Privati e patrimonio culturale
Il ruolo dei privati e la tutela del patrimonio culturale nell'ordinamento giuridico inglese: un modello esportabile? [*]
Sommario: 1. Premessa: la natura diffusa del sistema britannico di tutela dei beni culturali tra istituzioni pubbliche e soggetti privati. - 2. Le origini dell'interesse alla conservazione dei beni culturali in Inghilterra e gli istituti di tutela inerenti all'esercizio delle facoltà dei soggetti proprietari. - 2.1. La contrapposizione nella disciplina attuale dei beni culturali immobili. - 2.2. Il sistema di controllo sulle esportazioni dei beni culturali mobili. - 3. La sinergia tra pubblico e privato nella tutela, valorizzazione e gestione dei beni culturali. - 3.1. Le amenity societies e il loro ruolo nella tutela del patrimonio culturale. - 3.2. I Building Preservation Trusts e l'attività del National Trust. - 3.3. (segue) Il caso italiano del Fondo per l'ambiente italiano (FAI). - 3.4. L'esperienza del Landmark Trust e i suoi interventi di tutela nel territorio italiano. - 3.5. Le attività museali. - 4. Gli aspetti finanziari: i meccanismi di fund raising tra istituzioni pubbliche e soggetti privati. - 4.1. Il finanziamento alle attività culturali tra settore pubblico e settore privato. - 4.2. L'attività di grantmaking svolta dalle fondazioni e dai trusts patrimoniali. - 4.3. Gli strumenti tipici di finanziamento delle charities di gestione: donazioni, memberships e programmi di sostegno. - 5. Note di sintesi.
The role of private parties and cultural heritage
protection in English law: an exportable model?
The article aims at analysing the role of private parties (considered as private
owners, charities, trusts, associations and private companies) in the protection,
promotion and management of cultural heritage in England. While historically
the relationships between public and private spheres showed dynamics based
on command and control mechanisms set forth by specific legislative provisions,
subsequently many private bodies (mainly charities and associations) have
reached both an advisory and managerial role. Moreover, since the early eighties,
the recognition of the social and economic value of cultural heritage has
stressed the role of private parties as supporters, through the provision
of a wade variety of fund raising instruments. On these premises, some conclusive
considerations concerning the main features of the English legal model of
protection and its sustainability in a comparative perspective are hereby
presented.
"If they said that a certain circle
of stones was of such national interest that an interference with private
rights was justifiable in order to preserve it, might they not also say
that a certain row of beech trees on a man's estate which gave great
pleasure to persons passing by ought in the same manner to be preserve?"
Sir John Holker, Attorney General, 232 Parl. Deb. (3d ser.) 1542-43 (1877)
1. Premessa: la natura diffusa del sistema britannico di tutela dei beni culturali tra istituzioni pubbliche e soggetti privati
Nell'ordinamento giuridico inglese la dicotomia pubblico - privato nella materia dei beni culturali contribuisce a realizzare un sistema di tutela aperto [1] e diffuso in quanto composto dall'interazione di diversi soggetti e dalla compresenza di molteplici istituti. Alla complessità caratterizzante il quadro generale si affianca un sistema regolatorio che solo in minima parte è riconducibile alla legislazione di livello primario, dal momento che comprende atti di normazione secondaria, provvedimenti amministrativi sia generali che individuali e moduli consensuali.
In questo contesto il rapporto tra interessi pubblici e istanze private ha assunto storicamente - e ancora oggi presenta - una varietà di dinamiche e significati.
Secondo una struttura definita dalla dottrina italiana [2] bilaterale, anche in Inghilterra, la relazione tra il polo pubblico e quello privato si è ispirata in primo luogo a una logica di netta contrapposizione.
In altre parole l'interesse pubblico, identificato sia con l'interesse alla conservazione materiale del bene culturale immobile di interesse storico, archeologico ed artistico, che con quello diretto alla ritenzione e al controllo delle esportazioni delle opere d'arte, ha legittimato la previsione di poteri amministrativi essenzialmente di natura ablatoria e/o autorizzatoria al fine di condizionare, da un lato, l'esercizio delle facoltà dispositive ed edificatorie in capo al proprietario e, dall'altro, le scelte di quest'ultimo in ordine alla circolazione giuridica dei beni.
A questo schema, presente nelle sue linee fondamentali ancora oggi, si sono nondimeno affiancati ruoli diversi svolti dei soggetti privati.
La presenza di un interesse alla fruizione e alla diffusione dei beni culturali - riconosciuto dalla legislazione nazionale già a partire dall'inizio del secolo scorso mediante la ricostituzione per via legislativa del National Trust - ha, infatti, agevolato l'individuazione di una molteplicità di interessi aventi carattere collettivo e diffuso legati alla protezione del patrimonio culturale [3].
Questi ultimi hanno trovato fin da subito espressione non solo mediante il rinvio a una nozione generale di pubblico inteso quale fruitore delle opere d'arte e di cultura, ma anche attraverso il fenomeno spontaneo dell'associazionismo e della costituzione di fondazioni e organizzazioni (charitable trusts) di diritto privato titolari di funzioni consultive e di gestione rispetto ai quali le istituzioni pubbliche hanno finito per assumere un ruolo meramente sussidiario di regolazione generale e di controllo ex post [4]. A titolo esemplificativo, proprio a due organismi di diritto privato - la Society for the Protection of Ancient Buildings creata nel 1877 e il National Trust for Places of Historical Interest or Natural Beauty istituito nel 1895 - si devono le prime catalogazioni degli edifici di interesse antico di proprietà privata (ancient buildings) finalizzate alla individuazione di misure conservative e di restauro.
Il riconoscimento della rilevanza economica dei beni culturali e la crescita di una coscienza sociale dell'importanza del patrimonio culturale ha, inoltre, accentuato il ricorso ai privati in qualità di finanziatori delle attività culturali, inizialmente avviato dal primo governo Thatcher attraverso una serie di politiche risalenti ai primi anni '80. L'obiettivo era quello di ridurre l'intervento diretto del governo nel campo dell'arte promosso nel secondo dopoguerra con l'istituzione dell'Arts Council of England, ente pubblico nazionale, cui spetta ancora oggi il compito di provvedere alla distribuzione dei fondi ministeriali e di quelli collegati alla national lottery [5].
A tal riguardo, nel 1984 venne emanato dal Governo il Business Sponsorship Incentive Scheme la cui attuazione venne affidata alla Association for Business Sponsorship of the Arts (ABSA oggi Arts and Business), organizzazione non profit nata nel 1976 per incoraggiare l'intervento di soggetti privati nel finanziamento delle attività culturali, cui vennero aggiunte, successivamente, le prime disposizioni normative dirette a introdurre una serie di agevolazioni di natura fiscale per le imprese.
La peculiare complessità del sistema inglese di disciplina e gestione della materia culturale e gli effetti che le diverse relazioni tra interessi pubblici e privati determinano non potrebbero, però, essere comprese compiutamente se non una volta inserite in un contesto concettuale, definitorio e normativo generale dai confini talvolta incerti.
La prima incertezza riguarda la stessa nozione di bene culturale cui si somma un contesto normativo frammentario e caratterizzato dalla mancanza di una legislazione chiara, univoca e onnicomprensiva. Per quanto riguarda il primo aspetto, infatti, la classificazione maggiormente rilevante all'interno della categoria dei beni culturale non è dovuta, come nell'ordinamento italiano, al differente regime proprietario ma piuttosto alla natura mobile o immobile dei beni stessi [6].
Mentre i beni mobili di interesse culturale rientrano nella categoria della cultural property [7], i beni immobili appartengono, invece, al cultural heritage in quanto caratterizzati da uno speciale interesse storico, archeologico, architettonico, artistico o ambientale, come avviene, per esempio, nelle ipotesi di ancient monuments, listed buildings of special architectural or historic interest, royal palaces, historic and natural parks and gardens, considerati sia nella loro singolarità che complessivamente nelle c.d. conservation areas [8].
A questa disitinzione e alle ulteriori ripartizioni interne si collegano le differenze in termini di competenze amministrative assegnate oltre che agli organi del governo centrale - Department of Environment Food and Rural Affairs (DEFRA); Department of Culture, Media and Sport (DCMS); Department of Communities and Local Government (DCLG) - agli enti locali, agli organismi semi pubblici (i c.d. quangos) e alle agenzie esecutive [9].
Proprio nel senso di una parziale soluzione dei problemi collegati ai problemi definitori e alle carenze nell'efficacia, effettività e adeguatezza degli interventi, con riferimento ai beni immobili, nell'aprile 2008 il Department of Culture, Media and Sport (d'ora in poi ministero per la Cultura) ha presentato al Parlamento un disegno di legge dal titolo Heritage Protection Bill, il quale persegue apertamente l'obiettivo di unificare i regimi di protezione del patrimonio culturale promuovendo interventi di valorizzazione sia generali che puntuali anche attraverso la conclusione di accordi plurilaterali di gestione con i soggetti privati interessati (sia proprietari che finanziatori) già sperimentati in materia ambientale (c.d. Heritage Partnership Agreements HPAs) [10].
Il ruolo dei privati nell'ambito della tutela dei beni culturali in Inghilterra consente, quindi, di svolgere alcune interessanti riflessioni in ordine al rapporto e ai modi di composizione dei conflitti tra questi e gli interessi pubblici [11] oltre che all'apporto da costoro garantito nella realizzazione delle finalità di valorizzazione e di efficienza gestionale.
Ciò nonostante, occorre dar conto di alcune contraddizioni di cui l'ordinamento di common law si fa espressione.
Basti pensare che se da un lato molte delle collezioni museali anche a livello locale sono arricchite e valorizzate grazie all'agire congiunto dei governi locali e delle associazioni private, come è avvenuto nel caso del National Maritime Museum, la cui gestione e promozione è stata affidata a un atto di indirizzo chiamato Uk Maritime Collections Strategy elaborato nel 1998 da operatori del settore e da soggetti privati, in altri casi interessi privati all'uso del bene di natura spesso prettamente commerciale finiscono per limitare talvolta del tutto l'interesse pubblico alla garanzia di una piena accessibilità e fruizione.
Un esempio significativo al riguardo si trova nella città di Oxford dove una nota catena di fast-food e una celebre compagnia assicurativa esercitano la propria attività nel centro cittadino all'interno di uno degli edifici più antichi, un tempo una locanda, dove anche William Shakespeare ebbe a soggiornare durante un viaggio di ritorno da Londra alla sua città natale. In questo caso solo gli avventori dell'esercizio commerciale e gli impiegati della agenzia possono godere degli affreschi e dei pavimenti originali dell'edificio risalenti al 1182 e situati proprio nelle stanze che ospitarono l'insigne drammaturgo.
Sulla base delle premesse generali svolte, il presente contributo si propone, quindi, di indagare il ruolo dei privati all'interno del regime di tutela, valorizzazione e gestione dei beni culturali secondo tre linee direttrici [12], vale a dire in primo luogo la contrapposizione degli interessi, in secondo luogo la sinergia dei interessi pubblici e privati nell'attuazione degli interventi di tutela e valorizzazione, da ultimo alcuni profili economici relativi alla gestione dei beni culturali con particolare riferimento alle modalità di finanziamento delle attività.
Con riguardo al primo dei tre profili, dopo una breve introduzione circa le origini degli istituti pubblici di conservazione si tratteranno in particolare due ipotesi applicative: il regime urbanistico del patrimonio culturale e il controllo sull'esportazione delle opere d'arte di interesse culturale; con riguardo al secondo aspetto l'attenzione sarà rivolta alle funzioni svolte dalle associazioni rappresentative degli interessi culturali (c.d. national e local amenity societies), dalle fondazioni con finalità conservative (nello specifico, il National Trust e il Landmark Trust), e dalle istituzioni museali; in merito, invece, al terzo profilo si darà conto della natura composita dei meccanismi di finanziamento delle attività culturali distinguendo quelli di derivazione pubblica da altri di natura privata caratterizzati da scopi sociali, liberali e commerciali.
In sede di conclusioni, infine, si tenterà di dar conto delle linee caratterizzanti il modello inglese di tutela del patrimonio culturale anche alla luce delle recenti riforme normative in atto.
2. Le origini dell'interesse alla conservazione dei beni culturali in Inghilterra e gli istituti di tutela inerenti all'esercizio delle facoltà dei soggetti proprietari
Le prime forme di tutela conservativa del patrimonio culturale inglese risalgono alla seconda metà del XIX secolo e hanno riguardato in primo luogo i beni immobili di interesse storico colpiti dal massiccio sviluppo urbanistico avvenuto tra la metà e la fine del XVIII secolo e in larga parte caratterizzati da un regime proprietario di natura privata regolato dal diritto comune [13].
A questo fine, nel 1873 venne presentata una proposta di legge avente ad oggetto la protezione dei monumenti antichi nazionali. Quest'ultima, nella sua iniziale formulazione prevedeva la costituzione di un registro degli edifici di importante valore storico, l'obbligo di notifica ai soggetti pubblici di qualsiasi iniziativa edilizia modificativa dell'immobile e il potere di esproprio a favore dell'apparato pubblico centrale, fatta salva la corresponsione di una somma di denaro a titolo di integrale compensazione.
L'iniziativa, rivolta all'introduzione di una legislazione di natura essenzialmente conservativa, si scontrò, però, con uno dei pilastri portanti del sistema giuridico inglese, vale a dire il diritto di proprietà e le facoltà ad esso collegate. La protezione del patrimonio culturale entrava, infatti, a far parte dei doveri pubblici e la funzione di controllo esercitata nei confronti dei proprietari dei beni, anche indipendentemente dalla loro volontà, imponeva una ridefinizione del diritto dominicale tale da comprendere non solo le libertà tradizionali ma anche l'obbligo e l'onere di conservare il bene culturale in favore di un pubblico indistinto e complessivamente inteso, in cui rientravano anche le generazioni future [14].
