I beni culturali e il mercato
Prefazione a: I beni culturali tra tutela, mercato e territorio, a cura di Luigi Covatta [*]
Luigi Covatta, Cultural Property between Protection, Market and Land Use - Foreword
The article is the Foreword of a recent volume on cultural property, edited by Luigi Covatta. The author moves from the several topics examined in the book - which deal with legal, economic, sociological and historical issues related to cultural heritage - in order both to highlight the contemporary problems of Italian legislation on cultural property and its implementation and to suggest possible reforms
I saggi raccolti nel volume curato da Luigi Covatta, la cui introduzione mette efficacemente in luce il filo conduttore che lega i diversi contributi, offrono una rappresentazione sintetica ma appropriata dei principali temi che una politica dei beni culturali è chiamata ad affrontare quando si sforzi di fare i conti con la realtà del settore nei giorni nostri. Quali essi siano e come si potrebbe porvi mano è riassunto con chiarezza da Covatta e svolto nei diversi capitoli. Può essere utile tuttavia sottolineare non tanto perché è importante parlarne, il che è scontato, ma perché è utile farlo con l'angolazione e il metodo che qui è stato seguito.
A questo sono dedicate le brevi considerazioni che seguono.
In termini di analisi, non c'è chi ignori le difficoltà e in qualche caso gli autentici guai in cui versano le politiche del settore e gli attori pubblici e privati chiamati ad operarvi. Ma appena si passa dalla constatazione dei fatti (peraltro non sempre adeguata) all'analisi delle cause e delle ragioni, evidente premessa di qualunque rimedio, l'unità si sfrangia in una gamma di interpretazioni dissonanti e talvolta contrapposte.
Il merito del volume è innanzitutto quello di muovere da un terreno spesso lasciato in un cono d'ombra, quello della impostazione concettuale, originaria ma tuttora dominante, e delle contraddizioni crescenti che ne sono derivate.
Si vedano ad esempio le torsioni dovute all'azione combinata di una sequenza inavvertita e di rigidità ostinatamente riaffermate: quella monolitica della tutela, sia nel senso di necessaria e perciò stesso indeclinabile tipizzazione e pervasività delle modalità di intervento sia nel senso materiale dell'estensione dell'ambito di applicazione. E dunque, in una parola, sia di strumentazione che di perimetro della operatività; e quella della altrettanto "necessaria" unità del bene culturale, cioè la dimensione astratta (ma unificante) nella quale sono proiettate e sublimate, in perfetta simmetria, cose e beni immateriali.
Tutto ciò avrebbe potuto costituire oggetto di un dibattito (fondato, ma) esclusivamente concettuale se non si fosse aggiunta una sequenza destinata a generare pesanti effetti anche sul piano della esperienza concreta: la progressiva, inarrestabile estensione della categoria, dei "beni culturali" e degli "assimilati" (cioè di quanto potrebbe entrare a farne parte, venendo assoggettato perciò alla applicazione in via cautelare della normativa) con ovvie conseguenze sulla geometrica estensione dell'ambito di applicazione della tutela.
Se poi si aggiunge l'altro automatismo, questa volta di carattere strutturale, fondato su una ulteriore sequenza di binomi (unità della tutela = unità della organizzazione; unità di organizzazione = ministero delle attività e i beni culturali; Mibac = centro), il quadro di quanto accaduto e di un discreto numero dei problemi che ci troviamo ad affrontare è sufficientemente delineato.
La stessa, ragionevole e laica ricerca di risorse aggiuntive o della virtuosa cooperazione con le multiformi espressioni del "privato" - dall'impresa al terzo settore passando per il non profit, le fondazioni, le forme associative - trova in questo quadro le ragioni delle proprie difficoltà perché non c'è nulla di più estraneo alla forma amministrativa ministeriale della ordinaria esigenza di curare anche la possibilità di provvedersi di risorse integrative, là dove siano reperibili o facilmente generabili e non turbino il perseguimento dei fini istituzionali assegnati. E se è vero che alcuni eccessi di innovazione disinvolta consumati un paio di decenni fa hanno portato una significativa parte dell'opinione pubblica e degli operatori su posizioni particolarmente conservative, è altrettanto innegabile che le ragioni più profonde della insensibilità su questo fronte sono di lunga durata, e si collocano esattamente nel quadro concettuale prima richiamato
Naturalmente, non è detto che tutti siano d'accordo e anche tra i testi qui raccolti affiora qualche dissenting opinion proprio su questi aspetti, in linea ad esempio con la preoccupazione che la scelta di affidare ad apparati funzionalmente specializzati (agenzie) l'azione relativa a particolari categorie di beni (nel caso, archivi e biblioteche) finisca per favorirne la "ghettizzazione", cioè "una loro separazione dalle altre tipologie di beni culturali" (Zannino).
