La riforma dello spettacolo
Il decreto della discordia
di Marco Tutino
A clashing law
This essay explains the last provisions concerning the Performing Arts sector
and specifically the rules about the main 14 Opera Houses in Italy, issued
by the Italian legislator. The economic crisis has deeply influenced also
this sector, as well as the other ones of the Culture field. Public contributions
are constantly decreasing and they are not any more sufficient to assure the
remuneration of the employed of most part of Opera Houses. These problems
are made more serious by the position of the workers trade unions. The recent
reform provides many restrictions for the employed and for the Opera Houses
management. That's why it has been received by operators with a deep alarm.
This first opinion about the reform criticizes its provisions from the inside.
The Author is Superintendent of one of the most important Italian Opera House.
Il decreto legge 30 aprile 2010, n. 64 recante "Disposizioni urgenti in materia di spettacolo e attività culturali" è stato approvato e convertito in legge, legge 29 giugno 2010, n. 100, dal Parlamento italiano, dopo un iter travagliato che ha visto il ricevimento di un alto numero di emendamenti presentati dall'opposizione.
Vale la pena di ripercorrere le fasi del suo concepimento e del relativo contesto economico e istituzionale che ne ha caratterizzato le ragioni di urgenza.
Il settore dello spettacolo dal vivo, e in maniera particolare le Fondazioni liriche italiane, vive uno stato di crisi economica e finanziaria ormai inarrestabile e devastante, che prefigura un reale rischio di cessazione di attività per molti dei nostri teatri più antichi e conosciuti.
Nelle Fondazioni lirico sinfoniche del nostro Paese, ad oggi 14, (Scala, Opera di Roma, Accademia di Santa Cecilia, Regio di Torino, Teatro Verdi di Trieste, La Fenice, Arena di Verona, Carlo Felice di Genova, Comunale di Bologna, Maggio Musicale Fiorentino, San Carlo di Napoli, Petruzzelli di Bari, Lirico di Cagliari, Massimo di Palermo) la sofferenza dei bilanci (ad eccezione della Scala) inizia subito dopo la conversione della loro natura da Ente lirico statale a Fondazione di diritto privato, avvenuta ad opera del decreto legislativo 29 giugno 1996, n. 367.
Negli ultimi cinque anni, sono stati sottoposti a gestione straordinaria - quindi commissariati dal governo - cinque teatri: Firenze, Napoli, Genova, Verona, Roma. Il commissariamento scatta qualora il bilancio presenti (nella dinamica consuntiva e previsionale) per un biennio un deficit pari al 15% del patrimonio indisponibile.
Le cause del deficit strutturale delle Fondazioni italiane, certamente molteplici e concorrenti, risiedono tuttavia in un dato percentualmente primario: la non più sostenibilità del costo del personale tramite il contributo di risorse pubbliche. Il Fus, Fondo unico per lo spettacolo, cala di 100 milioni di euro progressivamente dal 2003 al 2008. Gli altri contributi pubblici locali (regioni, comuni, provincia) rimangono sostanzialmente stabili seppure in molti casi insufficienti. I contributi dei privati, elemento portante della logica di uscita dalla concezione totalmente statalista del vecchio Ente lirico, non raggiungono in nessun caso (tranne La Scala) quella percentuale necessaria a rendere possibile un equilibrio di bilancio. Di fronte a questi dati aritmetici, le Direzioni delle Fondazioni non sono in grado, anche a causa di una opposizione sindacale fortemente corporativa e arroccata su posizioni anacronistiche, di porre in essere quelle operazioni di gestione che possano contenere il costo del personale e aumentare la produttività, (va ricordato che non è tecnicamente possibile nessuna operazione di ridimensionamento del personale). Inoltre, il Ccnl - contratto collettivo nazionale di lavoro - che regole gli istituti normativi del lavoro nelle fondazioni è scaduto da tempo e attende un rinnovo che preveda tutte quelle modifiche volte a introdurre elementi di flessibilità e di cambiamento al fine di aumentare considerevolmente le possibilità produttive. Questo tavolo negoziale è in stallo da anni per la indisponibilità dei sindacati a confrontarsi sulle eventuali modifiche normative.
