Le attività musicali: il ruolo della parte pubblica
La funzione della musica e la risposta del potere politico in Italia
Sommario: 1. Premessa. - 2. La situazione italiana. - 3. Brevi cenni sul quadro costituzionale e amministrativo dopo la riforma del Titolo V della Costituzione e l'approvazione della legge di attuazione della riforma stessa (legge 131/2003). - 4. Le sfide per il futuro e le possibili scelte politico-economiche nel settore dello spettacolo.
Music Role and Politics Response in Italy
The article reviews the Italian situation with regard to classical music in
its main implications: education, training, professional education, production
and distribution of musical culture in Central and countries. The Author holds
the view that despite the constitutional reform in a regional sense, and perhaps
federal there is a lack of a genuine policy of music such has been done for
example in the protection and promotion of cultural heritage. First, the teaching
of music is still underestimated in the schools of all levels and the conservative
reform, for its characteristics, does not allow an adequate basic education
to achieve the fitness level of access to a university. Secondly, the transformation
of public entities engaged in the production and dissemination of musical
culture in foundations failed in order to attract the interest of industry
that remains largely fixed on the sport. In particular, the deficit of this
policy shall be attributed to the Minister of Heritage and Culture but has
to report great attention from the regions and local authorities. The proof
is that while there is no code of artistic and cultural activities, many regions
have adopted organic laws on the protection and promotion of musical activities,
while they support and promote the realization of the most varied musical
events. Finally, in terms of economic analysis, political power does not seem
to react with appropriate measures to the phenomenon of globalization and
virtual reality in this sensitive area.
Che la musica nel suo complesso abbia un ruolo rilevante se non essenziale nella formazione dello sviluppo e nella esaltazione delle potenzialità individuali, sociali, economiche e politiche delle singole persone è cosa risaputa da tempo immemorabile e sulla quale non occorre diffondersi [1].
Meno conosciute ma non ignorabili, le scoperte che le c.d. scienze cognitive [2] hanno compiuto a partire dagli anni'80 dello scorso secolo sugli effetti della musica nel cervello [3]. Basta ricordare che nello stesso settore delle neuroscienze - che è una delle componenti più importanti delle c.d. scienze cognitive, è nato e si è sviluppato un filone specifico la c.d. "neuro musica", che ha dato risultati esaltanti anche per il decisivo apporto di scienziati italiani. Ciò ha consentito ad autorevoli studiosi di definire l'intelligenza musicale una delle quattro intelligenze fondamentali insieme all'intelligenza logico-matematica, all'intelligenza emozionale e all'intelligenza sociale.
Sembra quindi dimostrato come evidenza biologica e comportamentale che la conoscenza, l'ascolto e la pratica musicale attiva fin dai primi anni di età (l'ascolto perfino in fase prenatale), aumentano notevolmente le potenzialità globali di sviluppo della persona non solo dal punto di vista della crescita individuale, ma anche delle capacità di relazioni solidali con gli altri esseri umani.
Di fronte a tali evidenze molti Stati, e non solo in Occidente, hanno intrapreso politiche specifiche o in modo democratico o in modo autoritativo - a seconda delle forme di Stato e di Governo - per inserire l'educazione, la formazione, l'insegnamento e l'attività musicale tra le politiche pubbliche di maggiore spicco.
Tale scelta riguarda in primo luogo - è opportuno essere chiari sul punto fin dall'inizio della mia opinione - proprio la c.d. musica colta e in secondo luogo la musica popolare di tradizione etnica.
Per quanto riguarda la c.d. musica extra colta, gli Stati pur non disinteressandosene, hanno ritenuto sufficiente per lo più il ruolo delle regole di mercato e commerciali.
In termini semplici e sintetici le politiche di questi numerosi Stati hanno riguardato principalmente:
a) ingenti investimenti per la realizzazione di infrastrutture idonee sia per l'insegnamento (scuole, istituti di istruzione superiore, Conservatori, luoghi di perfezionamento ecc.. e relativi strumenti anche talora molto costosi e specialistici come gli organi meccanici neobarocchi o neo rinascimentali);
b) accurata selezione e formazione degli insegnanti e relativa previsione di un congruo numero di ore di insegnamento della musica nelle scuole di ogni ordine e grado, oltre che ovviamente nelle strutture specificamente dedicate alla formazione dei musicisti professionisti;
c) incentivazione e sostegno delle attività musicali di ogni tipo, salvaguardando peraltro la qualità, il merito e la differenziazione delle singole iniziative. Anche gli strumenti di incentivazione variano a seconda del tipo di Stato e di Governo.
Nei sistemi di common law dove il principio di sussidiarietà orizzontale della società civile e il relativo livello artistico e culturale è maggiormente elevato soprattutto nelle classi dirigenti, l'apporto dei finanziamenti di privati e fondazioni è decisivo, ma corroborato dal ruolo di organismi governativi e non governativi dotati di notevole autonomia e indipendenza di giudizio e di valutazione. Nei sistemi di civil law lo Stato attraverso gli appositi ministeri non ha esitato ad imporre una politica della cultura e dell'arte (valga per tutti il caso della Francia e della Germania) nell'ambito di scelte costituzionali fondamentali circa il riparto delle competenze in senso accentrato (Francia) o federalistico (Germania). In ogni caso il c.d. ppp (partenariato pubblico privato) è dato per acquisito, sia a livello centrale che locale.
d) presenza annuale di attività di indirizzo e coordinamento da parte degli organi competenti (con linee guida, direttive) e di attività conoscitive (rapporti) e di controllo nel senso moderno del termine.
Nel nostro Paese - a parte qualche innovazione sulla quale riferirò criticamente subito appresso - la situazione è rimasta più o meno quella descritta nel non recente saggio in onore del maestro Massimo Severo Giannini [4]. Basti rilevare, in linea generale, che perfino nella riforma del titolo V della Costituzione, recante la nuova articolazione delle funzioni legislative e regolamentari tra Stato e regioni, l'articolo 117 tra le materie di rilievo costituzionale non elenca separatamente la musica, rientrante genericamente tra i beni culturali per quanto riguarda i profili statici e confinata in una sub materia, la promozione delle attività artistiche e culturali, per quanto concerne gli aspetti dinamici. Eguale risultato per quanto riguarda l'attività di educazione, istruzione e formazione, ripartita tra lo Stato cui spetta dettare programmi generali sulla istruzione e le regioni nonché gli enti locali territoriali. In questo quadro vi sono, è vero, alcune novità che potrebbero teoricamente essere considerate molto importanti. Ma esse sono state pensate, realizzate ovvero gestite in modo tale da non produrre almeno allo stato attuale, le ricadute che astrattamente si potevano attendere. Conviene, sotto questo profilo, articolare una rapida rassegna dividendo tra riforme inerenti al settore della educazione, istruzione e alta cultura, da un lato; e mercato della produzione e distribuzione, dall'altro.