In altre parole la proprietà culturale dei beni finiva per differenziarsi rispetto a tutti gli altri casi di property rights comprendendo due elementi distinti, l'uno legato alla disciplina privatistica, l'altro espressione della collettività e legittimante l'intervento pubblico; il bene finiva per essere assimilato a un lascito ereditario (heirloom) che le generazioni si tramandavano l'una l'altra [15].
Sebbene la proposta del 1873 non venne mai approvata nella sua formulazione originaria, alcuni dei suoi tratti ispiratori sono ancora oggi identificabili nella attuale disciplina di tutela [16] degli sheduled ancient monuments (edifici antichi e non abitati) e dei listed building (immobili per lo più adibiti a privata abitazione) [17].
In entrambi i casi la disciplina di settore pur se differente - l'Ancient Monuments and Archaelogical Areas Act del 1979 per i primi e il Planning (Listed Buildings and Conservation Areas) Act del 1990 per i secondi - presenta alcuni tratti comuni soprattutto in ordine alla funzione pubblica riservata al governo centrale e locale e agli effetti della stessa sugli interessi dei privati proprietari.
Sia per quanto riguarda la legislazione relativa agli ancient monuments che per quella dei listed buildings, infatti, si deve registrare un peculiare innesto tra la politica del territorio e quella dei beni culturali dovuta a una sovrapposizione delle competenze in capo ai medesimi organi istituzionali [18].
In questo contesto condizione per realizzare gli interessi alla protezione e conservazione dei beni è in entrambi i casi l'inserimento dell'edificio in una lista o in un catalogo (avente natura di documento pubblico e accessibile da chiunque vi abbia interesse) il quale, determina l'imposizione di una serie di doveri specifici in capo al proprietario tra cui quello di non apportare modifiche, di non demolire l'immobile senza aver ottenuto prima la necessaria autorizzazione (consent) [19] e di mantenerlo in uno stato di ragionevole conservazione (duty of reasonable repair) [20].
Per gli interventi di restauro, il titolare ha comunque la possibilità di chiedere dei contributi sia a livello nazionale che locale attraverso il sistema della national lottery, di cui si tratterà più diffusamente nei paragrafi successivi dedicati ai sistemi di finanziamento delle attività legate al patrimonio culturale.
Per quanto riguarda la sola categoria degli ancient monuments, la legislazione dispone, poi, che il proprietario dell'edificio possa, mediante la conclusione di un atto pubblico e con il consenso conforme del Ministro, porre l'immobile sotto guardianship di una istituzione pubblica (lo stesso ministero, l'English Heritage o una autorità locale) per la durata e alle condizioni previste in una apposita convenzione. L'istituto contemplato dall'art. 12 dell'Ancient and Archaelogical Areas Act del 1979 ha l'effetto da un lato di creare un dovere di conservazione (duty of maintain) e un potere di controllo e di gestione (power of full control and management) in capo alla autorità pubblica [21], dall'altro di imporre nei confronti del proprietario o del detentore del bene il dovere di consentirne l'accesso al pubblico [22].
Al contrario, la circostanza che nella maggior parte dei casi i listed buildings siano luoghi di abitazione abituale, ha indotto il legislatore non solo a non riprodurre per questi il meccanismo appena delineato, ma anzi a limitare l'esercizio delle funzioni amministrative di natura conservativa attraverso istituti di semplificazione affini alla dichiarazione di inizio attività [23].
Ancora oggi, in questi casi, è riconosciuta agli interessi privati una forma efficace di garanzia degli interessi: l'art. 6 del Planning (Listed Buildings and Conservation Areas) Act del 1990, infatti, prevede una particolare procedura atta ad ottenere dal Ministro per la cultura il c.d. certificato di immunità (certicate of immunity). Questo altro non è se non una "garanzia legale" che l'edificio non verrà inserito nella lista degli immobili dotati di speciale interesse storico e architettonico per i successivi cinque anni in modo tale da consentire non solo una adeguata progettazione delle opere edilizie che si intendono realizzare, ma anche la conclusione di eventuali atti dispositivi dell'immobile senza il rischio che il bene subisca un deprezzamento a seguito del listing [24].
Il regime di tutela relativo ai beni mobili di interesse culturale è in generale e sotto molti profili meno invasivo rispetto a quello riservato ai beni immobili fatte salve alcune ipotesi particolari tra cui le previsioni in materia di esportazione e circolazione dei beni.
Fino alla metà del secolo scorso non vi era in Inghilterra alcun controllo sulle esportazioni delle opere d'arte dal momento che solo a partire dagli anni cinquanta del XX secolo l'ordinamento ha iniziato a manifestare una maggior attenzione nei confronti di questi fenomeni soprattutto con riferimento ai rischi di depauperamento del patrimonio culturale e artistico nazionale.
Da un punto di vista organizzativo l'intento di proteggere i beni di interesse culturale è stato tradotto nell'istituzione del Reviewing Committee on Export of Works of Art, organo collegiale consultivo del ministero (formalmente un non-statutory body), il quale si pronuncia sulle autorizzazioni alle esportazioni facendo applicazione dei c.d. Waverley Criteria [25].
La necessità di ottenere l'autorizzazione all'esportazione da parte del Ministro per la cultura trova previsione oltre che nel combinato disposto dell'Uk Export Licensing System for Works and Art, Antiques and Collectors' Items del 1993 e dell'art. 10 comma 1 lettera a) dell'Export Control Act del 2002, anche nella normazione secondaria di cui al The Export of Objects of Cultural Interest (Control) Order del 2003. Il procedimento amministrativo è regolato in dettaglio da atti ministeriali e da guidance notes, le quali ne affidano la responsabilità istruttoria all'Export Licensing Unit del Museums, Libraries and Archives Council (MLA), agenzia esecutiva creata nel 2000 e finanziata dal ministero per la Cultura [26].
La legislazione di settore e gli atti di indirizzo ministeriali configurano l'azione amministrativa autorizzatoria come discrezionale dato il necessario bilanciamento di contrapposti interessi quali l'interesse del privato a vendere l'opera e gli interessi nazionali a trattenerla e a realizzare un commercio delle opere d'arte efficiente e sano [27].
Come anticipato l'interesse pubblico alla permanenza dell'opera nel territorio nazionale è misurato alla luce dei Waverley Criteria elaborati negli anni cinquanta e oggetto di una costante interpretazione adeguatrice ed evolutiva, da ultimo contenuta nel Quinquennial Review of the Reviewing Committee on the Export of Work of Art, pubblicato nel dicembre del 2003.
La logica sottesa ai criteri è quella di verificare se vi sia una stretta connessione del bene alla storia e alla vita stessa della Nazione, se esso sia di straordinario valore artistico ed estetico e, infine, se abbia un particolare significato per gli studi artistici, storici, archeologici, antropologici e letterari [28].
Il parere negativo del comitato non ha carattere vincolante, ma comporta la sospensione del procedimento e l'assegnazione di un termine non inferiore a due mesi entro il quale qualunque soggetto interessato può presentare al proprietario un'offerta di acquisto del bene al prezzo di mercato.
Tale offerta, che il proprietario è libero o meno di accettare - con la consapevolezza, però, che il rifiuto potrebbe comportare il diniego dell'autorizzazione - può provenire da enti pubblici o da enti privati senza scopo di lucro che esercitano la propria attività nel campo della conservazione e valorizzazione del beni culturali - come, per esempio musei, gallerie, associazioni, enti locali, enti pubblici centrali, trusts, enti semi indipendenti quali l'English Heritage o le Università -, nonché da soggetti e imprese privati. In questo ultimo caso il privato che presenza l'offerta deve accompagnarla a una formale promessa di garantire una ragionevole fruizione dell'opera da parte del pubblico [29].
Mentre per gli istituti analizzati nei paragrafi precedenti la relazione tra pubblico e privato può essere letta in chiave di contrapposizione, più in generale, nelle funzioni di tutela, valorizzazione e gestione dei beni culturali, i soggetti privati assumono in Inghilterra un ruolo decisamente determinante e ispirato a uno spirito di forte cooperazione e sinergia con gli apparati pubblici.
Sotto questo profilo, la categoria degli attori privati non è, però, del tutto omogenea ed è anzi dominata del fenomeno dell'associazionismo e dall'operato delle fondazioni di diritto privato, generalmente costituite attraverso la forma delle charities o del trust.
Nell'ordinamento inglese, l'intervento delle associazioni e delle fondazioni private costituite su base volontaristica per scopi di conservazione e di beneficenza ha assunto fin dal XIX secolo un ruolo decisivo nel settore culturale anche prima e indipendentemente da qualsivoglia regime pubblicistico di tutela. La Society for the Protection of Ancient Buildings, per esempio, creata nel 1877 da William Morris per la protezione e il recupero dei monumenti di interesse storico e archeologico, diede vita alle prime forme di catalogazione dei beni divenute poi il fondamento degli interventi di tutela contenuti nella legislazione successiva.
Allo stesso tempo, con riferimento alla lotta al traffico illecito di opere d'arte, negli anni '80 del secolo scorso, fu la Museums Association, quale associazione di diritto privato rappresentativa dei musei, ad adottare un codice di comportamento che regolasse le politiche di acquisizioni delle opere d'arte richiamando le organizzazioni museali all'osservanza dei principi della Convenzione UNESCO del 1970 al fine di evitare l'accoglimento nelle collezioni di opere esportate illegalmente.
Per quanto riguarda la disciplina applicabile a questo tipo di organizzazioni - riconducibili con una certa approssimazione alle categorie giuridiche italiane delle associazioni e della fondazioni di diritto privato [30] - e alla loro attività occorre riferirsi al diritto delle charity entities e dei trusts [31], questi, infatti, come è noto, sono costituiti essenzialmente o da un vincolo di natura patrimoniale o da un accordo di tipo associativo con intestazione di beni e attribuzione di responsabilità gestorie in capo ai trustees.
In virtù del Charity act del 1993 così come riformato nel 2006 uno degli scopi per cui una charity può essere costituita riguarda appunto "the advancement of the art, culture, heritage or science". La Charity Commission, autorità indipendente e responsabile nei confronti del Parlamento della regolazione in materia [32], ha più volte chiarito che il riferimento all'advancement di cui al testo legislativo richiama la funzione generale di promozione del patrimonio culturale, espressione della storia e dell'identità nazionali. L'ambito di intervento di una charity in questo settore dovrebbe quindi comprendere oltre alle attività di conservazione materiale e di restauro delle opere anche quelli di più ampia valorizzazione affinché ne sia garantita la fruizione da parte del pubblico [33].
In questo settore la tipologia delle organizzazioni senza fine di lucro che perseguono charitable purposes è varia. Da un punto di vista costituitivo, infatti, si rinvengono organismi creati sulla base di un atto di natura privata (bylaw; memorandum of association; trust) così come organizzazioni istituite attraverso Royal Charter (come nel caso della National Gallery) [34] o per Act of Parliament (come nel caso del National Trust) [35].
In base alla natura delle attività perseguite è possibile distinguere charities a base associativa le cui finalità si identificano nella conservazione di un gruppo o di un tipo di beni attraverso la promozione di studi specializzati e campagne di informazione e sensibilizzazione a livello nazionale e locale cui viene dato il nome di amenity societies, da altre, definite "building preservation trusts". Queste ultime acquistano edifici di interesse storico ed artistico al fine di provvedere al loro restauro per poi venderli, affittarli o gestirli. In questo modo, infatti, le organizzazioni recuperano i fondi necessari a intraprendere attività future dello stesso tipo. Alla categoria delle charities vanno, infine, ricondotte la maggior parte delle istituzioni museali e altri charity trusts, istituiti per la tutela, la valorizzazione e la gestione di un solo edificio o di un complesso architettonico di proprietà privata.
A questa ultima categoria è dedicata in particolare la guidance RR9 dal titolo "preservation and conservation" elaborata nel febbraio del 2001 dalla Charity Commission la quale disciplina nello specifico il rapporto tra l'obbligo imposto alla charity di garantire l'accesso al bene da parte del pubblico ("the benefit of the public") e eventuali interessi contrapposti tra i quali quello del privato proprietario o detentore dell'immobile [36] e quello generale di prevenzione da possibili rischi di deterioramento. In questi casi sono, infatti, consentite l'individuazione e l'elaborazione di modalità diverse di fruizione, come, per esempio, l'accesso parziale o esterno e l'utilizzo di supporti multimediali e cartacei.
A tutela della realizzazione di questi obiettivi è posta la attività di controllo e monitoraggio della stessa commissione che richiede, in sede di registrazione della costituenda charity, la presentazione di un piano dettagliato relativo agli rari di apertura e alle forme di pubblicità delle informazioni rivolte agli utenti.
3.1. Le amenity societies e il loro ruolo nella tutela del patrimonio culturale
Come già evidenziato in precedenza le amenity societies costituiscono un particolare tipo di registered charities a base associativa. Esse esercitano la propria attività nel settore del patrimonio culturale con riguardo soprattutto alle finalità di conservazione e di promozione dei beni anche attraverso l'elaborazione di iniziative promozionali, di studio ed educative a livello centrale e locale.
La loro presenza nel contesto culturale ed artistico in Inghilterra risale alla fine del XIX secolo con la creazione della Society for the Protection of Ancient Buildings avvenuta nel 1877, seguita nel 1898 dalla Society of Antiquaries of London (divenuta oggi il Council for British Archaeology), dall'Ancient Monuments Society del 1924, dal Georgian Group del 1937, dal Civic Trust e dalla Victorian Society costitutuiti nel 1957 e, negli anni più recenti, dalla Garden History Society e dalla Twentieth Century Society.
Proprio per la loro riconosciuta competenza tecnica in materia di beni culturali, dovuta in molti casi a una compagine partecipativa composta da volontari ed esperti del settore, queste organizzazioni hanno ottenuto, a partire dalla metà del secolo scorso, un espresso riconoscimento in molti atti normativi di legislazione primaria e secondaria, che le hanno qualificate come soggetti consultivi (statutory consultees) nell'ambito dei procedimenti amministrativi riguardanti i beni oggetto di tutela.
