Cultura e Europa
Finanziamento della cultura e regole di concorrenza. Nuove prospettive dal ripensamento della Commissione europea
Sommario: 1. Il finanziamento della cultura come aiuto di Stato. - 2. Le interpretazioni della Commissione. - 3. Il nuovo approccio. - 4. Come distinguere tra aiuto e non aiuto. - 5. L'importanza di linee guida.
Funding of culture and competition. A new setting of the Commission opens up new perspectives
Commission regulation No 651/2014 treats as State aid public funding of
museums, archives, libraries, artistic and cultural centres or spaces,
theatres, opera houses, concert halls, archaeological sites, monuments,
historical sites and buildings, intangible heritage in any form, art or
cultural events and performances, cultural and artistic education activities
and so on. However, it admit that a number of measures taken by member States
may not constitute State aid because the activity is not economic or because
trade between member States is not affected. Nevertheless, the Commission
always stated that there is economic activity whenever the payment of a ticket
is required. Recently this position has changed, having the Commission
recognised the fact that visitors of a cultural institution or participants in
a cultural activity are required to pay a monetary contribution that only
covers a fraction of the true costs does not alter the non-economic nature of
that activity.
Keywords: Culture; Competition; State Aid; EU.
1. Il finanziamento della cultura come aiuto di Stato
L'art. 107, par. 1 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea stabilisce che gli aiuti di Stato - intendendosi con questa accezione gli interventi pubblici a favore delle imprese che possono avere l'effetto di falsare la concorrenza e gli scambi tra Stati membri - sono incompatibili con il mercato interno e dunque, in principio, vietati. Questo divieto di carattere generale è attenuato dalle deroghe previste dal secondo e dal terzo comma dello stesso articolo, che individuano, rispettivamente, alcune situazioni specifiche al verificarsi delle quali un aiuto è compatibile (ad esempio, una calamità naturale) ed alcuni principi in base ai quali la Commissione - unico soggetto abilitato a farlo - può dichiarare la compatibilità del sostegno pubblico alle attività economiche. Sulla base di tali principi, sono state elaborate regole, variabili nel tempo, che definiscono le condizioni nel cui rispetto un aiuto di Stato è o può essere considerato compatibile. L'insieme di queste regole costituisce la cosiddetta disciplina degli aiuti di Stato.
Se fino a quindici anni fa la valutazione di compatibilità di un aiuto veniva effettuata caso per caso, a seguito della notifica dello Stato membro interessato, negli anni più recenti la Commissione ha adottato una serie di regolamenti che dichiarano la compatibilità di numerose categorie di aiuti, esentando le amministrazioni nazionali dall'obbligo di notifica preventiva; regolamenti che oggi coprono la stragrande maggioranza delle situazioni che possono configurare un aiuto di Stato.
Come si è già ampiamente argomentato in queste pagine [1], la Commissione ha voluto disciplinare il finanziamento pubblico delle infrastrutture e delle attività culturali nell'ambito del regolamento di esenzione n. 651/2014 [2], stabilendo le condizioni di compatibilità degli aiuti di Stato in questo settore. Nel fare ciò, se da un lato ha autorizzato in ogni circostanza la copertura del funding gap, consentendo il finanziamento integrale delle infrastrutture e delle attività culturali, dall'altro, preliminarmente, ha decretato l'applicabilità delle regole della concorrenza ad un settore nel quale, fino a quel momento, esse trovavano applicazione solo in relazione ad alcune situazioni specifiche (come, ad esempio, nel settore degli audiovisivi).
La principale conseguenza di questa novità è costituita dal forte appesantimento burocratico conseguente alla qualificazione di un intervento pubblico come aiuto di Stato; ma prima ancora dall'esigenza di verificare, caso per caso, senza l'ausilio di parametri oggettivi, se un determinato finanziamento rientri o meno nella categoria degli aiuti di Stato.