Come è noto, con la legge Moratti si è tentato di ridisegnare la mappa generale della istruzione di base e intermedia: in questo ambito la maggiore novità di settore è costituita dalla previsione dei licei ad indirizzo musicale-coreutico e da una maggiore attenzione all'apprendimento pratico e teorico delle abilità musicali nell'ambito della istruzione elementare e intermedia. Ma solo in quest'anno scolastico 2010/2011 sono stati effettivamente aperti alcuni licei musicali (peraltro molti dei quali erano già attivi in fase di sperimentazione).
Questa evidente lacuna comporta due critiche, una diretta (ma non è la più grave) ed una indiretta (ed è invece di enorme rilevanza). Quanto alla prima critica, la penuria di istituzioni dedicate espressamente alla formazione di base del potenziale musicista professionista di per sé non incentiva la formazione di un sufficiente bacino specifico cui attingere nel futuro musicisti professionisti, compresi i futuri didatti della musica (di cui v'è necessità impellente ancor di più che dei professionisti del teatro d'opera, della sala di concerti, della musica solistica o da camera).
La seconda critica si riallaccia a quella che correntemente viene svolta a proposito della riforma dei conservatori: infatti tale riforma è stata calata, per così dire dall'alto, senza che si ripensassero e si riformulassero metodi criteri e contenuti della istruzione musicale specialistica di base.
Proprio una circolare del Direttore Generale dell'Afam in questi mesi ha decretato che questo è l'ultimo anno in cui si terranno gli esami del vecchio ordinamento dei Conservatori, per riforma, almeno per quanto riguarda la folta schiera dei c.d. privatisti, cioè degli studenti che, da autodidatti o preparati da Maestri di Conservatorio, hanno affrontato o intendono affrontare il non facile compito di conseguire un diploma strumentale o di canto, che, sempre secondo il vecchio ordinamento, si articolava lungo un corso di studi serio ed efficace (dai cinque anni per il canto, ai dieci per violino, pianoforte, organo ed altri strumenti complessi). Inoltre la più parte dei Conservatori si sono comunque orientati per sopprimere i corsi del vecchio ordinamento, disponendo un'offerta musicale concentrata sui diplomi di laurea di primo (triennio) o di secondo (biennio) livello. Questa scelta politica e artistica comporta, contro le regole della geometria, un assottigliamento della piramide alla sua base, e un'eccessiva dilatazione del vertice.
La conseguenza pratica è che, da un lato, in attesa della attuazione della riforma della istruzione pubblica, mancano istituti pubblici dove curare adeguatamente la formazione di base; dall'altro che l'offerta disponibile a livello universitario eccede di gran lunga le attuali potenzialità del mercato musicale, sia per quanto riguarda la produzione che la distribuzione e le stesse possibilità di insegnamento perlomeno specialistico. E' un vero peccato, tanto più che in se stessa, la riforma dei Conservatori e la loro trasformazione in istituti di alta cultura è stata gestita in modo impeccabile sotto il coordinamento e la intensa partecipazione della apposita Direzione Generale Afam e del Miur.
Dal lato della promozione delle attività musicali e coreutiche, la novità più importante sembra consistere la trasformazione degli enti lirico-sinfonici di cui alla legge 14 agosto 1967, n. 800 in Fondazioni di (pseudo) diritto privato. Come è noto si tratta di un fenomeno di privatizzazione delle attività costituenti servizi di interesse generale economico o non economico, che ha investito larga parte delle attività prima riservate ai pubblici poteri, e non solo in Italia. Ma come dice l'antico proverbio "L'abito non fa il monaco". Non basta disporre per decreto legislativo la trasformazione della personalità giuridica da ente pubblico istituzionale in ente privato di interesse pubblico, per realizzare una gestione economica più rapida e più efficiente, e men che mai per attirare capitali privati. In effetti la Corte dei Conti sia in sede di controllo che di giudizio di responsabilità amministrativo-contabile (supportata dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite) ha tagliato corto, ritenendo che dove si spende denaro pubblico c'è materia sia di controllo che di responsabilità: estesa quest'ultima anche ai percettori di contributi pubblici comunque denominati, che li abbiano indebitamente ricevuti e/o utilizzati (v. infra).
Nella esperienza pratica della trasformazione poi, gli enti partecipanti alle Fondazioni sono stati per lo più gli enti territoriali tradizionali (regione, province, Camera di Commercio) e soprattutto le Fondazioni bancarie, con scarsa o nulla partecipazione delle realtà imprenditoriali private di rilievo. Non si è quindi affatto realizzato quello spostamento finanziario e decisorio dal pubblico al privato, che l'esperienza dei paesi anglosassoni aveva lasciato intendere. Si è solo ottenuto entro certi limiti di ridurre il peso debitorio del settore pubblico, pagando il prezzo di grandi rinunce, quali la soppressione di quasi tutte le orchestre pubbliche della Rai. Dal punto di vista della sociologia della cultura, le Fondazioni trasformate (specialmente le più grandi) hanno obiettivamente contribuito al passaggio del fenomeno musicale e artistico, dalla "rappresentazione" al grande o piccolo "evento" (esaltando così il momento "comunicativo" amplificato dai mass media rispetto a quello "culturale ed educativo").
Peraltro, che la musica sia stata utilizzata da sempre al servizio del potere politico, religioso, economico e sociale lo dimostrano già i grandi quadri di Giovanni Bellini e di Vittore Carpaccio alle Gallerie dell'Accademia di Venezia.