Ma è difficile negare che sono proprio questi automatismi, e la sottovalutazione di altri e più efficaci strumenti di interconnessione (v. infra), ad aggravare la condizione di un sistema da un lato chiamato a fare di più e su terreni sempre più eterogenei, e dall'altro ingabbiato in un rigido monoblocco, con il risultato di ostacolare anche la micro-innovazione "possibile": sia quella interna e organizzativa, come sul lato delle relazioni centro-periferia la sovrapposizione e le frizioni tra direzioni generali e direzioni regionali (Graziani e Pennisi); sia quella esterna e funzionale, come il rapporto con le imprese e i privati (Covatta, Leon).
Si spiega così perché l'attenzione venga spostata su un secondo profilo efficacemente sottolineato nel volume, specie nei capitoli iniziali, quello cioè dei costi della continuità (Zanardi), e in particolare del quando, come e perché la continuità non sempre costituisca una virtù, il che corrisponde anche a ripercorrere la vicenda della legge 1089 e della tensione creatasi tra quest'ultima e i successivi innesti di soggetti istituzionali (regioni, autonomie territoriali) e di ambiti funzionali (paesaggio, ambiente).
In breve. Le serie condizioni, non solo economiche, in cui versa attualmente il paese hanno certo aggiunto problemi ulteriori, ma è innegabile che le disfunzioni più importanti affondino le proprie radici in strati precedenti, ed è dunque qui che vanno aggredite.
Su questi aspetti, il volume e la stessa introduzione di Covatta offrono spunti che più che proposte articolate e definite sono suggestioni per un dibattito finalmente concentrato sui temi più appropriati. Perché, è doveroso dirlo, se un decimo del tempo e delle pagine che si sono spese per censurare il deprecabile avvento delle regioni, la rovinosa azione degli enti locali e l'avidità delle imprese e dei privati si fosse utilizzato, oltre che per contrastare doverosamente i casi in cui questo effettivamente si è dato, ad approfondire e progettare rimedi alle contraddizioni di base prima segnalate, forse ci troveremmo in condizioni migliori e con minori probabilità di rimanere incagliati, una volta superata la crisi generale, in quella specifica delle politiche e degli attori chiamati ad operare in questa materia.
Gli spunti che ci vengono offerti mettono in discussione rigidità e monolitismi concettuali, funzionali e organizzativi e ruotano intorno al principio della articolazione, da quello delle politiche (non più solo puntiformi e passive) all'ipotesi dei tre cerchi concentrici (Casini), correlati alla pluralità e alla natura degli interessi coinvolti e al grado di preminenza e di intensità dell'interesse da riconoscere alle diverse categorie di beni (plurale), e dunque alla conseguente assoluta indisponibilità o relativa suscettibilità a forme di composizione con altri beni della vita, su cui articolare contenuti e strumenti della tutela. Ma il discorso non è diverso se applicato al reperimento, ripartizione e gestione delle risorse, al reclutamento del personale, allo stesso modello di governance (Graziani e Pennisi).
Quello che conta in ogni caso, e dal volume emerge con chiarezza, è la necessità di una strategia complessa perché complesso è il problema e innumerevoli i punti su cui agire, cominciando dalle imprese private operanti nel settore che con interventi mirati anche sul lato della domanda potrebbero essere sostenute in un processo di rafforzamento dei fattori organizzativi e produttivi di cui vi è evidente necessità (Leon).
Tra l'altro, è proprio grazie ad un approccio più aperto e più dinamico che alcune preoccupazioni, in sé fondate, possono trovare risposta. Alla (giusta) preoccupazione della frammentazione e delle "ghettizzazioni" del e nel settore, ad esempio, non basta sottolineare la fallacia teorica e l'insoddisfazione pratica della soluzione monolitico-organizzativa: è possibile, e utile, richiamare come le "cerniere" di un sistema e della pluralità degli elementi che lo compongono oggi non sono quasi mai, nel pubblico come nel privato, di tipo strutturale perché analoga ed anzi migliore soluzione è offerta dai collegamenti funzionali o a rete che anche nell'ambito specifico qui considerato (basti pensare al sistema bibliotecario nazionale) stanno già operando positivamente in questo senso.
Un'ultima sottolineatura. Nel volume, giustamente, più volte si invita a cogliere la necessità di interventi speciali in aree colpite da calamità (dall'Aquila alle recenti vicende emiliane) come occasione per sperimentare sul terreno forme organizzative e modalità di intervento inedite. L'incapacità di sperimentare è un'ulteriore espressione della nostra atavica debolezza istituzionale, il cui corollario è l'incapacità di uscire da modelli rigidi e datati: sarebbe saggio tenere conto di questa indicazione, discutendo e verificando in concreto qualcuna di queste proposte.
Certo non bastano per uscire dalla crisi, ma possono aiutare a non rimanerci quando questa sarà finita.
Note
[*] Il presente scritto costituisce la Prefazione del volume I beni culturali tra tutela, mercato e territorio, a cura di Luigi Covatta. Si ringrazia il prof. Franco Bassanini per averne permesso la pubblicazione su Aedon.