Note su alcuni recenti interventi legislativi
Legge Madia e amministrazione del patrimonio culturale: una prima lettura [*]
Sommario: 1. Premessa. - 2. Conferenza di servizi. - 3. Silenzio assenso. - 4. Autotutela. - 5. Amministrazione periferica dello Stato.
Law 'Madia' and Cultural Heritage
The law no. 124/2015 (the so-called 'Madia' law) on administrative
reform concerns for some
aspects the administration of the cultural heritage. The paper discusses the novelties and prospects of the
reform.
Keywords: Administrative Reforms;
Cultural Heritage.
La legge 7 agosto 2015, n. 124 (d'ora in poi "legge Madia") fa riferimento in alcune disposizioni all'amministrazione (in senso soggettivo e oggettivo) del patrimonio culturale (comprensivo, com'è noto, dei beni culturali e di quelli paesaggistici [1]): si tratta dell'art. 2, comma 1, lett. g) e n), in tema di conferenza di servizi, e dell'art. 3 che ha introdotto nella legge 7 agosto 1990, n. 241, l'art. 17-bis (a venire in rilievo è il relativo comma 3), in tema di silenzio-assenso (procedimentale).
In realtà il novero dei collegamenti fra la legge e tale amministrazione risulta più esteso, dovendosi tener conto anche delle disposizioni a 'valenza ampia' o non specifica, ma tale da interessare le strutture o l'attività del Mibact.
Scopo di questo scritto è quello di fornire al riguardo una serie di 'schede di prima lettura', offrendo al contempo elementi per valutare le ricadute della legge sull'amministrazione del patrimonio culturale, da taluni osservatori denunciate con viva preoccupazione [2].
Per migliore comprensione di quanto si osserverà, va precisato che tali ricadute in alcuni casi hanno contorni già chiaramente delineati (i temi del silenzio assenso e dell'autotutela), in altri casi (i temi della conferenza di servizi e dell'organizzazione periferica dello Stato) è possibile solo indicare le linee guida che presiederanno alla loro puntuale definizione. Ciò è dovuto alla natura della legge Madia, che, seppur prevalentemente costituisce una legge di delega, talora reca immediate modifiche al quadro normativo.
A venire in rilievo è anzitutto la nuova disciplina della conferenza di servizi prevista dall'art. 2. Si tratta di un riordino non direttamente operativo, ma che utilizza lo schema della delegazione legislativa. Pertanto ad essere indicati dalla disposizione sono principi e criteri direttivi di orientamento per il Governo.
Interessano specificamente le strutture del Mibact le lettere g) e n) del comma 1. Nella prima si contempla come principio/criterio direttivo "la previsione che si consideri comunque acquisito l'assenso delle amministrazioni, ivi comprese quelle preposte alla tutela della salute, del patrimonio storico-artistico e dell'ambiente che, entro l termine dei lavori della conferenza, non si siano espresse nelle forme di legge", nella seconda quello della "definizione, nel rispetto dei princìpi di ragionevolezza, economicità e leale collaborazione, di meccanismi e termini per la valutazione tecnica e per la necessaria composizione degli interessi pubblici nei casi in cui la legge preveda la partecipazione al procedimento delle amministrazioni preposte alla tutela dell'ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico-artistico, della salute o della pubblica incolumità, in modo da pervenire in ogni caso alla conclusione del procedimento entro i termini previsti".
Con la prima disposizione viene riaffermata la regola, attualmente fissata dall'art. 14-ter, comma 7, della legge 241/1990, del silenzio assenso endoprocedimentale anche nel caso di amministrazioni preposte alla cura di interessi 'sensibili', mentre con la seconda si allude a meccanismi di superamento del dissenso manifestato da tali amministrazioni, oggi disciplinati dall'art. 14-quater, comma 3 (nel caso di dissenso espresso dalle altre amministrazioni la lett. l) sembra confermare il criterio delle posizioni prevalenti espresse stabilito dall'art. 14-ter, comma 6-bis).