Non deve quindi stupire che in epoca di società orizzontale o "di massa" il grande evento (il cui effetto principale deve essere di tipo istintivo ed emozionale e non acquisitivo-razionale per avere successo) debba essere posto al centro della produzione e distribuzione musicale, per ragioni se non altro di partecipazione e di cassetta; ma era e sarebbe tuttora possibile unire queste ragioni alla tutela dei livelli minimi delle prestazioni inerenti ai diritti sociali, come recita lo stesso articolo 117 comma 3 lettera m) della Costituzione.
A parte la trasformazione delle Istituzioni lirico-sinfoniche e delle grandi Associazioni concertistiche, va segnalato che non si è avuta l'attesa riforma per lo meno in senso radicale, del Fus: in termini percentuali esso è costantemente diminuito al punto che solo un evento straordinario quale la celebrazione dei 150 anni di Unità d'Italia ha impedito una ulteriore e consistente decurtazione. Ma anche in una situazione di semi-povertà il legislatore non ha ritenuto opportuno cambiare il tradizionale meccanismo dei finanziamenti a pioggia e della elargizione a posteriori dei contributi medesimi. Già dal 1990 la sottoposizione del sistema complessivo degli incentivi a favore della musica (e dell'intero spettacolo) agli obblighi di trasparenza generale di cui all'articolo 12 della legge sul procedimento amministrativo 7 agosto 1990, n. 241 e s.m.i. non ha prodotto mutamenti significativi. Infatti non è cambiato né il sistema né i criteri e tanto meno anche il metodo cronologico di esame, erogazione e controllo degli incentivi finanziari e reali; come previsto dalla legge, il ministero per i Beni e le Attività culturali si è limitato ad emanare alcuni decreti ministeriali recanti norme sulla metodologia, la procedura, il contenuto e il limite dei contributi; le regioni, dal canto loro, si sono più o meno adeguate con proprie delibere e determinazioni. D'altra parte va ricordato che il trasferimento delle funzioni amministrative alle regioni anche a Statuto ordinario era stato disposto già dall'articolo 49 dell'indimenticabile decreto presidenziale 24 luglio 1977, n. 616, e che le regioni stesse fin dalla loro istituzione avevano approvato, anche contro l'assetto formale della Costituzione, importanti leggi-quadro sulla promozione della attività musicale o più in generale delle attività artistiche e culturali. Si conferma dunque anche nel 2011 l'andamento generale della produzione e distribuzione delle attività musicali, che vede in prima linea gli enti territoriali di base, comuni e province (quasi sempre peraltro aiutati direttamente o indirettamente dalla regione di riferimento) con risultati che spesso - anche a detta di musicisti e operatori dello spettacolo stranieri - vengono definiti "miracolosi"; ma che non bastano certamente per allineare gli standard italiani a quelli europei sia per quanto riguarda le opportunità di educazione, istruzione e formazione musicali da un lato; sia le possibilità di produzione e distribuzione dall'altro.
In questo quadro generale alquanto mediocre, autarchico e marginale rispetto al contesto europeo va orgogliosamente rilevata la formazione "spontanea" di eccellenti musicisti e complessi mediante "emigrazione culturale" (soprattutto ma non solo per la musica antica e barocca), riconosciuti e premiati in tutto il mondo; nella consapevolezza che peraltro, se essi desiderano trasmettere in Italia il patrimonio enorme della esperienza artistica e didattica maturata all'estero, ciò non è invero possibile, perché il meccanismo stritolatore delle "graduatorie" di insegnamento li ricaccerebbe in anguste realtà provinciali e locali. Inoltre va segnalato il costante aumento della qualità della ricerca musicologica dei docenti italiani, anche questa grazie ad una previdente opera di internazionalizzazione, favorita dalla universalità della materia. Queste eccezioni comportano altresì una costante presenza di autorevoli studiosi e musicisti stranieri in Italia. Tuttavia, forse a causa della maledizione di quel "particulare" di guicciardiniana memoria, fino ad ora non si è assistito ad un dialogo costruttivo tra il mondo della università e quello delle Afam. Il contrasto riguarda in particolare l'attività didattica di formazione dei futuri "didatti della musica". Il tema è di particolare rilevanza e quindi merita un breve accenno anche in una trattazione di estrema sintesi quale è la presente.
Tornando brevemente agli esiti delle ricerche scientifiche sul cervello, segnalate nel paragrafo precedente, è un dato acquisito che il medesimo è straordinariamente recettivo al fenomeno musicale fin dal grembo materno. Tuttavia, come dimostra esperienza di Stati più sensibili alla educazione musicale, la capacità didattica è essenziale per stabilizzare i risultati che la curiosità innata individuale (o forse un legame ancora largamente inesplorato tra il mondo dei suoni e i fenomeni vitali) produce. Occorre quindi particolare cura e competenza nella formazione e selezione degli insegnanti di ogni livello: da quelli delle scuole materne e asili nido, agli insegnanti della scuola primaria, secondaria e superiore. Orbene, non solo non si riscontrano forme e metodi di collaborazione tra le Facoltà universitarie di Scienza della Formazione e Conservatori di musica, ma questi ultimi tendono quasi a raccogliersi in uno splendido isolamento, rivendicando una esclusività nella formazione dei futuri didatti della musica.
Il problema di fondo però non è più quello di saper insegnare i segreti dell'apprendimento della abilità strumentale al futuro didatta: infatti il gioco della concorrenza tra professionisti (a livello non solo europeo ma addirittura mondiale) è destinato fatalmente a selezionare poche unità e probabilmente dei fuoriclasse. Il problema è quello di saper insegnare la "musica di base", cioè il linguaggio musicale, le sue regole, la sua storia. E soprattutto di "insegnare a diventare insegnanti", obiettivo che richiede non comuni doti psicologiche e una costante attenzione alla singola personalità dell'allievo. Una volta tanto non si può incolpare il legislatore di trascuratezza perché la legge 21 dicembre 1999, n. 508 e le successive norme di attuazione hanno previsto la possibilità di specifiche convenzioni tra Università, Istituti di istruzione e Conservatori di musica in proposito. Piuttosto vi è una ennesima dimostrazione della validità del principio di Archimede, anche al di là del mondo della fisica, per cui ad ogni azione corrisponde una reazione eguale e contraria. Allo snobistico isolamento della Musicologia universitaria di un tempo ha fatto seguito e reazione un orgoglioso e formale isolamento dei Conservatori di oggi.