Le disposizioni rilevanti in materia sono l'art. 53 ed il considerando 72 del regolamento 651. Il primo, che stabilisce le condizioni di compatibilità degli aiuti alla cultura, riporta un elenco di beni ed attività che copre l'intero settore, spaziando dalle infrastrutture agli eventi (dai musei ai teatri, dagli archivi alle biblioteche, dalle cineteche alle istituzioni culturali e artistiche, dal patrimonio immateriale al folclore tradizionale, dagli spettacoli alle mostre, ecc.): tutto è potenzialmente aiuto di Stato. Il considerando 72 riconosce peraltro che "nel settore della cultura e della conservazione del patrimonio, determinate misure ... possono non costituire aiuti di Stato in quanto non soddisfano tutti i criteri di cui all'articolo 107, paragrafo 1 del trattato, per esempio perché l'attività svolta non è economica o non incide sugli scambi tra Stati membri".
2. Le interpretazioni della Commissione
Abbiamo decisamente contestato (non solo da queste pagine [3]) questa impostazione; lo ha fatto la Conferenza delle regioni e delle province autonome ed anche - seppure, a nostro avviso, tardivamente - il ministero dei Beni e delle Attività culturali. Lo abbiamo fatto convinti che non sussistano, nel caso della cultura (ad eccezione di alcuni limitati casi), le condizioni perché il suo finanziamento costituisca aiuto di Stato. Non riteniamo infatti che la realizzazione o la gestione di un museo, di un sito archeologico, di un monumento costituisca attività economica, ancorché per la loro fruizione possa essere previsto il pagamento di un biglietto d'ingresso. E le stesse considerazioni si possono fare per la maggior parte delle attività culturali: dalle mostre allo spettacolo dal vivo, alle manifestazioni a carattere culturale in genere.
In un documento relativo alla possibile presenza di aiuti di Stato nei progetti infrastrutturali cofinanziati dai Fondi strutturali europei [4], la Commissione afferma che qualora lo Stato finanzi la realizzazione di infrastrutture culturali non attenendosi al principio dell'investitore privato (laddove, cioè, alle stesse condizioni il privato [5] non lo farebbe), si possa essere in presenza di aiuti di Stato. Essa ritiene, in sostanza, che le attività culturali, ivi comprese quelle relative alla realizzazione e gestione delle cosiddette infrastrutture culturali, siano attività d'impresa e come tali siano soggette all'applicazione delle norme in materia di concorrenza.
Dissentiamo totalmente. Non vogliamo tornare su argomenti ripetutamente trattati; ci limitiamo a ricordare che la tutela e la conservazione del patrimonio e lo sviluppo della cultura, in funzione della loro fruizione da parte di tutti è un dovere per gli amministratori ed un diritto per gli individui, garantito dalla stessa Costituzione. La Corte penale internazionale dell'Aja ha incriminato il presunto responsabile della distruzione del mausoleo di Timbuctu, essendo questo considerato patrimonio culturale dell'umanità; e analoga iniziativa è sollecitata per la distruzione delle statue di Bamiyan in Afghanistan e della città siriana di Palmira, considerati appunto crimini contro l'umanità. Non si porrà certo un problema del genere per una fabbrica di scarpe o per un'impresa di servizi.
Manca dunque uno degli elementi fondamentali perché si realizzi la fattispecie dell'aiuto di Stato: il vantaggio per delle imprese. Ma è del tutto discutibile anche l'affermazione che gli operatori del settore agiscono in concorrenza fra loro e che dunque il finanziamento pubblico possa appunto falsare la concorrenza e, più ancora, possa incidere sugli scambi tra Stati membri. La concorrenza si ha fra beni fungibili, mentre le opere d'arte sono ciascuna un unicum. Ma non vogliamo spendere altre parole su questo punto.