Non entro nel merito della scelta di erodere lentamente il Fus operata soprattutto (ma non solo) dai governi di centrodestra. Tuttavia è evidente che in questo caso l'operazione di sottrarre gradualmente un sostegno economico "sine cura" a un sistema che presenta disfunzionalità eclatanti appare comunque legittima dal punto di vista della ragione etica; che si tratti di un alibi o di una profonda e ponderata convinzione poco importa.
Di fatto, si viene a creare una impasse irrisolvibile: per statuto, una fondazione lirica non può fallire, e subisce l'applicazione della gestione straordinaria in caso di assenza di continuità aziendale. Ma se si priva il commissariamento della dotazione dei fondi necessari per risanare il bilancio, la sua funzione viene destituita di qualsiasi effetto che possa riportare il teatro su una strada di virtuosità di gestione, limitandosi a una ricerca politica di condizioni di finanziamento verso terzi, pubblici o privati.
Questo stallo induce il ministro Bondi, titolare del dicastero competente, a riunire nell'autunno 2008 presso il Mibac, ministero per i Beni e le Attività culturali, tutti i presidenti (cioè i sindaci dei comuni di residenza) e tutti i sovrintendenti delle 14 Fondazioni liriche italiane.
La riunione ha lo scopo di rendere acclarata una situazione di crisi che impone una urgente assunzione di responsabilità, e di annunciare che il ministero ha allo studio un decreto legge che possa fornire alcuni strumenti idonei a arginare la deriva deficitaria. Su questa decisione il ministro chiede la collaborazione e la condivisione dei presidenti e dei sovrintendenti. Il presidente dell'Anci, sindaco di Firenze, dichiarò l'indisponibilità ad accettare la modalità del decreto per ragioni di principio. Il ministero prese atto e annunciò lo studio di una riforma organica del settore.
Da allora il decreto - in attesa di una verifica più politica delle posizioni dell'Anci - viene comunque studiato nei suoi dettagli dal ministero competente. l'Anfols, associazione che riunisce i sovrintendenti italiani, muta la sua presidenza e le sue delegazioni trattanti in merito al rinnovo contrattuale e fornisce al ministero preziose indicazioni tecniche sulle questioni più urgenti per affrontare la crisi.
Dall'autunno 2008, sino alla presentazione del testo del decreto al senato passano 18 mesi, durante i quali si producono tre commissariamenti (Napoli, Genova, Roma), si annuncia una nuova riduzione del Fus, si esaurisce il tentativo di riscrivere il Ccnl per la non disponibilità dei sindacati a proseguire la trattativa. Inevitabilmente, si inasprisce la conflittualità sindacale, che raggiunge un parossismo inedito alla presentazione del d.l. con manifestazioni al limite della legalità.
Questa, in sintesi, la cronaca dei fatti e delle ragioni di urgenza di un provvedimento discusso e discutibile.
E' evidente e quasi tautologico che sia necessaria, e certamente più utile, l'elaborazione di una organica riforma di legge che possa finalmente ristrutturare un settore continuamente sottoposto a provvedimenti tampone, ma mai veramente ripensato in termini di efficienza gestionale, modernità di forme organizzative, di governance e di istituti normativi a livello contrattuale.
Tuttavia, di questa riforma si sente parlare dagli anni '60, e sembra ai più impossibile che essa venga sorretta da quella volontà politica come da quella capacità tecnica necessarie a imprimere una svolta che vada oltre le dichiarazioni di principio.
Non è mia intenzione svolgere un'analisi approfondita della legge 100/2010, che necessita ancora di una riflessione compiuta, tuttavia è bene citare qualche passaggio fondamentale.
Il d.l. 64/2010 nasce per posizionare dei paletti ad alcune disfunzionalità che di fatto rendono inefficace la corretta gestione manageriale dell'attività delle Fondazioni. Il testo approvato, è bene ricordarlo, è molto distante dal testo presentato, e sembra frutto di un compromesso bizantino che annacqua molti dei provvedimenti contenuti in origine.