Ma il problema resta in tutta la sua gravità e va risolto, in ultima istanza, proprio dal potere politico. Infatti solo una didattica della musica di alto livello può garantire la formazione di un bacino di professionisti e di utenti capace di assicurare la qualità di standard europeo e anche la possibilità di competere con una concorrenza sempre più di livello globale.
3. Brevi cenni sul quadro costituzionale e amministrativo dopo la riforma del Titolo V della Costituzione e l'approvazione della legge di attuazione della riforma stessa (legge 131/2003)
Una breve analisi dell'articolo 117 della Costituzione, a numerosi anni dalla c.d. riforma del Titolo V, appare utile in relazione alla peculiarità della attività musicale e più in generale di quelle attività artistiche e culturali cui la musica si ascrive a pieno titolo.
Contrariamente ad altre materie e settori (un esempio per tutti: la disciplina dei contratti e degli appalti della pubblica amministrazione), l'impatto del diritto comunitario e dello stesso diritto internazionale non sembra aver realizzato effetti evidenti e soprattutto diretti sulla conformazione della disciplina nazionale, regionale e locale della attività musicale e degli stessi beni musicali. Infatti nonostante una precisa posizione di indirizzo della Corte costituzionale italiana in ordine all'art. 117, comma 1, Cost. (v. per la sottoposizione ai vincoli del diritto comunitario le sentenze della Corte cost. n. 406/2005 e n. 129/2006; e agli obblighi del diritto internazionale le sentenze della Corte cost. n. 348 e n. 349/2007), tali principi - così importanti per altri interessi, diritti e valori di rango costituzionale (proprietà, tutela dell'ambiente, libertà di mercato ecc...) - non rilevano direttamente per il mondo della cultura e dell'arte, in quanto come è noto il Trattato di Lisbona e la stessa Carta dei Diritti di Nizza escludono qualsiasi forma di armonizzazione diretta o indiretta delle legislazioni nazionali di settore, incentivando e giustamente i soli progetti di interesse comune europeo. Lo scopo delle disposizioni dei Trattati e anche degli atti non aventi carattere formale sono quelli di incentivare l'esaltazione delle radici comuni della cultura ed arte europea, e contribuire a realizzare quella "unità nella diversità", che costituisce tuttora un unicum nelle proposte politiche e nelle istituzioni giuridiche delle varie forme di Unioni di Stati.
Inoltre la regolazione comunitaria delle comunicazioni elettroniche e della stessa radiodiffusione non prevede compensazioni dirette a favore dello spettacolo dal vivo da parte dei mass media (come appare lontana la profetica previsione della legge Corona n. 800/1967) [5], riducendosi alla indicazione generica tra gli obblighi di servizio universale della c.d. televisione generalista delle trasmissioni di interesse artistico e culturale europeo.
Quanto all'impatto del diritto internazionale esso viene in evidenza solo in caso di palesi violazioni che - seppure teoricamente e storicamente avvenute (basti pensare alle misure contro la c.d. "arte degenerata") - non sembrano fortunatamente, allo stato attuale, affacciarsi all'orizzonte.
La ripartizione e l'articolazione delle competenze tra Stato e regioni, sia a livello legislativo che regolamentare, si è rivelata, almeno dopo lo scrutinio della Corte costituzionale, alquanto ambigua: l'articolo 117, comma 2, prescrive la competenza legislativa esclusiva dello Stato limitatamente alle norme generali sulla istruzione; alla tutela dei beni (ma non delle attività) culturali; alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (ma il diritto alla cultura e all'arte è un diritto soggettivo collettivo? Oppure un interesse legittimo come riteneva Paladin per molti diritti sociali? O addirittura un interesse di fatto?). Orbene, di queste competenze "esclusive", alla prova dei fatti sembra residuare effettivamente la sola determinazione dei livelli minimi delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, in quanto - attraverso l'opera di interpretazione della Corte costituzionale, ovvero il metodo consensuale degli accordi ed intese tra Stato e Regioni - sia la materia dei beni artistici e culturali, sia quella della istruzione sono state di fatto cogestite. Del resto lo stesso articolo 117 al comma 3 dispone la competenza di legislazione concorrente dello Stato nella materia della istruzione scolastica (peraltro con la importante eccezione della istruzione e della formazione professionale); della ricerca scientifica e tecnologica (ma la ricerca musicale e musicologica non compare tra gli oggetti degli enti pubblici di ricerca compreso il Cnr); della valorizzazione e promozione dei beni culturali ambientali; promozione e valorizzazione delle attività culturali (ma non esiste un codice delle attività culturali come quello dei beni culturali di cui al d.p.r. 42/2004 e s.m.i.) Quindi le premesse per un condominio legislativo tra Stato e regioni erano già state poste dalle disposizioni costituzionali formali e la Corte costituzionale non ha fatto altro che sfruttare tali interstizi, tali "zone grigie" adoperando una tecnica consueta di quella parte della teoria generale del diritto, che viene correntemente individuata con il nome di "neocostituzionalismo" e che distingue all'interno dei principi generali del diritto (a maggior ragione quelli costituzionali di materia) principi in senso stretto (statici) e valori (dinamici). Questa distinzione ha permesso di costruire entro certi limiti come "concorrenti", materie che ab origine venivano anche dalla dottrina qualificate come di competenza legislativa e regolamentare esclusiva dello Stato. Infatti oltre e più delle disposizioni normative formali della Carta costituzionale, un ruolo fondamentale ancorché improprio è stato assunto dalla fin troppo abbondante giurisprudenza della Corte costituzionale; formatasi sui giudizi di legittimità costituzionale in via principale promossi dalle regioni o dallo Stato ex articolo 127 Cost., o sui conflitti di attribuzione ex articolo 134 Cost.