Non novità al riguardo dunque. Si può solo notare che, in tema di silenzio assenso, la lett. g) menziona testualmente l'amministrazione preposta alla tutela del patrimonio storico-artistico, ma non quella addetta alla cura del paesaggio, invertendo quanto previsto attualmente dall'art. 14-ter, comma 7, che indica questa trascurando l'altra. Come però in altra occasione si è avuto modo di osservare a proposito della disposizione da ultimo richiamata [3], la non menzione appare non decisiva: la lettera g) pone la regola del silenzio-assenso in termini inequivocabilmente generali ("comunque acquisito l'assenso delle amministrazioni [...] che [...] non si siano espresse nelle forme di legge"), sicché il riferimento esplicito ad alcune amministrazioni come sottoposte alla medesima regola ("ivi comprese") ha carattere solo rafforzativo e non delimitativo.
Nuova è, viceversa, la possibilità attribuita alle amministrazioni coinvolte nella conferenza di "chiedere all'amministrazione procedente di assumere determinazioni in via di autotutela ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, purché abbiano partecipato alla conferenza di servizi o si siano espresse nei termini" (lett. m) del comma 1). Si tratta di una indicazione che corregge quella contenuta nel testo elaborato dalla Commissione Affari costituzionali del Senato (Atto S. n. 1577-A) - secondo la quale veniva assegnato a ciascuna amministrazione partecipante l'esercizio dei poteri di autotutela - e che contempera adeguatamente la soggezione della determinazione conclusiva della conferenza all'autotutela con la struttura della conferenza, conferendo la relativa responsabilità all'autorità procedente.
Ad essa sembra collegarsi, ribadendola, il disposto della successiva lett. n), secondo periodo: "previsione per le amministrazioni citate [preposte alla cura di interessi sensibili, fra le quali quelle addette alla tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico] della possibilità di attivare procedure di riesame".
Del pari nuova, e tale da interessare anche le strutture periferiche del Mibact, è l'indicazione per il legislatore delegato di "prevedere la partecipazione alla conferenza di un unico rappresentante delle amministrazioni statali, designato, per gli uffici periferici, dal dirigente dell'Ufficio territoriale dello Stato di cui all'articolo 8, comma 1, lettera e)" (comma 1, lett. e), n. 2). Ad essa si farà cenno in occasione dell'esame di tale disposizione.
L'art. 3 inserisce nella legge 241/1990 l'art. 17-bis, recante la disciplina del silenzio assenso tra amministrazioni pubbliche e tra amministrazioni pubbliche e gestori di beni o servizi pubblici: "Nei casi in cui è prevista l'acquisizione di assensi, concerti o nulla osta comunque denominati di amministrazioni pubbliche e di gestori di beni o servizi pubblici, per l'adozione di provvedimenti normativi e amministrativi di competenza di altre amministrazioni pubbliche, le amministrazioni o i gestori competenti comunicano il proprio assenso, concerto o nulla osta entro trenta giorni dal ricevimento dello schema di provvedimento, corredato della relativa documentazione, da parte dell'amministrazione procedente." (comma 1, primo periodo).
Si tratta di un silenzio assenso qualificabile come endoprocedimentale, perché, diversamente da quello dell'art. 20 (silenzio provvedimentale), esso non consiste in un fatto legalmente tipizzato dagli effetti equipollenti all'accoglimento di un'istanza avanzata da un privato e perciò di definizione dell'assetto degli interessi coinvolti, ma ha valenza all'interno di un procedimento [4]. Inoltre presenta carattere decisorio, perché, a differenza di quelli degli artt. 16 e 17 sempre della legge 241/1990 (e analogamente a quello disciplinato dall'art. 2, comma 1, lett. g), legge Madia), interviene nella fase decisoria del procedimento [5].
Nel caso in cui siano rappresentate esigenze istruttorie o richieste di modifiche è prevista, per una sola volta, l'interruzione del termine, che ricomincia a decorrere per ulteriori trenta giorni dalla ricezione degli elementi istruttori o dello schema di provvedimento (comma 2). Nell'ipotesi di mancato accordo viene affidato al Presidente del Consiglio dei ministri, previa delibera dello stesso Consiglio, il compito di "decide[re] sulle modifiche da apportare allo schema di provvedimento" (comma 2).
