150 del 1942 (d'ora in avanti: legge urbanistica), che attribuiscono ai comuni la pianificazione urbanistica e la disciplina dell'uso degli immobili.
Essa, infine, consentirebbe gli interventi di recupero anche in assenza degli strumenti urbanistici ed edilizi comunali, in contrasto con il principio fondamentale stabilito dall'art. 9 TUE, che individua l'attività edilizia realizzabile in assenza di tali strumenti.
1.2. L'art. 5, comma 2, della legge reg. Abruzzo n. 40 del 2017, nel prevedere che la medesima legge regionale "trova applicazione diretta sul territorio comunale con valenza prevalente ai regolamenti edilizi vigenti", con esclusione delle "aree soggette a vincoli di inedificabilità assoluta dagli atti di pianificazione territoriale ovvero nelle aree ad elevato rischio geologico o idrogeologico", viola, secondo il ricorrente, l'art. 117, secondo comma, lett. s), Cost., in relazione all'art. 65, comma 4, del codice dell'ambiente.
La norma censurata sarebbe in contrasto con il parametro interposto indicato, perché escluderebbe dall'ambito di applicazione della legge regionale soltanto le aree soggette a vincolo di inedificabilità assoluta e non anche quelle in cui il piano di bacino si limiti a vietare l'incremento del carico urbanistico; e perché escluderebbe la riconversione solo nelle aree "ad elevato rischio idrogeologico", quando, invece, per ragioni di pubblica incolumità, simili interventi dovrebbero essere vietati in tutte le aree a rischio moderato (R1), medio (R2), elevato (R3) e molto elevato (R4).
1.3. L'art. 7 della legge reg. Abruzzo n. 40 del 2017, nello stabilire la prevalenza del "Piano Marittimo regionale, ovvero di quello Comunale di recepimento", su ogni altra "legislazione e/o normativa anche di tipo sovraordinato o ambientale", viola, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, l'art. 117, secondo comma, lett. s), Cost., perché consente al piano previsto dalla legge regionale di derogare al regolamento dell'area protetta e disciplinare l'attività venatoria, in contrasto con quanto previsto dall'art. 22, commi 1, lett. d), e 6, della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette).
2. La regione Abruzzo ha eccepito l'inammissibilità "dei primi due motivi di impugnativa" "per l'inadeguatezza delle argomentazioni esposte" e per "l'assoluto eccesso di genericità delle motivazioni".
La doglianza di illegittimità costituzionale dell'art. 4, in particolare, sarebbe apodittica e priva di alcun percorso motivazionale a sostegno delle ragioni per cui la "deroga ai limiti e prescrizioni edilizie degli strumenti urbanistici" comporterebbe l'elusione dell'obbligo di sottoporre a valutazione ambientale strategica (VAS) gli interventi di recupero previsti dalla normativa regionale, la elusione delle previsioni dei piani di bacino recepite negli strumenti urbanistici comunali e la violazione della riserva regolamentare dei comuni in materia urbanistica.
Le medesime censure sarebbero inammissibili anche per la loro "contraddittorietà sotto il profilo dell'esatta individuazione del thema decidendum", perché il ricorrente, pur avendole riferite esclusivamente al comma 4 dell'art. 4 e al comma 2 dell'art. 5, avrebbe poi concluso per la declaratoria d'illegittimità costituzionale dei citati articoli nella loro interezza.
2.1. Entrambe le eccezioni non sono fondate.
Quanto alla lamentata contraddittorietà della motivazione, è vero che il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 4 e 5, senza specificamente indicare, nell'epigrafe e nelle conclusioni del ricorso, i commi recanti le norme oggetto d'impugnazione.
Tale indicazione, tuttavia, si rinviene nel corpo della motivazione, la cui integrale lettura consente, senza margine di errore, l'individuazione delle norme impugnate, come dimostra la stessa difesa della parte resistente che su di esse si incentra.