Sostanzialmente la Corte a partire dalla fondamentale sentenza n. 303/2003 ha sostenuto per le materie-valore sia di competenza esclusiva che concorrente, che dal punto di vista sostanziale, quando una materia esprime dei valori spirituali collettivi, non può essere di appannaggio esclusivo dello Stato, anche se detentore di "quel che resta della sovranità nazionale". Lo Stato quindi deve ricercare l'intesa con le regioni interessate in nome del principio di leale e aperta collaborazione e il confronto con gli enti locali territoriali (c.d. intesa forte e intesa debole). Inoltre, dal punto di vista procedurale, ciò dovrebbe comportare la formazione di atti di indirizzo e di coordinamento (definiti linee guida come da ispirazione anglofona), approvati d'intesa con la Conferenza unificata. Non è tuttora chiara la natura giuridica di tali linee guida (spesso emanate con decreto ministeriale su conforme deliberazione del Consiglio dei ministri e quindi a quanto pare atti di natura amministrativa generale, ma non regolamentare in base all'articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400 sull'ordinamento del Governo). In prima approssimazione mi pare di poter affermare con ragionevole fondamento che, da un lato, tali "guidelines" sembrano ispirarsi più agli strumenti del soft-law che alle fonti del diritto pubblico tradizionale; dall'altro, che rappresentino una anticipazione dei metodi e contenuti degli atti di parte statale in una prospettiva federalistica. In concreto peraltro in relazione alle attività musicali esse hanno riguardato e parzialmente solo la disciplina dell'istruzione e non quella delle attività musicali, anche perché in tale campo le zone di competenza sembrano essere divise anche dal punto di vista istituzionale (Stato, regioni ed enti locali hanno ognuno i propri enti e soggetti pubblici o formalmente privati nel settore dello spettacolo musicale, e più in generale della relativa produzione e distribuzione).
La Corte quindi sembra attenersi ai principi della teoria generale filosofico-giuridica definibile come neocostituzionalismo, anche se non mancano sentenze che seguono il più pragmatico criterio interpretativo di adattamento al caso concreto, specie quando ci sono in gioco le scarse finanze pubbliche. Il metodo interpretativo dell'adattamento al caso concreto sembra essere l'ultimo adottato in ordine di tempo dalla Corte, ma si attaglia perfettamente alla interpretazione della legittimità costituzionale di norme che nascono già come decisioni amministrative e non come scelte politiche di fondo [6]. Peraltro, pur prendendo atto della codificazione costituzionale del principio di sussidiarietà verticale (che è alla base sia del decentramento politico che delle varie forme di regionalismo e federalismo costituzionale) spiace dover rilevare che nell'elenco dell'articolo 114 della Costituzione non sono presenti le formazioni intermedie di cui all'articolo 2 della Costituzione, né gli stessi cittadini e questo comporta un contrasto tra la definizione spirituale di Repubblica di cui agli articoli 9 e 33 della Costituzione e quella istituzionale dell'articolo 114.
Rinviando per i dettagli ad un contestuale saggio di questo numero [7], sembra di poter concludere sul punto rilevando sinteticamente che allo stato attuale innanzitutto manca una legge quadro sullo spettacolo, mentre l'importo del Fus si riduce di anno in anno. E' stata approvata, ma non implementata la legge sul federalismo fiscale ed il relativo decreto legislativo di attuazione. I suoi effetti sulla politica artistica e culturale delle regioni e degli enti locali territoriali si vedranno quindi solo tra qualche anno. Manca altresì una legge quadro sulla disciplina delle attività artistiche e culturali (materia che presenta tratti comuni ma anche sostanziali differenze con la disciplina dello spettacolo, di cui si rese conto già il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, staccando con l'articolo 156 la disciplina amministrativa dello spettacolo da quella della promozione delle attività artistiche e culturali); non si rinvengono atti di indirizzo o relazioni generali sull'intero comparto e tanto meno sui settori che tradizionalmente lo compongono (mentre sono state prontamente predisposte per l'attività fisica e sportiva scolastica dal ministero della Istruzione università e Ricerca). Infine, a parte l'attività di erogazione di incentivi e il ruolo delle commissioni e comitati consultivi, l'attività di promozione artistica e culturale sul territorio, è affidata alle regioni e agli enti locali territoriali (province e comuni già in base alla legge di riforma delle autonomie locali 8 giugno 1990, n. 142, ora Testo unico, n. decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 e successive modificazioni).
Alcune regioni hanno approvato importanti linee guida sulle attività musicali, oltre ad essersi naturalmente dotate di leggi organiche sia in materia di spettacolo che di arte, teatro, musica e cinema.
Molto variegata è l'esperienza degli enti locali: da forme di meri incentivi "a pioggia" più o meno politicamente orientate, si passa a progetti di vasto respiro artistico e culturale, a forme di felice simbiosi tra turismo e attività artistiche e culturali.
Più in generale però è mancata una visione strategica anche nella politica di governo del territorio e quel pizzico di intuizione, che contrassegnano la presenza di una grande politica artistica e culturale, come al contrario è avvenuto almeno da vent'anni in Francia (nonostante le accuse di un certo dirigismo politico), e come sorprendentemente è stato possibile realizzare in Spagna. Per fare qualche piccolo esempio, nonostante la conclamata diffusione della "urbanistica negoziata" i piani di lottizzazione o i piani di intervento integrato di approvazione degli outlet e dei grandi centri commerciali, non hanno imposto spazi culturali ed artistici multifunzionali, mentre vi è stato un grande fiorire delle multisale cinematografiche. Ma anche nelle progettazioni e realizzazioni di luoghi specificamente dedicati alla fruizione delle attività musicali (valga per tutti l'esempio dell'Auditorium del Parco della Musica in Roma, in cui proprio nella Città che ospita lo Stato Vaticano e il suo Capo, manca l'organo, sostituito addirittura di volta in volta da strumenti elettronici) non emerge una strategia di connessione urbana (e men che mai extraurbana), pur essendo la società delle grandi conurbazioni - notoriamente - la società delle reti reali, virtuali e istituzionali.
Tuttavia si deve onestamente riconoscere al ruolo delle regioni e degli enti locali territoriali il dato di fatto che, se il fenomeno della rappresentazione della musica (e più in generale dello spettacolo) dal vivo non è defunto, lo si deve alle loro iniziative. Anzi vi sono ovunque grandi fermenti anche di altissimo livello artistico, che ricordano un po' la vicenda del gran tour settecentesco. Gli artisti stranieri vengono in Italia, si innamorano del paesaggio, dei beni culturali (del vitto) e forse anche della gente. I politici locali più illuminati (che non sono fortunatamente pochi) svolgono un discreto ruolo di coordinamento e di sostegno per queste iniziative. è una forma morbida di globalizzazione o meglio di trasnazionalità del fenomeno artistico e culturale, che spesso prelude ad un trasferimento stabile o comunque duraturo degli stessi artisti in ameni luoghi del nostro territorio nazionale.