Questo si è verificato soprattutto con riferimento agli interventi edilizi sui beni immobili in relazione ai quali fin dal Town and Country Planning Act del 1968 si è previsto l'obbligo per le autorità locali di notificare le domande di autorizzazione per le demolizioni degli edifici protetti (listing building consent) alle amenity societies sia nazionali che locali, in modo da consentire loro di esprimere un parere in merito alla istanza [37].
A tale previsione, ripresa dal Planning (Listed Buildings and Conservation Areas) Act del 1990 e disciplinata nel dettaglio dalla circolare del ministero dell'Ambiente n. 01 del 2001 relativa agli "Arrangements for Handling Heritage Applications - Notification and Directions by Secretary of State", si è aggiunta negli anni successivi anche la possibilità per le national amenity societies di segnalare al ministero per la Cultura, gli edifici di interesse storico ed artistico per i quali si ritiene opportuna l'iscrizione nel registro di tutela [38].
Dello stesso tenore sono anche le disposizioni contenute nelle proposta di legge presentata dal ministero per la Cultura nell'aprile del 2008 e relativa al patrimonio culturale (Heritage Protection Bill). Viene previsto, infatti, l'obbligo dell'Autorità competende a gestire il registro dei beni soggetti a protezione di informare "any national amenity society specified in an order made by the appropriate national authority for the purposes of this paragraph which has special knowledge of, or interest in, the structure concerned or registrable structures of its type", invitandola a presentare le proprie valutazioni [39].
Tra le amenity societies quelle che esercitano la propria attività a livello nazionale godono di una posizione privilegiata nel sistema di tutela non solo a causa del numero di associati, ma anche e soprattutto per la dimostrata competenza specialistica di cui sono portatrici. La constatazione del ruolo assunto ha spinto queste organizzazioni a costituire nel 1972 un organismo che ne coordini e ne regoli l'attività, il Joint Committee of the National Amenity Societies, con l'intento di elaborare e presentare proposte di modifica per la legislazione, il sistema fiscale e le politiche che riguardino gli edifici di interesse storico e artistico. La rilevanza del comitato ha trovato da ultimo conferma nella partecipazione agli incontri dello stesso di funzionari del ministero e dell'English Heritage in qualità di osservatori [40].
Al Joint Committee spetterebbe, inoltre, la designazione di alcuni dei membri dei Conservation Area Advisory Commitees, organismi di tutela a livello locale composti principalmente da rappresentanti dei governi e delle associazioni locali, previsti dal paragrafo 4.13 della National Planning Policy n. 15 "Planning and the Historic Environment". Questi organismi dovrebbero affiancare le autorità territoriali nella elaborazione delle politiche e degli interventi riguardanti le aree caretterizzate da una particolare esigenza di protezione (conservation areas).
Sul punto, però, il condizionale è d'obbligo dal momento che la previsione è rimasta pressoché inattuata e delle 9.000 autorità locali sul cui territorio insiste una conservation area, solo una minima parte si è dotata dei comitati competenti.
Alle organizzazioni a competenza specifica, infine, come per esempio nel caso del Council for British Archaeology, della Garden History Society, del Georgian Group o della Victorian Society, è spesso riconosciuta una funzione consultiva nei procedimenti per l'emanazione delle policies, guidances e best practices finalizzate all'aggiornamento e all'integrazione della normativa di settore, nonché e per la completa attuazione di quella vigente.
3.2. I Building Preservation Trusts e l'attività del National Trust
Nello svolgimento degli interventi di tutela, promozione e valorizzazione dei beni culturali immobili di interesse storico, artistico e paesaggistico, di particolare interesse è l'attività dei building preservation trusts, vale a dire charities costituite su iniziativa privata poste a tutela di edifici singoli o di complessi immobiliari a rischio di degrado. Tali organizzazioni agiscono in base a una logica parzialmente commerciale e imprenditoriale nonostante non vi siano finalità di profitto e prospettive concorrenziali. La loro attività si sostanzia tradizionalmente nell'acquisto per somme modeste di edifici bisognosi di interventi conservativi e nel loro restauro mediante l'utilizzo di fondi propri integrati da finanziamenti statali; una volta ultimati gli interventi l'edificio viene gestito direttamente dal trust oppure venduto o affittato nuovamente a privati dietro accettazione di una serie di vincoli a carattere conservativo.
Le attività dei building preservation trusts sono sovente coordinate dal National Trust, probabilmente uno dei più importanti organismi senza fine di lucro nel campo delle attività di natura conservativa e promozionale in materia culturale; per quanto riguarda i beni immobili, queste ultime sono, infatti, in parte assimilabili a quelle esercitate dai building preservation trusts, anche se, in generale, i settori di intervento del National Trust sono piuttosto vasti e comprendono la valorizzazione e la gestione anche di beni culturali mobili o di collezioni artistiche.
Proprio quest'ultimo profilo ha via via assunto maggior rilievo tanto che a partire dal 2005 il National Trust è stato riconosciuto come una delle autorità museali più importanti del Regno Unito grazie alle proprietà di oltre 150 collezioni ognuna delle quali ha ottenuto l'accreditamento da parte dell'Museum, Libraries and Archives Council.
Nato come associazione di diritto privato nel 1894, il National Trust for Places of Historical Interest or Natural Beauty è stato sciolto e nuovamente costituito come statutory charity con personalità giuridica in base al National Trust Act del 1907 mantenendo gli scopi originari dell'organizzazione, vale a dire "promoting the permanent preservation for the benefit of the nation of lands, tenements, (including buildings) of beauty or historic interest and as regards lands for the preservation (so far as practicable) of their natural aspect features and animal and plant life", ai quali, con le riforme legislative successive, sono stati aggiunti gli obiettivi di conservazione di beni mobili ("preservation of furniture and pictures and chattels of any description having national or historic or artistic interest") e di valorizzione dei beni culturali anche attraverso la realizzazione di programmi di informazione, di educazione e di studio [41].
In quanto charity costituita secondo forme pubblicistiche e attraverso un atto del Parlamento, il National Trust [42], sebbene indipendente finanziariamente dal governo e soggetto come tutte le organizzazioni non lucrative al controllo della Charity Commission presso la quale è registrato di diritto, presenta un ordinamento disciplinato direttamente dalla legge, la quale dispone, tra gli altri aspetti, l'inalienabilità di parte del suo patrimonio (c.d. fixed heritage) [43].
L'attività del trust si sostanzia nella acquisizione di beni culturali e in interventi di tutela, conservazione e gestione degli stessi, resi possibili dalla continua elaborazione di programmi di funding raising.
Mentre le acquisizioni dei beni possono avvenire generalmente sia a titolo gratuito che a titolo oneroso a seguito di contratti di compravendita, di leasing o di locazione, la loro gestione può essere esercitata secondo schemi differenziati: accanto a modalità ormai poco utilizzate, quali la successiva vendita, l'affitto o il leasing a terzi [44] il National Trust ha elaborato nel corso degli anni varie politiche di fruizione [45] e ha dato vita alla società a responsabilità limitata denominata National Trust (Enterprises) Ltd per l'esercizio di molti servizi aggiuntivi a natura commerciale, come la pubblicazione di cataloghi o l'organizzazione e l'affitto delle strutture per convegni e manifestazioni [46].
Dato che il National Trust non riceve alcun tipo di erogazione diretta da parte degli apparati pubblici, gli strumenti di finanziamento più diffusi sono, quindi, rappresentati oltre che dalle rette annuali dei membri e dalle erogazioni liberali provenienti da soggetti privati stimolate attraverso le campagne di raccolta fondi (c.d. appeals), da nuovi meccanismi di on line fundraising e dalle operazioni commerciali del National Trust (Enterprises) Ltd che ha promosso, negli anni più recenti, la conclusione di accordi di sponsorizzazione e di parternship [47].
L'esperienza del National Trust inglese ha ispirato nel 1975 in Italia la costituzione del Fondo per l'ambiente italiano (FAI), fondazione di diritto privato senza finalità di lucro i cui scopi comprendono molte attività rilevanti per le funzioni di conservazione, gestione e valorizzazione dei beni culturali.
In base all'art. 2 dello Statuto la Fondazione ha come scopo esclusivo "l'educazione e l'istruzione delle collettività alla difesa dell'ambiente e del patrimonio aritistico e monumentale" per realizzare il quale vengono assegnate funzioni e compiti di tutela, conservazione e promozione mediante la dotazione di un patrimonio costantemente accresciuto attraverso erogazioni liberali e atti di acquisto sia a titolo oneroso che gratuito.
In altre parole, così come avviene nell'esperienza d'oltre Manica, al fine di realizzare gli obiettivi principali, l'organizzazione amministra e gestisce direttamente i beni in suo possesso oltre ad avere la possibilità di porre in essere qualsiasi tipo di negozio ritenuto opportuno per il finanziamento delle proprie attività, generalmente realizzato mediante l'apertura al pubblico dei beni presenti nel patrimonio e la predisposizione di servizi strumentali e aggiuntivi (tra cui le conduzione di terreni agricoli, l'attività di consulenza, l'organizzazione di viaggi a scopo di istruzione, di studio e di formazione culturale, l'organizzazione di manifestazioni e spettacoli, la promozione turistica, la conduzione di esercizi commerciali anche mediante l'affidamento a terzi).
A questi strumenti di finanziamento occorre aggiungere una lunga esperienza in tema di sponsorizzazioni con imprese italiane e straniere che ha portato nel 2001 alla elaborazione di un programma/piano di adesione annuale per le aziende interessate denominato Corporate Golden Donor.
Oltre a molti castelli e complessi monasteriali in tutto il territorio nazionali il FAI detiene anche diverse ville e case d'arte spesso oggetto di donazioni, legati testamentari e, in alcuni casi, di concessione amministrativa.
Anche se l'attività del Fondo non è così ampia come quella del National Trust inglese, il quale, anche grazie al riconoscimento pubblicistico, cura e tutela attualmente circa 2000 edifici di interesse storico ed artistico e numerose collezioni di opere d'arte, questa rimane senza dubbio assimilabile a quelle dei building conservation trusts cui si somma l'interesse più ampio per la difesa e la protezione dell'ambiente che nei primi è in parte sussidiaria rispetto alla promozione degli interventi di consolidamento, conservazione, restauro e manutenzione degli edifici.
Una fondazione senza scopo di lucro che merita particolare interesse e che, per le funzioni esercitate, può essere ricompresa a sua volta nei building preservation trusts, è il Landmark Trust, fondato nel 1965 da Sir e Lady Smith, il cui patrono ufficiale è il principe Carlo d'Inghilterra.
L'attività di questo organismo è in parte peculiare rispetto alla generalità delle esperienze dal momento che esso recupera gli edifici di interesse storico ed architettonico in parte per renderli accessibili al pubblico e in parte per affittarli come luoghi di villeggiature dedicati al turismo di lusso [48].
In questo modo i proventi derivanti dall'attività commerciale vengono riutilizzati, insieme alle donazioni liberali e alle sovvenzioni pubbliche eventualmente ottenute, per la futura manutenzione o per l'acquisto di ulteriori edifici in stato di abbandono.
Questa attività non riguarda, però, solamente beni presenti nel territorio britannico ma anche in altri Stati nazionali (tra cui l'Italia, gli Stati Uniti e il Canada), i quali talvolta sono di proprietà di cittadini o di enti britannici che concludono convenzioni o accordi con il trust per la loro conservazione e gestione, in altri casi vengono invece acquistati direttamente dal trust che ne cura la tutela.
In Italia per esempio l'attività del Landmark Trust ha interessato quattro edifici di interesse storico architettonico ed artistico: Casa Guidi a Firenze, la Keats and Shelly House situata in Piazza di Spagna a Roma, Villa Saraceno progettata da Andrea Palladio (1508-1580) in provincia di Vicenza e il monastero di Sant'Antonio a Tivoli.
Nel primo caso si tratta dell'appartamento situato al piano nobile di Palazzo Guidi e dimora della poetessa inglese di epoca vittoriana Elizabeth Browning (1806-1861) che vi arrivò nel 1847. Dopo svariati passaggi avvenuti nel corso degli anni la proprietà è oggi in capo al celebre college inglese di Eton che nel 1995 ha concluso con il Landmark Trust un accordo per il restauro e la gestione dell'immobile il quale prevede altresì che l'edificio debba essere utilizzato per sette settimane all'anno come centro studi e museo e per il restante periodo come alloggio turistico. Per quanto riguarda, invece, la Keats and Shelly House dove nel 1821 morì il poeta John Keats (1785-1821), questa, destinata all'abbandono e al degrado, venne acquistata nel 1906 da un gruppo di otto scrittori americani che la rivendette l'anno successivo alla costituita Keats and Shelley Memorial Association (incorporated) Charity con sede in Inghilterra. A seguito della campagna organizzata per la raccolta di fondi destinati al recupero dell'edificio organizzata da quest'ultima il Landmark Trust propose di acquistare un piano dell'edificio riservandolo alle attività di villeggiatura e permettendo così l'allestimento di un museo permanente aperto tutto l'anno in quello sottostante.
Vicende analoghe a quelle degli edifici di Firenze e Roma hanno interessato anche la villa palladiana nel Vicentino e il monastero di Sant'Antonio a Tivoli. Mentre quest'ultimo venne acquistato già nel XIX secolo dall'inglese Frederick Searle che insieme all'archeologo Thomas Ashby ne curò l'iniziale restauro, Villa Saraceno, che con le altre ville venete è stata inserita dall'UNESCO nel patrimonio dell'Umanità, è stata acquistata dal Landmark Trust nel 1989 e oggi è visitabile previo appuntamento [49].