Dette previsioni valgono anche nei casi in cui è richiesta l'acquisizione di atti di assenso ecc. di amministrazioni "preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali e della salute dei cittadini", con l'unica variante rappresentata dalla durata del termine, che è elevata a novanta giorni, fatto salvo il diverso termine previsto da disposizioni di specie (comma 3) [6].
Infine si dispone che l'istituto del silenzio assenso non trovi applicazione quando norme UE richiedano l'adozione di provvedimenti espressi (comma 4).
Avverso la disciplina del silenzio assenso contenute nella legge Madia è stato avanzato il rilievo che l'istituto non potrebbe valere a proposito dei beni del patrimonio culturale, come confermerebbe una serie di leggi dalla legge 241/1990 fino alla legge 80/2005. L'esclusione deriverebbe dalla presenza dell'art. 9 Cost. e "dalla interpretazione che la Corte costituzionale ne ha dato in numerose sentenze, a cominciare dalla n. 151 del 1986: 'la primarietà del valore estetico-culturale', sancita dalla Costituzione non può in nessun caso essere 'subordinata ad altri valori, ivi compresi quelli economici'". Pertanto "l'eventuale silenzio di un pubblico ufficio non può mai e poi mai valere come assenso; semmai, qualsiasi temporanea alterazione della naturale gerarchia deve essere frutto di un'accurata meditazione e di un'esplicita formulazione, e non di un casuale silenzio" [7].
Al riguardo peraltro è possibile formulare talune osservazioni. L'istituto del silenzio assenso endoprocedimentale di tipo decisorio (in breve quello previsto dai richiamati artt. 2 e 3 della legge Madia) non rappresenta una novità in assoluto, neppure nel campo dell'amministrazione del patrimonio culturale. Come sopra ricordato, l'art. 2, comma 6, lett. g), ricalca nella sostanza l'attuale art. 14-ter, comma 7, della legge 241/1990, introdotto dall'art. 49, comma 2, lett. d), del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, conv. dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, che lo prevede nell'ambito della disciplina della conferenza di servizi anche con riguardo alle amministrazioni preposte alla cura di "interessi sensibili".
A sua volta il silenzio dell'art. 3 non ha un ambito applicativo fondamentalmente diverso da quello del silenzio assenso previsto nel quadro della conferenza di servizi decisoria, dal momento che anch'esso opera nei casi in cui è richiesta l'acquisizione di un atto di assenso da parte di un'amministrazione e questa non lo ottenga. Si tratta invero di presupposti in presenza dei quali l'art. 14, comma 2, della legge 241/1990 rende necessaria l'indizione di detta conferenza. Sicché, al momento, si determina un parziale 'assorbimento' dell'istituto conferenza di servizi della legge 241/1990 nel silenzio assenso della legge Madia e, in prospettiva, si pone per il legislatore delegato un problema di coordinamento dell'ambito di operatività fra i due istituti, problema del resto avvertito dalla stessa legge di delega all'art. 2, comma 1, lett. p).
Pertanto si può concludere che l'argomento della novità del silenzio assenso nell'amministrazione del patrimonio culturale non ha una reale consistenza.
Quanto poi alla posizione del giudice costituzionale, va rilevato anzitutto che non si rinvengono pronunce in cui il silenzio assenso sia stato valutato (e tanto meno dichiarato illegittimo) in rapporto all'art. 9 Cost. Le pronunce di incostituzionalità di norme contemplanti ipotesi di silenzio assenso nella giurisprudenza della Corte sono discese, invero, dalla violazione di principi che presiedono ai rapporti fra fonti statali e fonti regionali [8].
In secondo luogo, ad avviso sempre del giudice delle leggi, la "primarietà" di taluni valori costituzionali - è appunto il caso di quello "estetico-culturale" proprio del paesaggio [9], ma in generale del patrimonio culturale - "non legittima un primato assoluto in un'ipotetica scala gerarchica dei valori costituzionali" e non li sottrae alla fondamentale regola del bilanciamento e del contemperamento [10]. Il che - sia detto per inciso - legittima la scelta del legislatore, nella disciplina della conferenza di servizi e del silenzio assenso procedimentale, di non considerare preclusivo all'assunzione del provvedimento (o dell'atto normativo secondario) il dissenso manifestato da un'amministrazione preposta alla cura di 'interessi sensibili' (cfr. art. 2, comma 1, lett. n), e art. 3, comma 2, legge Madia e art. 14-quater, comma 3, legge 241/1990).