Ciò non toglie che nell'insieme manca a livello nazionale sia una vera e propria politica pubblica delle attività artistiche e culturali (pensiamo invece agli accordi in materia di gestione e valorizzazione dei beni culturali), sia procedure generali di intesa con la conferenza unificata per l'emanazione di atti di indirizzo, coordinamento, linee guida ed altre misure di soft law.
Mancano anche atti fondamentali di attività conoscitiva a carattere preventivo o consultivo, a parte i dati dell'Istat e quelli ministeriali, regionali e locali, spesso supportati da ricerche di fondazioni e associazioni private che hanno obiettivamente esercitato per molti anni una importante funzione di supplenza (a partire dal Cidim e dalla stessa Agis, che però negli ultimi tempi deve affrontare una tipica crisi di crescita, quella di approntare un appropriato modello federale).
4. Le sfide per il futuro e le possibili scelte politico-economiche nel settore dello spettacolo
Il tentativo di delineare qualche possibile "sfida" del futuro all'attuale sistema di produzione e distribuzione del bene musica, postula prima di tutto la sommaria ricognizione dei principali cambiamenti della situazione attuale, rispetto ad un non lontano passato (concordemente, gli esperti situano, quale data di "non ritorno" per il cambiamento dei gusti e delle stesse frequentazioni musicali in occidente, i "mitici" anni '60). A tale proposito, va subito osservato che il principale fattore di mutazione pur riguardando in particolare la musica classica, investe globalmente l'intero settore dello spettacolo dal vivo. Come è del tutto noto, questo fattore consiste nell'erompere da un lato della realtà virtuale; e dall'altro (ma forse sono due facce della stessa medaglia), nel processo di globalizzazione della cultura e dell'arte. In particolare tale globalizzazione trova molti minori ostacoli rispetto ad altri settori della vita politica e sociale, dal momento che la musica è un linguaggio universale che non richiede conoscenze specifiche, almeno per quanto riguarda la fruizione istintiva ed emozionale; mentre per il teatro e il cinema, sempre più di frequente, i supporti di riproduzione anche on line offrono diverse opzioni linguistiche, che ne rendono più agevole la fruizione stessa. Ciò rende ancora più difficile un intervento politico all'altezza del compito che lo attende, dal momento che, da un lato, occorre recuperare il gap nella educazione, formazione e fruizione dello spettacolo, sia quale pubblico che quale potenziale professionista; dall'altro, attrezzarsi in tempo utile per raccogliere la sfida che la realtà virtuale e le potenti e perduranti innovazioni tecnologiche nel settore delle comunicazioni elettroniche lanciano con ritmo frenetico.
Al proposito, va anche notato - e non incidentalmente - che tali prodotti, in mancanza di una cultura politica che indirizzi le scelte dell'utente, sono solo apparentemente affidate allo stesso; in realtà sono imposte attraverso la pubblicità e "la moda" all'ampio bacino di consumatori, soprattutto dell'età più giovane.
Gli esempi del telefono cellulare e di i-pod (ed ora anche i-phone e i-pad) sono più che sufficienti al riguardo. Date queste premesse, mi sembra che le scelte realistiche dal punto di vista politico-economico si riducano solamente a due alternative: o seguire i criteri e i metodi della c.d. analisi economica del diritto e di conseguenza limitarsi ad assecondare l'indirizzo strategico delle imprese globali. Ovvero, rivendicare una autonomia della scelta politica nel quadro di una ponderata valutazione tra gli obiettivi del mercato e i fini già determinati dalla Costituzione (articoli 9, 33, 117), ma anche dal Trattato di Lisbona e dai principi internazionali generalmente riconosciuti. Nel compiere la scelta tra le due alternative riportate il potere politico non può peraltro ignorare i presupposti anche di carattere filosofico che ne sono alla base. Secondo notevoli studi della antropologia, percepiti e raccolti anche dalle indagini neuro scientifiche, le relazioni generali tra gli esseri umani, sotto qualsiasi latitudine, possono con qualche semplificazione, ridursi a 4 tipi: la condivisione dei beni e il senso di appartenenza ai medesimi (ad esempio il valore dell'ambiente e della cultura), che contribuiscono potentemente a formare l'identità di un popolo e di una nazione; le relazioni di gerarchia, formale o informale, che sono determinanti per assicurare un certo ordine politico, amministrativo e sociale; le relazioni paritarie; i rapporti di mercato, che si manifestano attraverso i negozi di scambio e quelli associativi [8].
Secondo questi studi, tali tipi di relazioni debbono trovare una forma di equilibrio nel loro insieme, altrimenti si creano situazioni conflittuali più o meno gravi, e comunque si arresta quella spinta evolutiva che correntemente va sotto il nome di "progresso". Inoltre i criteri dell'analisi economica, pur intrinsecamente apprezzabili, non mettono in conto un fattore decisivo, e cioè il limite temporale della esistenza individuale (ed anche delle forme politiche, amministrative, sociali ed economiche). Da ciò il limite strutturale dell'analisi economica del diritto, anche quale possibile teoria generale postmoderna del diritto pubblico e privato. A mio personale avviso, pertanto, un'azione politica che voglia tenere conto dell'equilibrio sopra rappresentato, dovrebbe limitare l'impiego dell'analisi economica ai settori dove la sua applicazione e più utile, quali ad esempio la preventiva analisi dei costi-benefici prima della emanazione di atti normativi o amministrativi generali; al settore delle indagini conoscitive e naturalmente a quello dei controlli.
Per converso, una politica economico-sociale nel settore dello spettacolo non dovrebbe affidarsi solo ai meccanismi del mercato, ovvero imitarne pedissequamente gli stili e le tecniche, ma, al contrario, dare segni di discontinuità sostanziale e non solo formale.
Qui peraltro si tocca un limite "strutturale" della politica attuale (ed il problema non è solo italiano) quello della costante tendenza del suo passaggio da motore della "regola" a fattore (non esclusivo ma certo determinante) di comunicazione. Se la classe politica si orienta verso quest'ultimo obiettivo, è evidente che le riesce molto più agevole seguire ed assecondare "i grandi eventi", che di per sé sono già amplificati dai mass media, piuttosto che gettare le basi di una formazione collettiva, democratica, e molto faticosa.