Quanto alla eccepita genericità della motivazione, deve convenirsi con la regione Abruzzo che la giurisprudenza costituzionale è costante nel ritenere che "l'esigenza di un'adeguata motivazione a fondamento della richiesta declaratoria di illegittimità costituzionale si pone in termini perfino più pregnanti nei giudizi proposti in via principale rispetto a quelli instaurati in via incidentale" (tra le tante, sentenze n. 32 del 2017 e n. 141 del 2016). Pertanto, "il ricorso in via principale deve contenere "una seppur sintetica argomentazione di merito a sostegno della richiesta declaratoria di illegittimità costituzionale della legge. In particolare, l'atto introduttivo al giudizio non può limitarsi a indicare le norme costituzionali e ordinarie, la definizione del cui rapporto di compatibilità o incompatibilità costituisce l'oggetto della questione di costituzionalità, ma deve contenere [...] anche una argomentazione di merito, sia pure sintetica, a sostegno della richiesta declaratoria di incostituzionalità, posto che l'impugnativa deve fondarsi su una motivazione adeguata e non meramente assertiva" (ex plurimis, sentenza n. 107 del 2017 che richiama anche le sentenze n. 251, n. 153, n. 142, n. 82 e n. 13 del 2015)" (sentenza n. 152 del 2018; nello stesso senso, tra le tante, sentenze n. 109 del 2018, n. 261, n. 210 e n. 169 del 2017).
Nel caso di specie, tuttavia, il ricorrente ha individuato con chiarezza le disposizioni censurate, i parametri costituzionali asseritamente violati e la normativa statale di riferimento in materia ambientale o di governo del territorio, e ha fornito argomentazioni, sia pure a tratti succinte, delle ragioni del contrasto tra le prime e i secondi.
3. Nel merito, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, comma 4, della legge reg. Abruzzo n. 40 del 2017, per violazione dell'art. 117, secondo comma, lett. s), Cost., in relazione agli artt. 6, comma 3, e 12 del codice dell'ambiente, non è fondata.
4. L'inquadramento delle norme statali sulla verifica di assoggettabilità a VAS nella materia della tutela dell'ambiente, con conseguente idoneità a fungere da parametro interposto, ovvero da standard minimo o punto di equilibrio non derogabile dal legislatore regionale, è corretto (tra le tante, sentenze n. 114 del 2017, n. 219 e n. 117 del 2015, n. 197 del 2014, n. 58 del 2013).
Non è invece condivisibile l'assunto che la disciplina statale sia incisa in peius dalla norma regionale, la quale, introducendo misure derogatorie dei vigenti strumenti urbanistici ed edilizi, eluderebbe, per gli interventi di recupero da essa disciplinati, l'obbligo di verifica di assoggettabilità a VAS.
4.1. La legge reg. Abruzzo n. 40 del 2017 "detta disposizioni volte a promuovere, nel rispetto della normativa statale vigente, il recupero del patrimonio edilizio esistente, attraverso il recupero dei vani e locali accessori, nonché dei vani e locali seminterrati, situati in edifici esistenti o collegati direttamente ad essi, da destinare ad uso residenziale, direzionale, commerciale o artigianale, al fine di uno sviluppo sostenibile e di contenere il consumo di suolo" (art. 1).
Il recupero dei vani e locali è consentito a condizione che: a) siano stati legittimamente realizzati alla data di entrata in vigore della legge; b) non abbiano in corso procedure di accertamento per opere abusive; c) siano collocati in edifici serviti dalle opere di urbanizzazione primaria; d) non facciano parte di edifici abusivi (art. 2, commi 2 e 3).
Il cambio di destinazione d'uso del vano o locale oggetto di recupero è poi "consentito solo all'interno della medesima categoria funzionale tra quelle di cui al comma 1 dell'articolo 23-ter del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia)" (art. 2, comma 1).
Ancora, ai sensi dell'art. 3, "Sono consentiti gli interventi di recupero ai fini residenziale, direzionale, commerciale o artigianale dei vani e locali di cui all'articolo 2, comma 1, con o senza opere edilizie, previo rilascio del titolo abilitativo edilizio richiesto per il tipo di intervento e nel rispetto delle prescrizioni di cui alla presente legge (…) 2. Per gli edifici situati in aree sottoposte a vincolo paesaggistico e per gli immobili vincolati ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), il recupero dei vani e locali di cui all'articolo 2, comma 1, è in ogni caso consentito previa autorizzazione dell'amministrazione preposta alla tutela del vincolo. Restano comunque ferme le prescrizioni in materia poste da norme ambientali o paesaggistiche nazionali e regionali 3. La realizzazione degli interventi di recupero è subordinata all'esistenza delle opere di urbanizzazione primaria e al reperimento degli standard urbanistici di cui al d.m. 2 aprile 1968, n. 1444 del ministero dei Lavori pubblici (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell'articolo 17 della L. 6 agosto 1967, n. 765) ovvero al loro adeguamento o realizzazione, in relazione al maggior carico urbanistico connesso alla trasformazione della destinazione d'uso".