Nonostante queste precisazioni, però, i rilievi da cui si sono prese le mosse mantengono una consistenza di fondo, giacché la stessa giurisprudenza appena richiamata ha cura di precisare che la primarietà di taluni valori costituzionali (fra i quali certamente quelli inerenti la tutela del patrimonio culturale) "origina la necessità che essi debbano essere presi in considerazione nei concreti bilanciamenti operati dal legislatore ordinario e dalle pubbliche amministrazioni". Detto in altri termini, la predetta 'primarietà' "non può che implicare l'esigenza di una compiuta ed esplicita rappresentazione di tali interessi nei processi decisionali all'interno dei quali si esprime la discrezionalità delle scelte politiche o amministrative" [11].
Con il che la questione della legittimità del silenzio assenso endoprocedimentale di carattere decisorio resta aperta nei confronti di valori per così dire 'a valutazione necessaria', quali quelli inerenti il patrimonio culturale.
In questa occasione non è possibile il necessario approfondimento che la questione richiederebbe. Può solo richiamarsi quanto già sostenuto in tema di conferenza di servizi [12], ossia che la qualificazione operata dal legislatore in termini di silenzio assenso procedimentale dell'inerzia dell'amministrazione non abbia una piena equipollenza rispetto all'esplicita valutazione (dello schema di atto sottopostole) in termini positivi o di non contrarietà riguardo all'interesse curato, ma determini solo l'effetto di non precludere all'amministrazione procedente di assumere il provvedimento (o l'atto normativo). Il che comporta per detta amministrazione il vincolo a rappresentare e a ponderare, sia pure sulla base delle conoscenze a sua disposizione, anche l'interesse non rappresentato dall'amministrazione l'ha in carico (in ipotesi avvalendosi di valutazioni di altre strutture pubbliche idonee per tipo di interesse curato). E questo vincolo può ritenersi sufficiente a far superare al silenzio in esame il vaglio di costituzionalità in considerazione sia del comportamento dell'amministrazione silente non ispirato alla "leale collaborazione" cui essa sarebbe tenuta, sia del principio del buon andamento, che non tollera, come precisato dalla stessa Corte costituzionale, "situazioni paralizzanti" [13], sia infine della possibilità per l'amministrazione interessata di utilizzare o meglio (stante la previsione già considerata dell'art. 2, comma 1, lett. m), legge Madia) di proporre a quella procedente l'uso dei poteri di autotutela, allorché la lesione dell''interesse sensibile' sia risultata in concreto particolarmente significativa.
La legge Madia, all'art. 6, e prim'ancora il d.l. 12 settembre 2014, n. 133, conv. dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, che all'art. 25 ne ha anticipato taluni contenuti, hanno riguardato anche gli istituti di autotutela decisoria rappresentati dalla revoca e dall'annullamento d'ufficio.
Quanto alla revoca, due tradizionali presupposti sono stati modificati: il mutamento della situazione di fatto può costituire fondamento della misura a condizione che esso sia "non prevedibile al momento dell'adozione del provvedimento", mentre la nuova valutazione dell'interesse pubblico originario non è più invocabile nel caso di "provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici" (nuovo art. 21-quinquies, comma 1, legge 241/1990).
Quanto all'annullamento d'ufficio, le novità sono ancor più incisive. La misura, anzitutto, non è più ammessa nei casi previsti dall'art. 21-octies, comma 2, nei quali cioè è precluso l'annullamento da parte del giudice amministrativo. Vengono così 'allineati' i poteri dell'amministrazione e del giudice, e risulta rafforzata l'idea che in questi casi il legislatore abbia proceduto ad una dequotazione sostanziale di taluni vizi formali (da cause di illegittimità a cause di mera irregolarità). In secondo luogo, circa il limite temporale per l'adozione della misura, viene mantenuto in via generale il tradizionale riferimento al "termine ragionevole", ma, nel caso di "provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici", il termine è "comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell'adozione" del provvedimento, salvo che questo sia stato conseguito "sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato" (nuovo art. 21-nonies, commi 1 e 2-bis, legge 241/1990).