Si potrà dire che lo stesso regolamento 651/2014 offre la via d'uscita. L'art. 53 disciplina l'intervento pubblico qualora questo realizzi la fattispecie dell'aiuto di Stato; e non c'è dubbio che in alcune situazioni ciò possa verificarsi, anche in ambiti diversi dall'audiovisivo, settore regolamentato diversamente. Ma quella disposizione non troverà applicazione quando il finanziamento di un'infrastruttura o di un'attività culturale aiuto di Stato non sia. E per stabilire il confine soccorre il considerando 72 che - come abbiamo visto - riconosce la non applicabilità delle regole di concorrenza quando l'attività sovvenzionata non è attività economica o il finanziamento non incide sugli scambi. Se dunque si ritenesse - o ogniqualvolta si ritenga - che la gestione di un museo o la realizzazione di un evento non costituisca attività economica o che il loro finanziamento non influisca sulla concorrenza a livello transnazionale, l'art. 53 non sarebbe applicabile.
Il ragionamento, in astratto, non fa una grinza. La formulazione delle norme, la prassi pur limitata della Commissione e le interpretazioni fornite dai suoi agenti in occasioni ufficiali hanno tuttavia consigliato una certa prudenza. Va innanzi tutto sottolineato il fatto che l'art. 53 prende in considerazione anche infrastrutture ed attività (come gli archivi, l'educazione culturale e artistica, il folclore tradizionale) che solo un approccio "integralista" può considerare economiche; ma così si esprime la norma. In secondo luogo, le poche decisioni che la Commissione ha adottato a seguito di improvvide notifiche di alcuni Stati membri, riferite peraltro ad infrastrutture di portata assolutamente locale, si sono concluse con una valutazione di compatibilità (e proprio in considerazione del loro carattere locale), non di assenza di aiuti di Stato. Infine, in diverse occasioni, agenti della Commissione hanno insistito sul fatto che solo l'assoluta gratuità della fruizione di un bene culturale (nel senso che gli interi costi sono a carico del bilancio pubblico) esclude che il suo finanziamento costituisca aiuto di Stato.
Sulla base di queste considerazioni, si è ritenuta percorribile più che l'ipotesi dell'assenza di attività economica, quella della mancata distorsione degli scambi tra Stati membri. E in quest'ottica, anche in queste pagine [6], abbiamo cercato di individuare parametri, non solo quantitativi, idonei a stabilire un confine fra l'aiuto e il non aiuto.
Ricordiamo che la distinzione tra le due situazioni non è solo una questione di principio, ma risponde ad un'esigenza concreta: il fatto che il finanziamento dei beni e delle attività culturali sia qualificato aiuto di Stato comporta che siano rispettate regole e siano seguite procedure del tutto inutili sotto il profilo della corretta gestione del denaro pubblico, ma costose per le amministrazioni che se ne devono assumere l'onere. Non è sufficiente che la Commissione, nel funambolico - ed ipocrita - tentativo di conciliare un'assurda impostazione di principio con la realtà dei fatti, abbia consentito la copertura del deficit di finanziamento, cioè degli interi costi [7]; il fatto che si tratti di aiuto di Stato, seppure compatibile, obbliga ad adempimenti che, soprattutto per le piccole amministrazioni, costituiscono un onere tutt'altro che irrilevante e del tutto ingiustificato.
Gli argomenti qui richiamati sommariamente sono stati oggetto, come si è detto, di prese di posizione della Conferenza delle regioni e del ministero e sono stati esposti dal ministro al nuovo commissario alla Concorrenza, che ha mostrato maggiore sensibilità e realismo del suo predecessore. Le norme che abbiamo citato non sono state modificate - né si poteva immaginare che lo fossero - ma sono stati inseriti alcuni chiarimenti, nel senso auspicato, nella comunicazione della Commissione sulla nozione di aiuto di Stato [8], da tempo in gestazione, ma adottata solo nel giugno scorso, con significative integrazioni che lasciano sperare in un approccio più realistico alla politica di concorrenza [9]. Tali chiarimenti costituiscono un supporto importante all'interpretazione di quelle norme [10].