In termini generali, una volta ricevuta una richiesta per il recupero di un edificio che necessita di interventi conservativi, il trust avvia un processo valutativo che inizia con l'elaborazione di un progetto da parte di esperti del settore avente ad oggetto la sostenibilità materiale ed economica delle future operazioni. Se tale valutazione ha esito positivo si procede alla acquisizione della disponibilità del bene che può avvenire attraverso un atto di acquisto della proprietà, di locazione o ancora di leasing; l'edificio viene quindi analizzato, studiato e schedato e viene selezionato un architetto per redigere un piano preliminare degli interventi di restauro con le eventuali proposte di modifica strutturale.
Segue quindi la fase di attuazione del progetto attraverso l'avvio di una procedura competitiva per la scelta dell'impresa esecutrice del lavori (tender process) e di strategie adeguate alla raccolta dei fondi finanziari necessari (fund-raising) reperibili di norma attraverso donazioni private, sovvenzioni pubbliche o di altre organizzazioni non profit.
La politica di gestione delle attività museali in Inghilterra si presenta alquanto articolata soprattutto in relazione alla presenza di tipologie di musei differenti per natura, dimensione e ambito territoriale di riferimento.
L'attività museale è svolta, infatti, da musei nazionali (national museums) [50], da musei locali (local authority funded museums), da musei universitari (university museums) e da musei indipendenti i quali possono avere a loro volta rilevanza sia locale che nazionale (independent museums) [51]. Tra tutte queste categorie quella dei musei nazionali o di rilevanza nazionale gode ancora oggi di un regime normativo del tutto peculiare in quanto riservato alla disciplina di fonte legislativa.
I musei statali, infatti, nati originariamente come pubbliche istituzioni, sono divenute nel corso del tempo charity trusts di diritto speciale in virtù di quanto disposto dal Museums and Galleries Act del 1992; per questo motivo da un lato sono sottratti al controllo della Charity Commissions in quanto exempt charities, dall'altro, ai fini dell'individuazione della disciplina applicabile, vengono classificati come quangos, ovvero come enti pubblici esecutivi non dipartimentali [52].
A partire dagli anni '80 il ruolo dell'apparato pubblico ministeriale nei confronti delle istituzioni museali e, nello specifico, del ministero per la Cultura, è stato notevolmente ridimensionato; è stata infatti riconosciuta una maggior autonomia finanziaria mediante l'affidamento, secondo lo schema generale previsto dalla charity law, delle funzioni gestorie ai boards of trustees i quali sono tenuti a valorizzare il potenziale economico delle collezioni [53].
Appare nondimeno evidente che il principio di autonomia comporta necessariamente il risultato di una elaborazione delle politiche di gestione differenziate a seconda delle diverse strutture: mentre, per esempio, per le collezioni che fanno capo al National Trust quest'ultimo predilige un regime che ne assicuri, ove possibile, la conservazione nel contesto di riferimento più appropriato, per altre tale aspetto della tutela è spesso poco considerato, basti ricordare il recente fatto di cronaca che ha visto il primate cattolico d'Inghilterra contrapporsi al direttore della National Gallery con riferimento alla collocazione della celebre opera Il Battesimo di Cristo di Piero della Francesca entrata a far parte della collezione del museo nel 1861 [54].
Il cambiamento avviato non ha determinato, però, un generale arretramento dell'intervento dei pubblici poteri, quanto piuttosto un nuovo modo di elaborazione delle politiche affidate ora al Museums, Libraries and Archives Coucil (MLA), agenzia esecutiva con uffici decentrati a livello regionale [55].
Il MLA ha in primo luogo il compito di attuare un sistema di controlli ad intensità variabile a seconda della natura pubblica o privata dei finanziamenti raccolti dalle strutture museali [56] e avente ad oggetto soprattutto la qualità della gestione e dei servizi; l'obiettivo è quello di favorire per quanto possibile la collaborazione delle diverse istituzioni sia nazionali che locali e la conclusione di accordi con soggetti terzi e sponsors privati [57].
Il finanziamento diretto da parte del governo - come avviene nel caso del British Museum o della National Gallery - determina, per esempio, modalità di controllo specifiche con riferimento al rispetto dell'obbligo di garantire un accesso gratuito alle collezioni, oltre alla nomina da parte del ministro per la Cultura della maggioranza dei componenti del board of trustees e del direttore del museo [58].
Quest'ultimo, è tenuto a rispondere dell'utilizzo dei fondi pubblici assegnati direttamente agli organi ministeriali in virtù di un funding agreement, di un management statement e di un financial memorandum che impongono la presentazione di una relazione annuale sulla stato di tutela delle collezioni, sul piano di sviluppo del museo e sulla situazione finanziaria [59].
La disciplina dei musei locali, universitari e indipendenti è, invece, meno invasiva e ruota essenzialmente attorno all'istituto della accreditamento introdotto nel 1988 con il Museum Registration Scheme e contenuto a partire dal 2004 nell'Accreditation Scheme for Museums il quale, sebbene formalmente facoltativo, rappresenta attualmente il presupposto necessario per la concessione dei finanziamenti pubblici sia statali che locali.
Lo schema sottoscritto dal ministero per la Cultura, dalle associazione rappresentative del governo locale e dall'Heritage Lottery Fund introduce una livello minimo di standards che le organizzazioni museali al momento della richiesta di accreditamento si impegnano ad osservare sottoponendosi a un controllo successivo e periodico in ordine alla loro attuazione.
Il contenuto degli standards che riprendono in parte quanto stabilito dal codice etico elaborato dalla Museum Association nel 1994, riguardano quattro settori fondamentali, vale a dire il governance and museum management, gli user services, le visitor facilities e il collection management; la procedura amministrativa di accreditamento è gestita dal MLA che affida l'istruttoria e il controllo all'accreditation commitee, composto da esperti e professionisti del settore.
Al fine di garantire un adeguato uso delle risorse anche nel senso di consentire l'accrescimento quantitativo e la valorizzazione qualitativa delle collezioni, il governo centrale ha, inoltre, previsto due istituti particolari: l'acceptance in lieu e il government indemnity scheme.
Il primo, simile al nostro meccanismo di pagamento della imposta di successione tramite cessione [60], consente ai contribuenti, che non desiderino pagare l'imposta di successione sui beni ereditari, di trasferire al ministero per la Cultura la proprietà dei beni culturali di interesse storico e artistico rientranti nell'asse ereditario dietro pagamento di un corrispettivo pari al valore di mercato del bene, affinché possano essere assegnati all'istituto museale più appropriato per garantirne una adeguata fruizione da parte del pubblico [61].
Il secondo rappresenta, invece, una forma di assicurazione non commerciale rivolta ai musei che vogliano ampliare le proprie collezioni mediante l'acquisto o il prestito di opere d'arte provenienti da paesi stranieri.
4. Gli aspetti finanziari: I meccanismi di fund raising tra istituzioni pubbliche e soggetti privati
Dopo aver trattato alcuni degli aspetti principali relativi ai meccanismi di raccordo tra soggetti pubblici e soggetti privati nella realizzazione degli interessi alla conservazione, tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, i paragrafi seguenti perseguono un obiettivo ulteriore seppur complementare a quelli visti finora.
L'attenzione verrà, infatti, rivolta agli strumenti e alle risorse attraverso i quali gli interventi di conservazione e promozione possono nel concreto essere realizzati; tale analisi contribuisce alla individuazione di diverse declinazioni della dicotomia tra settore pubblico e settore privato, con particolare riferimento ai profili inerenti alla gestione dei beni e del patrimonio culturale e all'utilizzo delle potenzialità degli stessi anche in termini di redditività [62].
La privatizzazione della cultura ha inizio in Inghilterra nei primi anni ottanta con il governo Tatcher; quest'ultimo ridusse, infatti, i finanziamenti pubblici diretti all'arte e alla cultura, modificò la struttura e gli organi di governo delle istituzioni museali e pose in essere degli incentivi per la conclusione di contratti e accordi di sponsorships tra enti gestori e società private. I medesimi obiettivi proseguirono anche nel programma di John Major il quale tentò di promuovere una gestione di tipo aziendalisitico del beni culturali coadiuvata dall'operato della national lottery i cui fondi andavano ad affiancare quelli provenienti dalle sovvenzioni statali [63].
Solo con il governo Blair si tentò una parziale inversione di rotta attraverso un potenziamento dell'intervento pubblico e un rilancio della economia nazionale legata ai beni culturali, in termini di turismo, occupazione, aumento della redditività del patrimonio e sviluppo sociale, sempre accompagnati dall'imprescindibile necessità di forme di gestione manageriale delle attività e degli interventi [64].
In base ai dati contenuti nella Guide to Arts Funding in England pubblicata dal ministero per la Cultura nel giugno 2007, alle sovvenzioni di origine pubblica - erogate talvolta direttamente dagli organi di governo centrale e locale o, più spesso, indirettamente attraverso l'operato di organismi semi pubblici quali l'Arts Council England o l'Heritage Lottery Fund - si affiancano risorse derivanti da soggetti privati anche con scopi di lucro, aventi carattere sia liberale che commerciale, come nel caso degli sponsorship agreements.
Anche rispetto ai meccanismi di finanziamento pubblici e privati, la presenza di soggetti privati operanti nel settore degli scopi sociali - soprattutto charities, trusts e foundations - assume una importanza peculiare: in primo luogo essi sono agevolati nella raccolta di forme di finanziamento specifiche attraverso i meccanismi delle memberships, degli appeals o delle donazioni a sostegno di iniziative determinate, in secondo luogo, sono proprio charitable trusts a carattere patrimoniale che svolgono molteplici attività di finanziamento (grant-making) e di raccolta dei fondi da distribuire ad altri enti privati o a singoli individui attraverso procedimenti selettivi dei progetti presentati [65].
In sintesi, quindi, i paragrafi che seguono tenteranno di fornire un quadro quanto più possibile esaustivo dei sistemi di finanziamento delle attività connesse al patrimonio culturale distinguendo quelli caratterizzati da una generale applicabilità (finanziamenti pubblici ministeriali, national lottery, erogazioni liberali e accordi di sponsorizzazioni, attività di grant making operate dalle charitable institutions) da quelli cui tradizionalmente ricorrono le charities e fondazioni senza scopo di lucro che gestiscono beni o istituzioni museali (memberships, campagne di sostegno, donazione secondo il sistema dei c.d. friends' schemes).
4.1. Il finanziamento alle attività culturali tra settore pubblico e settore privato
Il finanziamento delle attività culturali poste in essere dai soggetti che gestiscono i beni, che, nella maggior parte dei casi, appartengono al settore privato o delle organizzazioni sociali non lucrative, appare piuttosto vario e complesso ripartendosi tra sovvenzioni pubbliche (nazionali [66] e locali) spesso a carattere indiretto e interventi di soggetti privati realizzati mediante l'offerta di erogazioni spontanee o la conclusione di accordi.
Il ministero della Cultura finanzia direttamente solo alcune istituzioni di importante rilevanza nazionale, vale a dire i c.d. national museums; in queste ipotesi i finanziamenti (grants in aid) sono accompagnati da appositi regolamenti e convenzioni che disciplinano le modalità di utilizzo e impongono alcuni vincoli di gestione, tra cui, per esempio, l'obbligo di garantire l'accesso gratuito alle collezioni.
Ciò non toglie che i musei di rilevanza nazionale adottino forme ulteriori di copertura dei costi attraverso la creazione di società collegate per l'esercizio di "servizi aggiuntivi" a pagamento - quali la vendita sul posto di oggetti, la ristorazione, il noleggio delle sale per avvenimenti privati e altre attività commerciali - o la conclusione di accordi di sponsorizzazione e patrocinio che negli ultimi anni sono arrivati a coprire circa un terzo delle spese sostenute [67]. In tutti i casi però la direzione dei musei è gravata da un obbligo di informazione e di relazione nei confronti degli organi ministeriali circa le politiche gestionali poste in essere.
Fatta eccezione per questi ipotesi specifiche e peculiari il ministero non finanzia alcuna altra attività culturale direttamente, bensì attraverso un altro organismo, l'Arts Council of England e le sue ripartizioni a carattere locale e decentrato (9 regional art councils). Quest'ultimo è un ente dotato di indipendenza rispetto al governo centrale; la relazione tra il ministero e l'Art Council è, infatti, retta dal principio della c.d. "arm's lengh", vale a dire da un rapporto ispirato alla reciproca autonomia, distanza e indipendenza.
In questo modo all'Arts Council è garantita una discrezionalità decisionale sulla erogazione dei finanziamenti limitata soltanto da alcune linee guida pubblicate dal ministero e dal dovere di rendere conto del proprio operato annualmente al Parlamento, al Governo stesso e all'opinione pubblica [68].
L'Arts Council è responsabile non solo della distribuzione dei finanziamenti [69] provenienti dal governo ma anche, insieme ad altri lottery distributors [70], dalla National Lottery. Quest'ultima è stata istituita nel 1994 dal National Lottery Act e opera sotto il controllo del ministero per la Cultura con l'obiettivo di reperire attraverso il sistema della lotteria fondi necessari per sei "good causes": lo sport, l'arte, la beneficenza, i beni culturali, la salute - l'ambiente e l'educazione (dal 1998 e dal 2006 associati alla beneficenza), i giochi olimpici (dal 2004), le nuove opportunità ed il nuovo millennio.
Nel campo delle attività culturali i fondi raccolti sono gestiti dalla National Lottery Commission e distribuiti oltre che dal già menzionato Arts Council of England, dallo Heritage Lottery Fund [71]e dal Big Lottery Fund sulla base delle Heritage Grants Guidance Notes [72].
A livello locale, in assenza di alcun obbligo legislativamente previsto, sono le singole autorità territoriali a prevedere e disciplinare i presupposti, le condizioni e i procedimenti cui è subordinata la concessione dei contributi [73].
Le risorse sono in questo caso più limitate rispetto a quelle nazionali e spesso si sostanziano nella predisposizione di finanziamenti diretti a organizzazioni ed eventi particolari, nella gestione di luoghi od edifici artistici a rilevanza locale o nel sostegno di iniziative e attività private mediante al predisposizione di servizi e risorse materiali.