Detta disciplina si applica anche alle ipotesi di silenzio assenso provvedimentale ex art. 20 (nuovo art. 21-nonies, comma 1), mentre nel caso di scia la "presenza delle condizioni previste dall'art. 21-nonies" impone all'amministrazione di assumere ("adotta comunque") il divieto di prosecuzione dell'attività ecc., anche dopo la scadenza del termine 'di rito' di sessanta giorni (nuovo art. 19, comma 4, legge 241/1990).
Salvo che per le indicazioni appena accennate (non è stata innovata la non applicabilità del silenzio assenso provvedimentale e della scia in materia di beni paesaggistici o storico-artistici (cfr. art. 19, comma 1, e art. 20, comma 3, legge 241/1990), le novità introdotte in tema di autotutela hanno un chiaro impatto sull'amministrazione del patrimonio culturale. Qualunque sia l'interpretazione che si preferisca per la formula normativa "provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici" [14], la generalità degli atti di gestione del vincolo storico-artistico o paesaggistico (ad es. quelli previsti dagli artt. 21 e 146 del Codice) e un'area significativa di quelli inerenti l'attività di valorizzazione (cfr., ad es., quelli di cui agli artt. 35 ss., 113 e 118 del Codice) sono suscettibili di dette qualificazioni.
5. Amministrazione periferica dello Stato
L'art. 8 della legge Madia conferisce al Governo un'ampia delega per modificare la disciplina della Presidenza del Consiglio, dei ministeri e degli enti pubblici nazionali non economici, dettando al comma 1, lett. e), principi e criteri direttivi in relazione alle Prefettura-Ufficio territoriale del Governo. A ideale completamento di un processo di riforma avviato con la legge 15 marzo 1997, n. 59 (art. 12, comma 1, lett. h) e l), in particolare si stabilisce: la sua trasformazione in Ufficio territoriale dello Stato, "quale punto di contatto unico tra amministrazione periferica dello Stato e cittadini"; l'attribuzione al Prefetto "della responsabilità dell'erogazione dei servizi ai cittadini, nonché di funzioni di direzione e coordinamento dei dirigenti degli uffici facenti parte dell'Ufficio territoriale dello Stato, eventualmente prevedendo l'attribuzione allo stesso di poteri sostitutivi, ferma restando la separazione tra funzioni di amministrazione attiva e di controllo, e di rappresentanza dell'amministrazione statale, anche ai fini del riordino della disciplina in materia di conferenza di servizi di cui all'articolo 2"; la "confluenza nell'Ufficio territoriale dello Stato di tutti gli uffici periferici delle amministrazioni civili dello Stato"; la "definizione dei criteri per l'individuazione e l'organizzazione della sede unica dell'Ufficio territoriale dello Stato"; infine la "individuazione della dipendenza funzionale del Prefetto in relazione alle competenze esercitate".
Dette previsioni hanno suscitato non poco allarme con riguardo agli effetti sulle strutture periferiche del Mibact, in particolare sulle Soprintendenze. Nel già citato appello si rileva che "nel caso delle soprintendenze questa confluenza in uffici diretti dal rappresentante dell'esecutivo sostituisce una discrezionalità tecnica con una amministrativa, e si configura come la messa sotto tutela governativa di un ufficio che deve rimanere del tutto autonomo".