Venendo al merito, dopo aver sottolineato il ruolo della cultura come "veicolo di identità, valori e contenuti che rispecchiano e modellano le società dell'Unione" ed aver ricordato che talune attività del settore "possono essere organizzate in modo non commerciale", il documento riconosce, più in generale, che "il finanziamento pubblico di attività legate alla cultura e alla conservazione del patrimonio accessibili al pubblico gratuitamente risponda a un interesse esclusivamente sociale e culturale che non riveste carattere economico" ed aggiunge che "il fatto che i visitatori di un'istituzione culturale o i partecipanti a un'attività culturale o di conservazione del patrimonio ... accessibile al pubblico siano tenuti a versare un contributo in denaro che copra solo una frazione del costo effettivo non modifica il carattere non economico di tale attività, in quanto tale contributo non può essere considerato un'autentica remunerazione del servizio prestato".
È quanto abbiamo sempre sostenuto. E, del resto, si tratta di un'impostazione non dissimile da quella costantemente seguita dalla stessa Commissione per quanto riguarda settori come la sanità o l'istruzione pubblica, per i quali essa ha sempre riconosciuto che il fatto che venga chiesto agli utenti un contributo non commisurato ai costi del servizio prestato dallo Stato in applicazione del principio di solidarietà, non modifica il carattere non economico dell'attività.
Al contrario, secondo la Commissione devono essere considerate di carattere economico "le attività culturali e di conservazione del patrimonio ... prevalentemente finanziate dai contributi dei visitatori o degli utenti o attraverso altri mezzi commerciali (ad esempio esposizioni commerciali, cinema, spettacoli musicali e festival a carattere commerciale, ...)".
Il principio è di per sé condivisibile; salvo la difficoltà di tradurre in termini concreti il concetto indefinito di prevalenza. Ma, soprattutto, riteniamo si debba distinguere tra una situazione in cui è prioritario l'intento commerciale (come è generalmente nei casi elencati nella parentesi precedente) e quella in cui, pur riuscendo - saltuariamente o anche sistematicamente - a coprire i costi dell'attività con "mezzi commerciali", la finalità principale è quella "istituzionale".
Ci riferiamo alle sponsorizzazioni, su cui sempre più si conta per coprire i costi di conservazione e di gestione dei beni culturali, o alla messa a disposizione delle infrastrutture culturali per eventi privati (un matrimonio) o a carattere commerciale (una sfilata di moda, la presentazione di un nuovo modello di automobile). Se anche si riuscisse, grazie ad operazioni di questo tipo a coprire gli interi costi di un evento o di riqualificazione di un bene culturale, o se un determinato sito venisse "adottato" da soggetti privati (un gruppo industriale, un'associazione) che ne coprissero i costi di gestione, ciò non modificherebbe - a nostro avviso - la natura non economica dell'attività.
In sostanza, non è tanto alla modalità di finanziamento che si deve avere riguardo per stabilire la prevalenza, quanto alla finalità stessa dell'attività che deve rispondere "a un interesse esclusivamente sociale e culturale": se questa è la finalità predominante, poco importa come viene finanziata. Una sponsorizzazione, i proventi della locazione di spazi, la concessione dell'uso dell'immagine non sono altro che modalità attraverso le quali lo Stato assicura la copertura dei costi a suo carico.
4. Come distinguere tra aiuto e non aiuto
La nuova impostazione della Commissione consente di escludere, nel nostro paese, la presenza di aiuti di Stato nel finanziamento della maggior parte delle attività culturali elencate dall'art. 53 del regolamento 651/2014. Lo si può escludere nel caso di musei, monumenti, siti archeologici di proprietà pubblica; ma generalmente anche delle infrastrutture dello stesso tipo di proprietà privata: si pensi alle chiese, o alle raccolte d'arte che fanno capo alle diocesi. È vero che si tratta di beni la cui gestione non è a carico del bilancio pubblico e che le entrate da biglietteria o dalla vendita di gadget possono far pensare ad una finalità economica, ma si tratta pur sempre di beni che fanno parte del patrimonio comune, che per questa ragione vengono messi a disposizione di tutti; e nella maggior parte dei casi ciò può avvenire grazie all'impiego di personale volontario.