Lo sforzo maggiore è concentrato sulla reiterazione del blocco delle assunzioni a tempo indeterminato - peraltro già introdotto dalla legge Asciutti e ancora in vigore, con qualche deroga successiva, anche prima di questa legge - e quindi sul prepensionamento dei tersicorei (ma questo paragrafo riguarda solo quei cinque teatri ancora in possesso di un corpo di ballo), sul divieto delle assunzioni per via giudiziaria, e sul rinnovo contrattuale che ora vede l'affiancamento alla delegazione Anfols dell'Aran, l'agenzia governativa per i rinnovi contrattuali del pubblico impiego.
Viene invece del tutto elusa la questione cardine sulla quale si basa gran parte della futura sostenibilità economica delle fondazioni: la presenza - ribadita nel testo del decreto in maniera indiretta ma altrettanto efficace in senso negativo - del cosiddetto organico funzionale, e cioè il numero di personale a tempo indeterminato effettivamente in forza nelle Fondazioni alla loro istituzione e stabilito di fatto in maniera non flessibile dal d.lg. 367/1996, che si limitò a fotografare la situazione esistente in quel momento.
La possibilità concreta che nel futuro il concetto di stabilità del posto di lavoro venga messo in discussione anche nei teatri lirici italiani è assai realistica, tanto più di fronte a organici di personale stabile non più in linea con il resto del mondo del lavoro in generale, e ad un analisi specifica in molti casi nettamente sovradimensionati. Questa eventualità, la perdita della stabilità dell'impiego (un errore se applicata in toto, poiché la stabilità in molti casi produce qualità ed è il perno della differenza tra una Fondazione e un teatro di tradizione) può essere arginata solo da una ragionata e logica revisione degli organici, mantenendo in prospettiva solo quel numero di personale mediamente necessario alla produzione effettiva di ciascun teatro, per ricorrere invece a un numero maggiore di personale a tempo determinato secondo le esigenze produttive che si presentano di volta in volta. L'opposizione sindacale, su questo tema, è intransigente. Ma appare più una difesa di puro potere contrattuale - è evidente che un dipendente stabile è un elemento funzionale alle battaglie sindacali mentre il dipendente cosiddetto precario non è altrettanto disponibile - che frutto di un ragionamento prospettico. La lotta contro il precariato in difesa della sicurezza del lavoro, ovviamente, è un' azione condivisibile e comprensibile; ciononostante e nel caso specifico, il punto di cedimento del sistema è talmente vicino che sembra questa una difesa di principio totalmente priva di collegamenti con la realtà e in ultima analisi pericolosa per gli stessi lavoratori dello spettacolo dal vivo, che potrebbero vedere dispersi - in un atto di estrema ratio da parte del legislatore - diritti quelli sì inalienabili.
Per tornare al d.l. 64/2010, siamo dunque di fronte a un provvedimento che ha causato polemiche politiche e conflittualità estreme, ma che di fatto sembra una reazione di difesa più che una azione di forza.
Gli emendamenti introdotti dall'acceso dibattito parlamentare vanno decisamente - rispetto al testo originale - verso una logica di cautela e di compromesso, accogliendo molte delle indicazioni dello stesso sindacato. Tra questi, è bene ricordare la estensione a due anni del periodo necessario, a partire dal 29/6/2010, per stipulare un nuovo Ccnl scaduto il quale si applicherà una penalty sui contratti integrativi del 25%, contro il 50% proposto dal ministero. Inoltre, è stata introdotta l'indicazione di via libera alle assunzioni a tempo indeterminato in caso di pareggio di bilancio reiterato.
Tralasciando le varie modifiche per così dire "politiche" contenute nell'art. 1 (e cioè quello che non deve attendere nessun regolamento attuativo e ha effetti immediati), quali sono le varie specifiche e i vari richiami di principio all'importanza del melodramma come patrimonio identitario, o alla "managerialità" e alla "imprenditorialità" dei criteri delle conduzioni aziendali, colpisce l'indicazione di "...figure manageriali di comprovata e specifica esperienza alle quali compete di indicare il direttore artistico e che rispondono del proprio operato sotto il controllo di un collegio dei revisori presieduto da un rappresentante del ministero dell'Economia e delle Finanze e composto da altri due membri, di cui almeno uno magistrato della Corte dei conti."