Infine, ai sensi dell'art. 4, "1. Gli interventi di recupero dei vani e locali di cui all'articolo 2, comma 1, devono conseguire il rispetto di tutte le prescrizioni igienico-sanitarie vigenti e dei parametri di aero-illuminazione, anche attraverso la realizzazione di opere edilizie o mediante l'installazione di appositi impianti e attrezzature tecnologiche atte a tale funzione. L'altezza interna dei vani e locali destinati alla permanenza di persone non può essere inferiore a metri 2,40. 2. Ai fini del raggiungimento dell'altezza minima di cui al comma 1, è consentito, nell'ambito dell'intervento richiesto, effettuare la rimozione di eventuali controsoffittature esistenti, l'abbassamento della quota di calpestio del pavimento o l'innalzamento del solaio sovrastante, a condizione che tali opere edilizie non comportino modifiche delle altezze esterne del fabbricato esistente e siano realizzate nel rispetto e nell'ambito della sagoma delle costruzioni interessate. L'altezza interna dei vani e locali oggetto di recupero è misurata da pavimento a soffitto senza tenere conto dell'intradosso di travi e sporgenze similari. È considerata regolare ed utile l'altezza finita ricompresa nella tolleranza di cantiere come definita dall'articolo 34, comma 2-ter, del d.p.r. 380/2001. 3. Tutti gli interventi di recupero devono rispettare le norme antisismiche, di sicurezza e antincendio vigenti, nonché quelle relative all'efficienza energetica, alla tutela dell'ambiente e dell'ecosistema […]".
4.2. L'esame congiunto delle citate disposizioni della legge regionale rende evidente che esse, dettate nell'esercizio della potestà legislativa concorrente in materia di governo del territorio, si limitano ad incentivare il recupero dei vani seminterrati ed accessori nel rispetto della normativa ambientale e dei princìpi fondamentali della disciplina urbanistica ed edilizia nazionale, dettando minute prescrizioni edilizie (quali l'altezza minima dei locali seminterrati e le modalità della sua misurazione).
Esse, dato il loro contenuto concreto, non incidono sulla pianificazione territoriale o sulla localizzazione degli interventi affidati ai piani urbanistici comunali e, se fossero state introdotte in via amministrativa (mediante modifica dei regolamenti edilizi), non avrebbero richiesto la verifica di assoggettabilità a VAS, perché non incidenti sulla "pianificazione territoriale o destinazione dei suoli" (art. 6, comma 2, del codice dell'ambiente) e perché all'evidenza insuscettibili di produrre "impatti significativi sull'ambiente" (art. 6, comma 3, del codice dell'ambiente).
In definitiva, la legge regionale non può essere tacciata di avere determinato una "elusione" dell'obbligo di verifica di assoggettabilità a VAS, mediante l'attrazione alla sfera legislativa della modifica di strumenti amministrativi di pianificazione suscettibili di incidere sull'ambiente.
5. La questione di costituzionalità dell'art. 4, comma 4, per violazione dell'art. 117, secondo comma, lett. s), Cost., in relazione all'art. 65, comma 4, del codice dell'ambiente, è egualmente non fondata.
6. Anche in questo caso è corretto l'inquadramento delle norme statali sul piano di bacino nella materia della tutela dell'ambiente, con conseguente loro idoneità a fungere da parametro interposto, ovvero da standard minimo o punto di equilibrio non derogabile dal legislatore regionale (sentenze n. 254 e n. 168 del 2010, n. 254 e n. 232 del 2009).
Come correttamente eccepito dalla regione Abruzzo, tuttavia, la norma censurata non pone alcuna deroga alle previsioni del piano di bacino che, proprio in forza del parametro interposto invocato, si impongono a tutte le amministrazioni e ai privati, a prescindere dal loro recepimento in altre fonti legislative o regolamentari (argumenta ex sentenze n. 46 del 2014 e n. 251 del 2013 con riferimento alla VAS, e sentenza n. 168 del 2010 con riferimento alla VIA).
È del resto la stessa legge regionale ad affermare espressamente che "Restano comunque ferme le prescrizioni in materia poste da norme ambientali o paesaggistiche nazionali e regionale" (art. 3, comma 2) e che tutti gli interventi di recupero da essa disciplinati "devono rispettare le norme antisismiche, di sicurezza e antincendio vigenti, nonché quelle relative all'efficienza energetica, alla tutela dell'ambiente e dell'ecosistema" (art. 4, comma 3, richiamato dalla stessa disposizione impugnata).