Non è aiuto di Stato - lo dice espressamente la Commissione - il finanziamento di archivi (che contengono documenti unici) e biblioteche pubbliche. Ma non si vede perché la stessa considerazione non si possa fare per analoghe strutture private: se vengono aperte al pubblico è in considerazione dell'interesse generale che esse possono rivestire, senza alcun intento commerciale; e proprio per l'assenza di prospettive di tipo commerciale, è solo il finanziamento pubblico che ne può consentire una fruizione allargata.
Allo stesso modo, non è aiuto di Stato il finanziamento di eventi artistici o culturali, spettacoli, festival, mostre e altre attività analoghe che non abbiano un intento commerciale, ma rientrino nell'offerta di servizi che la pubblica autorità propone ai cittadini ed a tutte le persone che si trovano nel territorio di propria competenza, anche se provenienti da altri paesi.
In definitiva, le attività il cui finanziamento può comportare la presenza di aiuti di Stato sono quelle esemplificate dalla Commissione nel documento citato: esposizioni commerciali, cinema, spettacoli musicali e festival a carattere commerciale; e, per quanto riguarda le infrastrutture, certi spazi che vengono finanziati prevalentemente con gli incassi da eventi a carattere squisitamente o prevalentemente commerciale. Ma, se un determinato ente svolge attività culturali, di cui alcune a carattere non economico e altre a carattere economico, potrà essere aiuto di Stato solo il finanziamento delle seconde.
Il fatto che un'attività culturale abbia carattere economico non determina necessariamente, peraltro, la presenza di aiuti di Stato. Perché ciò avvenga, occorre inoltre che il finanziamento pubblico possa incidere sugli scambi tra Stati membri. E la Commissione precisa che "l'incidenza sugli scambi...non può...essere semplicemente ipotizzata o presunta, ma devono essere accertate, in base agli effetti prevedibili, le ragioni per cui la misura...è idonea a incidere sugli scambi tra Stati membri" [11]; e ciò accade quando la manifestazione o l'infrastruttura culturale può sottrarre utenti o visitatori a offerte analoghe in altri paesi dell'Unione. Non è dunque sufficiente che vengano attirati utenti da altri Stati membri, ma che questi vengano sottratti ad iniziative analoghe offerte in quei paesi, che siano realmente alternative ad esse, nel senso che le une possano sostituire le altre nella scelta dell'utente.
Questa precisazione è importante per stabilire se un'iniziativa abbia o meno carattere locale: se, cioè, il suo finanziamento incida sugli scambi. È opinione diffusa, ad esempio, che un'attività proposta in prossimità dei confini abbia sempre il carattere della transnazionalità; il rischio che ciò avvenga è certamente maggiore rispetto ad un'analoga iniziativa che si svolga altrove, ma non sempre è così. Si pensi al caso del servizio di taxi: le caratteristiche del servizio sono tali per cui non c'è alternativa alla proposta locale e la concorrenza è limitata - per la natura stessa dell'attività - agli operatori del luogo.
Nel caso delle attività culturali, il fatto che il teatro di Trieste venga frequentato anche da utenti sloveni non significa necessariamente che venga meno il carattere di prossimità dell'offerta teatrale. Il bacino di utenza di quella infrastruttura resta "locale", nel senso che i frequentatori del teatro provengono dal territorio circostante (esattamente come avviene per qualsiasi realtà analoga), anche se questo si estende oltre il confine: chi risiede a Capodistria si trova nel bacino di utenza di Trieste, non in quello di Lubiana.
Solo nel caso in cui un'iniziativa abbia un respiro transnazionale, nel senso che sia in grado, per le caratteristiche dell'offerta culturale ed a prescindere dalla sua ubicazione, di attrarre utenti da grandi distanze (un esempio potrebbero essere gli spettacoli che si svolgono all'Arena di Verona), si potranno porre problemi di aiuti di Stato.