Ogni autorità locale opera in modo differente anche se è ormai un tratto comune alle diverse realtà la costituzione a livello organizzativo di un apposito servizio dedicato alle attività culturali.
Uno strumento abbastanza recente e sfruttato nel contesto locale è rappresentato dai Local Area Agreements (LAAs) conclusi con i privati e le organizzazioni culturali rilevanti sul territorio con la funzione di allineare i finanziamenti provenienti dal governo centrale e di individuare dei criteri per la distribuzione del fondi.
Allo stesso tempo risulta diffuso il ricorso ai fenomeni del parternariato pubblico privato (Private-Public Parternships [74]), strumenti organizzativi semi - autonomi all'interno dei quali le autorità locali, gli operatori privati, gli organismi di volontariato e le altre istanzie provenienti dalla comunità dibattono, deliberano finanziano e portano a compimento le politiche pubbliche [75].
In questo contesto la forma organizzativa è tendenzialmente libera [76], ma comunque strutturata intorno ad un accountable body su cui gravano le responsabilità finanziarie, contrattuali e gestionali. Di questo organismo gestionale possono far parte funzionari direttivi delle agenzie pubbliche e delle organizzazioni non profit, consiglieri delle autorità locali, rappresentanti dei residenti, dirigenti.
La fonte formale che governa la parternship può consistere in uno statuto, in un memorandum o in articles of association. Il tasso di formalismo è direttamente proporzionale alla presenza e al peso di soggetto pubblici, sia sotto il profilo delle cause di incompatibilità, che del rapporto tra membri del board e i funzionari, del ruolo della presidenza e delle regole di contabilità e gestione finanziaria [77].
Spesso, inoltre, proprio nel settore culturale, si deve registrare a partire dagli anni '80, il fenomeno delle community foundations locali [78], organismi non profit specializzati nella raccolta di capitali privati da affiancare a quelli pubblici per la realizzazione di progetti culturali e nella elaborazione di strategie per raccogliere fondi provenienti da donatori successivi [79].
Nonostante queste esperienze, a seguito dei processi di ristrutturazione delle stato sociale in Gran Bretagna, della crisi della finanza pubblica e dei tagli alla cultura, hanno assunto sempre maggiore rilevanza le possibilità di ottenere finanziamenti provenienti dal settore privato.
Analogamente a quanto avviene nell'ordinamento italiano vi è il ricorso essenzialmente a due strumenti principali: le erogazioni liberali, agevolate da disposizioni fiscali, e le sponsorizzazioni. Queste ultime sono accordi di natura commerciale, mediante i quali un impresa fornisce i fondi o i beni per finanziare un servizio, un evento o una organizzazione che opera nel campo culturale, in cambio di benefits rappresentati da un diritto di associazione all'iniziativa e da un ritorno o un vantaggio in termini di popolarità ed immagine [80].
In assenza di disposizioni legislative espresse che disciplinano il ricorso all'istituto in ambito culturale i meccanismi di sponsorizzazione sono promossi dall'operato dell'Art and Business, organismo a base associativa creato nel 1976 con il nome di Association for Business Sponsorships of Arts al fine di incoraggiare la conclusione di accordi aventi ad oggetto il finanziamento di attività culturali da parte del settore economico privato.
L'Art and Business è finanziato, in parte, dall'Arts Council of England e da agenzie pubbliche a rilevanza locale e regionale (Regional Development Agency) e in parte dai propri membri che nel 2007 erano pari a 1458, rappresentati da organizzazioni private che operano in campo artistico, culturale e commerciale.
A questo scopo l'Art and Business ha pubblicato nel 2005 uno "Sponsorship Manual" il quale fornisce agli operatori del settore indicazioni e suggerimenti sui modi di ottenere finanziamenti dal settore privato, informazioni sul regime fiscale e assistenza per l'eventuale conclusione degli accordi di sponsorizzazione.
4.2. L'attività di grantmaking svolta dalle fondazioni e dai trusts patrimoniali
Come già anticipato in apertura di questa sezione in molti casi l'attività di finanziamento alle attività culturali è svolta da charities e foundations nate dal conferimento di un patrimonio e prevalentemente dedite alla raccolta e all'erogazione o alla sola erogazione di fondi a favore di attività sociali di pubblica utilità.
Nel gennaio del 2007 la Charities Aid Foundation (CAF) e l'Association of Charitable Foundations (ACF) hanno pubblicato un manuale relativo al "grantmaking by trusts and charities" dal quale emerge che nel biennio 2004/2005 i fondi distribuiti per attività culturali hanno raggiunto un valore pari all'8% del totale, per un ammontare totale di 230 milioni di sterline.
Generalmente il patrimonio delle charities che si occupano delle sovvenzioni e dei finanziamenti è in origine costituito da un lascito testamentario il quale viene poi investito dal board of trustees.
A questo proposito occorre rilevare, infatti, che i charity trustees hanno un obbligo generale di investire i fondi patrimoniali che fanno capo al trust anche attraverso la partecipazioni in holding con società commerciali [81].
L'erogazione dei fondi avviene, quindi, sulla base di un programma e a seguito di una istanza proveniente dai soggetti privati, sia singoli individui che associazioni, imprese o altre charities impegnate nella gestione dei beni; ogni fondazione rende pubbliche le condizioni in base alle quali l'iniziativa potrà essere finanziata e spesso, tra i criteri ritenuti necessari, ne vengono previsti alcuni relativi a progetti finalizzati alla promozione di interessi affini ma ulteriori rispetto a quelli culturali di tutela e valorizzazione, come, per esempio, nel caso dell'educazione alla cultura nei settori scolastici e giovanili o del sostegno di gruppi sociali svantaggiati o disabili.
4.3. Gli strumenti tipici di finanziamento delle charities di gestione: donazioni, memberships e programmi di sostegno
Da quanto emerso finora dal presente lavoro, nel settore culturale in Gran Bretagna si registra un ruolo piuttosto rilevante del modello organizzativo delle charitable insititutions, quali i trusts o le charities a forma associativa.
Questo dato trova giustificazione in parte in ragioni di carattere storico, in parte si spiega con la possibilità che questi organismi hanno di ricorrere a svariate forme di finanziamento, agevolate dal contesto normativo che prevede una serie di esenzioni di natura fiscale [82].
Innanzitutto le charities che sono istituzioni museali hanno la possibilità di svolgere tutte quelle attività economiche che siano direttamente connesse con gli scopi di pubblica utilità delle stesse (primary purpose trading); nel caso in cui, invece, le attività economiche svolte non siano immediatamente connesse con tali scopi (non primary purpose trading) esse devono costituire una società collegata la quale godrà di regimi di esenzione per i trasferimenti in denaro a favore della charitiy controllante [83].
Oltre a ciò, tra i più importanti sistemi di finanziamento delle charities che gestiscono beni rientranti nel patrimonio culturale vi sono le erogazioni provenienti dai singoli individuali, cui l'Art and Business ha di recente dedicato l'Individual Giving Manual pubblicato nel 2006.
Sulla base di quanto riportato dal documento, tra il 2004 e il 2005 le erogaziono private hanno raggiunto un ammontare totale pari a 244 milioni di sterline, rispetto ai 119 milioni raccolti tramite il generale ricorso ai contratti di sponsorizzazioni [84].
Diverse sono le modalità con cui questo tipo di erogazioni individuali possono essere raccolte dal momento che ciò può avvenire sia sporadicamente (tramite campagne di raccolta o appeals) che stabilmente (tramite procedure di partecipazione all'organizzazione). Quanto alla prima modalità il governo ha previsto alcuni istituti giuridici di natura fiscale con il fine di incentivare i finanziamenti ottenuti tramite donazioni, campagne o appelli rivolti al pubblico, quali il gift aid scheme e il payroll giving.
Mentre quest'ultimo riguarda uno strumento introdotto nell'ordinamento verso la fine degli anni '80 che consente ad ogni lavoratore e datore di lavoro di destinare parte delle trattenute salariali a organizzazioni no profit, il gift aid scheme è un istituto piuttosto particolare dal momento che consente all'organizzazione di ottenere da parte dell'amministrazione tributaria un ammontare monetario aggiuntivo pari a 28 centesimi per ogni sterlina donata e raccolta [85].
Per quanto riguarda invece meccanismi di finanziamento a carattere continuativo, le charities a struttura associativa possono beneficiare dei ricavi collegati ai sistemi di friends' schemes e di memberships annuali o pluriennali.
In questo caso, infatti, si possono prevedere varie tipologie di partecipazione dei privati all'associazione, come, per esempio, quelle onorarie, ordinarie o relative alle categorie dei semplici sostenitori, cui si collegano sistemi di agevolazioni in sede di visita e di fruizione delle opere, diritti di informazione periodica e benefits particolari.
Il presente contributo ha avuto l'obiettivo di indagare le modalità di relazione tra attori pubblici e interessi privati nel sistema di tutela dei beni culturali in Inghilterra. Al riguardo il titolo dato ha posto un interrogativo circa i caratteri propri del modello espresso dall'ordinamento inglese al fine di valutarne la possibile esportazione anche in ordinamenti diversi.
La risposta a questa domanda potrà ovviamente avere un valore meramente tendenziale che prenderà forma solo attraverso l'esposizione, in sintesi, dei tratti fondamentali del regime giuridico posto a protezione del patrimonio culturale in Inghilterra individuando il ruolo riservato ai soggetti privati rappresentati, a seconda dei casi, dai proprietari dei beni soggetti a tutela, dagli enti esponenziali della collettività cui risulta assegnata la cura e la promozione dei valori culturali e dal pubblico inteso sia come fruitore dell'opera che come finanziatore.
Innanzitutto occorre dar conto di un limite di sistema sorto nel corso dell'analisi, vale a dire la constatazione che, a differenza di altri ordinamenti, lo studio della disciplina dedicata al patrimonio culturale è un settore quasi esclusivamente lasciato ai documenti prodotti dai soggetti attivi operanti nello stesso (attori pubblici o semi pubblici, organizzazioni rappresentative di interessi) e lasciato pressoché inesplorato dalla dottrina giuridica inglese [86] Tale caratteristica ha reso in parte più difficile l'approfondimento prefissato, tenuto conto della mancata elaborazione di un quadro dogmatico e concettuale di riferimento.
Nonostante ciò, storicamente anche nell'ordinamento inglese, come in molte altre esperienze giuridiche europee, le prime forme di tutela relative ai monumenti antichi e ai beni immobili di interesse storico, artistico e architettonico sono state connesse all'esigenza di sottrarre tali beni ai rischi di distruzione o di modifiche pregiudizievoli [87].
Il fondamento giuridico alla base delle misure amministrative di tutela non è dissimile da quello elaborato nel secolo scorso dalla dottrina italiana [88]: l'interesse pubblico alla conservazione - resa necessaria affinché le potenzialità qualitative del bene possano passare da una generazione all'altra - legittima una funzionalizzazione della proprietà, che, pur rimanendo privata, viene limitata in vista dell'utilità sociale che il patrimonio culturale esprime [89].
In altre parole, l'idea che contrappone l'interesse della collettività a preservare quei beni che rappresentano i valori della storia, dell'arte e delle tradizioni della Nazione, alle facoltà dominicali si è tradotta fin dalle origine nella elaborazione - spesso contrastata - del concetto di "cultural proprerty" e di "cultural heritage" tale per cui alla proprietà privata del bene si somma un elemento vincolistico ulteriore che esprime una qualità dello stesso immutabile rispetto ai passaggi generazionali.
Tali esigenze, che permangono ancora oggi nella legislazione di tipo conservativo, si sostanziano in poteri amministrativi di natura ablatoria e autorizzatoria, imponendo al proprietario o al detentore di un bene immobile di interesse culturale, registrato o inserito in una lista dei beni protetti, non solo di ottenere dall'amministrazione locale un'autorizzazione prima di iniziare qualsiasi intervento edilizio, ma anche di svolgere una corretta attività di manutenzione pena, in molti casi, l'emanazione di un provvedimento di espropriazione.
Appaiono di tutta evidenza l'importanza e la rilevanza della previsione di poteri pubblici autoritativi risalente al XIX secolo in un ordinamento dove, all'epoca veniva ancora fermamente disconosciuta l'esistenza stessa di un vero e proprio diritto amministrativo di cui essi rappresentano, quindi, una delle prime importanti manifestazioni [90].
Nel corso del tempo, al concetto di conservazione si è accostato ben presto quello di valorizzazione nella prospettiva di una fruizione pubblica dei beni tradotto nella terminologia inglese in vario modo, ma riconducibile alle nozioni di advancement e promotion.
Il principale riferimento normativo alle attività di valorizzazione si ritrova già nella legislazione dei primi anni del '900; il National Trust Act del 1907, infatti, stabilisce che tra i compiti del National Trust vi sia quello di "promuovere la conservazione del patrimonio culturale" (section 3(2)) al fine di garantire l'apertura dei siti e la fruizione di questi da parte della collettività (section 29).
Proprio nel contesto della promozione, l'attività dei soggetti privati si è rivelata determinante e tale da sviluppare una vera e propria amministrazione e gestione dei beni culturali svolta dalla libera iniziativa delle associazioni private e delle altre organizzazioni non lucrative (charities e trusts) [91].
A queste ultime infatti si deve la realizzazione di molte delle attività di tutela, gestione e valorizzazione dei beni culturali non solo attraverso la promozione della ricerca, dello studio e della formazione - come avviene per esempio nel caso delle national e local amenity societies - ma anche asservendo alcune delle logiche imprenditoriali agli scopi altruistici perseguiti, attività tipica soprattutto dei buildings preservation trusts.
Il ruolo dell'apparato pubblico è, di conseguenza, indiretto anche se non totalmente assente dal momento che vi è la necessità di creare tutte le condizioni affinché i soggetti privati possano esercitare efficacemente le propri funzioni.