7. Secondo il ricorrente l'art. 4, comma 4, violerebbe anche l'art. 117, terzo comma, Cost., perché si porrebbe in contrasto con più principi fondamentali in materia di governo del territorio, ed in particolare: a) con l'art. 2, comma 4, del testo unico dell'edilizia che assegna ai comuni la disciplina dell'attività edilizia; b) con gli artt. 4 e 7 della legge urbanistica che attribuiscono ai comuni la potestà pianificatoria urbanistica; c) con l'art. 9 del TUE che individua l'attività edilizia realizzabile in assenza degli strumenti urbanistici.
8. Anche tali questioni non sono fondate.
9. L'art. 2, comma 4, del testo unico dell'edilizia, se riconosce ai comuni la facoltà di disciplinare l'attività edilizia, non configura (né potrebbe) in capo agli stessi una riserva esclusiva di regolamentazione in grado di spogliare il legislatore statale e quello regionale del legittimo esercizio delle loro concorrenti competenze legislative in materia di governo del territorio, competenze non a caso richiamate dallo stesso art. 2 TUE.
9.1. Neanche sussiste la dedotta violazione del principio fondamentale di attribuzione ai comuni della funzione di pianificazione urbanistica del territorio, poiché, come si è già detto, la disposizione censurata consente esclusivamente deroghe minute alla disciplina edilizia comunale, dettate nell'esercizio della ricordata competenza legislativa concorrente in materia di governo del territorio.
Questa Corte, del resto, ha già escluso che il "sistema della pianificazione" assurga a principio così assoluto e stringente da impedire alla legge regionale - che è fonte normativa primaria sovraordinata rispetto agli strumenti urbanistici locali - di prevedere interventi in deroga a tali strumenti (sentenza n. 46 del 2014, ove peraltro la disciplina regionale, a differenza di quella oggi scrutinata, consentiva incrementi volumetrici).
9.2. Non è neanche fondata la censura di violazione del principio fondamentale stabilito dall'art. 9 del TUE (sentenze n. 68 del 2018 e n. 84 del 2017), che individua l'attività edilizia realizzabile in assenza degli strumenti urbanistici.
Gli interventi di recupero consentiti dalla disposizione censurata sono infatti in linea con quelli previsti dall'invocato parametro interposto.
Si è già visto che essi non implicano consumo di suolo mediante l'esercizio di attività di nuova edificazione ma solo il recupero di locali accessori e vani seminterrati già presenti nel tessuto edilizio, con esclusione di opere che comportino modifiche delle altezze esterne del fabbricato esistente e della sagoma delle costruzioni (art. 4, comma 2, della legge reg. Abruzzo n. 40 del 2017).
Anche l'eventuale mutamento di destinazione d'uso del locale è possibile "solo all'interno della medesima categoria funzionale tra quelle di cui al comma l dell'articolo 23-ter del Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia)" (art. 2, comma 1, della legge reg. Abruzzo n. 40 del 2017).
Gli interventi di recupero consentiti dalla legge regionale non eccedono, quindi, quelli previsti dall'art. 9 del TUE, che, nelle zone sprovviste degli strumenti urbanistici, ammette, tra gli altri, gli interventi di manutenzione straordinaria (tra cui le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino modifiche delle destinazioni di uso) e quelli di restauro e risanamento conservativo (ossia quelli rivolti a conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'organismo stesso, ne consentano anche il mutamento di destinazione d'uso purché con tali elementi compatibili).
10. La questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, comma 2, della legge reg. Abruzzo n. 40 del 2017 per violazione dell'art. 117, secondo comma, lett. s), Cost. è fondata.
La norma impugnata esclude l'operatività della disciplina regionale per gli interventi di recupero ricadenti nelle "aree soggette a vincoli di inedificabilità assoluta dagli atti di pianificazione territoriale ovvero nelle aree ad elevato rischio geologico o idrogeologico".
Essa è impugnata solo in relazione all'art. 65, comma 4, del codice dell'ambiente e in quanto consente gli interventi di recupero nelle aree assoggettate dai piani di bacino (che sono una species degli atti di pianificazione territoriale) a vincoli diversi dall'inedificabilità assoluta o qualificate a rischio geologico o idrogeologico diverso da quello elevato.