Questo passaggio rappresenta un inedito assoluto nell'atteggiamento del governo verso la figura del direttore artistico, che il d.lg. 367/1996 relegava a mero consulente del Sovrintendente. Certo è che questa novità va studiata con attenzione e sicuramente avrà effetti rilevanti nel futuro artistico delle Fondazioni.
Un altro passaggio importante è quello che fa riferimento ai criteri di ripartizione del contributo statale, da sempre fondati su una percentuale molto alta connessa alla dimensione degli organici.
Il testo originale poneva l'accento su una maggiore rilevanza del criterio produttivo e qualitativo, ma questo richiamo è scomparso - tranne un cenno ai parametri qualitativi - nel testo emendato, il quale recita a questo proposito così:
"...incentivazione del miglioramento dei risultati della gestione attraverso la rideterminazione dei criteri di ripartizione del contributo statale, salvaguardando in ogni caso la specificità della fondazione nella storia della cultura operistica italiana e tenendo conto degli interventi strutturali effettuati a carico della finanza pubblica nei dieci anni antecedenti alla data di entrata in vigore del presente decreto". Come si nota, una dichiarazione alla quale si possono attribuire molteplici significati. La questione dei criteri di attribuzione è fondamentale, e il criterio della produttività assolutamente centrale nella considerazione di una "corretta gestione manageriale". Sembra che su questo tema la partita sia ancora del tutto aperta.
In estrema sintesi, il d.l. 64/2010 interviene cercando di ricondurre le Fondazioni a sottoporsi a un controllo più forte da parte dello Stato; e nello stesso tempo richiama le istituzioni locali pubbliche ad assumersi oneri maggiori di gestione. Questo snodo è un punto di debolezza oggettivo di questa manovra, che prevedibilmente porterà sulle Fondazioni un tasso di conflittualità istituzionale già in parte esternato in fase di conversione. La questione federalista complica maggiormente questa dinamica, che mal si sposa tra l'altro con i recenti tagli operati dalla manovra finanziaria in corso agli enti locali.
A proposito di tagli, la legge finanziaria licenziata dal governo nel dicembre del 2009 annuncia una riduzione del Fus, per il triennio10/11/12, di altri cento milioni di euro. Questo ulteriore ridimensionamento del contributo statale renderebbe vana qualsiasi riforma eventuale, compresa quella in oggetto, e condannerebbe la maggioranza dei teatri italiani alla cessazione di attività e all'impossibilità di retribuire gli stipendi conseguenti del personale stabile.
Per concludere, una legge che dichiaratamente rimanda alla necessità di una riforma, introducendo criteri e indicazioni complesse e intrecciate. Sarà nel prossimo futuro molto interessante capire quali potranno essere i regolamenti attuativi della legge 100, perché non sembra un compito facile la loro applicabilità a realtà così disomogenee quali sono i Teatri d'Opera italiani, anche fingendo che sia semplice per La Scala e Santa Cecilia ottenere quel riconoscimento che li pone giustamente fuori dal nostro sistema e dunque dotati di regole autonome di funzionamento, anche legislative e economico-finanziarie. Il d.l. prevede questa possibile autonomia a chiare lettere se vengono rispettati requisiti assolutamente comprensibili. Tuttavia uscire da un sistema a volte non è così scontato, soprattutto quando si entra in altre logiche non così compiute e definite.
La lirica italiana sconta decenni di mancato adeguamento alla realtà: lavorativa, produttiva, e in ultimo economica. Ma anche, è bene non dimenticarlo, di un isolamento culturale che rende difficile far comprendere perché la maggioranza degli italiani debba fare sacrifici economici per un bene del quale non fruisce, e che percepisce come antiquato, sorpassato, addirittura inutile. Soprattutto in un momento nel quale la crisi economica costringe tutti a sacrifici importanti in settori primari.
Di tutto questo nel prossimo futuro la politica, le istituzioni e gli operatori del settore dovranno assumere consapevolezza e reagire di conseguenza con senso di responsabilità. In un Paese che ha smarrito il senso delle proprie radici e le capacità ideali e strategiche per costruire un futuro compatibile.