Tale scelta si tradurrebbe in un periodo di tempo piuttosto breve nella pressoché totale estinzione dello spettacolo dal vivo, salvo quegli eventi che di per sé rappresentano una forma efficiente di comunicazione mass mediatica.
Il fenomeno, già radicato in Italia soprattutto a livello di comunicazione dei governi centrali già dopo il 1968, potrebbe estendersi con facilità anche ai governi regionali e locali, considerato che l'articolo 117 terzo comma Cost. considera come materia di competenza concorrente l'ordinamento della comunicazione e che i network locali sono molto diffusi (e molto seguiti) dalle collettività di riferimento.
La seconda opzione, viceversa, postula una serie di scelte, anche di tipo fiscale, molto coraggiose e "generose". A ciò si aggiunga che tuttora la società italiana (e non solo quella politica) si presenta dal punto di vista economico-sociale, come una formidabile aggregazione neocorporativa, nella quale prosperano i tipici prodotti del corporativismo degenerato (cioè quando non è più determinante il criterio e il valore del merito e della qualità dei prodotti), che sono il pressapochismo, il nepotismo ed ogni forma di favoritismo.
Ciò rende ancora più difficile, ma non impossibile, l'effettuazione di scelte politiche fondamentali.
Affinché il discorso non rimanga nel vago, indico in questa parte finale del mio breve contributo, le possibili linee direttrici di un'azione politica che segua sostanzialmente la seconda opzione, pur utilizzando, ma solo quale utile strumento e non già finalità, la prima: obiettivo essenziale riguarda la educazione e la formazione artistica e culturale dei cittadini. è un compito che resta prevalentemente affidato alle famiglie, alle istituzioni pubbliche e private, laiche e religiose, e alla scuola. Le discipline cognitive e l'antropologia confermano che i bambini e gli adolescenti imparano soprattutto per imitazione e che lo sviluppo completo del cervello non si arresta ai c.d. 18 anni, ma dal punto di vista strutturale richiede un periodo di tempo alquanto più lungo (almeno fino ai 25/30 anni); ed in ogni caso è sempre aperto ad una maggiore plasticità e creatività, purché vi sia messo in condizione. Dal punto di vista dell'analisi economica, l'efficienza di tale sistema crea il c.d. bacino di utenza o classe di consumatori e di utenti che in caso contrario, si indirizzano verso altri consumi e potenzialità (ad esempio lo sport, i videogiochi, gli intrattenimenti collettivi ecc...).
Il secondo obiettivo riguarda la formazione professionale degli artisti e delle persone "di cultura". Sotto questo profilo le forme di selezione dello spettacolo dal vivo sono assai spietate soprattutto nel settore della musica, perché non essendoci impedimenti linguistici, la concorrenza è effettivamente "naturale" e non solo nel campo della rappresentazione dal vivo, ma anche in quello dell'insegnamento e della ricerca. Il terzo obiettivo riguarda l'intervento politico-economico in funzione di riequilibrio tra spettacolo reale e spettacolo virtuale. Esso potrebbe essere attuato direttamente come a suo tempo previsto dalla legge Corona (su questo punto rimasta inapplicata) o attraverso misure fiscali di tipo compensativo. Infine il quarto obiettivo riguarda il programma, l'indirizzo, il coordinamento e gli accordi tra governo centrale e governi locali nella materia della attività artistica e culturale. La mancanza di una legge quadro nazionale sulle attività di questo tipo costituisce una lacuna solo parzialmente compensata dalle pur coraggiose leggi regionali. Il concetto giuridico di bene immateriale proprio della cultura e dell'arte richiede una logica politica di condivisione, pur nel confronto aperto e leale tra gli schieramenti politici. Infatti il rischio che corre l'intera classe politica non è solo quello della c.d. "tenaglia" tra teocrazia e tecnocrazia, pur autorevolmente rappresentato [9]; ma piuttosto quello di essere "saltata" da nuove forme di comunicazione politica e sociale, che già si vanno diffondendo nella rete globale compresa quella commerciale e produttiva. Mi rendo perfettamente conto che il discorso può apparire utopico: ma è anche vero che proprio negli anni '80 e '90 dello scorso secolo, alcuni eventi che sembravano egualmente utopici - quali la caduta del muro di Berlino, la diffusione di internet, il rapido progresso di aree geografiche considerate sottosviluppate - si sono imposti con realtà sorprendente.
In ogni caso gli studi delle discipline cognitive confermano con piena evidenza che una solida formazione artistica e culturale favorisce non solo la creatività personale dell'individuo, ma anche incrementa la sua "intelligenza sociale" e quindi la capacità di rapporti sociali e politici armonici sia all'interno del gruppo naturale di riferimento (familiare, lavorativo), sia a livello più generale (nei rapporti sociali, istituzionali e politici). Di conseguenza, anche dal punto di vista dell'analisi economica, tutto ciò si traduce in una maggiore competitività a livello internazionale e globale e nella più consapevole disponibilità a partecipare ad un processo di pace, che resta l'obiettivo fondamentale della convivenza umana e del quale la musica e ogni forma di spettacolo hanno con evidenza impressionante non solo registrato, ma addirittura anticipato la possibile evoluzione o involuzione [10]
Note
[1] Basta per tutti il riferimento all'importante saggio di J. Attali, Bruits. Essai d'èconomie politique de la musique, Paris, II ed., 2001.