5. L'importanza di linee guida
Le recenti precisazioni della Commissione consentono dunque di restringere drasticamente l'ambito di applicazione delle regole della concorrenza nel settore della cultura. Ciò tuttavia non esclude che, in circostanze certamente più limitate, ma comunque esistenti, il finanziamento pubblico debba sottostare ai vincoli stabiliti dal regolamento 651/2014. L'individuazione dei casi in cui si verifica questa circostanza spetta ad ogni amministrazione, che dovrà stabilire di volta in volta se una determinata iniziativa sia qualificabile attività economica e, in caso affermativo, se il suo finanziamento possa influire sugli scambi internazionali.
Quando la possibilità di escludere la presenza di aiuti di Stato dipendeva essenzialmente dall'interpretazione del considerando 72 (in quanto l'elenco riportato dall'art. 53 comprendeva qualsiasi iniziativa in campo culturale), avevamo cercato di individuare criteri il più possibile oggettivi che consentissero di stabilire se il finanziamento di una determinata infrastruttura o attività costituisse aiuto di Stato [12]. Quei criteri - peraltro mai formalmente validati dalla Commissione - sono in buona parte superati: essi, non potendosi escludere, in generale, la natura economica dell'attività, erano infatti incentrati sull'aspetto della distorsione degli scambi; aspetto ora secondario, nel senso che potrà essere utilizzato in via residuale, nei casi - ormai potremmo dire marginali - in cui non si abbia la certezza del carattere non economico dell'iniziativa oggetto di finanziamento.
Si potrebbe pensare che il problema sia, a questo punto, di scarso rilievo. Infatti, da un lato si può escludere a priori la presenza di attività economica nel caso delle infrastrutture e di gran parte delle attività culturali (molte delle quali, peraltro, a carattere "locale"), riducendosi così drasticamente i casi per i quali è richiesta una valutazione; dall'altro, qualora si dovesse propendere per l'assenza di aiuti di Stato in situazioni che a posteriori venissero giudicate diversamente, l'errore verrebbe di fatto "sanato" dalla successiva valutazione di compatibilità cui inevitabilmente giungerebbe la Commissione.
Per giurisprudenza della Corte recepita dal regolamento di procedura, nei casi di aiuto "illegale" (concesso, cioè, senza che si siano seguite le procedure previste) l'Esecutivo europeo è comunque tenuto alla verifica di compatibilità, il cui esito favorevole escluderebbe ogni conseguenza [13]. E, nel caso della cultura, difficilmente un aiuto potrebbe risultare non compatibile, essendo consentita - come si è accennato - la copertura dell'intero deficit di finanziamento (oltre ad un "utile ragionevole").
Il problema tuttavia resta e non è solo di principio; le regole che stanno per diventare operative in Italia in materia di gestione degli aiuti comportano conseguenze assai pesanti in caso di errore di valutazione che venisse successivamente contestato non tanto dalla Commissione, quanto da qualsiasi organo di controllo interno.
Ai sensi dell'art. 14 della legge 115/2015 [14], che modifica l'art. 52 della legge 234/2012 [15], è stato istituito il "Registro nazionale degli aiuti di Stato" con lo scopo di raccogliere tutti gli aiuti, compresi quelli in regime "de minimis", che le amministrazioni concedono alle imprese. L'istituzione del Registro rappresenta inoltre uno degli impegni che l'Italia ha assunto nei confronti della Commissione europea nell'accordo sottoscritto il 3 giugno scorso dal sottosegretario Gozi e dalla Commissaria alla Concorrenza Vestager [16].