Innanzitutto le organizzazioni non lucrative operanti nel settore sono sottoposte al controllo della Charity Commission, ente di regolazione e vigilanza, cui compete il controllo non solo della sostenibilità dei piani di gestione dei beni e delle opere culturali ma anche dei servizi offerti e dei regimi di finanziamento [92].
Per le istituzioni museali analoga funzione è svolta dal MLA che in sede di accreditamento valuta i valori inerenti a una sana gestione delle collezioni e alle modalità attraverso cui sono realizzati gli obiettivi legati all'esigenza della fruizione collettiva (orari, supporti, prezzi, strutture e servizi collegati) [93].
Tra gli interventi pubblici di supporto vanno poi letti gli apparati di finanziamento pubblico che, salva l'ipotesi dei musei di rilevanza nazionale, finanziati direttamente, prevedono lo stanziamento di fondi solo per i progetti ritenuti meritevoli sulla base delle valutazioni discrezionali dell'Arts Council of England, che distribuisce anche parte delle risorse raccolte attraverso il meccanismo della national lottery.
La normativa fiscale prevede poi incentivi piuttosto consistenti per i finanziamenti provenienti dai privati ottenuti mediante la conclusione di accordi di sponsorships o le erogazioni di carattere liberale. Queste ultime sono estremamente vitali per le charities che gestiscono i beni culturali, le quali possono prevedere differenti strumenti per la raccolta dei fondi necessari alle iniziative, a partire dalle donazioni legate a una singola iniziativa, fino a programmi di membership annuali o pluriennali.
Gran parte dei finanziamenti, inoltre, sono assegnati da organizzazioni non lucrative a carattere patrimoniale, le quali spesso prevedono l'assegnazione delle sovvenzioni a quei progetti che realizzino obiettivi particolari a sostegno di interessi ulteriori rispetto a quelli di conservazione e gestione, come per esempio l'educazione e l'accostamento dei giovani ai valori dell'arte e della cultura.
Il quadro che ne risulta contribuisce quindi a creare una logica di tutela diffusa ed aperta dove l'interesse pubblico è, nella sua traduzione in concreto, mediato dagli interessi di cui la stessa società civile si fa carico, realizzati spesso in termini piuttosto soddisfacenti come nel caso del National Trust che rappresenta probabilmente una delle maggior organizzazione non profit di tutela culturale e ambientale in Europa.
Certamente, quanto detto, non elimina alcuni profili problematici, primo fra tutti la mancanza di una normazione univoca ed esaustiva di riferimento che disciplini in modo coerente i principi fondamentali della materia e la loro attuazione.
Di tale esigenza si è fatto portatore lo stesso governo che nell'aprile scorso ha presentato al parlamento il disegno di legge da titolo Heritage Protection Bill il quale persegue l'obiettivo di unificare i regimi di protezione dei beni culturali immobili promuovendone la valorizzazione anche attraverso la conclusione di accordi di gestione con i privati interessati (Heritage Partnership Agreements).
L'intento di ricorrere agli strumenti consensuali, talvolta richiamato anche da parte della nostra dottrina [94], mira a passare da un sistema di tutela "passivo e basato sull'imposizione di vincoli" a uno "attivo e positivo" che si fondi da un lato sulla partecipazione decisionale e dall'altro sul controllo dei risultati ottenuti [95].
Nella medesima direzione vanno anche gli accordi tra istituzioni museali diretti a migliorare la qualità dell'organizzazione e a potenziare i risultati della gestione e le esperienze di public - private parternships e community foundations realizzate a livello locale. In queste ultime sedi, infatti, le autorità locali, gli operatori privati, gli organismi di volontariato e le altre istanze provenienti dalla comunità dibattono, deliberano, finanziano e portano a compimento le politiche pubbliche culturali raccogliendo capitali privati per la realizzazione di progetti ritenuti meritevoli di finanziamento.
Quanto fin qui detto permette quindi di svolgere alcune riflessioni conclusive.
Innanzitutto dallo studio dell'ordinamento giuridico inglese emergono tre profili particolarmente interessanti: l'esiguità del ricorso alla disciplina legislativa a favore della emanazione di atti amministrativi generali a carattere spesso non vincolate, la preponderante presenza dei soggetti appartenenti al terzo settore che non solo gestiscono, ma finanziano e collaborano alla formulazione delle politiche, il recente ricorso a strumenti consensuali nella programmazione delle attività di gestione.
Il primo degli elementi considerati è sicuramente antitetico rispetto all'ordinamento italiano dove la presenza del Codice del beni culturali [96] rappresenta sicuramente il punto di riferimento per la disciplina della materia. Non c'è dubbio che nel sistema d'oltre Manica esso determini un vuoto sistematico che è spesso causa di precarietà e di profili problematici nella ricostruzione degli strumenti giuridici da applicare. Tuttavia, lo stesso carattere di indeterminatezza consente in alcuni casi una maggior dialettica tra i soggetti interessati che agevola la formulazione di politiche di settore maggiormente efficienti.
Più complessa è la valutazione con riferimento agli altri due dati. Da un lato infatti il ruolo del settore privato inteso come organizzazioni non profit è caro anche agli studiosi italiani dell'ordinamento dei beni culturali che vi vedono una delle forme di attuazione del principio costituzionale di cui all'art. 118 comma 4 della Costituzione [97].
Più arduo sarebbe, però, sostenere che la presenza del settore non profit anche nell'ordinamento inglese confermi una difficoltà di fatto di attuare una piena gestione dei beni culturali secondo logiche aziendalistiche, apparentemente realizzate solo nelle attività collegate e nei servizi c.d. aggiuntivi.
Nel sistema inglese, infatti, sono presenti molti esempi che riguardano una gestione parzialmente imprenditoriale del patrimonio culturale come nelle ipotesi del Landmark trust o dei Buildings Preservation Trusts. Al riguardo si rivela però determinante l'operato della Charity Commission, la quale valuta caso per caso l'ammissibilità delle attività gestionali connesse ai fini istituzionali dell'organizzazione.
Questo perché una gestione sana del patrimonio culturale rappresenta il punto di partenza per il miglioramento degli interventi di tutela e conservazione che sono essenziali per il mantenimento dei valori di cui i beni sono portatori.
Potenzialità nel divenire modelli esportabili di amministrazione e gestione del patrimonio culturale vanno, infine, riconosciute alle previsioni relative agli atti di programmazione e pianificazione e alle sedi istituzionali di partecipazione sia a livello centrale che periferico.
Quest'ultime, sebbene in alcuni casi si siano rivelate di difficile attuazione - come nell'esempio dei Conservation Area Advisory Commitees - consentono, infatti, di realizzare degli strumenti giuridici di dialogo tra tutti i soggetti interessati all'elaborazione delle politiche culturali e alla traduzione in concreto degli interventi programmati (soggetti pubblici, soggetti privati proprietari, organizzazioni non profit, finanziatori) [98].
Note
[*] Il presente contributo si inserisce nell'ambito della ricerca su "I beni culturali e la globalizzazione", promossa dall'Istituto di Ricerche sulla Pubblica Amministrazione (Irpa) e sostenuta dalla Fondazione Vodafone Italia, i cui principali risultati sono pubblicati nel volume La globalizzazione dei beni culturali, a cura di L. Casini, Bologna, il Mulino, 2010.
[1] In questo senso anche G. Cofrancesco, Aspetti diacronici e sincronici nella disciplina britannica di tutela del cultural heritage, in I beni culturali - Profili di diritto comparato ed internazionale, a cura di G. Cofrancesco, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1999.
[2] Così L. Casini, La valorizzazione dei beni culturali, in Riv. trim. dir. pubbl., 2001, 3, 651 e G. Alpa, Imprese e beni culturali. Il ruolo dei privati per conservazione, restauro e fruizione, in Quad. reg., 1987, 507 ss.
[3] Per la nascita dell'interesse pubblico alla valorizzazione del patrimonio culturale in Italia si veda per tutti S. Cassese, I beni culturali: sviluppi recenti, in M.P. Chiti (a cura di), Beni culturali e comunità, Milano, 1994, 341 ss.
[4] In questo senso A. Serra, L'incidenza del regime dominicale dei beni culturali sulle modalità di gestione, in Aedon 3/2002.
[5] In questo senso V.D. Alexander, State Support of Artists: The Case of the United Kingdom in a New Labour Environment and Beyond, in Journal of Arts Management, 2007, 188.
[6] Sulla rilevanza della distinzione dei beni culturali in base alla appartenenza pubblica e privata si rinvia a M. Alterio, Individuazione e regime giuridico dei beni culturali, in Diritto dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M.A. Cabiddu e N. Grasso, Torino, Giappichelli, 2004, 80 e da ultimo, N. Aicardi, L'individuazione dei beni culturali di appartenenza pubblica e di enti privati non lucrativi, in I beni pubblici: tutela, valorizzazione e gestione, a cura di A. Police, Milano, Giuffrè, 2008, 313 ss.
[7] Interessante sul punto è notare come con riferimento alla disciplina di controllo delle esportazioni sia faccia riferimento alla categoria dei "cultural goods" i quali ricomprendono i reperti archeologici scoperti nel suolo o nelle acque territoriali britanniche, le opere d'arte, le antichità, le opere da collezione, i documenti e i volumi manoscritti, i disegni eseguiti a mano. Sul coraggio dell'espressione inglese cultural property, S. Cassese, I beni culturali: dalla tutela alla valorizzazione, in Giorn. dir. amm., 1998, 7, 673.
[8] Sulla delimitazione della nozione di patrimonio culturale in Italia, P. Carpentieri, La nozione giuridica di paesaggio, in Riv. trim. dir. pubbl., 2004, 363 ss.
[9] Così L. Mezzetti, La tutela dei beni culturali nell'ordinamento britannico, in I beni culturali - Esigenze unitarie e pluralità di ordinamenti, a cura di L. Mezzetti, Padova, Cedam, 1995, 353.
[10] Si veda sul punto anche la relazione pubblicata dall'English Heritage con la collaborazione dell'Office of deputy Prime Minister (ODPM) dal titolo Streamlining listed building consent - lessons from the use of management agreement del giugno 2003, nonché il rapporto della commissione parlamentare "culture, media and sport committee" del luglio 2008 sulla proposta legislativa del governo disponibile e liberamente scaricabile dal sito della House of Commons.
[11] L'individuazione e la ricostruzione delle diverse tipologie di interessi che insistono sul patrimonio culturale si deve in Italia a S. Cassese, op. ult. cit., 673 ss., dove vengono richiamati l'interesse alla conservazione (finalizzata a preservare fisicamente i beni, alla ritenzione (relativo alla circolazione internazionale del patrimonio artistico), alla conservazione nel contesto e alla accessibilità.
[12] Che la molteplicità degli interessi si rifletta sui diversi modi di intendere il rapporto tra apparato pubblico e settore privato è un dato acquisito anche dalla dottrina italiana. Sul punto si rinvia a L. Casini, Pubblico e privato nella valorizzazione dei beni culturali, in Giorn. dir. amm., 2005, fasc. 7, 785 ss.; Id., I beni culturali da Spadolini agli anni duemila, in AA. VV. Le amministrazioni pubbliche tra conservazioni e riforme, Milano, 2009, 423 ss.; M. Cammelli, Pubblico e Privato nei beni culturali: condizioni di partenza e punti di arrivo, in Aedon 2/2007; F. Merusi, Pubblico e Privato e qualche dubbio di costituzionalità nello statuto del beni culturali, in Dir. amm., 2007, 52 ss.
[13] In questo senso si veda l'interessante contributo di J.L. Sax, Is Anyone Minding Stonehenge? The Origins of Cultural Property Protection in England, in California Law Review, vol. 78, No. 6 (Dec., 1990), 1545 il quale mette in evidenza che nello stesso periodo molte delle rovine preistoriche e romane vennero danneggiate per recuperare il materiale per le nuove costruzioni.
[14] Così sempre J.L. Sax, op. cit., 1553; sulle origini della nozione di bene culturale in Italia come comprendente il carattere della immaterialità, legata al valore culturale espresso dal bene e della pubblicità intesa con riferimento alla destinazione alla fruizione pubblica, si veda per tutti, M.S. Giannini, I beni culturali, in Riv. trim. dir. pubbl., 1976, 3 ss. e anche G. Rolla, Beni culturali e funzione sociale, in Scritti in onore di M.S. Giannini, II, Milano, 1988, 577.
[15] J.L. Sax, op. cit., 1555.
[16] L'essenza della regolazione non presenta significative variazioni neppure nel contenuto della proposta legislativa presentata nella primavera scorsa dal Ministro per la cultura, i media e lo sport.
[17] Gli Ancient monuments sono gli edifici costruiti prima del '700 che non si prestano ad usi abitativi o ad altro tipo di utilizzazione; i listed buildings sono invece gli edifici successivi al '700 che presentino uno speciale interesse di natura storica o architettonica quali case, palazzi, castelli ecc., con riferimento ai quali la disciplina di tutela può costituire una diretta intromissione nei diritti del proprietario o di chi vi abita. I requisiti per l'inserimento delle liste sono contenuti oltre che nella legislazione primaria (Planning (Listed buildings and Conservation Areas) Act del 1990) in alcune linee guida emanate a livello ministeriale tra cui la Planning Policy Guidance Note no. 15 emanata nel settembre del 1994 dal Department of Environment e dal Department of National Heritage così come modificata da ultimo dalla Circolare n. 1 del 2007 relativa alle "Revisions to Principles of Selection for Listing Buildings" emanata dal Department for Communities and Local Government e dal Department for Culture, Media and Sport.
[18] Si vedano al riguardo l'art. 2 dell'Ancient Monuments and Archaeological Areas Act del 1979 e l'art. 7 del Planning (Listed Buildings and Conservation Areas) Act del 1990.
[19] Artt. 2 e 3 dell'Ancient Monuments and Archaeological Areas Act del 1979 e artt. 10-16 del Planning (Listed Buildings and Conservation Areas) Act del 1990.