La disposizione censurata si pone in tal modo in contrasto con il parametro interposto invocato dal ricorrente, sicché non possono operare le ricordate clausole di salvaguardia previste dalla legge regionale.
L'art. 5, comma 2, della legge della regione Abruzzo n. 40 del 2017, pertanto, deve essere dichiarato incostituzionale nella parte in cui, dopo la parola "idrogeologico", non prevede le parole "e, in ogni caso, ove in contrasto con le previsioni dei piani di bacino".
11. Fondata è anche l'ultima questione di legittimità costituzionale dell'art. 7 della legge reg. Abruzzo n. 40 del 2017, per violazione dell'art. 117, secondo comma, lett. s), in relazione all'art. 22, commi 1, lett. d), e 6, della legge n. 394 del 1991.
Il primo dei parametri interposti invocato dal ricorrente stabilisce che è principio fondamentale per la disciplina delle aree naturali protette regionali l'adozione di regolamenti secondo criteri stabiliti con legge regionale in conformità ai principi di cui all'art. 11 della medesima legge quadro.
La giurisprudenza costante di questa Corte ha "posto in evidenza come lo standard minimo uniforme di tutela nazionale si estrinsechi nella predisposizione da parte degli enti gestori delle aree protette "di strumenti programmatici e gestionali per la valutazione di rispondenza delle attività svolte nei parchi alle esigenze di protezione" dell'ambiente e dell'ecosistema (sentenza n. 171 del 2012; nello stesso senso, le sentenze n. 74 del 2017, n. 263 e n. 44 del 2011, n. 387 del 2008). Sono dunque il regolamento (art. 11) e il piano per il parco (art. 12), nonché le misure di salvaguardia adottate nelle more dell'istituzione dell'area protetta (artt. 6 e 8), gli strumenti attraverso i quali tale valutazione di rispondenza deve essere compiuta a tutela dell'ambiente e dell'ecosistema; allo stesso tempo l'art. 29 − inserito tra le disposizioni finali, valevole per tutte le species di area protetta − attribuisce all'organismo di gestione il compito di assicurare il rispetto del regolamento e del piano" (sentenza n. 121 del 2018).
E tanto vale sia per i regolamenti e i piani delle aree protette nazionali sia per quelli delle aree protette regionali (ex multis, sentenze n. 121 del 2018, n. 74 e n. 36 del 2017, n. 212 del 2014, n. 171 del 2012, n. 325, n. 70 e n. 44 del 2011).
Il secondo parametro interposto invocato dal ricorrente prevede che "Nei parchi naturali regionali e nelle riserve naturali regionali l'attività venatoria è vietata, salvo eventuali prelievi faunistici ed abbattimenti selettivi necessari per ricomporre squilibri ecologici. Detti prelievi ed abbattimenti devono avvenire in conformità al regolamento del parco o, qualora non esista, alle direttive regionali per iniziativa e sotto la diretta responsabilità e sorveglianza dell'organismo di gestione del parco e devono essere attuati dal personale da esso dipendente o da persone da esso autorizzate".
La norma censurata dal ricorrente, attribuendo al piano marittimo regionale o a quello comunale di recepimento, in relazione alle aree della riserva naturale "Pineta dannunziana" che ricadono al suo interno, valore sovraordinato a qualsiasi altra fonte regolamentare o legislativa, viola entrambi i parametri invocati, perché consente a tali piani sia di spogliare il regolamento dell'area naturale protetta della sua funzione regolatoria esclusiva (sentenze n. 121 del 2018, n. 74 del 2017, n. 171 del 2012 e n. 315 del 2010) sia di derogare al divieto di caccia posto dalla legge quadro (sentenze n. 74 del 2017, n. 263 e n. 44 del 2011, n. 315 e n. 193 del 2010).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 5, comma 2, della legge della regione Abruzzo 1° agosto 2017, n. 40 (Disposizioni per il recupero del patrimonio edilizio esistente. Destinazioni d'uso e contenimento dell'uso del suolo, modifiche alla legge regionale n. 96/2000 ed ulteriori disposizioni), nella parte in cui, dopo la parola "idrogeologico", non prevede le parole "e, in ogni caso, ove in contrasto con le previsioni dei piani di bacino";
2) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 7 della legge reg. Abruzzo n. 40 del 2017;
3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 4, comma 4, della legge reg. Abruzzo n. 40 del 2017, promosse, in riferimento all'art. 117, secondo comma, lett. s), e terzo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.