Premesso che l'autonomia delle singole Soprintendenze conosce - anche solo a livello periferico - da tempo e anche dopo il d.p.c.m. 29 agosto 2014, n. 171, non pochi limiti derivanti dalle competenze assegnate ai Segretariati e alle Commissioni regionali per il patrimonio culturale [15], è indubbio che la delega conferita possa suscitare dubbi e rilievi. Ferma restando l'ovvia considerazione che solo gli esiti del suo esercizio saranno in grado di fornire il dato preciso di ricaduta, si possono peraltro formulare talune osservazioni preliminari. La confluenza nell'Ufficio territoriale dello Stato di tutti gli uffici periferici delle amministrazioni civili statali sembra ipotizzato più sul versante 'esterno', di rappresentanza dell'amministrazione periferica dello Stato nei confronti del cittadino, che su quello 'interno' di riduzione ad unitario e omogeneo plesso organizzativo, con a vertice il Prefetto, delle diverse e disomogenee strutture statali dislocate sul territorio. Militano in tal senso la previsione di poteri sostitutivi solo "eventuale", il mantenimento "della separazione tra funzioni di amministrazione attiva e di controllo, e di rappresentanza dell'amministrazione statale" [evidentemente le une delle amministrazioni, l'altra facente capo al Prefetto], la circostanza che il Prefetto, ai sensi dell'art. 2, comma 1, lett. e), n. 1, sia chiamato a designare un "unico rappresentante delle amministrazioni statali" [che quindi conservano la loro individualità] nelle conferenze di servizi. Tutti elementi che depongono per il mantenimento di un pluralismo delle amministrazioni periferiche statali sotto il profilo operativo e che la riconduzione delle stesse all'Ufficio territoriale dello Stato costituisca lo strumento organizzativo per conferire al Prefetto poteri di coordinamento, di vigilanza e finanche di direzione e sostituzione, ma solo al fine di costituire un'unica interfaccia fra le amministrazioni civili dello Stato in periferia e i cittadini, a garanzia "dell'erogazione dei servizi" loro spettanti.
Ciò sembra tanto più plausibile nel caso delle strutture periferiche del Mibact connotate come è noto da una precisa caratura tecnico-specialistica. Il rischio di una sostituzione della discrezionalità tecnica (di tali strutture) con una discrezionalità amministrativa (del Prefetto) pare eccessiva, non fosse altro per la circostanza che le norme delegate dovranno pur sempre "individuare la dipendenza funzionale del prefetto in relazione alle competenze esercitate", il che rimanda alle funzioni delle singole amministrazioni centrali e quindi (anche) a quella del Mibact.
Anche il fatto che non sia previsto un qualche riordino delle strutture statali dislocate a livello regionale (nel caso del Mibact, Segretariati e Commissioni regionali, Poli museali) sembra deporre nella direzione di un riordino delle strutture periferiche nell'ottica dei servizi resi al cittadino dalle strutture periferiche dello Stato.
Al quadro appena delineato peraltro vanno operate due precisazioni. La prima è che la funzione di 'interfaccia' affidata all'Ufficio territoriale dello Stato, seppur menzionata sono nei riguardi dei cittadini, non può non essere delineata (a pena di una palese irragionevolezza) anche nei confronti delle amministrazioni e degli attori locali (anzitutto Regione e Comuni). In breve l'Ufficio territoriale dello Stato è destinato a costituire il punto di raccordo fra gli uffici periferici delle amministrazioni civili statali e soggetti 'altri' del territorio, privati o pubblici che siano. La seconda è che accanto a questa funzione 'esterna' potrà dispiegarsi anche una funzione 'interna strumentale', sulla base della previsione della lett. a) del medesimo art. 8, comma 1, che, "con riferimento all'amministrazione centrale e a quella periferica", indica come criteri direttivi la "preferenza in ogni caso, salva la dimostrata impossibilità, per la gestione unitaria dei servizi strumentali, attraverso la costituzione di uffici comuni" e il riordino degli uffici "al fine di eliminare duplicazioni o sovrapposizioni di strutture o funzioni". Il che prefigura come plausibile una razionalizzazione nell'ambito dell'Ufficio territoriale dello Stato di strutture e di servizi strumentali delle diverse amministrazioni periferiche statali ad esso ricondotte.
Per esemplificare, il legislatore delegato che conferisse al Prefetto il potere di dettare direttive, sia pure di carattere generale, sull'indirizzo specialistico in tema di restauro, di approntamento di mostre museali o di organizzazione di materiali archivistici (musei e archivi dello Stato sono anch'essi strutture periferiche), si porrebbe in contrasto con l'obiettivo della delega e prim'ancora con il canone costituzionale del "buon andamento" (senza aggiungere che si muoverebbe nell'area del bizzarro).