[20] Se l'obbligo di ragionevole conservazione risulta violato, ciò può comportare l'emanazione di un provvedimento di esproprio (compulsory purchase order) con un indennizzo particolarmente modesto (minimum compensation). Si veda soprattutto con riferimento ai listed buildings l'art. 47 del Planning (Listed Buildings and Conservation Areas) Act del 1990.
[21] Art. 13 dell'Ancient Monuments and Archaeological Areas Act del 1979.
[22] Art. 19 dell'Ancient Monuments and Archaeological Areas Act del 1979, secondo cui la pubblica fruizione dell'monumento potrebbe essere esclusa dal ministro o dall'autorità locale se necessario o sottoposta a condizioni.
[23] Così G. Ashworth, Contemporary Developments in British Preservation Law and Practice, in Law and Contemporary Problems, vol. 36, No. 3, 1971, 350.
[24] Sul punto si rinvia oltre che alla legislazione primaria anche alla circolare del Department for Culture, Media and Sport dell'agosto 2007 dal titolo A note about certificates of immunity form listing liberamente scaricabile dal sito del ministero.
[25] Il nome si riferisce al primo presidente del comitato cui si deve l'elaborazione delle condizioni per il riconoscimento dell'autorizzazione.
[26] A questo sistema si è affiancata dal 1992 la necessità di ottenere l'autorizzazione europea di cui al Regolamento del Consiglio Ce del 9 dicembre 1992, n. 3911, ora sostituito dal regolamento (CE) n. 116/2009, per quelle ipotesi di esportazione delle opere al di fuori degli stati membri della Comunità europea il cui valore sia superiore a un determinato limite normativamente fissato.
[27] Si veda al riguardo la relazione presentata dal Department for Culture, Media and Sport per il biennio 2006-2007 dal titolo Export of Objects of Cultural Interest, 5.
[28] Le Procedures and Guidance for Exporters of Works of Art and Others Cultural Goods pubblicate nel sito del Ministero rilevano che nel corso del tempo è stata data una interpretazione estensiva dei criteri tale da ritenerli integrati nel caso di oggetti che sono di estrema importanza anche per la storia locale di alcune particolari zone del territorio, che sono state parti di collezioni estremamente importanti da un punto di vista storico o che sono associati a eventi, persone o luogo di rilevanza storica.
[29] La relazione presentata dal Department for Culture, Media and Sport per il biennio 2006-2007 dal titolo Export of Objects of Cultural Interest p. 6, afferma che su 28 casi per cui il Comitato aveva dato parere negativo all'autorizzazione, 12 delle opere sono state acquisite da istituzioni nazionali la cui attività si svolge nel settore della conservazione dei beni culturali e da organizzazioni private non lucrative.
[30] Sul punto si rinvia a L. Ferrara, Le fondazioni nel sistema europeo, in Fondazioni - tra problematiche pubblicistiche e tematiche privatistiche, a cura di G. Palma e P. Forte Giappichelli, Torino, 83 ss. e in particolare 132 ss.
[31] In assenza di una forma tipica, l'espressione charity può corrispondere oggi ad un ampio ventaglio di fattispecie: le charitable trusts; le associazioni non riconosciute (charitable unicorporated associations), le società a garanzia limitata dei soci (charitable companies limited by guarantee), le organizzazioni mutualistiche e cooperative fino a enti costituiti in forme pubblicistiche attraverso Royal Charter o per Act of Parliament.
[32] Sulla Charity Commission, P. Luxton, The Law of Charities, Oxford, Oxford University Press, 2001, 421. I poteri di questo organismo sono in sintesi classificabili come di supervisory, policing, di controllo e di investigazione delle violazioni commesse, quasi judicial in quanto la Commissione puà emanare regolamenti, by laws e provvedimenti di trasformazione o estinzione delle charities esistenti, di consulenza. Dati questi caratteri la Commission può essere agevolmente assimilata a una autorità amministrativa indipendente di garanzia e di regolazione, tenuta al rendiconto e alla relazione annuale sull'attività al Parlamento,
[33] Sul punto si veda il Commentary on the Descriptions of Charitable Purposes in the Charity 2006 pubblicato nel 2007 dalla Charity Commission.
[34] Le charities riconosciute per Royal Charter costituiscono una ristretta cerchia di istituzioni prestigiose ed antiche, spesso a struttura associativa generalmente dalla forte dotazione patrimoniale. Il riconoscimento della personalità per Royal Charter conferisce un regime di specialità in ordine alla responsabilità degli amministratori, con l'esclusione, per esempio, dell'applicazione della disciplina societaria della invalidità degli atti. Il procedimento di riconoscimento è iniziato con la presentazione di una petition alla Corona che concede in forma di privilegio l'incorporation.
[35] Le charities riconosciute per Act of Parliament non sarebbero a loro volta riconducibili a un modello unitario né riassumibili per tratti maggioritari in tipologie a struttura associativa o patrimoniale. I singoli satutes avrebbero costruito nel tempo fattispecie molto eterogenee mescolando elementi associativi su strutture a base patrimoniale.
[36] Nel caso in cui l'accesso al pubblico sia però minacciato dal fatto che l'edificio o parte di esso è occupato dal proprietario o da un terzo, la commissione, pur non riconoscendo in questa circostanza un limite alla costituzione del trust, impone che l'organizzazione dimostri di avere in virtù del titolo costitutivo il controllo gestionale dell'immobile (managenent), di aver ottenuto da parte di un soggetto pubblico una sovvenzione condizionata alla pubblica fruizione dell'edificio o un'esenzione fiscale determinante il medesimo vincolo. L'atto istitutivo del trust deve inoltre contenere disposizioni tali da evitare che i membri della famiglia del proprietario, se trustrees, siano in numero sufficiente a rappresentare da soli la maggioranza dei componenti del consiglio di amministrazione e prevedere i meccanismi adeguati per far fronte agli eventuali e possibili conflitti di interessi.
[37] In merito a questo ruolo assegnato alle amenity societies da parte della legislazione in materia di protezione del patrimonio culturale, la giurisprudenza si è finora espressa in senso restrittivo sia con riferimento ai procedimenti nei quali sia necessario richiedere il loro parere sia in relazione all'efficacia di quest'ultimo sul potere discrezionale dell'amministrazione. Nella decisione R v Costswold District Council del 20 novembre 1996, per esempio, la Queen's Bench Division ha affermato che l'obbligo di chiedere il parere delle amenity societies vale solo per gli interventi di demolizione - totale o parziale - e tale previsione è da intendersi di stretta interpretazione. Inoltre nelle decisioni R v West Dorset District Council, ex parte Searle del 10 dicembre 1996 e Reynolds v Newport County Borough Council del 6 settembre 2001, lo stesso organo giurisdizionale ha ribadito che l'adempimento ha solo un valore procedimentale e non è tale da avere efficacia vincolante sul potere amministrativo che ha natura pienamente discrezionale.
[38] Si veda sul punto il paragrafo 6.1. della Nota del Ministero per la cultura sui Certificates of Immuninity from Listing dell'agosto del 2007.
[39] Artt. 8 e 9 Draft Heritage Protection Bill presentato al Parlamento da Segretario di Stato per la Cultura, i media e lo Sport con l'assenso di Sua Maestà, Aprile 2008.
[40] Un settore di rilevante intervento delle national amenity societies riguarda la conservazione e la valorizzazione degli edifici ecclesiastici. Gli organi di gestione di questi ultimi riconoscono, infatti, formalmente l'importanza degli organismi di conservazione a livello nazionale e impongono per esempio la notifica nei loro confronti di tutti gli interventi che riguardano le cattedrali anglicane. Il Joint Committee è inoltre consultato per la nomina di uno dei membri che compongono i Diocesan Advisory Committees (DACs) in Inghilterra e i Listed Buildings Commitees che sono stati costituiti dalle Chiese Metodiste, Battiste, Riformate e Cattoliche. A questo proposito l'Ancient Monuments Society ha concluso dal 1980 un accordo di parternship con la Friend and Friendless Churches, una organizzazione che ha responsabilità diretta su trentasette chiese a rischio di demolizione.
[41] Si vedano al riguardo i National Trust Acts del 1919, 1937, 1939, 1953 e 1971 nonché da ultimo il National Trust Act del 2007 che ha esteso le competenze dell'organizzazione all'Irlanda del Nord.
[42] Dal 2005, dal un punto di vista organizzativo, gli organi fondamentali del trust sono il consiglio e il board of trustees. Il primo è composto da 52 membri eletti per metà dalla membership del trust e per metà da altre organizzioni interessate nelle attività del National Trust (tra cui, per esempio, i building preservation trusts); ad esso spetta la formulazione degli obiettivi e delle strategie dell'organizzazione nonché la nomina del presidente del trust e dei componenti del board of trustees che attualmente sono 12. In quest'ultimo compito il consiglio è coadiuvato dai nominations committees tenuto conto che un terzo del board non deve far parte anche del consiglio. Il board rappresenta quindi l'organo di vera e propria amministrazione della charity con l'ausilio di diversi comitati. Tra questi ultimi un ruolo di rilevante importanza è attribuito al country and regional committee, organo consultivo del National Trust e dei membri che operano a livello locale. Oltre ai comitati vi sono anche gli Advisory Panels composti da esperti in ognuna delle aree di intervento (archaeology, architectual, arts, garden, parks, land use and access, nature conservation). Sono infine da ricordare il comitato dei revisori e quello commerciale il quale coadiuva l'attività della National Trust (Enterpreises) Ltd il cui presidente è a sua volta membro del board of trustees. La struttura organizzativa di queste charities si avvicinerebbe più propriamente alle companies che ai trusts: si ritrovano infatti strutture assembleari e comitati esecutivi associati, nella direzione del trust, ai consigli di amministrazione. In questo senso P. Luxton, op. ult. cit., 16.
[43] Questa stretta connessione con gli aspetti pubblicistici ha determinato che il National Trust sia qualificato ad alcuni fini come una public authority. Questo avviene per esempio nelle ipotesi di applicazione dello Human Rights Act del 1998 anche se ciò non è indicativo per una completa assimilazione di questi organismi a quelli amministrativi dal momento che la giurisprudenza non è concorde nel ritenere generalmente applicabile l'interpretazione estensiva accolta ai fini della applicazione dello HRA. Sul punto si rinvia a F. Goisis, I concetti di "Public Authority" e di"Function of a public nature" nella applicazione dello Human Right Act 1998 in Gran Bretagna. Alcuni spunti per l'interpretazione della nozione di attività (oggettivamente) amministrativa, di cui all'art. 1, comma 1-ter, della l. n. 241 del 1990, in Dir. proc. amm., 2006, 521 ss.
[44] Queste modalità sono ormai poco utilizzate a causa della frequente imposizione di vincoli di inalienabilità e diretta gestione da parte del consiglio di amministrazione. In questo senso si veda per esempio l'Annual Report del National Trust per l'anno 2007 scaricabile nel sito web dell'organizzazione.
[45] Ogni anno il National Trust rende noti i piani di apertura delle sue strutture con tutti i dettagli di visita, i prezzi di entrata e i mezzi per raggiungere i luoghi di interesse.
[46] In generale, per il diritto inglese, le charities possono svolgere attività economiche (trading) immediatamente connesse con gli scopi di pubblica utilità, le c.d. primary purpose trading. Per lo svolgimento di attività economiche non immediatamente connesse, non primary purpose trading, esse dovrebbero costituire una company collegata specificamente dedita a queste che può godere di regimi di esenzione per i trasferimenti a favore della parent charity.
[47] Queste avvengono sia con altre fondazione di natura privata ma anche con gruppi bancari e imprese commerciali. Da ultimo per esempio il National Trust ha firmato un accordo con l'impresa televisiva Sky al fine di realizzare il progetto The national trust discovery programme il quale ha permesso di organizzare molti eventi e attività all'interno dei beni gestiti dall'organizzazione anche mediante l'organizzazione di seminari, visite guidate e convegni.
[48] Nel sito web dell'organizzazione è possibile scaricare il prospetto della disponibilità alberghiera di ogni singolo edificio.
[49] E' stata la charity inglese ad impugnare recentemente di fronte al giudice amministrativo italiano gli atti della procedura relativa al progetto del completamento dell'Autostrada A31 Valdastico. La sentenza di primo grado del Tar Veneto, n. 2234 del 2005 che aveva accolto i ricorsi presentati è stata poi riformata dal Consiglio di Stato in sede di appello con la sentenza n. 129 del 2006. In entrambi i gradi di giudizio è stato eccepito il difetto di legittimazione del Landmark Trust in quanto non vi sarebbe la personalità dell'interesse a ricorrere in assenza del riconoscimento statale. Sul punto il Tribunale Regionale di primo grado, ripreso in senso conforme anche dal Consiglio di Stato, ha però affermato che le attività dell'organismo inglese, assimilabile a una fondazione di diritto privato, consistono nel recupero di edifici culturali degradati e nel turismo culturale che ne deriva attraverso l'ospitalità offerta a persone amanti di un certo contesto architettonico, paesaggistico e culturale immerso in un paesaggio sereno e tranquillo caratterizzato da un tipico carattere estetico. Gli utili derivanti da tale attività alberghiera vengono poi reinvestiti nel restauro di altri immobili di tal genere. Per il giudice amministrativo nel caso di specie non è possibile affermare che la fondazione di diritto inglese agisca in nome di interessi di raggruppamenti di cittadini o come portatrice di interessi diffusi dal momento che la stessa fa valere interessi propri, personali e concreti che si innescano su interessi collegati al mantenimento dell'integrità dell'ambiente sotto il profilo architettonico, paesaggistico, estetico che nel caso di specie devono valutarsi alla stregua di interessi di carattere patrimoniali oltre che personale.