Orbene, dal 1° gennaio 2017, l'adempimento degli obblighi di interrogazione del Registro dovrebbe costituire [17] "condizione legale di efficacia dei provvedimenti che dispongono concessioni ed erogazioni degli aiuti". I provvedimenti di concessione ed erogazione dovranno indicare espressamente "l'avvenuto inserimento delle informazioni nel Registro e l'avvenuta interrogazione dello stesso". L'inadempimento di tali obblighi da parte delle amministrazioni e dei soggetti - anche privati - che concedono o gestiscono aiuti alle imprese "comporta la responsabilità patrimoniale del responsabile della concessione o dell'erogazione degli aiuti...rilevabile anche dall'impresa beneficiaria ai fini del risarcimento del danno".
In sostanza, se un'amministrazione ritenesse che un determinato finanziamento a favore di un'attività culturale non costituisca aiuto di Stato (e si comportasse di conseguenza, fra l'altro non registrando la misura) e venisse successivamente contestata questa valutazione, non solo l'aiuto risulterebbe "illegale" sotto il profilo del diritto europeo, ma soprattutto sarebbe "inefficace" dal punto di vista del diritto italiano. Ora, il primo problema verrebbe risolto, come si è detto, in quanto l'aiuto sarebbe verosimilmente compatibile; l'inefficacia avrebbe invece come effetto la revoca del finanziamento, oltre alle conseguenze previste dalla legge per quanto riguarda la responsabilità personale del responsabile del procedimento.
Ciò sarà fonte di grande imbarazzo per chi è chiamato a gestire gli interventi in campo culturale; ovvero potrà ricadere su ignari amministratori di piccole amministrazioni che potrebbero veder contestato il loro operato da censori prudenti o acriticamente diligenti. Si consideri che più di una volta la stessa Commissione, in occasione della notifica di aiuti a centri museali, ha concluso la procedura dichiarando che probabilmente non si trattava di aiuti di Stato, ma in ogni caso essi erano "compatibili": unico aspetto veramente rilevante sul piano delle regole europee.
In questo quadro di incertezza, occorre dunque un intervento chiarificatore che metta le amministrazioni e gli operatori culturali al riparo da conseguenze aberranti: si potrebbe infatti verificare che un finanziamento non qualificabile - e non qualificato - aiuto di Stato e comunque compatibile possa dover essere revocato successivamente a causa dell'inefficacia del provvedimento concessorio dovuta ad una valutazione diversa effettuata da un organo di controllo.
Il chiarimento dovrà avvenire ad opera di Linee guida ministeriali, condivise dalla Conferenza delle regioni e delle province Autonome, che propongano criteri di valutazione utili tanto alle amministrazioni concedenti che, soprattutto, agli organi di controllo. In pratica, ogni amministrazione sarà libera di effettuare le proprie valutazioni, avendo tuttavia la certezza che, se queste saranno conformi alle Linee guida, non potranno essere contestate.
Il ministero aveva già predisposto un documento simile prima che venisse adottata l'ultima comunicazione e lo aveva sottoposto alla Commissione, nel vano tentativo di ottenerne una validazione. La Commissaria ne ha preso atto, precisando tuttavia - e non poteva essere altrimenti - che quello restava un documento italiano, che lasciava in ogni caso libera la DG Concorrenza di effettuare le proprie valutazioni [18].
Le Linee guida di cui qui si parla non saranno rivolte alla Commissione, ma alle amministrazioni italiane e dovranno garantire che le scelte operate in linea con esse potranno essere contestate sul piano europeo, ma non lo saranno sotto il profilo dell'efficacia dei provvedimenti concessori. A questo fine dovrà essere previsto che anche nel caso - del tutto accademico - in cui la misura venisse giudicata dalla Commissione (e solo da essa) aiuto di Stato, il suo mancato inserimento nel Registro non costituisca causa di inefficacia del provvedimento. Resterebbero le eventuali conseguenze sul piano comunitario. Per evitare anche queste, sarebbe sufficiente assicurarsi che ogni sovvenzione pubblica sia contenuta nel deficit di finanziamento dell'attività sovvenzionata (si tratterebbe, dunque, di un aiuto comunque compatibile). Ciò potrà avvenire mediante semplici dichiarazioni rilasciate dal soggetto beneficiario dell'aiuto, nei termini già proposti [19], ai quali si rimanda.