[2] Si segnalano in proposito, sia trattazioni di carattere generale che contributi dedicati specificamente al settore musicale. Per un primo approccio non divulgativo e straordinariamente efficace, v. E.R. Kandel, J.H. Schwartz e T.M. Jessel, Principi di neuroscienze, Milano, 2003; nonché M.S. Gazzaniga, R.B. Ivry, G.R. Mangun, Neuroscienze cognitive, Bologna, 2005. Introduzioni di base in Vilayanur S. Ramachandran, Che cosa sappiamo della mente. Gli ultimi progressi delle neuroscienze raccontati dal massimo esperto mondiale, Milano, 2004; E. Boncinelli, Il cervello, la mente e l'anima (le straordinarie scoperte sull'intelligenza umana), Milano, 2000; W.J. Freeman, Come pensa il cervello, trad. it., Torino, 2000; J.P. Changeux, L'uomo di verità, trad. it., Milano, 2003; AA.VV., La mente e il cervello, vol. X dell'opera La scienza, Torino, 2005; Jean-Didier Vincent, Viaggio straordinario al centro del cervello, Ponte alle Grazie Salani Editore, Milano, 2008; Semir Zeki, Splendors and miseries of the brain: love, creativity, and the quest for human happiness, John Wiley & Sons, 2008. Tra i singoli contributi, che mostrano pur nella loro differente articolazione sorprendenti concordanze, vd. almeno A.R. Damasio, L'errore di Cartesio (emozione, ragione e cervello umano), trad. it., Milano, 1995; Id., Emozione e coscienza, ivi, 2002; Id., Alla ricerca di Spinoza, ivi, 2003; J. Ledoux, Il se sinaptico (come il nostro cervello ci fa diventare quelli che siamo), Milano, 2002; Id., Il cervello emotivo. Alle origini delle emozioni, trad. it., Milano, 1999; M. Solms, O. Turnbull, Il cervello e il mondo interno (introduzione alle neuroscienze dell'esperienza soggettiva), trad. it., Milano, 2004. G.M.Edelmann, Seconda natura (Scienza del cervello e conoscenza umana), Milano, Raffaello Cortina, 2007. Alberto Oliviero, Prima Lezione di Neuroscienze, Bari, Laterza 2008. Sul concetto di intelligenza emozionale v. Antonio Damasio, Emozione e coscienza trad. it. Milano, Adelphi, 1999; J. Le Doux, Il cervello emotivo, trad. it. Milano, Baldini e Castoldi, 1998. Sul cervello sociale l'omonimo libro di D. Cozolino, Milano, Raffaello Cortina, 2008. Di carattere maggiormente divulgativo D. Goleman, L'intelligenza emotiva, Milano, BUR 1995, e Lavorare con l'intelligenza emotiva, Bur 2000; Id., L'intelligenza sociale, BUR, 2007. Ma v. già M.Gazzaniga, La mente etica, Milano, 2007; Id., Human Ciò che ci rende unici, Milano, Raffaello Cortina editore, 2009. Per l'applicazione alle arti pittoriche (limitatamente ad alcuni periodi ed artisti), S. Zeki, La visione dall'interno (Arte e cervello), Milano, 2003. Sui neuroni-specchio, vd. in particolare, G. Rizzolatti, C. Sinigallia, So quel che fai, Milano, 2005.
[3] Cfr. In generale Macdonald Critchley, R.A. Henson, La musica e il cervello. Studi sulla neurologia della musica, Trad. Ital, Piccin, Padova, 1987; J.A. Sloboda, La mente musicale. Psicologia cognitivista della musica, Bologna, Il Mulino, 1988; O. Sacks, The power of music in Brain, October 2006. Una prima lettura appassionante è B. Lechevalier, Il cervello di Mozart, Milano Bollati Boringhieri 2006. L'autore è sia professore di neurologia che organista titolare della chiesa di S. Pierre a Caen. I più recenti approfondimenti in Anthony Storr Music and Mind New York Free Press 1992; L.B. Meyer, Emozione e significato nella musica, Trad. Ital., Bologna, Il Mulino, 1992; Isabelle Peretz and Robert Zatorre, The biological foundation of music, Annals of The New York Academy of Sciences vol. 930 2001; G. Avanzini and others The neurosciences and music, Annal of the New York Academy of Sciences vol. 999 New York 2003. Isabelle Peretz and Robert Zatorre The Cognitive Neuroscience of Music, Oxford University Press Oxford 2003; G. Avanzini, L. Lopez, S. Koelsch e M. Majno, The neurosciences and Music. II - From perception to performance Annals of the New York Academy of Sciences vol. 1060, New York, 2005. è già stato tenuto un terzo convegno su musica e neuroscienze a cura della Fondazione Mariani di Venezia, a Montreal, dal 25 al 28 giugno 2008, i cui atti sono pubblicati in Annals of the New York Academy of Sciences vol. 1169, AA.VV. The Neurosicences and Music vol. 3 John Wiley and Sons, N.Y. 2009. Un quarto è in programma nel mese di giugno di quest'anno ad Edimburgo dal suadente titolo Neurosciences and Music: Learning and Memory. Molto specifico è C. Agrillo, Suonare in pubblico (l'esperienza concertistica e i processi neurocognitivi), Carocci editore, Roma, 2007. Di straordinario fascino anche autobiografico il recente studio di Levitin Fatti di musica, La scienza di un'ossessione umana, Torino, Codice Editore, 2008; v. anche Semir Zeki Splendori e miserie del cervello (trad. it.) Milano, Codice Edizioni 2010.
[4] E. Picozza, Per una riforma delle attività musicali in Italia, in Scritti in onore di Massimo Severo Giannini, Milano, Giuffrè, 1988, volume II, pp. 439 ss.
[5] V. art. 4. Coordinamento fra le attività liriche e musicali e quelle radiotelevisive: "1. Al comitato permanente previsto dall'art. 2 della legge 4 novembre 1965, n. 1213, è demandato il compito di determinare le direttive generali in materia di coordinamento delle attività liriche e musicali con quelle radiofonica e televisiva, assicurando, nel quadro delle predette direttive, l'intervento dei ministeri competenti. 2. L'attuazione di tali direttive è affidata ad una commissione esecutiva formata da tre rappresentanti della rai-radiotelevisione italiana, da due componenti la commissione centrale per la musica designati dalla stessa fra quelli di cui alle lettere da g) a v) dell'art. 3 e dal direttore generale dello spettacolo".
[6] V. in argomento S. Spuntarelli, L'amministrazione per legge, Milano, Giuffrè, 2007.
[7] S. Oggianu, Profili istituzionali del sistema di finanziamento delle attività musicali tra trasparenza ed efficienza, in questo numero della Rivista.
[8] A. Fiske, Structures of Social Life: The Four Elementary Forms of Human Relations, New York, Free Press (Macmillan 1991.
[9] N. Irti, La tenaglia. Difesa dell'ideologia politica, Roma-Bari, Laterza, 2008.
[10] V. ancora A.P. Fiske, Four Modes of Constituting Relationships: Consubstantial Assimilation; Space, Magnitude, Time and Force; Concrete Procedures; Abstract Symbolism, in N. Haslam, Ed., Relational Models Theory: A Contemporary Overview, Mahwah, NJ, Erlbaum, 2004.