[50] I musei nazionali inglesi sono il British Museum, il Victoria and Albert Museum, la National Gallery, la Tate Gallery, la National Portrait Gallery, l'Imperial War Museum, il National Army Museum, il Royal Air Force Museum, il National Maritime Museum e il Geological Museum.
[51] La classificazione è ripresa dalla pubblicazione del Department for Culture, Media and Sport dell'Ottobre 2006 dal titolo Understanding the Future: Priorities for England's Museums.
[52] Ne consegue che a questi enti deve essere applicata la disciplina amministrativa per esempio in materia di accesso alle informazione detenute di cui al Freedom of Information Act del 2000.
[53] A questo proposito la Charity Commission ha affermato che ai fini di realizzare le operazioni commerciali i musei devono istituire una separata società di diritto privato per la gestione. Si veda sul punto la Policy RR10 dell'agosto 2002 "Museums and Art Galleries". Sull'autonomia del modello inglese di gestione delle attività museali anche S. Foà, La gestione del beni culturali, Torino, 2001, 320.
[54] La cronaca dell'episodio è apparsa su molti quotidiani sia italiani che inglesi. Il cardinale cattolico di Westminster aveva infatti chiesto che l'opera di Piero della Francesca venisse collocata nella Cattedrale cattolica di Londra in quanto rappresentante un'opera di fede prima ancora che un'opera d'arte. Il Direttore della galleria sostenne invece che l'opera è ben conservata nella Sainsbury Wing della National Gallery quale spazio per la contemplazione dell'arte e dei soggetti rappresentati in essa. Oltre a questo esempio occore ricordare anche la più celebre vicenda relativa ai fregi del Partenone trasportati in Inghilterra da Lord Thomas Elgin (1766-1841) per i quali la Grecia insiste nel chiedere la restituzione.
[55] Il MLA elabora le strategia relativa alla politica delle istituzioni museali, gli standards di tutela e di gestione agevolando gli accordi tra le realtà nazionali e locali. Rappresenta, inoltre, un organismo di supporto per tutti i musei.
[56] Mentre per quanto riguarda i musei statali quest'ultimo è direttamente gestito dal Ministero, negli altri casi l'intervento economico del governo centrale è più indiretto ed ancorato alla previsioni di programmi specifici (come per esempio da ultimo il Regional Reinassance Program), all'ottenimento di aiuti locali o allo stanziamento di sovvenzioni riconducibili al meccanismo della national lottery.
[57] Nella pubblicazione del Department for Culture, Media and Sport dell'Ottobre 2006 dal titolo Understanding the Future: Priorities for England's Museums, viene evidenziato che negli ultimi molti musei nazionali hanno concluso accordi con quelli di rilevanza locale, facilitati anche dall'operato delle agenzie decentrate del MLA.
[58] Occorre dire in ogni caso che per i musei nazionali al cambiamento nelle logiche della gestione si è aggiunta la concessione di una maggior libertà nell'uso del proprio patrimonio artistico che si concretizza nella possibilità di vendere parte delle collezioni al fine di reperire nuove entrate.
[59] Per quanto riguarda il British Museum per esempio questo è finanziato circa per l'80% dalle risorse pubbliche mentre il restante risulta equamente diviso tra le donazioni dei privati e le altre attività commerciali connesse. In base al Management Statement del museo 15 dei componenti del board of trustees sono nominati dal Ministro per la cultura, 1 dalla Regina, 4 dai presidenti della Royal Academy, della Society of Antiquaries, della British Academy e della Royal Society e infine 5 dai Trustees.
[60] Legge n. 512/1982 per un commento si rinvia a T. Alibrandi, P. Ferri, N. Pasolini Dall'Onda, Il nuovo regime tributario dei beni culturali, Milano, 1983.
[61] La richiesta è fatta al Ministero del Tesoro corredata dai documenti che ne attestino la rilevanza artistica o storica. Essa deve essere approvata dal Ministero per la cultura su parere obbligatorio ma non vincolante di un organo del MLA composto da esperti che provvedono anche a fissare il prezzo di acquisto sulla base del valore di mercato dell'opera.
[62] Sul punto per il sistema italiano si veda l'opera di A.L. Tarasco, La redditività del patrimonio culturale. Efficienza aziendale e promozione culturale, Torino, 2006 e Id., La gestione del patrimonio culturale: profili giuridici, economici e contabili, in I beni pubblici, cit., a cura di A. Police, 341.
[63] V.D. Alexander, op. cit., passim.
[64] V.D. Alexander, op. cit., p. 7 riporta le parole di Chris Smith, ministro per la Cultura del governo Blair il quale sostenne che "New Labour also required that the arts makes a positive contribution to social issues and has charged the arts and culture, more generally, with the responsibility to increase social inclusion and to assist in the regeneration of areas of deprivation".
[65] La presenza degli enti non profit nel settore dei beni culturali non è sconosciuta alla dottrina italiana, si vedano al riguardo, G. Clemente di San Luca, Volontariato e non profit sector nel quadro del sistema giuridico istituzionale italiano con specifico riguardo al settore culturale, in "Ars et Labor". Materiali per una didattica del diritto dei beni culturali, a cura di G. Clemente di San Luca, Napoli, 1997, 113 ss.; D. D'Alessandro, Sussidiarietà, solidarietà e azione amministrativa, Milano, 2004.
[66] La stima dei finanziamenti pubblici alle attività connesse all'arte e alla cultura per il triennio 2008/2011 è pari a 1.6 bilioni di sterline.
[67] I dati si riferiscono alla National Gallery e sono reperibili nel sito della organizzazione.
[68] In capo all'organo ministeriale rimane comunque un potere di intervento sostitutivo in situazioni di particolare interesse.
[69] Tendenzialmente individui e organizzazioni (società commerciali, enti senza fini di lucro) possono fare domanda all'Art Council per attività collegate al panorama culturale e che si devo svolgere entro un periodo di tempo determinato, prevalentemente nel territorio nazionale.
[70] Tra questi è possibile far rientrare anche il Nesta il quale opera dal 1998 non tanto come distributore di fondi pubblici quanto piuttosto come utilizzatore dei profitti originati da un lascito originariamente assegnato dalla National Lottery.
[71] Quest'ultimo finanzia e supporta tutti gli oggetti collegati al patrimonio tra cui gli edifici antichi, i musei, gli archivi, i parchi naturali.
[72] In base alle Heritage Grants Guidance Notes si legge che sono preferite le domande presentate da associazioni che perseguano l'interesse della tutela del patrimonio culturale o dalle fondazioni private che operano nel settore. I privati singoli individui hanno infatti l'onere aggiuntivo di dimostrare che la realizzazione dell'intervento determinerà un beneficio per l'intera collettività e non solo per se stessi.
[73] La possibilità di contribuiti locali è prevista in generale già nell'art. 57 del Planning (Listed Buildings and Conservation Areas) Act del 1990. Accanto a ciò, poi, molti dei Local Plans emanati dale autorità locali prevedono la possibilità di ottenere sovvenzioni per le opera di restauro e di conservazione.
[74] L'utilizzo del fenomeno in ambito culturale è rinvenibile in moti documenti emanati dalle amministrazioni locali. A titolo meramente esemplificativo si vedano The Cultural Agenda: Realizing the Cultural Strategy of the South East England Cultural Consortium (2002), The Local Cultural Strategy - Warwickshire (2003), The Regional Cultural Strategy - East Midlands (2005) o l'accordo firmato nel 2007 (Service Level Agreement (SLA)) tra l'Argyll and Bute Council e due musei privati (Kilmartin House Museum and Auchindrain Museum) per la gestione della collezione di proprietà comunale.
[75] La dottrina inglese ha individuato tre ipotesi generali di PPPs: la prima avviene quando il settore privato assegna risorse capitali il cui uso è impiegato per garantire il settore pubblico (costruzione di una prigione, di uffici di una scuola) che sono poi prese in affitto dagli organismi pubblici. Il secondo caso si verifica quando un pubblico servizio o bene è costruito direttamente dal privato che ha poi anche il diritto di applicare un pedaggio per l'uso del servizio. Molte delle infrastrutture pubbliche de diciannovesimo secolo sono state gestite in questo modo. Il terzo caso avviene quando il privato finanzia una attività che viene ripagata in parte dagli organismi pubblici e in parte dai soggetti privati fruitori. E' evidente che le forme più particolari di PPPs variano a seconda del tipo di progetto in questione. Così M. Freedland, Public Law and Private Finance - Placing the Private Finance Initiative in a Public Law Frame, in Public Law, 1998, 288 ss. e G.F. Ferrari, La semplificazione amministrativa negli ordinamenti anglo-americani: recenti tendenze, in Dir. pubbl. comp. europeo, 2006, 314.
[76] Società di capitali a responsabilità limitata (company limited by guarantee), associazione non riconosciuta (unicorporated association), ente pubblico (statutory body), della fondazione (registered charity).
[77] Per una riflessione sui modelli organizzativi si veda M. Smith, M. Beazley, Progressive Regimes, Parternships and the Involvement of Local Communities: A Framework for Evaluation, in Publ. admin., 2000, 855 ss.
[78] Sulle community foundations in Gran Bretagna si veda G. Humphreys, The Development of Community Foundations in United Kingdom, in Bertelsmann Foundation, Community Foundations in Civil Society, Gütersloh, 1999, 39.
[79] Per maggiori approfondimenti sulla gestione dei beni culturali a livello locale in Italia si veda A.L. Tarasco, La gestione dei beni culturali degli enti locali: profili di diritto dell'economia, in Principi generali del diritto amministrativo ed autonomie locali, a cura di F. Astone - M. Caldarera, F. Manganaro - A. Romano Tassone - F. Saitta, Torino, Giappichelli, 2007, 187 ss.
[80] Si veda con riferimento al sistema giuridico italiano, G. Clemente di San Luca, Il ruolo di "mecenatismo" e "sponsorizzazioni artistiche" in una democrazia maggioritaria e pluralistica, in Cultura, diritto e territorio, a cura di G. Clemente di San Luca, Napoli, Jovene, 1994, 61 ss.
[81] In questo senso L. Ferrara, op. cit., 154.
[82] Le Charities costituite esclusivamente con scopi di pubblico interesse sono generalmente esentate dalla tassazioni sui profitti da capitale e su ogni tipo di profitti, compresi quelli darivanti da raccolte di fondi, nonché da donazioni, purché siano completamente reinvestiti in attività charitable. Allo stesso tempo sono generalmente esenti dalla tassazione sul patrimonio, nonché sui ricavi delle vendite di beni donati. Si veda sul punto P. Luxton, op. cit., 691.
[83] Così, P. Luxton, op. cit., 729 e M. Stalteri, Enti non profit e tutela della fiducia. Esperienza inglese e prospettive della riforma italiana, 2002, Torino, Giappichelli, 258. I profitti che derivano da primary purpose trading sono del tutto esenti da tassazione mentre nel caso di attività non collegata ai fini istituzionali l'esenzione arriva fino a un determinato ammontare annuo complessivo. In ordine agli investimenti, poi, i charity trustees hanno un dovere generale di investire i fondi del charity trust e di amministrare gli investimenti. E' poi consentito detenere la partecipazione in holding con società commerciali. Anche in quest'ultima ipotesi sono consentiti regimi di esenzione per le quote possedute.
[84] L'indagine svolta dall'Art and Business dimostra che la maggior parte di questi finanziamenti è rivolta a enti e organizzazioni strutturate in forma di charity che operano come istituzioni museali o come trusts aventi compiti di valorizzazione e conservazione con sede a Londra.
[85] Il limite di questo sistema di finanziamento è che il donatore, un contribuente britannico, deve dichiarare espressamente di voler utilizzare questo meccanismo, l'ammontare donato e l'ente beneficiario.
[86] Per i riferimenti relativi alla dottrina non solo italiana si rinvia al contributo di L. Casini, I beni culturali da Spadolini agli anni duemila, cit., passim e in particolare 425 e 438-443.
[87] Si veda sul punto L. Casini, Pubblico e privato nella valorizzazione, cit., 786.
[88] Per tutti M.S. Giannini, op. cit., passim.
[89] Anche nell'ordinamento inglese è una costante il riferirsi al patrimonio culturale quale espressione di un interesse pubblico di natura particolare espresso nell'esigenza di conservazione qualitativa. Il valore insito nel patrimonio è poi alla base della garanzia della fruizione pubblica la quale determina la formulazione di politiche gestionali dirette a incrementare la continua predisposizione degli strumenti di tutela.
[90] Per tutti A.V. Dicey, Introduction of the Study of the Law of Constitution, I ed., 1885, 126.
[91] Sulla presenza del privato - sociale nelle attività culturali si veda in senso parzialmente critico A.L. Tarasco, La gestione del patrimonio culturale, cit., 355 e passim.
[92] Sull'importanza dei controlli relativi alla capacità gestionali delle organizzazioni culturale si veda ancora una volta A.L. Tarasco, op. ult. cit., 370.
[93] L'interesse alla fruizione è garantita anche da meccanismi particolari ed indiretti spesso lasciati alla disponibilità dei soggetti coinvolti (guardianship per i momumenti antichi; proposte di acquisto per i beni da esportare; assegnazione di contributi vincolati alla piena accessibilità del bene) o a una applicazione settoriale (accreditamento delle attività museali; applicazione dell'istituto della acceptance in lieu).
[94] Tra gli altri, L. Casini, La valorizzazioni del beni culturali, cit., passim e A.L. Tarasco, op. ult. cit., 376.
[95] Così si legge anche nella pubblicazione del 2003 dell'English Heritage e dell'Ufficio del Primo Ministro, "Streamlining Listed Building Consent", 19.
[96] Decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.
[97] Per tutti, G. Clemente di San Luca, Volontariato e non profit, cit., passim.
[98] Sullo stato dei piani e dei programmi strategici di valorizzazione previsti dall'art. 112 del Codice dei beni culturali si rinvia a A.L. Tarasco, op. ult. cit., 376 e L. Zanetti, La valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica (art. 112), in Aedon 1/2004.