Più aderente alla ratio della delega è che al Prefetto vengano conferiti, in una posizione di dipendenza e connessione funzionale con le strutture centrali del Mibact, poteri di vigilanza e indirizzo sugli orari di apertura delle strutture e sul rispetto dei tempi dei procedimenti, di accertamento e di intervento a fronte di disfunzioni operative riscontrate, di svolgimento o di supporto quanto a servizi strumentali (ad esempio in ordine all'espletamento di gare di pubblici appalti), di coordinamento con l'attività di altre strutture statali preposte alla cura di interessi contermini a quelli storico-culturali e paesaggistici (ambientali, di realizzazione di opere pubbliche ecc.) ai fini di scelte condivise, in un'ottica comunque centrata sull'erogazione dei servizi cui l'amministrazione è tenuta nei confronti dei cittadini e sul raccordo in periferia fra lo Stato e gli attori locali.
Per concludere, sembra potersi affermare che la legge Madia, tanto per gli aspetti immediatamente operativi, quanto per quelli destinati ad essere svolti dal legislatore delegato, certamente tocca l'amministrazione del patrimonio culturale, anche se da subito non è possibile valutare per intero i contorni del preciso impatto. Rende perciò fondate talune preoccupazioni, ma non sembra tale da giustificare allarmismi. Più che altro pare richiamare (anche) le strutture e l'attività del Mibact alla necessità di evitare i rischi di 'autoreferenzialità' inevitabilmente insiti in corpi amministrativi con caratura spiccatamente tecnico-specialistica.
Note
[*] Mi corre l'obbligo di ringraziare Marco Cammelli per la lettura e i commenti del testo, del quale resto ovviamente il solo responsabile.
[1] Cfr. art. 2, comma 1, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (d'ora in avanti "Codice").
[2] Se ne fa interprete, ad esempio, D. La Monica, Gli errori del Ddl Madia, in Il Giornale dell'Arte, n. 356, settembre 2015, 4, e l'appello di personalità della cultura su cui infra alla nt. 7.
[3] Cfr. La conferenza di servizi come meccanismo di decisione, in Gior. dir. amm., 2011, 10, pag. 1144 s.
[4] Ossia come fatto equivalente alla valutazione, da parte delle autorità interpellate, circa la sussistenza di elementi favorevoli o, a seconda dei casi, la non sussistenza di elementi contrari all'adozione e al contenuto del provvedimento prospettato dall'autorità procedente. Al riguardo cfr. G. Falcon, Lezioni di diritto amministrativo, Padova 2013, pag. 112 ss.
[5] Su tali nozioni cfr. M. Renna, F Figorilli, voce Silenzio della pubblica amministrazione, I) Diritto amministrativo, in Enc. Giur., Aggiornamento, Roma 2009, par. 3.1 e 4.
[6] Il termine di novanta giorni o quello di specie dovrebbe valere anche nel caso di interruzione per esigenze istruttorie o richieste di modifica.
[7] Così l'appello al Presidente della Repubblica comparso su la Repubblica, 10 agosto 2015, pag. 25, a firma di personalità della cultura (Azzariti, Carlassare, Lucarelli, Maddalena, Neppi Modona, Pace, Settis e Zagrebelsky).
[8] Cfr. le pronunce nn. 302/1988, 392/1992 e 408/1995 e più di recente le pronunce nn. 88/2007, 315/2009 e 209/2014.
[9] Sentenze nn. 94 e 359 del 1985, 151/1986, 182/2006.
[10] Sentenza n. 196/2004.
[11] Ancora la sentenza n. 196/2004.
[12] Cfr. La conferenza, cit., 1146.
[13] Sentenza n. 351/1991.
[14] Cfr. G. La Rosa, Il nuovo volto dell'autotutela decisoria a seguito della legge 164/2014: il privato è davvero più tutelato dal pentimento dell'amministrazione?, in www.giustamm.it, 2015, 5, pag. 5 ss.
[15] Sul punto sia consentito rinviare a al mio La riforma dell'amministrazione periferica, in Aedon, 2015, 1, par. 2.1 e 2.2.