Note
[1] Si veda: C.E. Baldi, Disciplina comunitaria degli aiuti di Stato e politica culturale europea. Le incoerenze di un sistema fortemente burocratizzato, in Aedon, 2014, 3; C.E. Baldi, Il finanziamento del patrimonio e delle attività culturali. Come evitare le insidie delle regole europee, in Aedon, 2015, 2.
[2] Il regolamento che disciplina la maggior parte degli aiuti di Stato, ad esclusione di quelli destinati specificamente all'attività agricola primaria o alle attività nel settore della pesca, dell'acquacoltura e della trasformazione di prodotti ittici.
[3] Oltre ai contributi già citati, si segnala: C.E. Baldi, Se questo è mercato. Gli aiuti di Stato in un'Europa tecnocratica, Napoli, 2014; C.E. Baldi, La disciplina comunitaria degli aiuti di Stato. Manuale critico ad uso delle amministrazioni e delle imprese, Rimini, 2016.
[4] Ares(2012)834142 - 01/08/2012.
[5] Intendendosi un operatore economico che agisce come investitore, non come mecenate.
[6] C.E. Baldi, Il finanziamento del patrimonio e delle attività culturali. Come evitare le insidie delle regole europee, cit.
[7] Si pensi, fra le altre cose, che un aiuto compatibile può essere concesso solo a condizione che il beneficiario non sia "in difficoltà" (il concetto è definito nello stesso regolamento 651/2014); ma, se si dovesse considerare attività d'impresa la gestione di un museo o la realizzazione di un'iniziativa culturale, ben poche attività del settore potrebbero beneficiare del finanziamento pubblico, assolutamente indispensabile per la loro sopravvivenza (situazione che, nel caso di un'impresa, determinerebbe evidentemente lo stato di difficoltà).
[8] Comunicazione della Commissione sulla nozione di aiuto di Stato di cui all'articolo 107, paragrafo 1, del trattato sul funzionamento dell'Unione europea (GUUE C 262 del 19.7.2016, pag. 1 ss.).
[9] Il ritardo con cui è stato adottato il documento, assieme ad alcune precisazioni significative inserite nel testo finale, è indicativo, a nostro avviso, della visione del nuovo commissario non totalmente in linea con quella del suo predecessore.
[10] Va sottolineato che nelle versioni precedenti del documento nessun accenno veniva fatto in specifico al settore della cultura; il fatto che nel testo definitivo sia stato inserito un ragionamento articolato relativo agli aiuti in campo culturale, che recepisce gran parte delle osservazioni italiane, gli attribuisce un valore interpretativo indiscutibile.
[11] Comunicazione della Commissione sulla nozione di aiuto di Stato di cui all'articolo 107, paragrafo 1, del trattato sul funzionamento dell'Unione europea, cit., punto 195.
[12] C.E. Baldi, Il finanziamento del patrimonio e delle attività culturali. Come evitare le insidie delle regole europee, cit.
[13] Potrebbero esserci conseguenze solo nel caso di azione promossa dinanzi al giudice nazionale da un "concorrente" che si sentisse leso nei suoi interessi: ipotesi del tutto improbabile nel caso della cultura.
[14] Legge 29 luglio 2015, n. 115 "Disposizioni per l'adeguamento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea" (G.U. n. 178 del 3.8.2015).
[15] Legge 24 dicembre 2012, n. 234, "Norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea" (G.U. n. 3 del 4.1.2013).
[16] Common understanding on strengthening the Institutional setup for State aid control in Italy.
[17] Il condizionale (per quanto riguarda la data) è d'obbligo, dovendo ancora essere emanati i provvedimenti di attuazione.
[18] Va peraltro detto che proprio quel documento ha convinto la Commissione a modificare il proprio orientamento.
[19] C.E. Baldi, Il finanziamento del patrimonio e delle attività culturali. Come evitare le insidie delle regole europee, cit.